Cuore (1889)/Novembre/Il Direttore

Novembre - Il Direttore

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IL DIRETTORE.


18, venerdì.

Coretti era contento questa mattina perché è venuto ad assistere al lavoro d’esame mensile il suo maestro di seconda, Coatti, un omone con una grande capigliatura crespa, una gran barba nera, due grandi occhi scuri, e una voce da bombarda; il quale minaccia sempre i ragazzi di farli a pezzi e di portarli per il collo in Questura, e fa ogni specie di facce spaventevoli; ma non castiga mai nessuno, anzi sorride sempre dentro la barba, senza farsi scorgere. Otto sono, con Coatti, i maestri, compreso un supplente piccolo e senza barba, che pare un giovinetto. C’è un maestro di quarta, zoppo, imbacuccato in una grande cravatta di lana, sempre tutto pieno di dolori, e si prese quei dolori quando era maestro rurale, in una scuola umida dove i muri gocciolavano. Un altro maestro di quarta è vecchio e tutto bianco ed è stato maestro dei ciechi. Ce n’è uno ben vestito, con gli occhiali, e due baffetti biondi, che chiamavano l ’avvocatino, perché facendo il maestro studiò da avvocato e prese la laurea, e fece anche un libro per insegnare a scriver le lettere. Invece quello che c’insegna la ginnastica è un tipo di soldato, è stato con Garibaldi, e ha sul collo la cicatrice d’una ferita di sciabola toccata alla battaglia di Milazzo. Poi c’è il Direttore, alto, calvo con gli occhiali d’oro, con la barba grigia che gli vien sul petto, tutto vestito di nero e sempre abbottonato fin sotto il mento; così buono coi ragazzi, che quando entrano tutti tremanti in [p. 37 modifica]Direzione, chiamati per un rimprovero, non li sgrida, ma li piglia per le mani, e dice tante ragioni, che non dovevan far così, e che bisogna che si pentano, e che promettano d’esser buoni, e parla con tanta buona maniera e con una voce così dolce che tutti escono con gli occhi rossi, più confusi che se li avesse puniti. Povero Direttore, egli è sempre il primo al suo posto, la mattina, a aspettare gli scolari e a dar retta ai parenti, e quando i maestri son già avviati verso casa, gira ancora intorno alla scuola a vedere che i ragazzi non si caccino sotto le carrozze, o non si trattengan per le strade a far querciola, o a empir gli zaini di sabbia o di sassi; e ogni volta che appare a una cantonata, così alto e nero, stormi di ragazzi scappano da tutte le parti, piantando lì il giuoco dei pennini e delle biglie, ed egli li minaccia con l’indice da lontano, con la sua aria amorevole e triste. Nessuno l’ha più visto ridere, dice mia madre, dopo che gli è morto il figliuolo ch’era volontario nell’esercito; ed egli ha sempre il suo ritratto davanti agli occhi, sul tavolino della Direzione. E se ne voleva andare dopo quella disgrazia; aveva già fatto la sua domanda di riposo al Municipio, e la teneva sempre sul tavolino, aspettando di giorno in giorno a mandarla, perché gli rincresceva di lasciare i fanciulli. Ma l’altro giorno pareva deciso, e mio padre ch’era con lui nella Direzione, gli diceva: - Che peccato che se ne vada, signor Direttore! - quando entrò un uomo a fare iscrivere un ragazzo, che passava da un’altra sezione alla nostra perché aveva cambiato di casa. A veder quel ragazzo il Direttore fece un atto di meraviglia, - lo guardò un pezzo, guardò il ritratto che tien sul tavolino e tornò a guardare il ragazzo, tiran[p. 38 modifica]doselo fra le ginocchia e facendogli alzare il viso. Quel ragazzo somigliava tutto al suo figliuolo morto. Il Direttore disse: - Va bene; - fece l’iscrizione, congedò padre e figlio, e restò pensieroso. - Che peccato che se ne vada! - ripeté mio padre. E allora il Direttore prese la sua domanda di riposo, la fece in due pezzi e disse: - Rimango.