Erodiade/Atto terzo
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Atto secondo | Atto quarto | ► |
ATTO TERZO.
SCENA I.
SEFORA.
Sefora.E perchè almen non lice all’uom di Dio
Starsi al mio fianco? E al carcer suo vietati
Perchè sono i miei passi, e non più alcuno
De’ discepoli suoi può visitarlo?—
Ah! quel santo era mesto, e mi guardava
Commiserando. E allor ch’io palpitante
Dissi: «Salute, ahi, non prevedi!» oh come
Pio sfavillò e rispose: «Io non prevedo
Maggior sciagura, che morir. La temi?
Sefora, pensa al nòstro Dio; la temi?»
Raccapricciai. Fiacca, oimè, sono!— Or sola
Eccomi dunque fra stranieri: avverso
Il re nel cor, benchè in parole umano:
Maligni i cortigiani, incerti ancora
Se sorrider mi deggiano o spregiarmi,
Se adorarmi od uccidermi;... egualmente
A questo pronti e a quello. — Oh padre! ed io
Da te fuggii?... Ma anzi ogni cosa a' giusti
Esser giusti rileva. E ch’è il successo,
Sovra la terra? E s’anco falla, un altro
Successo fallar puote oltre la terra? —
A questa volta alcuno.... esso!
SCENA II.
ERODE e detta.
Erode. Regina,
So che tenere al fianco tuo volevi
Del Giordano il profeta, e ch’a te acerbo
Parve il mio niego: la ragion ten reco.
Traditor nol cred’io, ma astuto e conscio
Del favor della plebe, e d’involarsi
Dalle mie mani impazïente. Or chiuso
Serbarlo è forza, ed impedir le trame
De’ discepoli suoi. S’egli apparisse
Del volgo agli occhi, acclamerianlo rege.
Sefora.Commesso a me non è regnar, nè dritto
Ho di biasmarti, ignara io dello stato.
Ben prego il ciel che illumini la mente
Del mio re, del mio sposo, e questi giorni
Di vïolenza cessino, ed il santo
Aura di carcer respirar non debba.
Erode.Sefora, ogni tuo detto è verecondia
E riverenza e amor: grato ten sono.
Vedrai ch’io pur giustizia e pace anelo.
Se eventi ineluttabili scostato
I nostri cuori avean, più fausti eventi
Li ricongiungon; ricongiunti a lungo —
Per sempre — li desio.
Sefora. Sposo, al Signore
Chiederò sovra tutto il dolce dono
Di confortare i giorni tuoi, di mai
Non ispiacerti, e d’esserti soave
Consigliatrice di laudevoli atti
E d’impero benefico; ma scevra
Di quell’orgoglio che un dì forse io m’ebbi,
E che odïosa a te faceami.— Ah, orgoglio
Non sarà, no, se attenterommi, o Erode,
D’invocar tua clemenza!— ed or la invoco
Per que’ tumultuanti, onde le grida
Ribellïon s’appellano. Oh! se miti
Sul popol suo del re si volvon gli occhi,
Chi potrà non amarlo?— Obliar deggio
Di cui son figlia, e rammentarti, o Erode,
Che degli Arabi il re fama ha di pio,
E sovra il soglio tuo vederlo assiso
Più d’un vorrebbe in Galilea? Distrutta
La fazïon che qui per lui parteggia
Andar non può colle mannaje: è d’uopo
Rapirgli i cuori, attrargli a te, non meno
Pio di lui palesarti. Ah! questi umili
Detti della tua Sefora in te volgi.
Amor li ispira, caldo amor!
Erode. Regina!
Sincera ti tengh’io, benchè maligno
Suoni pur grido che di te sospetta.
Qui dall’arabo re per fraude alcuni
Inviata t’estimano, a sostegno
Di non so quali del profeta intenti;
De’ ribelli a sostegno.
Sefora. Oh audacia! oh nera
Impudente calunnia!
SCENA III.
Una Guardia e detti.
Guardia. Un messaggero
Giunge dalla nemica oste.
Erode. S’avanzi.
SCENA IV.
Il Messo arabo e detti.
Messo.Vera è dunque la fama? Accanto a Erode
La figlia del mio re?— Sefora, un dardo
Vibrasti orrendo di tuo padre al core!
Quando più al campo ei non ti vide, e intese
Gli esploratori asseverar che i passi
Qui tratti avevi, il miserando vecchio
Urlò di rabbia e pianse, e a maledirti
Più volte aperse il labbro, e non potea
La parola compir.
Sefora. Benedirammi
Il buon genitor mio, quando calmato
Fia il suo corruccio: ei scernerà che a sposa
Era debito accorrere allo sposo
E divider sua sorte.
Messo.Io del mio sire
Gli accenti porto:— «O re di Galilea,
Tu di moglie sì pia degno non sei:
Rendila: o sappi che in Arabia tante
Son le tribù, che collegate il brando
Alzeran di lor suora al rïacquisto,
Che cinger pon le tue città con ampia
Ferrea catena, e strascinarle al mare.»
Erode.Gli accenti miei tu di rincontro or porta:
— «Superbo re dell’arabo deserto,
Non a te solo fino ad or fur viste
Arridere le pugne. E ove infinite
Le tribù de’ tuoi ladri al rïacquisto
Di questa donna mia scotesser l’aste,
Le affronterei senza spavento; ed ove
La moltitudin lor palma s’avesse....
Di questa donna troverían vestigio?»
Messo.La sua vita minacci?
Sefora. A tale intento
Dalle paterne tende io son fuggita.
Pegno allo sposo di salute io venni.
Cessi dall’armi il padre, o pria che avversa
Al mio consorte, troverammi estinta.
Messo.— «O re di Galilea,» dice il mio sire,
«La generosa di mia figlia insania
Ad espiar son pronto. A me tal pegno
Restituisci, e in vece sua ti dono
Quanti captivi hanno in mie tende albergo.»
Erode.Non fia.
Messo. — «Lucro maggior la figlia mia,»
Dice il mio sir, «non può recarti. Amata
Non è da te. Perchè vuoi tu al fremente
D’Erodiade cospetto oggi ritrarla?»
Sefora.Sefora dice al genitor:— «Deh! l’ire
Estingui, o padre. Or dello sposo a fianco
Senza rivali la tua figlia è assisa.
Il re m’accolse con amor. Felici
Giorni novelli accanto a Erode, e solo
Accanto a lui, felici giorni io spero.»
Messo.Oh! che di’ tu? Erodiade....
Sefora. Ella è sgombrata.
SCENA V.
ERODIADE con sua Figlia e detti.
Erodiade.Erodiade ritorna, o traditori!
Sefora.Oh cielo!
Erode. Tu? che ardisci? onde?
Erodiade. Ritocco,
Ritocco alfin la reggia mia! Caduto
È da quest’occhi il velo: intelligenza
Scellerata è fra il popolo e Giovanni,
E gli Arabi, e costei. L’empio profeta
Affascinata aveami; avea promesso
A’ suoi fautori di cacciarmi in bando
Colle infernali sue paure. Appena
Fui veduta fuggir, di mormoranti
Brulicaron le vie; mostrata a dito
Era e schernita: pria sommessamente
Indi con grido unanime. E di borgo
In borgo ripeteasi: «È maledetta!
Espulsa è alfin! Precipitata alfine
Sei nell’obbrobrio, o Jezabele! Muori!»
E il volante mio carro orrendamente
E pietre e dardi perseguian. L’auriga
Agitava il flagello, e m’involava
Agli omicidi. I più deserti lochi
Avveduto cercava, e così al guardo
Altrui per molti campi ei mi sottrasse.
Ma ovunque sovra i poggi o nelle valli
Fosse un mucchio di case, uscia la gente
Al romor de’ cavalli, ed alle orecchie
Tosto si susurrava: «È Jezabele!»
E chiamavanmi adultera, e impudenti
Viva a Sefora alzavano e a Giovanni,
E dicean: «Opra è del profeta! Ei regni!
Egli è il Messia! Di lui ministro è Erode!»
Erode.Scellerati!
Erodiade. Incontrai per le montagne
Di Nazaret roman drappello. Il prode
Centurïon mi difendea. Scortata
Il cammin fatto ricalcai. Mi vede
E ammutolisce da stupore il volgo,
Poi tarde e vane contumelie innalza.
Contumelie non temo. Eccomi! A piedi
Morrò del trono, al re mio sposo allato!
Sefora.Insana, Erode, insana ell'è.
Erodiade. Le voci
Non son quelle del volgo? «Espulsa, espulsa
Erodiade vogliam! viva il profeta!
Sefora ed il profeta!» — Ecco i regnanti
Dunque di Galilea.
Erode. Sulla vil plebe
Colle tue lance irrompi, o Fanuele:
Erode regna ancor. Di’, che in mie mani
È Giovanni lor idolo, ed in pezzi
Il farò, se il tumulto empio non cessa.
Sì: di mansüetudine stagione
Si dileguò; tempo di forza è questo.
L’apostolato di Giovanni è trama,
Trama è l’annunzio d’un Messia, son trama
Il finto amor di patria, il finto sdegno
Contra le trionfanti aquile; il sogno
D’un impero immortal vaticinato
Ad Israello. Invereconda lega
È di rapaci e d’omicidi. Erode,
Cui precipüamente odia e paventa
Ogni fellone, estinguer vuolsi Erode!
Ma tal è desso che gli cresce il gaudio
Al crescer de’ perigli, e ove una volta
Tutta dell’alma sua spieghi la possa,
E ribellanti ed impostor son polve.
Erodiade.Or riconosco Erode; ora mi glorio
D’averle amato, e aver per esso obbrobri
Inauditi sofferto. E qui che fanno
Quest’esecrata donna, e quel vil servo
Dell’arabo ladrone? Uscite!— Erode,
Il vo’: l’aspetto di costei m’è orrendo
Più che la morte.
Erode. Acquetati.
Sefora. Me l’ire
Di costei non feriscon: la compiango,
E prego il ciel che sul suo afflitto capo
Null’uom più avventi vilipendio, e in pace
Ai bramati ritiri ella s’adduca.
Ma dell’inferma anima sua delirio
Son le accennate trame. I popolari
Gridi concordi alzò concorde l’odio,
Non secreta congiura. Ed a tal odio
Segno Erodiade è sola; amato è il rege.
Lontana lei, s’acqueteran le turbe,
Senz’uopo di macello.
Erodiade. A che i macelli.
Paventi tu, che, d’Israel non figlia,
Nutrita a maledir lo tribù sante,
Su questo seggio ascesa appena, i brandi
A vendicar l’orgoglio tuo chiamavi
Del genitor? L’orgoglio tuo crucciato
Perchè non sola innanzi al re splendea
Tua vantata bellezza! e perchè Erode,
Giusta i villani tuoi consigli, ospizio
Nei dì del mio dolor non mi negava!
Al padre tuo non arridean dapprima
Le battaglie, e captiva e inonorata
Giacevi in queste mura. Oh! allor me stolta
Che, a pietà mossa ed a dispregio, in vita
Lasciar ti volli! Al beneficio ingrata,
Tu la mia insidïavi; e, sallo Iddio,
Se la mia sola! Sallo Iddio, se i ferri
Aïzzando a perfidia, altra cervice
Non additavi!
Sefora. Oh di calunnie esperta
E di bestemmie e di speranze infami!
Ch’io le rintuzzi non sei degna. A spregio
Ed a pietà non fosti mossa mai
Se in vita mi lasciavi. A me più noto
Che non a te d’Erode è il cor; d’Erode,
Che, pur me sospettando eccitatrice
Delle paterne guerre, ancor m’amava,
Nè dar miei giorni in tua balía mai volle.
Che se, nel breve tuo trionfo, i brandi
Non giungean, da te spinti, al seno mio
Erode li rattenne. Indi te stessa
A rattenerli Iddio costrinse, allora
Che inondò l’alma tua di que’ terrori
Ondo fuggivi dalla reggia.
Erodiade. Afflitta
Da tante insidie di ch’è cinto il trono,
Fermato io avea d’allontanarmi. Illusa
Era da speme, ch’indi queto il volgo,
Sereni giorni il re godrebbe. Or torno
Disingannata: l’impostor profeta
Sotto la larva ho conosciuto. Io vengo
Sul re tradito a vigilar, le inique
Leghe a disperder, nella tua vergogna
A riprostrarti, od a morir!
Sefora. Tu vieni,
In cor d’Erode a spegnere ogni avanzo
Di pietà, di riguardo a tue sciagure.
Dal rio demon, ch’è del Signor ministro,
Vieni sospinta, a mostrar quanta annidi
E pertinacia nel livore e sete
Arrogante d’imper. Vanne: compiuto
Ribrezzo è quel che in noi destasti!— Erode,
Il suo cospetto soffri ancor?
Erodiade.1 L’appaga.
Dal tuo cospetto cacciami; allontana
Colei, ch’unica t’ama e che t’addita
I traditori. In grembo alla regnante
Deponi il capo, come già il depose
Sansone in grembo alla soave amata
Che dormïente lo vendè a Filiste.
Non mancherà chi invece tua s’assuma
Del dïadema il peso: è qui vicino
L’uomo di Dio che a tanto ufficio aspira!
Erode.Guerre non temo, o insidie. Ite: abbastanza
Da voi mia pace fu turbata.
Sefora. Io....
Erode. Ad ambo
Silenzio impongo. Con possente scorta
Ripartirà Erodiade; e se il profeta
M’aprì una fossa, in quella ei fia ingoiato.
Sefora.Erode!... il guardo che su me avventasti....
Non è di sposo.
Erode. È.... del tuo re! — Partite.
Erodiade.2(Ho vinto.)
Sefora. Erode — non m’ascolti?— Ingrato!3
Messo.Così trattata è del mio re la figlia?
Ragion ne chieggo.
Erode. La darò nel campo.4