Decameron/Giornata quarta/Conclusione
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Se le prime novelle li petti delle vaghe donne avevano contristati, questa ultima di Dioneo le fece ben tanto ridere, e spezialmente quando disse, lo stradicò aver l’uncino attaccato, che essi si poterono della compassione avuta dell’altre ristorare. Ma veggendo il re che il sole cominciava a farsi giallo ed il termine della sua signoria era venuto, con assai piacevoli parole alle belle donne si scusò di ciò che fatto avea, cioè d’aver fatto ragionare di materia cosí fiera come è quella della ’nfelicitá degli amanti; e fatta la scusa, in piè si levò e della testa si tolse la laurea, ed aspettando le donne a cui porre la dovesse, piacevolemente sopra il capo biondissimo della Fiammetta la pose, dicendo: — Io pongo a te questa corona sí come a colei la quale meglio, dell’aspra giornata d’oggi, che alcuna altra con quella di domane queste nostre compagne racconsolar saprai. — La Fiammetta, li cui capelli eran crespi, lunghi e d’oro e sopra li candidi e dilicati omeri ricadenti, ed il viso ritondetto con un color vero di bianchi gigli e di vermiglie rose mescolati tutto splendido, con due occhi in testa che parean d’un falcon pellegrino e con una boccuccia piccolina li cui labbri parevan due rubinetti, sorridendo rispose: — Filostrato, ed io la prendo volentieri; ed acciò che meglio t’avveggi di quel che fatto hai, infino da ora voglio e comando che ciascun s’apparecchi di de ver doman ragionare di ciò che ad alcuno amante, dopo alcuni fieri o sventurati accidenti, felicemente avvenisse. — La qual proposizione a tutti piacque: ed essa, fattosi il siniscalco venire e delle cose opportune con lui insieme avendo disposto, tutta la brigata, da seder levandosi, per infino all’ora della cena lietamente licenziò.
Costoro adunque, parte per lo giardino, la cui bellezza non era da dover troppo tosto rincrescere, e parte verso le mulina che fuor di quel macinavano, e chi qua e chi lá, a prender secondo i diversi appetiti diversi diletti si diedono infino all’ora della cena. La qual venuta, tutti raccolti, come usati erano, appresso della bella fonte, con grandissimo piacere e ben serviti cenarono; e da quella levatisi, sí come usati erano, al danzare ed al cantar si diedono, e menando Filomena la danza, disse la reina: — Filostrato, io non intendo deviare da’ miei passati, ma sí come essi hanno fatto, cosí intendo che per lo mio comandamento si canti una canzone: e per ciò che io son certa che tali sono le tue canzoni clienti sono le tue novelle, acciò che piú giorni che questo non sien turbati da’ tuoi infortuni, vogliamo che una ne dichi qual piú ti piace. — Filostrato rispose che volentieri, e senza indugio in cotal guisa cominciò a cantare:
Lagrimando dimostro e dicoti che tanto e sí mi cuoce, |
Dimostrarono le parole di questa canzone assai chiaro qual fosse l’animo di Filostrato, e la cagione: e forse piú dichiarato l’avrebbe l’aspetto di tal donna nella danza era, se le tenebre della sopravvenuta notte il rossore nel viso di lei venuto non avesser nascoso. Ma poi che egli ebbe a quella posta fine, molte altre cantate ne furono infino a tanto che l’ora dell’andare a dormir sopravvenne; per che, comandandolo la reina, ciascuno alla sua camera si raccolse.