Donne e Uomini della Resistenza/Rinaldo "Cucciolo" Simonetti
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Rinaldo "Cucciolo" Simonetti
Nato a San Colombano Certenoli (GE) l'11 giugno 1928. Fucilato a Calvari il 2 marzo 1945.
La storia di "Cucciolo" è tutta in quel suo nome di battaglia, che gli affibbiarono i suoi compagni a causa della giovanissima età e del fisico da ragazzo, quando insistette, insistette e insistette ancora per far parte dei partigiani. Il fatto è che lui, povero ragazzo di campagna, nato e cresciuto in uno dei borghi più poveri dell'entroterra ligure, nei partigiani e nella loro battaglia ci credeva, con tanto slancio che non era soltanto spirito d'avventura, ma una sorta d'intuizione, di quelle, proprio, che hanno i cuccioli quando s'avviano sulla strada della perenne dedizione e fedeltà.
Entrato in distaccamento, addetto alla cura d'un prezioso mulo, dopo aver partecipato a tanti spostamenti da una valle all'altra dell'Appennino e azioni si trovò coinvolto nella grande avventura. Il gruppo di garibaldini di cui faceva parte, dopo essere rimasto di copertura al comandante " Bisagno ", ferito, sino alla sua guarigione e partenza da un "casone" nella vallata di Lorsica, venne colto di sorpresa e catturato dai fascisti e dagli pseudo-alpini della "Monterosa". "Che ci facevi con loro?", chiesero al ragazzo. "Il partigiano", rispose. E quelli: "Adesso ti insegniamo noi a giocare al partigiano", e giù botte. Poi gli dissero che l'avrebbero perdonato, perché era così giovane. Ma quando decisero di fucilare i suoi dieci compagni, escludendolo dalla esecuzione, urlò con tutto il suo fiato: "Anche io sono partigiano come loro, insieme a loro dovete portarmi".
Decisero, infine, di aggregarlo al gruppo: sarebbe morto, poiché lo voleva. E lo tradussero, con gli altri, al bosco della Fregaia, nella valle di Fontanabuona, sopra Calvari; combinazione o calcolo che fosse, a un tiro di schioppo dalla sua casa: la si vedeva biancheggiare, nella fredda luce d'inverno, tra i rami spogli dei castagni, proprio di fronte al luogo dell'esecuzione. Egli chiese al comandante del plotone un foglio di carta per scrivere ai suoi cari. Scrisse sul foglietto di un taccuino poche parole di saluto, ma anche: "Muoio per la salvezza dell'Italia" e, con splendida ingenuità, tracciò in alto, sull'angolo della paginetta, una listerella nera, come certo aveva visto in qualche biglietto di lutto. Poi, dopo aver consegnato il foglio al cappellano, riprese posto tra i suoi compagni e si accasciò con loro, dopo la lunga scarica atroce, tra le foglie d'oro dei castagni che ricoprivano il terreno. (R.B.)
Fonte del testo: ANPI - Associazione Nazionale Partigiani d'Italia