Decameron/Giornata quinta/Conclusione
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Essendo adunque la novella di Dioneo finita, meno per vergogna dalle donna risa che per poco diletto, e la reina conoscendo che la fine del suo reggimento era venuta, levatasi in piè e trattasi la corona dell’alloro, quella piacevolmente mise in capo ad Elissa, dicendole: — A voi, madonna, sta omai il comandare.
Elissa, ricevuto l’onore, sí come per addietro era stato fatto, cosí fece ella: ché, dato col siniscalco primieramente ordine a ciò che bisogno facea per lo tempo della sua signoria, con contentamento della brigata disse: — Noi abbiamo giá molte volte udito che con be’ motti o con risposte pronte o con avvedimenti presti molti hanno giá saputo con debito morso rintuzzare gli altrui denti o i sopravvegnenti pericoli cacciar via: e per ciò che la materia è bella e può essere utile, voglio che domane con l’aiuto di Dio infra questi termini si ragioni, cioè di chi con alcun leggiadro motto, tentato, si riscotesse, o con pronta risposta o avvedimento fuggí perdita o pericolo o scorno. — Questo fu commendato molto da tutti; per la qual cosa la reina, levatasi in piè, loro tutti infino all’ora della cena licenziò.
L’onesta brigata, veggendo la reina levata, tutta si dirizzò, e secondo il modo usato, ciascuno a quello che piú diletto gli era si diede. Ma essendo giá di cantar le cicale ristate, fatto ogni uom richiamare, a cena andarono; la quale con lieta festa fornita, a cantare ed a sonare tutti si diedero. Ed avendo giá, con volere della reina, Emilia una danza presa, a Dioneo fu comandato che cantasse una canzone; il quale prestamente cominciò: «Monna Aldruda, levate la coda, — ché buone novelle vi reco». Di che tutte le donne cominciarono a ridere, e massimamente la reina, la quale gli comandò che quella lasciasse e dicessene un’altra. Disse Dioneo: — Madonna, se io avessi cembalo io direi: «Alzatevi i panni, monna Lapa» o «Sotto l’ulivello è l’erba». O voleste voi che io dicessi: «L’onda del mare mi fa sí gran male»? Ma io non ho cembalo, e per ciò vedete voi qual voi volete di queste altre. Piacerebbevi: «Esci fuor, che sii tagliato — com’un mio in su la campagna»? — Disse la reina: — No, dinne un’altra. — Adunque, — disse Dioneo — dirò io: «Monna Simona imbotta imbotta — e non è del mese d’ottobre». — La reina ridendo disse: — Deh in malora! dinne una bella, se tu vuogli, ché noi non voglián cotesta. — Disse Dioneo: — No, madonna, non ve ne fate male; pur qual piú vi piace? Io ne so piú di mille. O volete: «Questo mio nicchio, s’io nol picchio» o «Deh! fa’ pian, marito mio» o «Io mi comperai un gallo delle lire cento»? — La reina allora, un poco turbata, quantunque tutte l’altre ridessero, disse: — Dioneo, lascia stare il motteggiare e dinne una bella: e se non, tu potresti provare come io mi so adirare. — Dioneo, udendo questo, lasciate star le ciance, prestamente in cotal guisa cominciò a cantare:
Amor, la vaga luce |
Da poi che Dioneo tacendo mostrò la sua canzone esser finita, fece la reina assai dell’altre dire, avendo nondimeno commendata molto quella di Dioneo. Ma poi che alquanta della notte fu trapassata, e la reina, sentendo giá il caldo del dí esser vinto dalla freschezza della notte, comandò che ciascuno infino al dí seguente a suo piacere s’andasse a riposare.