Donne e Uomini della Resistenza/Raffaele Conte
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Raffaele Conte
Nato a Foggia nel 1913, deceduto a Bari nel 1985, medico tisio-pedriata, primo presidente dell'ANPI barese.
Tenente medico del Reparto sanità della «Divisione Murge» in Croazia, Raffaele Conte, dopo l'armistizio dell' 8 settembre 1943, passò, come tanti altri soldati e ufficiali italiani, nelle file delle resistenza contro i tedeschi, a fianco dell'Esercito di liberazione jugoslavo. Nelle vesti di medico, curò i feriti italiani e slavi. Poi si cimentò in un epico viaggio di ritorno verso Bari: ferito nella battaglia di Babin Potok, nel maggio del 1944 s'imbarcò, in Dalmazia, su un peschereccio. Alla guida di altri centoventi feriti. Destinazione Bari, dove nella Puglia liberata, sperava di poter far ricoverare quei reduci. Ma l'imbarcazione fu attaccata da un cacciatorpediniere tedesco. Morirono ottanta persone. Lo stesso Conte fu colpito gravemente al viso. Ciò malgrado, il peschereccio riuscì a raggiungere la costa pugliese. I superstiti furono accolti negli ospedali di tutta la regione, col consenso dei comandi alleati. Raffaele Conte assunse nel dopoguerra la presidenza dell'ANPI di Bari. E a lui spetta il merito di aver ricordato per la prima volta, nel corso di una commemorazione del 1946, il ruolo svolto dai militari italiani nei Balcani a fianco della resistenza antinazista. Conte, lasciata la presidenza dell'Anpi alla fine degli anni Quaranta per passare a quella dell'Anmig (Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra), continuò a fare il medico a Bari, dove s'è spento alla metà degli anni Ottanta. La storia di Conte contribuisce a ricordare che la Puglia, una volta liberata, dalla fine del 1943 diventò anche la retrovia dei partigiani slavi. Nel Tacco d'Italia il 3 giugno 1944 giunse anche il maresciallo Josip Broz Tito, accompagnato da Randolf Churchill, figlio del premier britannico Winston Churchill. Circostanze di cui si trova testimonianza nel cimitero di Barletta: ospita il Sacrario jugoslavo, dove sono sepolti oltre ottocento partigiani slavi morti nell'Italia meridionale, dov'erano giunti, per lo più feriti, dopo i combattimenti affrontati al di là dell'Adriatico. Non solo. Ricorda Vito Antonio Leuzzi, direttore dell'Ipsaic: "Grazie all'eredità lasciata da Conte, l'archivio dell'ANPI barese è tuttora il più ricco di documentazione, preziosissima, sulla resistenza dei militari italiani nei Balcani e nelle isole greche, compresa Cefalonia". In particolare, tra le montagne jugoslave combatterono i battaglioni partigiani «Mameli», «Budicin», «Fontanot» e «Zara»; in Dalmazia e Istria, la «Brigata Italia», costituita dai battaglioni «Garibaldi», «Matteotti», «Mameli» e «Fratelli Bandiera», che combatté dalla Bosnia al Montenegro e fino a Zagabria; la Divisione «Garibaldi», grande unità italiana partigiana all'estero, seppe mantenere i caratteri nazionali, con le sue uniformi e i regolamenti del nostro Esercito. Nel 1948, il Presidium del Parlamento della Repubblica Federale Popolare Jugoslava conferì a Raffaele Conte l'"Ordine del Merito del Popolo" di 3° grado al quale seguì, nel 1949, la "Medaglia al Valore Partigiano". Nel 1953 fu il Presidente della Repubblica Italiana, Luigi Einaudi, ad accogliere, proprio nel porto di Bari, la nave che aveva riportato in patria le prime salme dei militari italiani caduti nell'isola di Cefalonia combattendo contro i tedeschi e che ora sono tumulate nel Sacrario dei Caduti d'Oltremare di Bari. (m.b.)
Fonte del testo: ANPI - Associazione Nazionale Partigiani d'Italia