Donne e Uomini della Resistenza/Magda Minciotti
Questo testo è completo. |
Nata a Fossato di Vico (PG) il 20 luglio 1929, morta a Pesaro (PU) il 28 luglio 1990
Apparteneva a una famiglia antifascista di tradizioni mazziniane, che partecipò compatta alla Resistenza a Chiaravalle, dove si era trasferita. Nonostante la giovanissima età anche Magda fu partigiana: a fine giugno '44, quando le truppe tedesche si stavano ormai ritirando dalle Marche, spense le micce accese sul ponte in direzione di Jesi, salvandolo dalla distruzione; il 22 giugno soccorse, di notte, il partigiano Nello Congiu, ferito mortalmente nello scontro a fuoco con una pattuglia tedesca. L'episodio dello scontro fu riportato dalla stampa clandestina “Bandiera rossa”, ma la possibilità di riconoscere il coinvolgimento di Magda è venuta recentemente dall'incrocio di più fonti e documenti d'archivio.
L'8 luglio 1944 le SS fecero irruzione nella casa dove la famiglia Minciotti era sfollata a Monte S. Vito, per sorprendere il fratello Giacinto, comandante del Distaccamento “Nello Congiu”: Magda fu arrestata per rappresaglia insieme al fratello Giorgio.
Nella visita di idoneità fatta a Forlì nella caserma GNR di via Romanello, centro di raccolta dei rastrellati per la deportazione, Magda fu destinata al lavoro coatto in Germania nella fabbrica Siemens di Norimberga; Giorgio, cagionevole di salute e selezionato per lavori leggeri in Italia, chiese di seguire la sorella minore per offrirle aiuto e protezione. Morirà di stenti a scavare trincee nel ghiaccio delle Ardenne, agli ordini della Todt, per fermare l'avanzata degli alleati sul fronte occidentale.
Pochi giorni dopo il suo arresto, su un blocchetto di ricevute scadute trovato per caso, Magda iniziò a scrivere un diario che continuò fino al momento della Liberazione. Non appena tornata a casa nel luglio 1945, ricopiò il testo che si stava deteriorando su un quaderno e scrisse una prefazione, manifestando il proposito di far conoscere la sua storia. Tuttavia, nel clima di generale indifferenza con cui la società del dopoguerra accolse il ritorno dei reduci e considerò per le donne un marchio d'infamia l'essere state deportate in Germania, Magda scelse il silenzio; conservò il diario e altri documenti di prigionia per lunghissimi anni e li consegnò al figlio Giorgio poco prima della sua morte.
Il diario, documento storicamente raro, è stato pubblicato nel 2017. Magda, studente ginnasiale, annotò stati d'animo, pensieri e accadimenti, con una scrittura rivolta a sé come strategia individuale di sopravvivenza; annotò anche la prigionia condivisa con Leda Antinori a Mondolfo e Novilara, sottolineando il sostegno reciproco che si erano date. Insieme a nostalgia, sconforto, dolore, il diario mostra le risorse messe in atto per resistere, così che diventa un esempio di resilienza femminile e di un percorso di crescita.
La storia di deportazione di Magda è rimasta nascosta, con tracce segnalate da alcuni testimoni e distrazioni e cancellazioni operate da storici che si sono dimenticati di lei nella ricostruzione della Resistenza marchigiana. Nonostante nel 1946 fosse stata riconosciuta partigiana combattente, con il grado di gregaria, del Distaccamento "Congiu", e l'annotazione "d" [deportata] sottolineasse l'esperienza concentrazionaria in Germania.
Allo stato attuale della ricerca Magda Minciotti è l'unica donna deportata per lavoro coatto dalle Marche. Il nesso esistente tra Resistenza e deportazione è stato poco considerato fino a tempi molto recenti, il primo convegno nazionale sulla deportazione per lavoro coatto è avvenuto solo nel 2006 e manca ancora un quadro complessivo; le stime indicano 100 mila deportati, di cui un decimo donne. Rastrellati/e, spediti forzatamente negli Arbeitslager al servizio dell'industria bellica tedesca, furono spesso classificati “liberi lavoratori” dalla Repubblica di Salò e ipocritamente chiamati Fremdarbeiter (letteralmente lavoratori stranieri) dai tedeschi; il linguaggio usato occultava la loro realtà di lavoratori forzati, costretti anche a lavorare fino alla morte. Il lavoro forzato fu condannato come crimine dal tribunale di Norimberga, ma non le industrie che lo avevano utilizzato e che grazie a quei profitti sono rimaste tra noi. La disumanizzazione, la riduzione a cosa allora praticata, ci interroga ancora nel nostro presente dove il lavoro forzato ha trovato nuove forme di travestimento.
Il 25 aprile 2017 l'Anpi di Chiaravalle ha organizzato una mostra, curata da Anna Paola Moretti, dedicata alla partecipazione alla Resistenza della famiglia Minciotti, il cui ricordo si era perso, anche per la diaspora dei suoi membri dalla città nel dopoguerra; il sindaco Damiano Costantini ha consegnato attestati di riconoscimento a Magda, Giorgio e Giacinto Minciotti, e alla loro sorella Agnese Lapini. Grazie al suo diario e ai documenti conservati con cura, Magda è diventata "depositaria e custode della memoria di un'intera famiglia impegnata nella lotta partigiana", come è scritto nel suo attestato.
(APM)
Fonti
Anna Paola Moretti, Considerate che avevo quindici anni. Il diario di prigionia di Magda Minciotti tra Resistenza e deportazione, prefazione di Luciana Tavernini, Affinità elettive, Ancona 2017, collana L'orsa minore dell'Istituto Storia Marche
Fonte del testo: ANPI - Associazione Nazionale Partigiani d'Italia