Dei delitti e delle pene (1821)/XXX
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§ XXX.
Furti.
I furti che non hanno unita violenza, dovrebbero essere puniti con pena pecuniaria. Chi cerca di arricchirsi dell’altrui, dovrebbe essere impoverito del proprio. Ma come questo non è per l’ordinario che il delitto della miseria e della disperazione, il delitto di quella infelice parte di uomini a cui il diritto di proprietà (terribile e forse non necessario diritto) non ha lasciato che una nuda esistenza; ma come le pene pecuniarie accrescono il numero de’ rei al di sopra di quello dei delitti, e che tolgono il pane agl’innocenti per darlo agli scellerati, la pena più opportuna sarà quell’unica sorta di schiavitù che si possa chiamar giusta, cioè la schiavitù, per un tempo, delle opere e della persona alla comune società, per risarcirla, colla propria e perfetta dipendenza, dell’ingiusto dispotismo usurpato sul patto sociale. Ma quando il furto sia misto di violenza, la pena dev’essere parimente un misto di corporale e di servile. Altri scrittori prima di me hanno dimostrato l’evidente disordine che nasce dal non distinguere le pene dei furti violenti da quelle dei furti dolosi, facendo l’assurda equazione di una grossa somma di denaro colla vita di un uomo. Questi sono delitti di differente natura; ed è certissimo anche in politica quell’assioma di matematica, che tra le quantità eterogenee vi è l’infinito che le separa: ma non è mai superfluo il ripetere ciò che non è quasi mai stato eseguito. Le macchine politiche conservano più d’ogni altra il moto concepito, e sono le più lente ad acquistarne un nuovo.