Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Libro secondo/Capitolo 26

Libro secondo

Capitolo 26

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Il vilipendio e l’improperio genera odio
contro a coloro che l’usano,
sanza alcuna loro utilità.

Io credo che sia una delle grandi prudenze che usono gli uomini, astenersi o dal minacciare o dallo ingiuriare alcuno con le parole: perché l’una cosa e l’altra non tolgono forze al nimico; ma l’una lo fa più cauto, l’altra gli fa avere maggiore odio contro di te, e pensare con maggiore industria di offenderti. Vedesi questo per lo esemplo de’ Veienti, de’ quali nel capitolo superiore si è discorso; i quali alla ingiuria della guerra, aggiunsono, contro a’ Romani, l’obbrobrio delle parole; dal quale ogni capitano prudente debbe fare astenere i suoi soldati; perché le sono cose che infiammano ed accendano [p. 39 modifica]il nimico alla vendetta, ed in nessuna parte lo impediscono, come è detto, alla offesa; tanto che le sono tutte armi che vengono contro a te. Di che ne seguì già uno esemplo notabile in Asia: dove Gabade, capitano de’ Persi, essendo stato a campo a Amida più tempo, ed avendo deliberato, stracco dal tedio della ossidione, partirsi; levandosi già con il campo, quegli della terra, venuti tutti in su le mura, insuperbiti della vittoria, non perdonarono a nessuna qualità d’ingiuria, vituperando, accusando, e rimproverando la viltà e la poltroneria del nimico. Da che Gabade irritato, mutò consiglio; e ritornato alla ossidione tanta fu la indegnazione della ingiuria, che in pochi giorni gli prese e saccheggiò. E questo medesimo intervenne a’ Veienti: a’ quali, come è detto, non bastando il fare guerra a’ Romani, ancora con le parole gli vituperarono, ed andando infino in su lo steccato del campo a dire loro ingiuria, gl’irritarono molto più con le parole che con le armi: e quegli soldati che prima combattevano mal volentieri, costrinsero i Consoli a appiccare la zuffa, talché i Veienti portarono la pena, come gli antedetti, della contumacia loro. Hanno dunque i buoni principi di eserciti, ed i buoni governatori di republica, a fare ogni opportuno rimedio, che queste ingiurie e rimproveri non si usino o nella città o nello esercito suo, né infra loro, né contro al nimico: perché, usati contro al nimico, ne riescono gl’inconvenienti soprascritti; infra loro, farebbero [p. 40 modifica]peggio, non vi si riparando, come vi hanno sempre gli uomini prudenti riparato. Avendo le legioni romane, state lasciate a Capova, congiurato contro a’ Capovani, come nel suo luogo si narrerà; ed essendone di questa congiura nata una sedizione, la quale fu poi da Valerio Corvino quietata, intra le altre constituzioni che nella convenzione si fece ordinarono pene gravissime a coloro che rimproverassero mai a alcuni di quegli soldati tale sedizione. Tiberio Gracco, fatto, nella guerra di Annibale, capitano sopra certo numero di servi che i Romani, per carestia d’uomini, avevano armati, ordinò, intra le prime cose, pena capitale a qualunque rimproverasse la servitù a alcuno di loro. Tanto fu stimato dai Romani, come di sopra si è detto, cosa dannosa il vilipendere gli uomini ed il rimproverare loro alcuna vergogna; perché non è cosa che accenda tanto gli animi loro, né generi maggiore isdegno, o da vero o da beffe che si dica: «Nam facetiae asperae, quando nimium ex vero traxere, acrem sui memoriam relinquunt».