Donne e Uomini della Resistenza/Giuseppe Testa
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Giuseppe Testa
Nato a San Vincenzo Valle Roveto (L'Aquila) nel 1924, fucilato a Fontanelle di Alvito (Frosinone) l'11 maggio 1944, geometra, Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.
Tre giorni prima dell'armistizio era stato a Milano per conto della Direzione del Genio militare di Roma, presso la quale era impiegato. L'8 settembre 1943, mentre tentava di tornare a casa, il giovane geometra fu arrestato dai tedeschi a Monterotondo, nei pressi della Capitale. Restò poco nelle loro mani. Riuscito a liberarsi, il giovane impiegato, raggiunte le montagne dell'Abruzzo, prima affiancò l'attività di un sacerdote della Valle di Roveto (don Savino Ursini, che con altri giovani del luogo aveva costituito un comitato per l'assistenza ai detenuti politici, ai prigionieri alleati e ai militari italiani sbandati), e successivamente assunse il comando di un distaccamento della Banda "Patrioti della Marsica". In seguito a delazione, il 21 marzo del 1944, i nazifascisti riuscirono ad arrestare don Ursini, due dei suoi collaboratori (Pietro Casalvieri e Paolo Antonio Gemmiti), e anche Giuseppe Testa. Al giovane comandante partigiano fu riservato un trattamento particolare. I tedeschi, che già gli avevano spezzato un braccio durante il primo interrogatorio, decisero di portarlo al loro Comando di Sora (Frosinone), per meglio poter infierire sul prigioniero. Ma anche lì, dopo giorni e giorni di sevizie, non riuscirono a farlo parlare. Sommariamente giudicato da un Tribunale militare tedesco, Giuseppe Testa fu condannato a morte e fucilato. La motivazione della MdO alla sua memoria dice: "Giovane ardente e di alti sentimenti di amore patrio, abbracciava con entusiasmo la causa dei partigiani, costituendo nel suo paese un comitato per l'assistenza dei prigionieri di guerra alleati e dei militari italiani sbandati. Arrestato per vile delazione di un militare tedesco fintosi inglese, non svelava, malgrado torture e minacce, l'organizzazione clandestina e il luogo dove era occultato un soldato alleato. Processato da un tribunale tedesco, benché promessagli salva la vita se avesse parlato, preferiva la morte. Dinanzi al plotone d'esecuzione, con virile fermezza, offriva la sua nobile e giovane vita per la libertà della Patria".
Fonte del testo: ANPI - Associazione Nazionale Partigiani d'Italia