Elogio catodico del quotidiano/Introduzione

Introduzione

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Premessa Cap. 1

Introduzione

Corpus della presente analisi vuole essere una riflessione su alcuni aspetti della gestione delle risorse umane nelle emittenti televisive locali e commerciali. L’argomento sarà affrontato, con particolare attenzione, da un lato alle possibilità di fare ricorso nelle produzioni televisive a forme di “User generated content”, ossia di contenuto realizzato da persone non retribuite estranee all’emittente televisiva e dall’altro alla“competizione attraverso il capitale umano” vista in particolare nella fase di lancio di quelle che possiamo definire “nuove forme di televisione”. Entrambi gli argomenti saranno affrontati con il ricorso a una panoramica storica, partendo da un’analisi delle prime esperienze di televisione locale in Italia, Telebiella e Telealtomilanese/Antenna3 Lombardia1. Già nei primi anni ottanta Umberto Eco commentando dalle colonne del settimanale L’Espresso2 il profondo rinnovamento del mezzo televisivo in seguito alla caduta del monopolio Rai ricorse all’uso del neologismo “Neotelevisione”, arrivando a scrivere:

E questo avviene in modo eminente con l’arrivo delle emittenti private, salutate all’origine come garanzia di un’informazione più vasta, e finalmente “plurale”. La neotv indipendente (partendo dal modello statale di Giochi senza frontiere) punta la telecamera sulla provincia e mostra al pubblico di Piacenza la gente di Piacenza, riunita per ascoltare la pubblicità di un orologiaio di Piacenza, mentre un presentatore di Piacenza fa battute grasse sulle tette di una signora di Piacenza che accetta tutto pur di essere vista da quelli di Piacenza mentre vince una pentola a pressione. E’ come guardare col cannocchiale girato dall’altra parte [Eco 1983, 176].

Marrone [2001, 57] proprio riguardo a questo intervento del semiologo alessandrino ricorda che: ”Nel 1983, infatti, quando Eco propone la definizione della neo-Tv, le televisioni private a cui egli fa riferimento sono ancora per lo più le Tv locali, dove si esibiscono personaggi di provincia, uomini qualunque desiderosi di essere eroi per un giorno, piazzisti e venditori che strapazzano il linguaggio comune a tutti i suoi livelli.”

Sempre nelle parole di Eco [1983, 170]

Ci si avvia, dunque, ad una situazione televisiva in cui il rapporto tra enunciato e fatti diventa sempre meno rilevante rispetto al rapporto tra verità dell’atto di enunciazione ed esperienza ricettiva dello spettatore. Nei programmi di intrattenimento (e nei fenomeni che essi producono e produrranno di rimbalzo sui programmi d’informazione “pura”) conta sempre meno se la televisione dica il vero, quanto piuttosto il fatto che essa sia vera, che stia parlando al pubblico e con la partecipazione (anch’essa rappresentata come simulacro) del pubblico.

I nuovi linguaggi televisivi introdotti inizialmente dalle emittenti commerciali e dalle emittenti locali, ma poi ripresi anche dall’ex monopolista Rai che vi si è dovuta adeguare, hanno avuto come loro caratteristica proprio l’ampia partecipazione del pubblico, anche per via telefonica, ai programmi televisivi. Nelle parole di Caprettini [1996, 43]

A livello di personaggi e caratteri, infine, lo «spettatore reale» entra nello schermo e acquisisce sempre più peso. Nella veterotelevisione c’era senz’altro spazio per i cittadini e gli spettatori comuni: esempi illustri furono soprattutto i quiz e i giochi, da “Duecento al secondo” (1954) a “Campanile sera” 3(1959). Tuttavia questi soggetti erano comunque inseriti in un meccanismo spettacolare rigido e forte che limitava lo spazio di espressione dei singoli personaggi. La visibilità del personaggio non televisivo diviene invece massima nella neotelevisione. Il punto di svolta da molti riconosciuto fu “Portobello”, la trasmissione di Enzo Tortora che prese il via su Rai 2 il 27 Maggio ed ebbe sei edizioni fino al 1983. “Portobello” era un mercatino televisivo in cui invenzioni più o meno strampalate venivano messe in vendita, parenti scomparsi venivano segnalati per la ricerca, nubili e scapoli cercavano il compagno della loro vita, ecc. Il programma basava in tal modo il proprio meccanismo spettacolare sulla presentazione di una Italia minore, ora macchiettistica, ora patetica, comunque “vera”. Non a caso “Portobello” è oggi riconosciuto come la trasmissione capostipite di gran parte delle trasmissioni contemporanee, da “Stranamore” ad “Agenzia matrimoniale”, da “I cervelloni” a “Carramba che sorpresa!” da “Chi l’ha visto?” alle televendite.

Colombo [2001, 286] osserva come

Il pubblico di un’Italia ancora alle soglie della modernizzazione, protagonista sulle piazze di Campanile Sera negli anni cinquanta di una partecipazione collettiva ai primi rituali televisivi, si è trasformato oggi nel soggetto di una relazione (familiare, di coppia, amicale) che accede alla ribalta del teleschermo per raccontarsi, esibendo una gamma di atteggiamenti che vanno dalla confessione alla riconciliazione, dalla testimonianza alla ricerca di aiuto, dal consiglio al gioco.

Interessante può essere la lettura del seguente intervento di De Feo riportato da Gian Luigi Beccaria [1985, 151] riguardo all’uso del termine “personaggio”4 da parte di Mike Bongiorno riferendosi a persone comuni «C’è chi ha ricordato il suo uso pluridecennale della parola personaggio, inizialmente condannato dai puristi («quando M.B. presenta qualche tipo che crede di interesse spettacoloso, gli affibbia subito la qualifica di personaggio: stasera abbiamo un nuovo personaggio”»: «Corriere della Sera», 22.5.’59); insomma, una pomposa qualifica di persone comuni, che è entrata però nell’uso comune in questi ultimi vent’anni, proprio nel senso di Bongiorno. Giovanni Buttafava [1985, 213] invece propone un interessante confronto tra l’esperienza nel campo della televisione italiana e quella della televisione statunitense.

1954: In Italia la Rai iniziava le sue trasmissioni televisive e si poneva subito il problema di trovare una formula specifica per i programmi “leggeri”. In America, da sei-sette anni, le principali reti avevano già sperimentato diversi “generi” di intrattenimento popolare, e avevano scoperto, quasi senza parere la Grande Regola ”Se c’è un tipo che vi va di vedere seduto in salotto, a bere con voi, e alla vostra tavola, qualcuno con cui state bene insieme a chiacchierare, vi piacerà sicuramente anche in televisione, come ospite a casa vostra, appunto”(Max Wilk, “The golden age of Television”, New York, 1976). E’ il segreto del successo di tanti divi televisivi americani fino a J.Carson. I grandi nomi spesso non riuscivano a tenere un programma regolare: Frank Sinatra stentò a finire la seconda stagione di un suo show di mezz’ora intorno al 1950, mentre negli stessi anni imperversava con due programmi regolari settimanali il modesto e simpatico talent scout Arthur Godfrey, durando più di un decennio con le sue seratine senza pretese. Godfrey rappresentava un modo informale, rilassato, domestico di usare la televisione; più che un ponte gettato verso il fantastico mondo dello spettacolo, diventava parte integrante d’ogni salotto medio”. (Jeff Greenfield, “Television, The First Fifty Years”, New York, 1977). In Italia si potrebbero citare solo personaggi particolarissimi ed eccentrici, come Angelo Lombardi, “l’amico degli animali” o il professor Cutolo. La regola dell’aurea mediocrità domestica, informale, come inderogabile nella costruzione di un personaggio televisivo popolare non trovava riscontro nella nostra tv delle origini, neppure in certi programmi che parevano non poterne fare a meno.

E’ quasi inutile ricordare che trasmissioni come Pronto Raffaella?, o L’altra Domenica di Renzo Arbore, o La Corrida o Il pranzo è servito di Corrado Mantoni, o la stessa Paperissima, per non parlare dei programmi di Gianfranco Funari, hanno avuto come veri protagonisti delle loro puntate, “personaggi non televisivi”5. Tali persone comuni che non sono mai state inserite in nessun organigramma di nessuna emittente, e che quasi sempre non hanno mai percepito un compenso per la loro partecipazione, tuttavia hanno rivestito un ruolo fondamentale nella realizzazione delle trasmissioni sopracitate. Tornando al presente, è forse inutile qui ricordare, che la fruizione di un contenuto audiovisivo stia passando sempre di più dal classico medium televisore, a nuove piattaforme, in primis a siti di condivisione user generated content, come Youtube, le cui clip, che ognuno può inserire, possono a loro volta essere inserite nei blog o sulla pagina personale dei social networks.

Si vuole inoltre cercare di capire, alla luce di quanto successo negli anni ottanta con la lotta tra Rai ed emittenti commerciali, in primis Fininvest, quanto sia importante nella fase di lancio di una “nuova forma di televisione” la presenza di volti noti di precedenti forme di emittenza. Si può per certi versi tranquillamente fare un paragone per analogia, tra le innovazioni arrivate per dirlo con le parole di Eco [1983, 163] «con la moltiplicazione dei canali, con la privatizzazione, con l’avvento di nuove diavolerie elettroniche» e di linguaggio televisivo6 introdotte tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta (fine del monopolio con esponenziale aumento dell’offerta televisiva per il telespettatore, inizio trasmissioni a colori, satellite, videoregistrazione) e l’attuale situazione in cui è possibile fruire del contenuto audiovisivo non più solo tramite la televisione analogica, ma anche tramite digitale terrestre, web tv, iptv e siti internet di condivisione di contenuti; in entrambi i casi il telespettatore ha davanti a sé un processo di moltiplicazione esponenziale dell’offerta rispetto alla situazione precedente caratterizzata dal monopolio (anni Settanta) o da un oligopolio (situazione attuale). Anche per questo secondo argomento si può partire sempre dalle parole che Umberto Eco scrisse a proposito della televisione degli anni Ottanta:

Della paleotv si poteva fare un dizionarietto con i nomi dei protagonisti e i titoli delle trasmissioni. Con la neotv sarebbe impossibile, non solo perché i personaggi e le rubriche sono infinite, non solo perché nessuno ce la fa a ricordarli e a riconoscerli, ma anche perché lo stesso personaggio gioca ruoli diversi a seconda se parla dai teleschermi statali o da quelli privati [Eco 1983, 163].

Il passaggio a Sky avvenuto non senza polemiche nel 2009 da parte di due personaggi del calibro di Fiorello e Mike Bongiorno ha riportato alla memoria, la “Guerra degli ingaggi”, combattuta negli anni Ottanta tra le emittenti commerciali e il servizio pubblico. Per ironia della sorte tale fenomeno iniziò con la nomina proprio di Mike Bongiorno a direttore artistico di Telemilano, con una retribuzione annua di venti volte superiore a quanto il noto presentatore percepisse dalla Rai. Andando con la memoria indietro di pochi anni, è utile ricordare a questo proposito che la stessa rottura del monopolio della tv di stato, grazie alla coraggiosa battaglia intrapresa dalla piccola emittente locale Telebiella, avvenne curiosamente proprio ad opera di alcuni dipendenti della Rai; fra tutti basti qui ricordare il conduttore Enzo Tortora e il regista Peppo Sacchi, che furono rispettivamente testimonial e editore della prima televisione libera italiana. E’ come se il pubblico, trent’anni fa come oggi, avesse bisogno di vedere sulla “Nuova televisione” i volti dei beniamini della “Vecchia televisione”. Particolare attenzione non può non essere dedicata a coloro che a vario titolo apportarono il loro contributo a quella ancora pionieristica fase, che seguì la fine del monopolio televisivo, che fu definita, per via delle particolari condizioni in cui si realizzò con l’espressione “Il Far west della tv”.

  1. Le emittenti TeleAltoMilanese e Antenna3 Lombardia vengono in questa tesi considerate con una logica di “Continuum” in quanto furono fondate dagli stessi promotori, in primis Enzo Tortora e Renzo Villa e si avvalsero della collaborazione di uno stesso gruppo di artisti e registi, tra cui Beppe Recchia e Cino Tortorella. Antenna 3 Lombardia nacque da una scissione di TeleAltoMilanese, riproponendo con gli stessi titoli programmi già andati in onda sulla vecchia emittente.
  2. Umberto Eco in “TV: La trasparenza perduta” in “Sette anni di desiderio” Bompiani, Milano, 1983, pagg.163-179 articolo originariamente pubblicato sul settimanale “L’Espresso” col titolo «Stravideo» n.4 del 30/1/1983. Il seguente articolo riprendeva alcuni concetti già anticipati dallo stesso Eco nell’introduzione al libro di M.Wolf “Tra informazione ed evasione, i programmi televisivi d’intrattenimento” ed. Rai-Eri, Roma 1981.
  3. A proposito della relazione tra le trasmissioni Campanile Sera e Portobello è interessante riportare qui questa con-siderazione di Walter Veltroni [1992, 197] “Ho la presunzione di sapere o immaginare dove Tortora abbia avuto l’idea. Quasi vent’anni prima di Portobello Tortora conduceva brillantemente i collegamenti di Campanile Sera. Una sera a Monfalcone, un vecchio soldato rivolse attraverso il microfono di Tortora, un appello a un compagno di battaglia sui monti della Carnia, nella guerra del ‘15-‘18 ; che si facesse vivo, usando la tivù”. Non è forse casuale il fatto che il regista delle scene in esterno di Campanile Sera che seguiva l’inviato Tortora fosse proprio Peppo Sacchi, allora di-pendente Rai, ma passato alla storia come fondatore di Telebiella, prima tv libera. Nel suo diario romanzato in terza persona Sacchi [1998, 36] ricorda il suo rapporto con Tortora “[…]avevano girato mezza Italia con Campanile Sera, lavorato alla radio e TV Svizzera”. Nel dibattito interviene anche Grasso [2000, 322-323] “La trovata risolutiva di Portobello è quella di considerare la provincia come l’ideale «bacino d’utenza», smettere di rivolgersi al pubblico delle grandi città […]del resto sin dai tempi di Campanile Sera Tortora sa come «promuovere» il ricco materiale umano della provincia, è veramente l’unico, grande conduttore televisivo che sappia toccare, con mano leggera ma ferma, i tasti dell’universo dei «non integrati»”. Nelle parole dello stesso Tortora affidate alla sua autobiografia [1988, 35] “Giravo tutta l’Italia con Campanile Sera. Andavo da Monreale a Belluno, ovunque, al centro, al nord, al sud , nelle isole. Era un lavoro molto movimentato , ero sempre con la valigia in mano, ma anche molto interessante. Quando si restava nello stesso paese per due o tre settimane ci si faceva degli amici, si conosceva la realtà della provincia, una realtà che non ha mai smesso d’interessarmi perché la provincia è questo nostro paese. Io poi trovo che sia molto sbagliato definire provinciale una cosa: essere provinciali non è una dimensione geografica ma è una dimensione dello spirito, secondo me. Si è o non si è mezze calzettte, ma io ho conosciuto gente di Roma o di Milano che è infinitamente più provinciale di quella di un piccolo paese”. E nel libro “Le televisioni in Europa” [Fondazione Agnelli 1990, 921], a proposito di Portobello si legge: “La trasmissione si incarica di scovare ed esibire le “migliori energie” dell’Italietta intraprendente e fantasiosa, come ai bei tempi di Campanile Sera senza, questa volta, scomodare i propri potenti mezzi in trasferte peninsulari, ma convocando «in cabina» il meglio dei possibili inserzionisti. Sempre riferendosi alla veterotelevisione Lombezzi [1979, 503] ricorda come: «Portobello sviluppa tutta una area di spettacolarità (del quotidiano) che il quiz aveva appena sfiorato. Formidabile trovata spettacolare –una delle più intelligenti mai realizzate dalla Rai dai tempi di Campanile Sera- essa tende, più di ogni altra trasmissione basata sulla partecipazione del pubblico, a avvicinarsi a quella struttura aperta “processuale”, auto regolatrice, che dovrebbe essere la caratteristica (ottimale) dei programmi delle comunicazioni di massa». Sulla questione è interessante leggere anche l’opinione di Gianfranco Bettettini [1980, 253] contenuta nel libro “Le televisioni in Europa”: «Non si può chiudere, infine, una scheda sullo spettacolo leggero della televisione tradizionale in Italia senza ricordare una delle sue operazioni più originali e qualificanti: quella di costruire un rapporto organico fra l’ente produttore-diffusore e la provincia. Questo progetto diede vita al coinvolgimento di paesi, cittadine e intere popolazioni in trasmissioni di agonismo ludico, in gare spettacolari e in prove « culturali » tipiche del quiz, ricorrendo alla sostituzione dei concorrenti singoli con le rappresentanze di varie collettività. Dopo i primi tentativi di Telematch e di Canzoni in piazza, la vera esplosione di questo coinvolgimento provinciale si verificò con Campanile sera. La provincia si affacciava con prepotenza ai teleschermi e la presenza in loco dell’apparato televisivo produceva reazioni molto vive di interesse, di confessione pubblica e di recupero storico, di solidarietà e di inimicizia, di furore agonistico e di sfruttamento dell’occasione offerta dalla ribalta nazionale. L’arma vincente è consistita proprio nel fatto che la televisione («quella» di Milano, di Torino e di Napoli) venisse fatta lì nella piazza, nel municipio, nelle stesse case, in parrocchia, nel famoso «pensatoio»: si partecipava creativamente e costruttivamente a un evento che avrebbe avuto come spettatrice l’Italia intera. In fondo, tutti i discorsi sul localismo e sull’accesso che accompagnarono la riforma della Rai e la nascita della Terza Rete erano già impliciti in quelle esperienze. Campanile sera, La fiera dei sogni con i suoi collegamenti, Giochi senza frontiere e altre trasmissioni analoghe, pur nella goffaggine e nella confusione che spesso le contraddistinguevano, costituirono la linea di confine fra una televisione alla quale si vuole partecipare, addirittura collaborare, e una televisione fatta da altri, con la quale stabilire solo un rapporto di consumo. Oggi, dal punto di vista televisivo, le strategie e le tattiche di comunicazione sono molto cambiate, perché è cambiata la stessa provincia, vittima di un processo di omologazione culturale ed elettronica nei confronti della metropoli». Interessante può essere leggere a questo proposito il ricordo di Enza Sampò [1985, 135] che al pari di Enzo Tortora curò i collegamenti esterni di Campanile Sera: «Dopo il fenomeno di “Lascia o raddoppia?”, quel genio televisivo che è Mike Bongiorno, aveva deciso di rendere omaggio al suo pubblico andando a trovarlo a casa, nei paesi, nelle province, nelle piazze: la tv, che già aveva cominciato a entrare nella vita degli italiani, con “Campanile sera” prometteva di far diventare protagonista quella gente che la sera si riuniva nei bar, nelle case (ancora poche) dove c’era un televisore».
  4. Eco [1983, 167-168] propone un’interessante intervento sulla partecipazione del pubblico nei programmi della paleo televisione, in particolare nei quiz, nell’ambito di un’analisi sul problema del rapporto tra verità dell’enunciato e verità dell’enunciazione. «[…]sino dalla metà degli anni cinquanta, il problema si è complicato con l’apparizione del più tipico tra i programmi di intrattenimento, il telequiz. Il telequiz dice la verità o mette in scena un finzione? Si sa che esso fa accadere alcuni fatti attraverso una messa in scena predisposta; ma si sa anche, e per chiara convenzione, che i personaggi che vi appaiono sono personaggi veri (il pubblico protesterebbe se sapesse che il concorrente è un attore) e che le risposte dei concorrenti vanno valutate in termini di vero o di falso (o di esatto e sbagliato)».
  5. Sull’uso della seguente definizione, cfr. Caprettini [1996, 43].
  6. Con le parole di Bruno [1994, 12]: «Le caratteristiche attribuite da Eco alla neotv possono essere così sintetizzate: -Autoriflessività (supremazia del “contatto” dalla funzione fàtica di Jakobson rispetto alla funzione referenziale di discorso sul mondo; -Evidenza dell’enunciazione (la verità della trasmissione attestata dallo sguardo-in-macchina dell’enunciatore o dell’esibizione delle tecnologie di ripresa, è più importante della verità di ciò che viene trasmesso); -Non trasparenza del rapporto informazione-fiction, gli eventi “reali” vengono predisposti ai fini della ripresa televisiva); -Coinvolgimento “Folk” dello spettatore (le tv locali esibiscono un linguaggio ben poco globale); -Elasticizzazione del tempo determinata in parte dalla miscela di programmi con differenti ritmi interni, in parte da ciò che oggi si chiama zapping. L’elenco può apparire un po’ sconnesso ma in effetti l’intenzione di Eco era più di descrivere una situazione che non di approntare un’analisi». Lo stesso Eco [1983, 163] all’inizio del noto articolo “TV: La trasparenza perduta” aveva specificato «Sui caratteri della Neo tv si sono già fatti studi (per esempio la recente ricerca sui programmi televisivi d’intrattenimento compiuta per la Commissione parlamentare di vigilanza da un gruppo di ricercatori dell’università di Bologna). Il discorso che segue non vuole essere un riassunto di questa ed altre ricerche importanti, ma tiene d’occhio il nuovo panorama che questi lavori hanno messo in luce». Eco [1981, 7-9] nell’introduzione al testo di M. Wolf (a cura di), Tra informazione ed evasione: i programmi televisivi di intrattenimento. ERI, Torino, 1981 osserva: «La ricerca mette in luce un rilevante processo di trasformazione della televisione nel proprio complesso, visto attraverso l’indagine di un “genere” tradizionalmente poco studiato e cioè il programma di intrattenimento (in quanto distinto da quello di informazione e da quello di finzione). Ci si attende di solito da una ricerca che essa provveda ai committenti dati che non era possibile rilevare senza accurati computi statistici (condotti per mezzo di tests empirici sulle reazioni del pubblico o di analisi della ricorrenza di idee, opinioni, atteggiamenti ideologici). Ora, informazioni del genere sono già state abbondantemente provvedute da altre ricerche citate nel primo capitolo della prima parte. Ciò che questo lavoro vuole mostrare è ciò che in principio è già sotto gli occhi di tutti, anche di chi guardi per una sola volta un programma di intrattenimento. Non è detto naturalmente che ciò che è sotto gli occhi di tutti sia per questo evidente, né che ciò che è evidente sia automaticamente valutabile per ciò che implica. E questa è la ragione per cui ciò che è sotto gli occhi di tutti ha dovuto essere reso evidente attraverso un lavoro di analisi e comparazione di programmi diversi. Questa ricerca ha cercato appunto di mostrare che ciò che era sotto gli occhi di tutti appariva “naturale” (come se cioè le cose non potessero andare diversamente” e per questo non veniva rilevato: rilevarlo, e descriverlo nei suoi meccanismi, significava mostrare che quanto sembrava naturale era invece culturale effetto di una serie di regole, di strategie, di manipolazione..[…](la ricerca n.d.r.) analizza modalità di comunicazione comuni a tutti questi programmi, forme generali, modi di porgere ovvero modi di stabilire un rapporto tra teleschermo e pubblico. Ma, così procedendo la ricerca non analizza delle tecniche, delle grammatiche, delle scelte stilistiche: essa riguarda le modalità di produzione della “verità” o della “veridicità” e mostra come queste nuove modalità sono destinate a trasformare l’atteggiamento del pubblico rispetto ai criteri tradizionali di vero e falso, o di reale e fantastico, e a instaurare un diverso rapporto fiduciario con il teleschermo. Ciò che la televisione comunica, e che crediamo sia indipendente dal modo in cui lo comunica, sarà sempre più determinato da queste modalità di comunicazione. Ripetiamo a scanso di equivoci: questa ricerca non parla tanto del modo in cui la televisione parla della realtà extra-televisiva ma del fatto che attraverso le trasmissioni esaminate il concetto stesso di realtà viene messo in questione. Sempre Bruno[1994, 38] basandosi questa volta sul noto articolo in lingua francese“De la paléo a La Neotélévision” di Casetti e Odin (in "Communications", n. 51, Paris, 1990) continua la sua interessante sintesi, «La neoTV, invece, è contrassegnata da: -Prossimità (la vita quotidiana è il referente primario delle trasmissioni, che ne riproducono caratteristiche spaziali e temporali); -convivialità (modello del talk show) -flusso continuo (con fenomeni di contaminazione dei generi, sincretismo, imbricazione fra programmi, emissioni-omnibus ovvero megacontenitori proteiformi, iperframmentazione, valorizzazione dell’inserto come meta-immagine ecc. Nel passaggio dalla paleo- alla neo-TV, lo spettatore implicito assume nuovi ruoli: di mandante, di partecipante, di valutatore».