§ II.

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I III
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§ II.

Origine delle pene. Diritto di punire.

Non è da sperarsi alcun vantaggio durevole dalla politica morale s’ella non sia fondata su i sentimenti indelebili dell’uomo. Qualunque legge devii da questi incontrerà sempre una [p. 13 modifica] resistenza contraria, che vince alla fine; in quella maniera che una forza, benchè minima, se sia continuamente applicata, vince qualunque violento moto comunicato ad un corpo.

Consultiamo il cuore umano, e in esso troveremo i principii fondamentali del vero diritto del sovrano di punire i delitti.

Nessun uomo ha fatto il dono gratuito di parte della propria libertà in vista del ben pubblico: questa chimera non esiste che ne’ romanzi: se fosse possibile, ciascuno di noi vorrebbe che i patti che legano gli altri, non ci legassero: ogni uomo si fa centro di tutte le combinazioni del globo.

La moltiplicazione del genere umano, piccola per sè stessa, ma di troppo superiore ai mezzi che la sterile ed abbandonata natura offriva per soddisfare ai bisogni che sempre più s’incrocicchiavano tra di loro, riunì i primi selvaggi. Le prime unioni formarono necessariamente le altre per resistere alle prime, e così lo stato di guerra trasportossi dall’individuo alle nazioni.

Le leggi sono le condizioni colle quali uomini indipendenti ed isolati si unirono in società, stanchi di vivere in un continuo stato di guerra, e di godere una libertà resa inutile dall’incertezza di conservarla. Essi ne sacrificarono una parte per goderne il restante con sicurezza e tranquillità. La somma di tutte queste porzioni di libertà sacrificate al bene di ciascheduno forma la sovranità di una nazione, ed il sovrano è il legittimo depositario ed amministratore di quelle. Ma non bastava il formare questo deposito; bisognava difenderlo [p. 14 modifica] dalle private usurpazioni di ciascun uomo in particolare, il quale cerca sempre di togliere dal deposito non solo la propria porzione, ma usurparsi ancora quella degli altri. Vi volevano de’ motivi sensibili che bastassero a distogliere il dispotico animo di ciascun uomo dal risommergere nell’antico caos le leggi della società. Questi motivi sensibili sono le pene stabilite contro gl’infrattori delle leggi. Dico sensibili motivi, perché l'esperienza ha fatto vedere che la moltitudine non adotta stabili principii di condotta, né si allontana da quel principio universale di dissoluzione che nell’universo fisico e morale si osserva, se non con motivi che immediatamente percuotono i sensi, e che di continuo si affacciano alla mente per contrabbilanciare le forti impressioni delle passioni parziali che si oppongono al bene universale; né l’eloquenza, né le declamazioni, nemmeno le piú sublimi verità sono bastate a frenare per lungo tempo le passioni eccitate dalle vive percosse degli oggetti presenti.

Fu dunque la necessità che costrinse gli uomini a cedere parte della propria libertà: egli è dunque certo che ciascuno non ne vuol mettere nel pubblico deposito che la minima porzione possibile, quella sola che basti a indurre gli altri a difenderlo. L’aggregato di queste minime porzioni possibili forma il diritto di punire; tutto il di piú è abuso e non giustizia, è fatto, ma non già diritto1. Le pene che [p. 15 modifica] oltrepassano la necessità di conservare il deposito della salute pubblica, sono ingiuste di lor natura; e tanto più giuste sono le pene, quanto più sacra ed inviolabile è la sicurezza, e maggiore la libertà che il sovrano conserva ai sudditi.

Note

  1. Osservate che la parola diritto non è contradditoria alla parola forza; ma la prima è piuttosto una modificazione della seconda, cioè la modificazione piú utile al maggior numero. E per giustizia io non intendo altro che il vincolo necessario per tenere uniti gl’interessi particolari, che senz’esso si scioglierebbono nell’antico stato d’insociabilità.
    Bisogna guardarsi di non attaccare a questa parola giustizia l’idea di qualche cosa di reale, come di una forza fisica, o di un essere esistente; ella è una semplice maniera di concepire degli uomini, maniera che influisce infinitamente sulla felicità di ciascuno; nemmeno intendo quell’altra sorta di giustizia che è emanata da Dio e che ha i suoi immediati rapporti colle pene e ricompense della vita avvenire.