Epistolario (Baretti)/I
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I
Al dottor Gian Maria Bicetti — Treviglio.
Milano, li 2 luglio 1741.
Amico carissimo. Vi assicuro, dottor mio caro, che il dolore da me provato nell’ intendere l’irreparabile perdita da voi fatta, non mi lascia troppo luogo a consolarvi, come vorrei poter fare co’ miei caratteri. Certamente n’avrete bisogno, e potess’io farlo a bocca, o almeno tenervi compagnia nel pianto; ma siete troppo saggio per aver bisogno delle mie persuasioni a raffrenare il soverchio dolore. Che devo dirvi, dottor mio caro? che non vi affliggiate? che vi conformiate ai voleri dell’Altissimo? Queste sono cose che un uomo del vostro taglio le sa meglio di me; ma dubito con ragione che non potrete non piangere amaramente, non lagnarvi all’estremo di tanta perdita; ma, caro amico, oltre a tutti i motivi che la vostra saviezza deve suggerirvi pér moderarvi in una si funesta congiuntura, soffrite ch’io ve ne ponga sotto gli occhi uno, che è necessario: questo si è il bisogno, in cui saranno le vostre sventurate sorelle, d’aver chi le consoli e chi le aiuti con le sue savie persuasioni a non darsi intieramente in preda all’afflizione. Fatevi animo, sig.*" dottore, consolate voi medesimo il più che potrete, e consolate queste signore: consolate in somma tutti que’ che sono men forti di voi e men capaci a conformarsi con prontezza all’alte disposizioni di Dio. Io vorrei potervi dire tanto che bastasse per farvi fare a modo mio, ma non so che mi dire, e sarei più disposto a pianger vosco, che a raffrenare le vostre lagrime. Addio, mio caro dottore. Vi prego dal Cielo ogni consolazione, specialmente in questa dolorosa congiuntura. Addio.
V.ro vero amico Il Baretti. |