Donne e Uomini della Resistenza/Franco Ghiglia

Franco Ghiglia

Nato a Imperia il 18 aprile 1926, impiccato dai tedeschi a Pontedassio (Imperia) il 5 aprile 1945, operaio idraulico, Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

Era entrato giovanissimo nel Distaccamento "Walter Berio" della 4a Brigata Garibaldi della II Divisione " Felice Cascione ". Le sue imprese gli valsero il nome di battaglia di "Gigante", ma una di queste (avvenuta l'8 gennaio 1945), gli fu fatale. "Gigante" e i suoi si erano scontrati con i nazifascisti nelle vicinanze di Costa d'Oneglia. Due tedeschi erano rimasti sul terreno e i partigiani, prima di allontanarsi, avevano sepolto i due caduti. A quello scontro seguì, dopo una settimana, un massiccio rastrellamento nella zona. Franco Ghiglia e i suoi riuscirono a sganciarsi, ma "Gigante" era stato raggiunto da un proiettile ad una gamba. Costretto all'immobilità e riparato con altri quattro patrioti in un fienile, il 7 marzo il giovane vi fu sorpreso dalle SS. Qualcuno si lasciò sfuggire dell'episodio di due mesi prima e per Ghiglia fu l'inizio tormentoso della fine. Condotto zoppicante, con un altro prigioniero, sul luogo dove erano stati sepolti i due militari tedeschi, "Gigante" e il suo compagno furono costretti a scavare e a riesumare le salme. Con i due corpi in decomposizione sulle spalle, i prigionieri dovettero trasportarli per chilometri sino a un cimitero. Qui, sfiniti e continuamente bastonati, i partigiani dovettero scavare due fosse e procedere ad una nuova inumazione. Ma per "Gigante" non era ancora finita: per tutta la notte il ragazzo fu torturato dal maresciallo delle SS Mayerling, per estorcergli i nomi dei capi partigiani e notizie sulla dislocazione del Comando. Non una parola uscì dalle labbra di Ghiglia che, all'indomani, fu portato in località Cava Rossa. Qui i tedeschi fissarono una corda ad un albero di ulivo e infilarono il collo di "Gigante" nel cappio. Il sottufficiale tedesco si avvicinò al giovane, promettendogli la grazia se avesse parlato. Il ragazzo - come ebbe poi a raccontare un suo compagno, fortunosamente salvatosi dalla forca - fece come un segno di assenso, ma quando il tedesco gli andò a ridosso per sentire che cosa avrebbe detto, Ghiglia gli sputò in faccia. Il cadavere del giovane partigiano fu lasciato penzolare per due giorni dall'ulivo. Dopo la Liberazione, a memoria del fatto, un cippo è stato eretto alla periferia di Castelvecchio di Santa Maria Maggiore, nel luogo dell'impiccagione.