Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Libro secondo/Capitolo 3

Libro secondo

Capitolo 3

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Roma divenne gran città
rovinando le città circunvicine,
e ricevendo i forestieri facilmente
a’ suoi onori.

«Crescit interea Roma Albae ruinis». Quegli che disegnono che una città faccia grande imperio, si debbono con ogni industria ingegnare di farla piena di abitatori; perché, sanza questa abbondanza di uomini, mai non riuscirà di fare grande una città. Questo si fa in due modi: per amore e per forza. Per amore, tenendo le vie aperte e sicure a’ forestieri che disegnassono venire ad abitare in quella, acciocché ciascuno vi abiti volentieri: per forza, disfacendo le città vicine, e mandando gli abitatori di quelle ad abitare nella tua città. Il che fu in tanto osservato da Roma, che, nel tempo del sesto re, in Roma abitavano ottantamila uomini da portare arme. Perché i Romani vollono fare ad uso del buono cultivatore; il quale, perché una pianta ingrossi, e possa produrre e maturare i frutti suoi, gli taglia i primi rami che la mette, acciocché, rimasa quella virtù nel piede di quella pianta, possano col tempo nascervi più verdi e più fruttiferi. E che questo modo, tenuto per ampliare e fare imperio, fusse necessario e buono lo dimostra lo esemplo di Sparta e di Atene: le quali essendo dua republiche armatissime, ed ordinate di ottime [p. 226 modifica]leggi, nondimeno non si condussono alla grandezza dello Imperio romano; e Roma pareva più tumultuaria, e non tanto bene ordinata come quelle. Di che non se ne può addurre altra cagione, che la preallegata: perché Roma, per avere ingrossato per quelle due vie il corpo della sua città, potette di già mettere in arme dugentottantamila uomini; e Sparta ed Atene non passarono mai ventimila per ciascuna. Il che nacque, non da essere il sito di Roma più benigno che quello di coloro, ma solamente da diverso modo di procedere. Perché Licurgo, fondatore della republica spartana, considerando nessuna cosa potere più facilmente risolvere le sue leggi che la commistione di nuovi abitatori, fece ogni cosa perché i forestieri non avessono a conversarvi: ed oltre a non gli ricevere ne’ matrimoni, alla civilità, ed alle altre conversazioni che fanno convenire gli uomini insieme, ordinò che in quella sua republica si spendesse monete di cuoio, per tor via a ciascuno il disiderio di venirvi per portarvi mercanzie, o portarvi alcuna arte; di qualità che quella città non potette mai ingrossare di abitatori. E perché tutte le azioni nostre imitano la natura, non è possibile né naturale che uno pedale sottile sostenga uno ramo grosso. Però una republica piccola non può occupare città né regni che sieno più validi né più grossi di lei; e, se pure gli occupa, gl’interviene come a quello albero che avesse più grosso il ramo che il piede, che, sostenendolo con fatica, ogni piccol [p. 227 modifica]vento lo fiacca: come si vide che intervenne a Sparta; la quale avendo occupate tutte le città di Grecia, non prima se gli ribellò Tebe, che tutte le altre città se gli ribellarono, e rimase il pedale solo sanza rami. Il che non potette intervenire a Roma, avendo il piè sì grosso, che qualunque ramo poteva facilmente sostenere. Questo modo adunque di procedere, insieme con gli altri che di sotto si diranno, fece Roma grande e potentissima. Il che dimostra Tito Livio in due parole, quando disse: «Crescit interea Roma Albae ruinis».