Donne e Uomini della Resistenza/Emanuele Lena
Questo testo è incompleto. |
Emanuele Lena
Nato il 1° febbraio 1920 a Marina di Siracusa, morto a Prada di Cividate Malegno (Brescia) l’8 novembre 1944. Medaglia d'Argento alla memoria
L’8 settembre 1943 lo trova sotto le armi di stanza ad Alessandria come sottotenente artigliere. Sbandato decide di tornare a casa e nel viaggio di ritorno fa tappa a Tolentino dove risiede una sorella suora carmelitana. Resosi conto che il viaggio per ritornare a casa è estremamente pericoloso decide di fermarsi nella zona. Nel frattempo la sorella gli trova ospitalità presso la famiglia contadina. Dopo la morte di un suo conterraneo (Salvatore Ficili) che cercava di sottrarsi a i bandi di arruolamento fascisti, Nenè (cosi Emanuele era sopranominato dai suoi amici) decide che è ora di agire a fattosi dare un mitra si reca a Tolentino. Della sua determinazione viene a conoscenza il CLN locale che gli affida il comando del gruppo “201” che aveva il suo comandante, il noto antifascista Pacifico Nerpiti, al momento ferito. Il gruppo, chiamato inizialmente “squadraccia”, era composto da circa 30 uomini e aveva il compito di controllare la strada 77 tra il bivio di Sfercia e la Maddalena dalle deviazioni per Visso e Camerino, dove passavano i rifornimenti tedeschi per il fronte di Nettuno e Cassino.
Lena conquista subito il rispetto e l’ammirazione dei suoi uomini, per il coraggio e la forza che dimostra nelle azioni contro i nazi-fascisti e per questo viene sopranominato “Acciaio”. È instancabile, sempre in movimento, abile interprete della tattica della guerriglia, molto attento alla condizione dei suoi compagni che veglia come un padre.
Il 16 marzo partecipa al convegno a Invernale di Cessapalombo, indetto dal CLN di Macerata. C’è bisogno di coordinare i gruppi che operano nel Maceratese. Si decide di affidare il comando delle operazioni e quindi l’attività dei gruppi al colonnello Cesare Baldi che decide di sospendere per almeno 15 giorni le operazioni militari per fare rifornimenti e aspettare i lanci degli alleati. “Acciaio” non condivide questa scelta e per non creare problemi comunica che intende cambiare zona con i suoi uomini. Baldi non può accettare una simile insubordinazione e tramite il comandante “Nicolò″, Augusto Pantanetti, fa disarmare “Acciaio” e decide lo scioglimento del suo gruppo dividendo i suoi uomini nelle altre formazioni della zona.
Cinque giorni dopo la strage di Montalto (Macerata), “Acciaio” ricostruisce la sua banda, a cui aggiunge l’aggettivo “volante”, a San Maroto (Pievebovigliana). Vuole subito dare una forte risposta ai fascisti e progetta di catturare il capo della provincia di Macerata Ferruccio Ferazzani in visita a Tolentino. Scoperto riesce a sfuggire all’accerchiamento ma e costretto a separarsi dai suoi uomini. Braccato, con una grossa taglia per la sua cattura, decide di abbandonare la zona ritenendo di essere più utile alla lotta partigiana a Nord.
Probabilmente intercettato è posto di fronte alla scelta dell’arruolamento nella Rsi o della deportazione in Germania. Preferisce restare in Italia e lo troviamo circa un mese dopo istruttore delle SS italiane al centro di reclutamento di Cremona. Qui, secondo un rapporto di polizia dell’ottobre 1944 « in collaborazione con le formazioni partigiane svolgeva fattiva propaganda antifascista e favoriva la fuga dei soldati dalla Caserma » inoltre una testimonianza dice come si adoperasse « presso i soldati per farli disertare dalle SS con tutti gli armamenti ». Il 16 agosto 1944, quando i sospetti su di lui sono evidenti, viene tratto i arresto. Per giorni interrogato e possiamo immaginare anche pesantemente torturato, ma nessun nome e nessuna informazione esce dalla sua bocca. L’11 settembre viene inviato al carcere di Brescia, qui l’8 novembre viene prelevato per essere tradotto a Breno dove si trova il comando della Gnr. Da un rapporto dei CC di Breno del 28 settembre 1945 recepito in una nota della questura di Brescia del 6 ottobre 1946. « Durante il viaggio e precisamente nei pressi del casello ferroviario di Cogno, il Lena chiese di andare il latrina e si gettava dal finestrino della medesima. Scoperto veniva raggiunto da una raffica di mitra sparatagli dalle guardie che lo scortavano. La salma, recuperata il giorno successivo, venne tumulata il giorno 10 novembre 1944 nel cimitero di Cividate ».
Questa la motivazione della Medaglia d’Argento al valor militare: « Comandante di grandi qualità, coraggioso, entusiasta, organizzatore, trascinatore di uomini, mentre incitava popolazione e partigiani della zona alla lotta contro l’oppressore; capeggiava numerose arditissime azioni di guerra, nelle quali Egli era sempre il principale protagonista. Più volte da solo fronteggiava impavido il nemico con il fuoco della sua arma automatica. Catturato e condannato alla deportazione in Germania, nel tentativo di evadere durante il viaggio in ferrovia, cadeva colpito dal fuoco della scorta del treno. Zona di Tolentino: giugno 1944 – Italia Settentrionale: luglio 1944 – 8 novembre 1944» . Roma, addì 16 aprile 1959.
Fonte del testo: ANPI - Associazione Nazionale Partigiani d'Italia