Cronica/I
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[Vita di Cola di Rienzo] (XIV secolo)
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Dice lo glorioso dottore missore santo Isidoro, nello livro delle Etimologie, che lo primo omo de Grecia che trovassi lettera fu uno Grieco lo quale abbe nome Cadmo. ’Nanti lo tiempo de questo non era lettera. Donne, quanno faceva bisuogno de fare alcuna cosa memorabile, scrivere non se poteva. Donne le memorie se facevano con scoiture in sassi e pataffii, li quali se ponevano nelle locora famose dove demoravano moititudine de iente, overo se ponevano là dove state erano le cose fatte: como una granne vattaglia overo vettoria tristezze, disconfitte inscolpivano e aitri animali in sassi overo iente armata, in segno de tale memoria. E queste sassa fonnavano in quelle locora dove le cose fatte erano, in segno de perpetua memoria. Livro non ne facevano, ché lettera non se trovava appo li Grieci. E questo muodo servaro li Romani per tutta Italia e in Francia e massimamente in Roma; ché, facenno asapere alli loro successori loro fatti, fecero arcora triomfali in soli[[i]]s con vattaglie, uomini armati, cavalli e aitre cose, como se trova mo’ in Persia e in Arimino. Da poi che Cadmo comenzao a trovare le lettere, la iente comenzao a scrivere le cose e·lli fatti loro per la devolezza della memoria, e massimamente li fatti avanzarani e mannifichi: como Tito Livio fece lo livro dello comenzamento de Roma fino allo tiempo de Ottaviano, como scrisse Lucano li fatti de Cesari, Salustio e moiti aitri scrittori non lassaro perire la memoria de moite cose antepassate de Roma. Dunqua io, lo quale mea ientilezza, como piaciuto ène a Dio, aio vedute cose de moita memoria per la loro granne escellenzia de novitate in questo munno, lassaraio passare queste cose senza alcuna scrittura? Certo non fora convenevole che de esse remanga tenebre de ignoranzia per pigrizia de scrivere. Anche ne voglio fare speziale livro e narrazione. L’opera ène granne e bella. Questo affanno prenno per moite cascione. La prima, che omo trovarao alcuna cosa scritta la quale se revederao avenire in simile, donne conoscerao che·llo ditto de Salamone ène vero. Dice Salamone: «Non è cosa nova sotto lo sole, ché cosa che pare nova stata è». L’aitra cascione de questo ène che qui se trovarao moito belli e buoni esempî; donne porrao omo alcuna cosa pericolosa schifare, alcuna porrao eleiere e adoperare, sì che lo leiere de questa opera non passarao senza frutto de utilitate. La terza cascione ène che aio respietto alla magnificenzia de questa novitate, como de sopra ditto ène; ché cosa de poco essere omo non cura, lassala stare, cosa granne scrive. La quarta cascione ène quella che mosse Tito Livio. Dice Tito Livio nella prima decada e fao menzione de Alisantro de Macedonia: quanta iente abbe da pede e da cavallo, quanto tiempo durao soa signoria, quanto se stese per lo munno. E dice che soa grannezza fu nulla cosa in comparazione de Romani. Questo dicenno responne ad una questione la quale omo li potria fare e dicere: «Innello narrare le istorie de Romani como te impacci delli fatti de Alisantro?» Responne Tito Livio e dice: «Questo faccio per ponere requie allo animo mio». Quasi dica: «Lo animo mio ène stimolato de scrivere questa materia. Voglione toccare. Puoi me se posa consolato lo mio animo». Così dico io: «L’animo mio stimolato non posa finente dio che io non aio messe in scritto queste belle cose e novitati le quale vedute aio in mea vita». La quinta cascione ène anche quella che scrive Tito Livio nello proemio dello sio livro, nella prima decada. Dice: «Mentre che sto occupato a scrivere queste cose, so’ remoto e non veggo le crudelitati le quale per tanti tiempi la nostra citate hao vedute». Così dico io: «Mentre che prenno diletto in questa opera, sto remoto e non sento la guerra e li affanni li quali curro per lo paese, li quali per la moita tribulazione siento tristi e miserabili non solamente chi li pate, ma chi li ascoita». Quello che io scrivo sì ène fermamente vero. E de ciò me sia testimonio Dio e quelli li quali mo’ vivo con meco, ché le infrascritte cose fuoro vere. E io le viddi e sentille: massimamente alcuna cosa che fu in mio paiese intesi da perzone fidedegne, le quale concordavano ad uno. E de ciò io poneraio certi segnali, secunno la materia curze, li quali fuoro concurrienti con esse cose. Questi segnali farrao lo leiere essere certo e non suspietto de mio dicere. Anche questa cronica scrivo in vulgare, perché de essa pozza trare utilitate onne iente la quale simplicemente leiere sao, como soco vulgari mercatanti e aitra moita bona iente la quale per lettera non intenne. Dunqua per commune utilitate e diletto fo questa opera vulgare, benché io l’aia ià fatta per lettera con uno latino moito Ma l’opera non ène tanto ordinata né tanto copiosa como questa. Anche questa opera destinguo per capitoli, perché volenno trovare cobelle, senza affanno se pozza trovare.