Della natura de' Francesi
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STimano tanto l’utile e il danno presente, che cade in loro poca memoria delle ingiurie o benefizi passati, e poca cura del bene o del male futuro.
Sono piuttosto taccagni che prudenti. Non si curano molto di quello che si scriva o si dica di loro. Sono più cupidi de’ danari che del sangue. Sono liberali solo nelle audienze.
Ad un Signore o gentiluomo che disubbidisca il Re in una cosa che appartenga ad un terzo, non ne va altro che avere a ubbidire ad ogni modo quando egli è a tempo, e quando egli non è, stare quattro mesi che non capiti in corte; e questo vi ha tolta Pisa due volte, l’una quando Entraghes avea la cittadella, l’altra quando il campo Francese vi venne.
Chi vuole condurre una cosa in corte gli bisognano assai danari, gran diligenza, e buona fortuna.
Richiesti di un benefizio pensano prima che utile ne hanno a trarre, che se possono servire.
Li primi accordi con loro sono sempre i migliori.
Quando non ti possono far bene tel promettono, quando te ne possono fare, lo fanno con difficultà o non mai.
Sono umilissimi nella cattiva fortuna; nella buona insolenti.
Tessono bene i loro male orditi con la forza.
Chi vince è a tempo moltissime volte con il Re, chi perde rarissime volte, e per questo chi ha da fare un’impresa debbe più presto considerare se la è per riuscirgli o nò, che se la è per dispiacere al Re o nò, e questo capo conosciuto dal Valentino, lo fece venire a Firenze con l’esercito.
Stimano in molte cose l’onor loro grossamente, e disforme al modo de’ Signori Italiani, e per questo tennono poco conto di avere mandato a Siena a chiedere Montepulciano, e non essere ubbiditi.
Sono varj e leggieri. Hanno fede di vincitore. Sono inimici del parlare Romano, e della fama loro.
Degl’Italiani non ha buon tempo in corte, se non chi non ha più che perdere, e naviga per perduto.