Donne e Uomini della Resistenza/Giovan Battista Gardoncini
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Giovan Battista Gardoncini
Nato ad Inzini (Brescia) il 10 dicembre 1895, fucilato a Torino l'11 ottobre 1944, dirigente d'azienda.
In gioventù Gardoncini era stato operaio metallurgico e nel primo dopoguerra aveva partecipato alle lotte dei lavoratori torinesi. Gli scioperi del 1920, l'occupazione delle fabbriche, la difesa della sede dell' Ordine Nuovo videro il giovane operaio in prima fila. Con l'ascesa del fascismo, per il comunista "Battista" erano cominciate le persecuzioni: licenziato dalla fabbrica, si era dovuto allontanare da Torino per trovare un lavoro; ma, dopo qualche tempo, a Torino era tornato ed era riuscito ad avviarvi in proprio una piccola officina, che era diventata anche fucina di operai antifascisti, politicamente molto attivi durante la guerra di Spagna. Nel 1941 - quando tra gli operai torinesi cominciarono a circolare due opuscoli che portavano il titolo "Nazismo e comunismo" e "Il fallimento del regime fascista" - Gardoncini, accusato di averli stampati e diffusi, fu arrestato. Un anno di carcere preventivo e poi il processo davanti al Tribunale speciale, che si concluse - era il 13 luglio 1942 - con l'assoluzione. Scarcerato, "Battista" riprese l'attività politica clandestina e, nel marzo del 1943, fu a Torino tra gli organizzatori dello sciopero contro la guerra. All'armistizio, l'azienda di Gardoncini divenne sede di organizzazione dei primi nuclei partigiani, centro di raccolta di medicinali, viveri e aiuti finanziari per le formazioni partigiane ed anche fabbrica di armi per la Resistenza. Non durò molto: individuato dalla polizia, "Battista" riuscì a sottrarsi all'arresto e a portarsi nelle valli di Lanzo. Qui divenne, come comandante della II Divisione Garibaldi "Piemonte", il più popolare capo partigiano della zona. Gardoncini riuscì anche ad organizzare democraticamente l'amministrazione dei comuni della Valle di Lanzo che, fino al settembre del 1944, furono retti da giunte popolari. Una tal situazione non poteva essere tollerata dai nazifascisti, che decisero di organizzare uno dei più grandi rastrellamenti mai realizzati durante l'occupazione. La Val di Lanzo fu investita da truppe, appoggiate da mezzi corazzati e da artiglieria, che inutilmente i partigiani tentarono di contrastare. A Ceres (Torino), si svolse il combattimento finale e qui Gardoncini organizzò il ripiegamento dei suoi uomini. Per proteggerne la ritirata, "Battista" rimase nel gruppo di retroguardia con Giuseppe Casana e pochi altri compagni. Esaurite le munizioni, Gardoncini e i suoi furono catturati. Tradotti alle carceri di Torino vi restarono una diecina di giorni. L'11 di ottobre Gardoncini, Casana e altri sette patrioti furono prelevati dal carcere e portati in Piazza Statuto per esservi fucilati. Il comando tedesco, contrariamente alle consuetudini, diede un annuncio ufficiale dell'esecuzione, motivandola come rappresaglia ad un'azione dei GAP torinesi, avvenuta il giorno prima e che aveva provocato il ferimento di dieci soldati tedeschi. L'eccidio di Piazza Statuto provocò, dal 17 al 19 ottobre scioperi di 2-3 ore alla Fiat Lingotto, alla Mirafiori, alle Grandi Motori e in altre fabbriche torinesi ed anche rapide manifestazioni di strada. Il nome di Giovan Battista Gardoncini venne poi assunto da una brigata della Divisione Garibaldi "Piemonte".
Fonte del testo: ANPI - Associazione Nazionale Partigiani d'Italia