11. Il Xanto ed il Mare

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Luciano di Samosata - Dialoghi marini (Antichità)
Traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1862)
11. Il Xanto ed il Mare
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11.

Il Xanto ed il Mare.


Il Xanto. Raccoglimi, o Mare, vedi che ho sofferto, spegnimi l’ardore di queste piaghe. [p. 277 modifica]

Il Mare. Chi t’ha così concio, o Xanto? chi ti ha bruciato?

Il Xanto. È stato Vulcano. Misero me! son divenuto un carbone, e ribollo tutto.

Il Mare. E perchè ti ha gettato il fuoco addosso?

Il Xanto. Pel figliuolo di Teti. Come ei menava strage de’ Frigi, io lo pregai che cessasse da quella furia, non mi chiudesse coi cadaveri la corrente, ed egli niente: io allora per pietà di quei miseri, gli andai addosso, quasi per sommergerlo, sicchè avesse paura e non uccidesse tanta gente. Allora Vulcano, che per caso mi era vicino, mi fu sopra con tutto il fuoco che aveva nella fucina, e nell’Etna, e in ogni parte; mi bruciò salci e tamarigi, mi arrostì i poveri pesci e le anguille, mi fe’ tutto ribollire, e per poco non m’inaridì. Vedimi come mi son fatto per tante scottature.

Il Mare. Ei pare che tu sei torbido, e caldo; il sangue è dei cadaveri, ed il caldo è del fuoco, come tu di’. Ma ti sta bene, o Xanto, che te la volesti pigliare con un mio nipote, non avendo rispetto che egli era figliuolo d’una Nereide.

Il Xanto. Ma non doveva io aver pietà de’ Frigi miei vicini?

Il Mare. E Vulcano non doveva aver pietà di Achille figliuolo di Teti?