Della eccellenza e dignità delle donne/Conclude per molte ragioni la eccellenza de le donne

Conclude per molte ragioni la eccellenza de le donne

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Conclude per molte ragioni la eccellenza de le donne
Segue de li beni de la fortuna


Avendo per molte cose sopradette dichiarato quanto sia stata benigna e favorevole a le donne la matre di tutte le cose mundane, natura, in donarle abondevolmente de tutti quei beni che le possono far per se stesse degne, agli altri care ed essendomi io posto nei lati campi de le loro laudi, farò ora como sogliono talora i prudenti capitani che, nel cedere de’ loro nemici, a mezo il corso rimangono, per non lasciarsi a dietro alcuna cosa che nocere e la vittoria impedire le possa. Così io, avendo con molte ragioni fortissime ottenuta la vittoria in favore de le donne, ora per stirpare ogni cosa che sì bello triomfo avesse forza turbargli, mi rimarrò di andare più avante e raccontare le eccellenze e le virtuti loro, volendo, perché più fede si dia a la vittoria, provare ancora la equalità. E dico che la femina è di necessità di natura, imperciò che la generazione umana senza esse non si potrìa conservare e ne le cose che altramente esser non ponno non c’è di alcuno merito né biasimo. La qual cosa molto bene espresse Crasso censore romano quando disse, ne la orazione qual fece contra Domizio suo compagno, ne le cose che la natura o la fortuna ci dava, agevolmente potere tollerare esser vinto, ne le cose che per se stessi gli uomini potevano acquistarsi, in queste a niuno patto poter patire essere da altri superato.

Che onore adunque né disonore è perché mona tale sia nasciuta femina e quello altro sia nasciuto uomo? Certo niuno. Per il che non si deve ne le cose che sono di necessità mettere differenza veruna, e consequentemente la natura non ha le donne fatte in parte alcun men degne degli uomini. La qual cosa considerando, i latori de le civili leggi reprendono con molte ragioni li detrattori del femineo sesso, sì come nemici de la natura che vogliano e abbiano ardire di vituperare quella cosa per donde ha procurato il mantenimento nostro. Lasciamo stare la impietà quale è grandissima a biasimare quelle per cui abbiamo l’essere, quelle che ne conservano e multiplicano la sumiglianza de nui stessi, quelle senza le quali il vivere nostro fora una solitudine, una perpetua tristezza, anzi una continua morte.

Né bisogna che alcuno mi dica non essere sì stolto che biasimando le donne biasimi la matre, moglie, parenti e quelle con le quali di continuo vive. Perciò che sì come un valente uomo, udendo dire male degli uomini de la sua patria, averà di ciò (per molti che vi siano cativi) grande e convenevole dispiacere e vorrà defendere l’onor de’ suoi cittadini, così noi, perché vi siano de le donne triste e di mala vita, non dovemo patire che generalmente siano vituperate. Il che tra l’altre cagioni, che sono molte, massimamente si deve fare perché la vergogna loro ne ritorna le più volte a nui in disonore che le serviamo e chiamamosi sovente loro schiavi e pregioni, laonde manifestaressimo la nostra dapocagine consentendo servire a cosa vile.

Né solamente qui si tratta dil vituperio nostro, ma eziandio de li eterni dei che sono molte fiate discesi da le celesti sedie in terra per star loro presso e fruirle. E colui che con le fiamme del suo volto illumina l’ampia faccia de la terra, per guadagnare la grazia de una donzella sostenne molti e molti anni servire ne le pastorali case di Admeto, senza che Ercole, Achille e tanti altri baroni e semidei dominatori de’ principi e de’ mondani regni abbiano in collo portato giogo feminile.

Per queste adunque ragioni a me pare che non solamente agli uomini siano donne eguali, ma ancora più degne. Tra l’altre cose perché la generazione è da loro più desiata, la quale tra tutte l’altre nostre più s’assomiglia a l’operazioni divine imperciò che imita il maraviglioso artificio di natura, producendo quasi de niente o almen di minima cosa sì bello effetto com’è il parto umano, nel quale, avegna che tanto l’uomo come la femina intervenga, nondimeno con maggiore desiderio vi si muove la donna e più vi s’affatica e vi mette del suo, nutricando quello col proprio sangue mutato in forma de latte a ciò non dasse a le donne timorose cagione di spavento.

Ed è questa generazione in tanto accetta a Domenedio che (come dicono i sacri teologi) perdonò alle figliuole di Lot giaciutesi col patre loro embriaco, avendo tal cosa fatta non per libidine ma per generare figliuoli di uomo giusto e ubidiente a Dio, i quali non avesseno (come gli altri uomini di la città di Sodoma) a guastare e rompere le leggi naturali e divine. Deve essere superiore eziandio la donna quanto alla generazione, perciò che essa senza uomo può generare uno parto vivo che si chiama mola, la quale cosa a niuna altra specie è conceduta che la femina senza il maschio suo possa concipire e partorire; e quantunque tal parto non possa vivere lungamente, non per tanto in esso si lascia de considerare il privilegio datogli da la natura.

Riguardando adunque alle dette ragioni e a molte altre, che ci resta altro se non confessare la prestanza e la virtù de le donne essere tanta che non solamente gli uomini non le ponno aguagliare, ma gli sono prossimi di grandissimo intervallo? La qual cosa sia assai evidentemente manifesta, respondendo a quelli argomenti, con li quali i detrattori si sforzavano macchiare la nobiltà de le donne, e dichiarando che avegna ne li antichi e moderni sacrifici ancora sia consuetudine che le donne coprano la testa e gli uomini ne vadano col capo aperto e ignudo, questo non è perché elle siano immonde e brutte e meritino di star chiuse, questi siano più netti e politi e degni di stare scoperti ne li tempi de li dei, come è opinione di alcuni sciocchi, ma tal cosa fassi per altra cagione più convenevole e giusta, perché la bellezza loro, se fosse scoperta, non avesse forza di suscitare in alcuno qualche desiderio men che pudico.

E oltra ciò per esser le donne de più privilegi e virtù dotate, cose atte ad farle forse alquanto ambiziosette, in segno de umiltà quando adorano non è cosa inconvenevole che siano con la testa velata e coperta. E perché dicono ancora che la femina desidera l’uomo como fa la materia la forma per farsi più perfetta e perciò advenire che l’uomo naturalmente abbia in odio quella a cui prima si congiunse, sì come quella alla quale copulandosi perse molto de la sua perfezione; in contrario dicono la femina amare l’uomo col quale prima conobbe quali fossero li venerei congiungimenti, per quale divenne più perfetta.

Dico che male hanno questi tali in logica studiato e la sua consequenzia non vale: la donna desidera l’uomo come perfezione, adunque è imperfetta. Per ciò, posto che desideri l’uomo come perfezione, non però segue che sia imperfetta, ma può essere ed è perfetta in alcuno grado e copulandosi a l’uomo si fa perfetta in alcun grado più, nondimeno l’uomo sarà di men perfezione che la donna. Come possemo dire del nostro intelletto quale, essendo di non poca perfezione, desidera, per farsi più perfetto, conoscere alcune cose men perfette di lui, sì come è la natura di alcuno animale irrazionale e aggiungendo la perfezione che sta in tal conoscimento a quella era in lui prima, si fa migliore e più perfetto.

Né perché l’uomo abbia exosa la prima donna a lui congiunta, questo adviene perché perda la sua perfezione, imperò che se ciò fosse vero questo accaderìa ogni volta che con lei si congiungesse, la qual cosa non è così; anzi, fuora che la prima fiata, le più volte doppo tal congiungimento a l’uomo cresce l’amore; e se pur tu brami sapere la cagione perché nasca nel primo congiungimento tale odio, è più verisimile che questo advenga per la calda complessione di l’uomo, massimamente ne la più tenera etade e puerizia e perché pochi stano a experimentare tali giuochi infin a l’età matura, la caldezza che in quei tempi è maggiore è cagione di novi pensieri. Sì che ravolgendo i giovani ne la instabile mente la qualità de la cosa, agevolmente disamano e pentonsi di tal fatto, infin che la più salda etade e longa consuetudine gli fa conoscere gli artigli d’Amore. Ma la donna, per instinto di natura conoscendo quanta perfezione sia nel generare, ama colui, anzi gli è sempre tenuta, che gli insegnò como per la coda si piantano gli uomini.

Per ragion dil luoco dicevano ancora l’uomo essere più degno, perciò che la donna è sottoposta e l’uomo sta sopra in luoco più nobile. Ma chi con diritto occhio riguarda, conoscerà che la donna negli ultimi diletti d’amore sta in luoco più nobile giacendo supina e con gli occhi al cielo, a guisa che debbono far gli animali dotati di ragione e l’uomo stassi come fanno le bestie col volto e con gli occhi verso la terra e, quel ch’è più, perciò che l’uomo si conosce indegno di quello infinito piacere e gioia, non può fare, così insegnandogli la maestra de tutte le cose natura, che a prender gli ultimi termini d’amore e a quel sommo bene non vada con reverenza e con ingenocchiarsi.

Affermavano oltra questo la indignità di la donna per essere ella nei piaceri venerei paziente e l’uomo agente, la qual cosa più non gli tole de la sua dignità che faciano le varietà di colori agli occhi e le cose odorifere al naso e tutti li altri obietti a’ suoi sensi. Perciò che l’occhio è paziente e le cose colorate lo feriscono e operangli dentro, tuttavia l’occhio e la virtù visiva è più degna di quei colori che sono puri agenti. Il suono percuote il sentimento di l’udire nostro e l’orecchia patisce ed è però più degna di quello suono e strepito che induce tal patire. Il somigliante dicemo de la donna la qual, quantunque patisca l’uomo, non si può però per tal ragione affermare che di lui sia men degna.

Non lasciavano questi tali a dietro una ragione che pare loro fortissima, cioè che l’essere alle donne tolta la cura degli offici e civili e divini ed essere loro da le leggi vietato che siano procuratrici, che prestino testimonio in iudici, massimamente nei testamenti, sia un grande argomento anzi un iudicio e una salda sentenza de la loro poca sufficienza. Ma non vedeno con quanta trascuragine dicono la menzogna, perciò che anticamente li civili offici così da le donne come dagli uomini erano trattati e già le donne fecero molte leggi, come fu la sibilla Amaltea già sopradetta, Didone che edificata la città di Cartagine parimente diede a’ Cartaginesi le leggi del vivere e molte in molti altri luochi. Ma crescendo poi in processo di tempo la malvagità degli uomini e non astenendosi tra loro nei giudici (come adviene) al cospetto de le donne de dire parole ingiuriose e petulanti, a ciò che il muliebre sesso non udisse tali brutezze e spurcizie, fu dai iudici rimosso e da indi in qua gli offici de giudicare sono negli uomini rimasi, avegna che ancora la loro imbecillità gli abbia tolti molti altri privilegi.

Li offici divini sono indifferentemente sempre stati administrati da l’uno e l’altro sesso. Nei tempi antichi questo appare tra l’altre cose per le vergini Vestali, che conservavano con tante cerimonie e tanta cura quello eterno foco. Nei nostri si vede e per tanti monasteri di donne piene di religione e di santità e per mille altre cerimonie. E per avere confutata sì scoperta menzogna, potevano lasciare uno saldo fundamento contra la detta ragione da costoro degli offici, la quale ora, benché non sia necessaria, pur la dirò. Questi offici non sono di tanto momento che eziandio che fussero tutti negli uomini, le donne perdesserone una minima parte de la loro dignità ed eccellenza. Perché gli offici non si dano sempre a’ più degni, né ancora alli più amati, questo ne insegnò prima Dio, quale diede le chiavi dil cielo a Pietro e non a quella che meritando di portarlo nel suo ventre virginale nove mesi, è da noi meritevolmente chiamata matre de le grazie, donatrice de tutti i beni, sopra ogn’altra incomparabilmente eccellentissima. Questo vedemo ogni giorno che perciò che una reina sia senza officio alcuno, è però più degna de mille altri officiali che stanno ne la corte dil re.

Seguiva dietro a questo la varietà e mutabilità d’opinione e di mente, contra cui abbaiano i poeti in mille luochi, Vergilio: varia cosa e mutabile è sempre la femina, e ’l Petrarca: femina è cosa mobile per natura e molti in molt’altre parti dicono il somigliante; la qual cosa non però pare a’ savi sì colpevole che non sia da loro molte fiate commendata, perciò che se i cieli e i tempi, non che ogni giorno ma ogni momento si mutano, bisogna talora advenire che quella cosa che oggi ci sarà utile, dimane ci sarà nocevole, e perciò è forza assai volte mutar volere e consiglio, ad questo inducendone ragione e necessitate, non appetito. E voler in simili casi servare constanza viene più volte da pertinacia, e sono questi tali chiamati uomini di dura cervice, oltra che questa sua, che vogliono chiamare constanza, non men sovente la conservano negli errori che ne l’opere fatte dirittamente. E questo basti quanto a la varietà e incostanza.

Quanto a la fedità, alli menstrui e alli altri umori superflui, nui dicemo che tali cose non ci danno tanto argumento di bruttezza e immondizia quanto di nettezza e delicatura, imperò che essendo non men l’uomo che la femina di quattro elementi composto e da principio creato di fango, è di necessità che partecipi molto de queste terrene immondizie, le quali non avendo per donde mandarle fuori e purgarsene, se ne resta men netto e men polito. La quale cosa ne dimostra la carne di l’uomo, che per molto che lavata sia e ben strebbiata, refricandola sempre genera terra, il che non accade ne la donna, come quella che ogni mese abbia le sue consuete purgazioni, le quali non solamente conservano in loro più delicatezze, ma le riguardano ancora da molte infirmità, come dicono i medici, in cui gli uomini qualche volta incappano. E avegna che queste tali purgazioni abbiano aspetto men che onesto, non pertanto sono da essere sì acerbamente infestate e da sì poco, come vogliono alcuni, reputate perché non ogni cosa, né ancora agli uomini ha dato la natura che si possa fare palesemente senza vergogna, ma quelle parti che non hanno onorevole aspetto ce l’ha ascose, e i loro benefici sono da usare secretamente.

Che importa adunque che la femina abbia una purgazione necessaria più ogni mese che l’uomo, avendone non men l’uno che l’altro tante che bisogna usarle non una volta ogni giorno? Massimamente essendo ella in tante altre cose superiore e in questa preservata da tante infirmità e il remanente dil tempo più monda e netta; e quindi si vede ancora qual debbia essere la risposta di quello altro argomento quando dicono che la femina è detta da la fedità per rispetto ai mestrui e all’altre dette cose, imperciò che più tosto la femina è così chiamata pel contrario, come niente feda e purgata d’ogni ribaldaria e d’ogni altra cosa che la potesse macchiare per sì fatta via, la qual significazione consideramo in molti altri latini vocaboli. Il bosco si chiama luco come loco ove non sia luce, la guerra dicesi bello per essere cosa niente bella, così la femina niente feda. E oltra che in farle prive d’ogni fedità la natura gli è stata molto favorevole, mi pare che elle sì studiosamente si ingegnino essere polite e piene de delicatezze che de niuna cosa manco che di immundizia doveriano essere colpate.

Seguiva dietro a questo la maggiore e ultima vituperazione de le donne, cioè il fallo di Eva nel divorare il vietato pomo e lasciarsi ingannare dal nemico de l’umana generazione. Ma lasciando a considerare la sottigliezza di tal caso a’ teologi a cui appartiene, dico che al mio parere fu maggiore la vergogna di Adam che sì leggiermente credette alla donna, scordandosi il precepto de Dio, ed è verisimile che il diavolo con più arte e inganno desse a credere alla donna che mangiando tale pomo sarìa immortale, che ella non fece poi di Adam. Oltra che la donna alora non poteva ancora essere sì prudente come l’uomo, per essere di poco creata, e la prudenza si acquista per longa esperienza. Sì che rade volte questa virtù nei giovani si ritrova, ma è peculiare de’ vecchi e perciò né ’l medico giovane né il militare capitano sono commendati, perché la cognizione dei loro offici s’acquista per longo uso e i loro errori male si possano emendare perciò che la pena subito segue l’errore.

Officio era adunque dil prima creato, e più vecchio, antivedere a che fine spettasse il mangiare dil vietato pomo e considerare che non è utile prendere consiglio dal suo nemico. La qual cosa non avendola fatta, meritamente è più da biasmare la imprudenza di Adam e di Eva, quale pel suo peccato fu cagione che il figliuolo de la Vergine prendesse carne umana. Né quantunque ello nascesse uomo, fece però disfavore alla nobiltà ed eccellenza feminile, perché quanto alla specie umana non men è fatta la donna alla somiglianza de Dio che sia l’uomo. Ma ben diede il figliuolo di Dio nel suo nascere una sentenza verissima, benché da pochi intesa, in favore del mulièbre sesso, perché venendo ad exaltare la umiltà tolse il più umile sesso che fu il maschio. La qual cosa intese il Petrarca, quando disse de lui parlando nel quarto suo sonetto:

Di sé nascendo a Roma non fe’ grazia,
a Giudea sì, tanto sopr’ogni stato
umiltate exaltar sempre gli piacque.

Fecesi eziandio uomo e non donna perché, avendo ello più di lei fallito, fu scacciato del Paradiso e fatto più vile. Venendo adunque il figliuolo de Dio a restituirce la grazia, de la quale eravamo per diabolici inganni e per imprudenza stati privi, fu convenevole che sì come l’uomo ci aveva nel profundo degli abissi e in eterna dannazione ruinati, così ello nascesse uomo e fusse la pena de l’innocente sangue conveniente al delitto di Adam. Per la qual cosa chiaramente si vede maggiore esser stato il peccato de l’uomo che di la donna, conciosia che bisognò pel mezo di Cristo fatto uomo ricompensarlo.

Questi sono li argomenti, queste sono le ragioni sopra dette con le quali gli uomini si persuadeno vincere la schermaglia; e certo dubito, per esser le donne ne le corporali forze alquanto inferiori, non la perdessero, se le loro mercè non seguitassero degli amici che in ogni loro bisogna, in ogni periglio fossero apparechiati e pronti a prendere l’arme per loro difesa, non temendo li continui soffiamenti de la invidia, né li crudi morsi de li detrattori. Massimamente non essendo molto malagevoli da confutare per le singulari e immense grazie che con larga mano la natura alle donne ha concedute, ed essendo questo ancora non picciola laude di coloro che si lasciano ad amare trascorrere, tra li quali essendo io uno, non per disaventura ma per mia elezione, niuna cosa ho ritrovato che maggiore alleviamento possa dare alle continue passioni e alle quotidiane sollicitudini che la mente mi turbano e tengono notte e giorno l’animo mio sospeso, che pensare alla vaga bellezza, alli ornati e laudevoli costumi, alli ragionamenti soavi de la mia donna bastante sodisfacimento de mille altri sospiri, de mille anxietà che il soverchio amore nella mente compreso talora mi fa sentire.

Alle quali cose non penso mai ch’io non stimi assai bene aventurata la pena mia e non desideri, quantunque privo de ogni spene, di cui i più felici amanti si godeno, in tale stato trapassare tutta la vita.

Se l’età di Nestor mi fusse concessa e non accadendogli fare experienza della mia sincera affezione, né godendosi che la sua beltade per alcuno sia celebrata, parendogli desdicevole alla donnesca onestà che donna piaccia molto ad altri che al suo marito, ho eletto di scrivere questo mio libretto in laude de tutte le donne, quale ella leggendo abbia ad reconoscere non men le singolari virtù con industriosa fatica da se stessa acquistate che li rari privilegi de la natura ampiamente donatigli.