Dei difetti della giurisprudenza/Capitolo XVII

Capitolo XVII

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Capitolo XVI Capitolo XVIII
De i fideicommissi, maggioraschi, primogeniture, e sustituzioni.


Chi vuol chiarirsi della superbia umana, non ha che da leggere i varj testamenti, che tutto dì si fanno. Quivi i testatori non solamente trasmettono la roba loro a qualche erede, ma vogliono, ch’essa si conservi, e passi ad altre mani, sustituendo al primo erede altre persone determinate, sieno discendenti, o trasversali, agnati, o cognati, o pure estranei, secondo la predilezion loro, e vincolandola in maniera, che tutti i chiamati ne godano più tosto l’usufrutto, che il vero e libero dominio. Chiamo io superbia quella di una creatura, destinata da Dio a vivere per pochi anni sopra la terra, e a goder di quei beni, che o la fortuna o l’industria ha portato in sua casa: che voglia anche far da padrone d’essa, giacchè non se la può portar dietro, non solamente allorchè spira l’ultimo fiato, ma per moltissimi anni anche dopo la morte sua. E divien poi questa ridicola, se si tratta di poche sostanze, o se si vuol tramandare una tal disposizione fino a i secoli avvenire, e molto più se in infinito, come cantano alcune ultime volontà. Ben fu detto, che l’uomo è l’animale della superbia. Ecco come egli vuol comandare anche dopo morte, anche per secoli e secoli: quando egli è sotterra. Ma verran sì, verranno le confusioni delle guerre e delle pestilenze, verranno le dispense de’ principi, le sottigliezze de i legali, e varie furberie de i possessori di questi beni, e diversi altri accidenti, e spezialmente le ordinarie morti, che annulleran le ridicolose disposizioni di chi vuole stendere il suo imperio, se potesse, fino al fine del mondo.

Ora non si può negare dall’un canto, che non si truovi fondamento di chiamar lodevole l’istituzione di queste, per così dire, progressive eredità, considerato l’utile, che ne viene alla Repubblica, e alle case private. In questa maniera si assicurano dalla decadenza le case nobili, nelle quali mancando la libertà di dissipar le sostanze accumulate da i maggiori, viene colla conservazion d’esse a mantenersi il principal nerbo, secondo il giudizio volgare, che dà lustro alla nobiltà. Il nobile, ma povero, non è da più delle lucciole, che hanno bensì nella deretana parte un poco di luce, ma luce fatua, trastullo solamente de’ fanciulli. Si provvede in oltre per tempo alla pazzia de gli scialacquatori, e al bisogno de’ pupilli; si fa conoscere il suo amore a i parenti, la sua gratitudine a gli amici; e giacchè non s’è fatto in vita, almen si mostra dopo la morte. E però benchè non s’oda presso gli antichi romani il nome di maggioraschi, e primogeniture, e nè pure furono per molti secoli in uso i fideicommissi nel significato d’oggidì: pure anche allora erano in voga le sustituzioni, le quali altro non sono che la stessa cosa sotto diverso nome, siccome ancora l’altre suddette disposizioni, e i legami delle eredità. Certamente senza così saggio ripiego avrebbono col tempo mutata condizione tante antiche nobili famiglie, che durano tuttavia con isplendore e decoro. Chi sa de gli altri pregi de’ fideicommissi oltre a questi, ve gli aggiunga a suo piacimento.

Ch’io intanto verrò dicendo dall’altra parte gl’incomodi di queste da noi credute sì lodevoli ed utili invenzioni dell’uomo. Da che queste han preso così gran piede in Italia, che pochi ci sono, i quali purchè abbiano qualche stabile, ancorchè meschino, nol tramandino a gli eredi con qualche vincolo di sustituzione o fideicommisso: ecco un pernicioso regalo alla Repubblica per l’incertezza, a cui restano esposti i contratti del vendere e comperare, del fondar censi, dell’ipotecare, e simili. Noi bene spesso miriamo saltar fuori rancide carte, e testamenti, che carpiscono i fondi dalle mani de i burlati compratori. Tutto non si può prevedere, nè a tutto provvedere, massimamente se si tratta di case vecchie. Nè giova l’aver comperato all’incanto, dopo varj proclami, e con decreto del giudice. E poi ecco un’orrenda tempesta addosso a tanti creditori, salvando i debitori, o almeno i lor figliuoli, la roba col cavar fuori lo scudo incantato de’ fideicommissi. Quanti artigiani e mercatanti sieno rimasti delusi, la sperienza tutto dì lo mostra. Secondariamente di gran lamenti e sconcerti succedono nelle famiglie. Non di rado tutto è di fideicommisso, e colla cautela del Socino s’è voluto, che fin la legittima vi resti compresa. E questo fideicommisso ristretto in una sola persona, e ne’ soli maschi; nè resta roba per gli fratelli, nè c’è da maritar le figliuole, le sorelle, le cugine ecc. Vengono altri bisogni o disgrazie nelle case; ma il fideicommisso intaccar non si può. Non è a me ignoto, che in alcuni paesi sogliono i principi dispensare per motivi giusti, e talvolta ancora senza tali motivi, così piacendo alla sovrana lor volontà: il che non è loro disdetto. Ma in altri paesi son difficili cotali dispense; o se pur si concedono, è solamente per fideicommissi ascendentali, e non per trasversali. In terzo luogo poi mettete un po’ la testa nel Foro, ed osservate, di che si tratti, di che si disputi. Per lo più d’una sustituzione, d’un fideicommisso, di un maggiorasco, di una primogenitura. Questo è il podere più fruttuoso d’ogni altro per gli avvocati, proccuratori, notai, e giudici, perchè più spesso che per altri affari insorgono liti a cagion delle successioni, e de’ testamenti per sè stessi imbrogliati, o che i sottili legisti cercano d’imbrogliare col loro gran sapere. E non v’ha dubbio, che se fossero tolti di mezzo tanti legami delle eredità, si sminuirebbe di molto la folla a i tribunali, e la pitanza a i giurisconsulti.

Ora io lascerò giudicare ad altri, se ridondasse in maggior vantaggio della Repubblica il ritenere l’uso de i fideicommissi, o pure l’abolirlo siccome dannoso all’umano commerzio, perchè cagione di tanti mali, e seminario di liti, siccome già lo riconobbero il Pellegrino e il Fusari: certa cosa essendo, che il principe ha autorità di proibirli, se vuole, per le ragioni, che qui non importa riferire. Nè già mancano saggie persone, che bramerebbono, e crederebbono ben fatto l’estirpare questa invenzione dell’umana alterigia, che serve cotanto ad imbrogliare il mondo di liti, e di sofisticherie, ed è di sommo pregiudizio al commerzio umano. Fra gli altri il buon Cardinale de Luca nel suo Dottore volgare, lib. 10, de’ Fideicommissi, cap. 1, confessa d’avere nell’età sua « praticato molti insigni giurisconsulti, per le mani de’ quali sono passate infinite cause di fideicommissi, i quali vedendo e praticando tante cabale, e tanti inconvenienti, che da ciò risultano, gli hanno avute in abborrimento nelle loro disposizioni ». Dicono assai queste parole per far intendere, come sì fatte disposizioni testamentarie, oltre a gli altri sconcerti di sopra accennati, possano far traballare la giustizia umana per l’inesplicabil avidità ed industria de’ concorrenti alla roba altrui. Ma giacchè il mondo è infatuato ne’ suoi usi, e questo è un problema, il quale se ha mille da una parte, ne avrà due o dieci mila dall’altra; e sopra tutto l’università di chi profitta nelle controversie del Foro si opporrà sempre al bando de i fideicommissi: supponghiamo ch’essi restino nel loro vigore. Dovrebbonsi almeno in tal caso seriamente muovere i principi a mettere rimedio, per quanto è in loro mano, a i medesimi perniciosi effetti. A fin dunque di provvedere in qualche tallerabil forma all’indennità di tanti, che per loro mala fortuna s’impacciano con persone, credute ricche, o abili a promettere d’evizione, e a pagare; ma che tali non sono in effetto, perchè solamente usufruttuarie di beni, che dopo la lor morte devolvono ad altri: egli è da desiderare, che in primo luogo dapertutto si possa introdurre la provvisione, che per gli baroni romani inventò il Sommo Pontefice Clemente VIII, e fu poi moderata da un altro Pontefice, cioè da Urbano VIII, e che si pratica anche in varj luoghi della Francia, Germania, e Polonia, ed è stata spezialmente ingiunta con utili regolamenti per gli suoi Stati dal provvidentissimo Re di Sardegna Vittorio Amedeo nel lib. V, tit. 2 delle sue Costituzioni, con obbligare ad essa tutti coloro, che vincolano i lor beni con primogeniture, maggioraschi, e fideicommissi. Cioè si dovrebbe ordinare, che chiunque pretende di aver beni suggetti a simili legami, e desidera che passino nelle persone chiamate; o pure i chiamati, se loro sta a cuore di possedere a suo tempo que’ beni, e di tramandarli a i posteri: sia tenuto in termine di sei mesi a denunziarli specificatamente, o sia presentarne inventario riconosciuto da Notaio, colla lor qualità, situazione, e confini, all’ufizio, che fosse deputato dal principe. Lo stesso obbligo si dovrebbe imporre a qualunque altro, che in avvenire sottoponesse i suoi stabili a fideicommisso. Altrimenti trascurando essi di far tale inventario o denunzia nel debito tempo, s’intendessero liberi dal suddetto legame i beni loro. Essendo poi permesso a chicchessia in quel publico ufizio, e ne’ libri d’esso il chiarirsi, se sieno o non sieno vincolati da fideicommisso que’ beni, riuscirà loro in tal maniera più facile lo schivare il pericolo di contrattare con chi non è assoluto padron di que’ fondi. Ma per rendere più comodo al pubblico l’uso di questa ricetta, sarebbe desiderabile, che dapertutto a guisa de gli estimi de’ paesi vi fosse inventario e ordine di tutti gli stabili colla lor qualità di vincolati, o pure di liberi. Troverà qui da ridire più d’uno, e massimamente chi non amerebbe, che si rivelassero i segreti delle lor case per varj loro motivi. Ma si hanno eglino da lasciare senza rimedio alcuno queste trappolerie del commerzio umano, per cui tanti e tanti arrivano poi a piagnere, e a veder conculcata la giustizia per colpa della mala gente, e per difetto de’ principi, che non vogliono provvedere, potendo, a i disordini de’ loro Stati?

Un altro lodevol freno all’esorbitante licenza de’ fideicommissi pose per gli suoi Stati il suddetto Vittorio Amedeo Re di Sardegna e Duca di Savoia, principe d’incomparabil penetrazione di mente, e principe per varj titoli degno d’immortal memoria. Cioè proibì a chi non era nobile, o non possedesse qualche nobil feudo il poter sottoporre a fideicommisso i suoi beni, con annullare ancora i già fatti. E per conto de gli stessi nobili ordinò, che i lor fideicommissi o già istituiti, o da istituirsi, non passassero la quarta generazione, in guisa che l’ultimo godesse in libertà que’ beni, e liberi restassero questi, se pur non voleva anch’egli passare con fideicommisso nuovo ad altri. Altrettanto è prescritto nello statuto d’Avignone, dove son proibiti i fideicommissi oltre al terzo grado; e lo stesso farse sarà in altri statuti, ch’io non conosco. Quel che è più, lo stesso Cardinal de Luca, giurisconsulto de’ primi, e sincero più de gli altri, nel Disc. 96 n. 13 de Fideicom. chiama il suddetto statuto Avignonese « pro meo sensu rationabile, ac ubique introducendum, cum ita cessarent tot lites et inconvenientia ». Certo è da desiderare, che ancora quest’altra notabil restrizione de’ fideicommissi venga adottata ne gli altri paesi, richiedendolo il pubblico bene per indennità de’ contraenti, e per togliere l’eccesso de’ fideicommissi e delle liti. Noi sappiamo, che anticamente se piaceva a i Romani, che dall’erede passassero ad un altro i lor beni, il pregavano di lasciarli a quel tale, ciò rimettendo e raccomandando alla fede dell’erede: onde nacque il nome di eredità fideicommissarie, o di fideicommissi. Ma perciocchè succedeva, che non pochi dimenticavano le preghiere lor fatte da i testatori, non senza gravi lamenti e querele di chi aspirava a quella eredità, cominciò l’Imperadore Augusto a costrignere alcuni a compiere il desiderio d’essi testatori, e a poco a poco si venne poi stabilendo, che le preghiere avessero forza di comandamento. Ma non perciò si dee credere, come si pensano i moderni nostri legulei all’udire il nome di fideicommisso nell’istituta, e ne’ digesti dove si parla del senatus consulto trebelliano, che in que’ tempi, e nè pure in quei di Giustiniano, si usassero i fideicommissi de’ nostri tempi. Chi ben vi farà mente, troverà che non erano allora le eredità fideicommissarie, o fiduciarie, specie di sustituzioni dopo la morte dell’erede, ma bensì un ripiego trovato per lasciar la roba a chi le leggi proibivano di lasciarla. Che faceva allora il testatore, voglioso pure di deludere quel divieto? Pregava l’erede suo di rilasciare o tutta la sua eredità, o parte d’essa a quella tal persona: il che si dovea fare, e solea farsi immediatamente dopo avere adita l’eredità, o pure dopo certo tempo, dall’erede vivente. Ciò ora non è più permesso; ma allora si permetteva. « Quibus non poterant hereditatem vel legata relinquere, si relinquebant, fidei committebant eorum, qui capere ex testamento poterant hereditatem »: sono parole di Giustiniano, lib. II, tit. 23, Instit.

Ma che utile da sì fatte eredità riportavano gli eredi? Niuno anticamente; fors’anche loro era data la berta; e certo si doveano essi lagnare non poco, perchè solamente raccogliessero del fumo, e ad altri toccasse la roba. Però sotto i consoli Pegasio e Pusione a’ tempi di Vespasiano fu formato un senatoconsulto, per cui a questi eredi fideicommissarj o fiduciarj fosse lecito il detrarre e ritenere per sè la quarta parte dell’eredità, che si avea da rilasciare al chiamato. Questa è l’origine della celebre Quarta, oggidì appellata Trebellianica, quantunque nel senatusconsulto, fatto a’ tempi di Nerone sotto i consoli Trebellio e Seneca, nè pur si legga una parola della detrazion della Quarta, avendo Giustiniano trasfuso nel trebelliano ciò che dall’altro si ordinava intorno alla predetta detrazione. Ognun sa che oggidì essa trebellianica comunemente è conceduta a gli eredi gravati di fideicommisso. Intorno a che si dee avvertire, che non vien propriamente dalle antiche leggi l’uso moderno d’essa trebellianica, ma si bene da un’invenzione de’ legisti de gli ultimi secoli, che l’hanno col loro gran sapere tirata dal senatusconsulto pegasiano, con intendere cotal privilegio a tutti i fideicommissi moderni, benchè diversi da gli antichi, ed anche alle sustituzioni: il che mai non sognarono i legisti romani. Vollero questi (e fu ben giusto) premiare in qualche guisa l’erede, il quale altrimenti avrebbe potuto ricusar di adire un’eredità, che nulla era per fruttargli. Adire hereditatem ob nullum, vel minimum lucrum recusabant, atque ob id extinguebantur fideicommissa. Datemi ora un’eredità gravata da i moderni fideicommissi: chi non vede, che l’erede per tutta la sua vita ha il godimento di quella eredità, ed è ben pagato con tale usufrutto? Qui dunque cessa il motivo, per cui gli antichi approvarono ne’ lor fideicommissi la deduzion della Quarta. Il che non dico io per riprovar quest’uso de’ nostri tempi, che si può molto bene permettere, ed anche comandare; ma perchè s’intenda (non ardisco dir l’ignoranza, e solamente dico) la libertà, che han preso i giurisconsulti de gli ultimi secoli di fare co’ lor cervelli un’estensione sì ampia della trebellianica, facendola credere tutta disposizione di Giustiniano, con poi mettere in campo varie dispute, se questa si possa proibire a i figliuoli di primo grado, e a gli eredi estranei: quasi che i nostri fideicommissi fossero gli stessi stessissimi de gli antichi.

Ho detto, che la filastrocca de’ fideicommissi lasciati ad uno o più, lor vita naturale durante con obbligo di passar poscia in altri, fu incognita a i Romani. Molto più soggiungo ora, che i longobardi e franchi, padroni una volta dell’Italia, i costumi e le leggi de’ quali tanto tempo durarono ne’ tribunali nostri, furono ben lontani dal formare fideicommissi. Veggansi le suddette loro leggi, si osservino le pergamene, che restano, dove sono espresse le ultime loro volontà: non vi si troverà nè nome, nè sostanza di fideicommisso. Quantunque poi risuscitate le leggi romane nel secolo XII, aprissero una vastissima porta alle sottigliezze, cautele, ed invenzioni de’ legisti, e cominciassero a formarsi i fideicommissi d’oggidì con torcere a quest’uso le antiche leggi: pure non si praticavano questi se non di rado, e solo da persone nobili, o copiose di beni di fortuna. E fino all’anno 1600, si troverà, che ordinariamente son essi ristretti a pochi gradi, o pure a i discendenti senza chiamare i trasversali, ovvero senza invitarvi dopo essi anche gli estranei. Ma spezialmente dopo il 1600 cominciò ad inondar la piena de i fideicommissi. Non i soli nobili, ma anche i plebei vollero e vogliono farla da padroni della poca lor roba per gli secoli avvenire, di maniera che troppo frequenti oggidì s’odono le eredità vincolate a più e più generazioni. Che i nobili e ricchi operino così, possono intervenirvi de’ motivi giusti. Fra l’altre cose si può supporre, che non ostante sì fatti legami l’abbondanza delle lor case, e l’amor del decoro, non lascerà sprovveduti i fratelli, non indotate le figliuole e sorelle. Ma per la gente dozzinale, e per chi ha poco al sole: come s’ha da provvedere al bisogno di varj figli e parenti d’una casa, quando in un solo è ristretto tutto l’avere? Come provvedere a i contratempi, se appena si ha quel che occorre per l’ordinario mantenimento? Oh si ricorrerà per la dispensa al principe. A che dunque voler noi regolare colle nostre gran teste il mondo avvenire, se miriamo sì facilmente mutate ed abolite a diritto e a traverso da chi può le nostre determinazioni? Perciò le provvisioni suddette, stabilite in Piemonte, degne son di lode, ed è da desiderare, che si dilatino per gli altri Stati d’Italia, tanto che se non si può o non si vuole levar affatto questo grave imbroglio all’umano commerzio, e questo si vasto campo di liti, almeno si sminuisca. So ben io, che questa sinfonia non può essere gradita da chi si pasce de i proventi del Foro, nè vedrebbe volentieri riformato in questa parte il mondo, perchè a i più torna il conto, che il mondo cammini così. Le sustituzioni e i fideicommissi già dicemmo essere il più ricco e fruttuoso podere, che s’abbiano avvocati, proccuratori, e tribunali. Baldo, per attestato di Guido Panciroli, nelle sole liti di sustituzioni guadagnò quindici mila scudi d’oro. Ma chiunque ama il bene della Repubblica, e que’ principi, che dotati d’alto intendimento pensano seriamente al rimedio de’ malori politici presenti ed avvenire, non dureran fatica a scorgere, che non viene da voglia di fare il bell’ingegno, ma da buoni principj quanto ho finora divisato intorno all’eccesso de’ fideicommissi. E tanto più perchè v’ha de gli altri statuti, che proibiscono la continuazion d’essi per più di alcuni pochi gradi.

Ne’ paesi poi, dove sono obbligati alla restituzion delle doti, in mancanza di beni liberi, i fideicommissi ascendentali, e dove senza difficoltà si dispensano i fideicommissi a fin di pagare debiti per giuste cagioni contratti: sì fatte consuetudini son da lodare e da ritenere, siccome parte di quel di più, che occorrerebbe contro la pazza volontà de gli uomini, che vogliono disporre della roba pel tempo che non ne son più padroni, perchè più non sono nel mondo: il che ha fatto credere ad alcuni sensati antichi, che non s’abbiano a permettere i fideicommissi, come contrarj alle leggi della natura. Finirò questo capitolo con dire, che se un gran benefizio si farebbe all’umano commerzio coll’obbligar la gente a denunziare ad un determinato pubblico ufizio i lor beni sottoposti a i fideicommissi, riuscirebbe non meno utile lo stendere l’obbligo stesso alle ipoteche, cagioni anch’esse di tanti inganni, e cagioni di tante liti, perchè i contraenti non sapendo, nè potendo sapere, da quai precedenti legami sieno imbrogliati i beni, s’imbarcano in contratti, che riescono in fine con loro danno e rovina. Che se paresse a taluno volersi caricar con ciò il pubblico di troppi aggravj: gli si risponderà, nulla essere più facile, bastando deputare chi raccolga da gli strumenti esibiti all’archivio le ipoteche almeno, che sopraverranno. Nè gioverebbe opporre, che in questa maniera si scoprirebbono i fatti di tanti e tanti con loro pregiudizio. Imperciocchè da quando in qua dee servire il segreto lor operare per potere occorrendo valersene in pregiudizio altrui? Chi non ha animo d’ingannare altrui, niuna difficultà dee avere, che si sappiano i suoi antecedenti contratti, e le obbligazioni e i vincoli del suo stato. Anzi è tenuto in coscienza a rivelarli alle occasioni, se pur ne è consapevole. Solamente chi opera, o vuol operar male, odia la luce; e certamente il ben pubblico dee prevalere al privato. V’ha ancora qualche paese, dove son denunziati tutti gli stabili, che cadaun cittadino possiede, cioè l’estimo, o censimento praticato in tanti altri. Oltre a ciò v’ha un pubblico libro, in cui i creditori, che vogliono, fanno allibrare i lor crediti. Chi è primo a farsi scrivere, gode ne’ concorsi l’anteriorità dell’ipoteca, e così gli altri di mano in mano. Di maniera che chi vuol contrattar con alcuni, può prima cautarsi col ricorrere a que’ libri, e conoscere a quanto ascenda il valsente, a quanto i debiti di quel tale. Tutti ripieghi lodevoli per difendere il popolo da gl’inganni, dalle trufferie, e dalla mala fede de’ cattivi; e però degni d’essere copiati anche ne’ paesi, che ne mancano, lasciando gracchiare chi ama di camminar di notte, a fin di nascondere i suoi interessi, e poter poscia burlare chi crede a i loro begli abiti, e alle loro ben fornite botteghe1.

Note

  1. «Ma che si ha da sperare? Si volle mettere in Francia sì bel regolamento; ciò, che ne avviene, lo intenderemo dall’Autore del Testamento Politico del Sig. Colbert nel Cap. XII: Per impedire che questo bell’ordine non si guastasse ».