Er gioco de piseppisello

Giuseppe Gioachino Belli

1831 Indice:Sonetti romaneschi VI.djvu sonetti letteratura Er gioco de piseppisello Intestazione 22 maggio 2024 100% Da definire

Li bbaffutelli So tutt'e ttre acciaccatelli
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti dal 1828 al 1847

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ER GIOCO DE PISEPPISELLO.

     Io lo farìa co’ tté piseppisello1
Colore ccusì bbello e ccusì ffino!2
In der mejjo però der ritornello,
Me stremisco3 de quer Zantomartino.4

     Perché sto santo ar povero bboccino
Dell’omo je fa un certo ggiucarello,
Che quanno va ppe mméttese er cappello
Nun je carza più un c.... in zur cudino.5

     Caso che allora me spuntassi un porro,
Io subbito direbbe: “Bbona sera!,
Ècchesce a la viggija der ciamorro.„6

     Te pare arisicamme7 a sta maggnèra?
Ste mmànnole ppiù ppresto8 me l’attórro,9
Pur ch’er reo nun ze sarvi, ecco le pera.10

In legno, da Civitacastellana a Monterosi, 10 ottobre 1831.

Note

  1. Giuoco da fanciulli. [A Roma si fa ordinariamente così: — Più bambini si mettono a sedere in fila con le gambe stese e i piedi pari, mentre uno di loro, il maestro, resta diritto con una bacchetta in mano, e recita la seguente filastrocca, toccando successivamente con la bacchetta, a ogni accento del verso o un po’ a capriccio, un piede de’ suoi compagni, e nell’ultimo verso un piede a ogni parola: Pis’ e ppisello, Colore accusì bello, Colore accusì fino, Per santo Martino, La bella Pulinara Che sale su la scala, La scala der pavone, La penna der piccione, La bella zitella, Che gioca a ppiastrella Cór fijjo der re, Arza su er piede che tocca a té. Il bambino toccato nel piede all’ultima parola, deve ritirarlo; e si ritorna da capo; finchè colui che resta ultimo e solo con un piede in fuori, viene ironicamente applaudito con battimani, o anche fischiato, e gli si cantano in coro queste parole: Tappo de cacatooore, Tappo de cacatooore! Qualche volta invece, specialmente tra bambini di condizione civile, quello il cui piede è toccato all’ultima parola, si alza, cedendo il posto al maestro, e prende lui la bacchetta per rifare il gioco. — Per le varianti e i riscontri delle altre parti d’Italia, può vedersi il Pitrè, Op. cit., pag. 37-39 e 232-39.]
  2. Parole che si profferiscono con altre, in quel giuoco. [V. la nota 1.]
  3. [Rabbrividisco.]
  4. [San Martino, che è nominato nella filastrocca del pis’ e ppisello, passa a Roma e altrove per il santo de’ Menelai.]
  5. [Quando questo sonetto fu scritto, molti romani portavano ancora scarpe con fibbie, calze nere, calzoni corti, abito corto a coda di rondine, tuba bassa e codino. E ogni volta che ne moriva uno, la gente contava i rimasti, e diceva: Son trenta, son ventinove, ecc. L’ultimo fu un certo Gnecco benestante, che viveva ancora al principio del pontificato di Pio IX.]
  6. [Cimurro.]
  7. [Ti pare ch’io possa] arrischiarmi.
  8. Piuttosto.
  9. Mandorle attorrate: abbrustolite, cioè, poi conciate con zucchero.
  10. [Parodia del noto verso della Gerusalemme, II, 12: “Purchè ’l reo non si salvi, il giusto pera.„]