Cap. III

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II IV
Como fu sconfitto lo principe della Morea a porta de Castiello Santo Agnilo, e como fu trovato Guelfo e Gebellino, e delle connizione de Dante e que fine abbe soa vita.

Currevano anni Domini MCCCXXVII, dello mese de settiembro, nella viilia de santo Agnilo de vennegne, quanno fatta fu la granne sconfitta per li Romani a porta de Castiello; la quale fu per questa via. Li elettori dello imperio nella Alamagna liessero Ludovico duce de Bavaria in imperatore, lo quale non fu obediente a papa Ianni, como se dicerao. Quanno la venuta de questo elietto a Roma fu intesa, papa Ianni, lo quale era in quello tiempo, e Ruberto re de Apuglia se provedevano de pararese a soa venuta. Dunqua de loro commannamento missore Ianni della Rascione, principe della Morea, frate dello re Ruberto, e missore Ianni Gaietano, legato in Toscana, se muossero con iente moita a Roma per fare contrasto e reparo. La adunanza fu fatta nella citate de Nargne. La iente fu moito bella e bene acconcia. Setteciento fuoro li cavalieri, pedoni senza fine. Tutti li baroni de casa Orsina erano con essi: missore Napolione, cavaliero noviello dello puopolo, Bertollo de Francesco dello Monte, nepote dello legato, canfione della parte guelfa, missore Antrea de Campo de Fiore e moiti aitri. La iente ne veniva grossa e smesurata per occupare Roma. Romani, in semmiante de fare buono scudo, se ’nantipararo e fecero capitanio dello puopolo uno vertuosissimo barone de casa della Colonna — Sciarra fu sio nome —, lo quale fu delli più dotti e savii de guerra che in quello tiempo fussi. ’Nanti che lo legato approssimassi, Sciarra abbe tutte le fortezze de Roma. Bene abbe Castiello Santo Agnilo. Puoi ordinao lo puopolo e fece caporioni. Fece capo vinticinque, tutti romani. Ordinao tutti conestavili. Moito li teneva solliciti. Bene guardava le porte. Spesso faceva parlamento. Moite spie avea. Iacovo Saviello, Teballo Santo Stati e moita baronia collo puopolo era. Quanto la venuta dello legato più approssimava, tanto li Romani stavano più solliciti. Ecco che la notte della viilia de santo Agnilo fuoro ionti in Roma. E entraro nella citate Leonina, non per la porta, ché se guardava, ma entraro per lo muro rotto. Ruppero lo muro quale stao sotto le Incarcerate e, dato quello muro per terra, fecero uno granne guado in fronte allo pozzo e per quella così fatta via tradussero loro banniere, loro legioni de iente. Entrati, occuparo da porta de Castiello fi’ a Santo Pietro. Tutto era copierto de iente armata. Bene sonavano tromme e trommette, naccari e cerammelle. Gran festa facevano. Bene scrissero lettere della entrata de Roma. Fra tanto la porta dello brunzo stava enzerrata. Quanno Sciarra, lo franco capitanio, sappe che la iente era ionta, non se dubitao niente, anco se armao e fece sonare la campana a stormo. Mesa notte era e forza lo primo suonno. Uno vanno con tromme mannao per la terra, che onne perzona fosse armata, ca·lli nemici erano entrati in Puortica, e che traiessino a Campituoglio. La iente che dormiva subitamente se sviglia. Ciascuno prenne arme. Coscia abbe nome lo vannitore. La campana sonava terribilemente. La iente trasse a Campituoglio. Là traie la baronia e·lli populari. Lo buono capitanio parlao e disse ca venuti erano per entrare in Roma, per mozzare le zinne delli pietti delle donne de Roma. Moito inanimao la iente. Poi partìo la iente in doi parte. De l’una parte fu capo esso, dell’aitra fu capo Iacovo de Saviello, lo quale fu mannato alla porta de Santo Ianni, quale se dice porta Maiure. E questo perché sapeva ca quella iente se era partuta e veniva da doi porte, parte da porta Castiello, parte da porta Maiure. Ma non venne così, ca, como Dio voize, fu dato lo dìe de santo Agnilo. Quelli intesero lo dìe po’ santo Agnilo. Donne la cosa venne falluta, ca non vennero alle porte ad uno ponto né ad uno dìe. Quanno Iacovo ìo alla porta, non trovao alcuno. Là se tenne senza alcuno impaccio conestavilito. Dall’aitra parte cavalca Sciarra con sio confallone. Granne ène la cavallaria. Sette rioni se abiaro denanti armati. Esmesurato era lo puopolo. Ionze a ponte de Santo Pietro. Io me recordo che in quella notte uno cavalieri romano armato, essenno cavalcato a ponte, odìo una trommetta de nimici. Volenno fuire tramazzao da cavallo. Lassao lo cavallo e vennesene a pede. Sacci ca non abbe carestia de paura! Quanno lo puopolo fu ionto a ponte, allora se faceva dìe. Era la aurora. Allora Sciarra commannao che·lla porta dello brunzo fossi operta. La folla era granne. Moito fuoro storditi li nimici, vedenno per lo ponte li moiti pennoncielli. Sapeno ca onne pennone avea venticinque uomini. Ora se opere la porta. Lo rione delli Monti vao denanti. Allocase lo puopolo per li puortichi, per la piazza de Castiello. Là erano schierati li sollati e l’aitre iente. Ora vedese currere de cavalli. L’uno lo broccia de sopra a l’aitro. Chi dao, chi tolle. Tromme sonavano de·llà e de cà. Granne è lo romore, granne è lo stormo. Chi dao, chi tolle. Sciarra e missore Antrea de Campo de Fiore se infrontano insiemmori e sì se villaniaro forte. Puoi se ruppero aduosso le aste. Puoi se colpiavano delle spade. Non ne voleva la vita l’uno de lo aitro. Intanto se departiero e tornaro a loro iente. Vedese ferire, lanciare e prete iettare. Ben pare che fossi stormo crudele. Lo puopolo de Roma vao ’nanti e reto como onna de mare. Ma li nimici daienno lato, li Romani se allocaro fi’ a mesa la piazza. Là fu fatta una novitate così. Uno, lo quale avea nome Ianni Manno de Colonna, portava lo confallone dello puopolo de Roma. Como ionze allo pozzo lo quale stao in quella piazza denanti alle Incarcerate, donne era rotto lo muro, prese questo confallone e iettaolo nello pozzo. E questo fece per dare uitima sconfitta allo puopolo de Roma. Bene debbe lo traditore perdire la vita. Non perciò perdìo vigore lo Romano, ché ià lo principe dava a reto. Ora vedese fuire, ora vedese commattere. Là se pare chi ène figlio de bona mamma. Sciarra della Colonna forte conforta soa iente e fece una notabile cosa, che la soa sopravesta cagnao in poca ora. Granne senno lillo fece fare. Granne parte dello puopolo passao canto lo fiume, dallo lato de Santo Spirito. Là per la folla affocati fuoro cinque pedoni romani. Anco là fu un’aitra novitate. Uno granne omo de Roma — Cola de madonna Martomea delli Aniballi avea nome — fu perzona assai ardita, iovine como acqua. Coize audacia de volere prennere per la perzona lo principe. Speronao lo destrieri e ruppe la forte schiera dove stava affasciato lo principe. Venneli denanti e destese la mano per pigliarlo. Bene se nello credeva menare; ma non respusero le mesure, ca·llo principe li menao de una mazza de fierro e ferìo lo cavallo. La potenzia dello destrieri dello principe fu tanta che recessava a reto Nicola e recessannose a reto Nicola, non abbe sufficiente spazio lo sio cavallo. Donne li piedi dereto li vennero meno e cadde in quello fossato lo quale stao in fronte alla porta dello spidale de Santo Spirito, lo quale ène fatto per defesa de l’uorto. In quello fossato lo cavallo e esso, credennose retornare, caddero menati a forza dalli cavalli dello principe, e là fu occiso. Granne fu la tristizia che Roma abbe de così inclito barone. Allora se fiariao lo puopolo. Lo principe deo a reto. Inchinao soa schiera. Comenzaro a fuire. Lo luoco donne se partiro fu porta Veredara. Quella fu la via che li campao. Ora se aiza la terza. Lo fuire ène granne. Maiure è lo maciello. Così se macellavano como le pecora. Nulla resistenzia faco. Moita iente ce fu occisa. Moita preda Romani guadagnaro. Alquanti baroni romani della parte Orsina, li quali fecero resistenzia, fuoro presoni. In presone stettero tanto quanto lo capitanio voize. Infra li quali fu Bertollo capo de parte Orsina, capitanio della Chiesia e della parte guelfa. E se non fusse che Sciarra lo portava in groppa, li Romani lo àbberano muorto. Aitra iente non fece defesa, cioène Napoletani, Provenzali, Franceschi, Pugliesi. Tante fuoro le corpora morte che nude iacevano, che non se pote dicere. Per tutta piazza de Castiello fi’ a Santo Pietro, da Santa Maria in Trespadina, da piazza de Santo Spirito, per tutte puortica, dalli Armeni, per onne strada iacevano como la semmola seminati, tagliati, nudi e muorti. Là fra questa iente iaceva lo conte de Santo Severino e moita aitra bona iente: la vista lo mustrava. Ora se delequa lo principe con quella soa iente che potéo cogliere. Po’ moiti dìe fuoro trovati uomini muorti per le vigne, armati, nelle capanne e nelli cupi delli arbori, li quali nello stormo erano stati feruti. Per la via lo spirito li avea abannonati. Sciarra tornao a Campituoglio con granne triomfo. Bello pallio mannao a Santo Agnilo Pescivennolo e uno bello calice per merito e onore de questa romana vittoria. In questo tiempo fuoro fatte quelle maladette parte, Guelfi e Gebellini, li quali non erano stati ’nanti, anco erano stati Bianchi e Neri. Una sera, quanno la iente lassa opera, appriesso allo cenare nella citate de Fiorenza se appicciaro doi cani. L’uno abbe nome Guelfo, l’aitro Gebellino. Forte se stracciavano. A questo romore de doi cani la moita iovinaglia trasse. Parte favorava allo Guelfo, parte allo Gebellino. Quanno se fuoro li cani...