Cosa può dire oggi la fotografia?/Cristian Chironi
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Lorenzo Casali | Cleo Fariselli | ► |
la fotografia è la matrice del contemporaneo e non è più mera riproduzione del reale o dell’opera d’arte, ma un comportamento, un modo di stare al mondo che apre a molte cose. È l’esercizio di un proprio essere nei confronti del mondo.
gran parte dei miei lavori nascono dalla suggestione esercitata da una fotografia. In principio vi è sempre un’immagine fotografica, su cui intervenire come a voler innescare una continuità o un cortocircuito, con un conseguente effetto di straniamento. Nell’immagine cerco un nutrimento per il mio lavoro. Inizialmente l’ho trovato negli album privati (Offside, 2007), poi negli archivi storici (Propp, 2008) e nel fotografico di massa (Rubik, 2008). Il prelievo, la memoria, l’archivio, il tempo, la presenza, l’assenza sono tutti caratteri che discendono dalla fotografia e che sono stati toccati all’interno della mia ricerca, visiva e performativa. La fotografia è un incitamento all’immagine e l’immagine lo è all’immaginazione. Nell’immagine trovo le notizie, le informazioni utili alla costruzione del mio lavoro e avverto questi passaggi in maniera dinamica,
forse per questo mi esprimo anche attraverso la performance, ovvero attraverso una fotografia in forma di azione (in-forma-azione). La mia fotografia ha un carattere performativo, può muoversi, e questo mi piace (Ada città, 2008).
ciò che mi interessa del linguaggio specifico della fotografia è la possibilità di estendere gli spazi e il tempo, oltreché vestire un altro da sé. Mi entusiasma poter far vivere insieme bidimensionale e tridimensionale; passato e presente; realtà e finzione. Nel mio ultimo lavoro (DK, 2009), grazie alla specificità dei mezzi usati, ho rinnovato il valore di attestazione di verità della fotografia, in parallelo a quello dell’invenzione artificiosa, creando un immaginario credibile e viceversa rendendo il reale fiction. La fotografia può farci diventare qualcosa che non siamo, è un cubo magico che ci ri-combina in nuovi scenari, altre esperienze di vita. Essa ci permette di entrare in contatto con una o più realtà e di avanzare pretese su di esse (Rubik, 2008).
{{noindent|Considero la fotografia sia sotto l’aspetto concettuale che formale e lavoro affinché questi due versanti convivano. Perciò possiamo parlare del tipo di macchina usata, del negativo, della qualità di stampa, della carta, del supporto; ma anche di una fotografia che è performativa, oggettiva, ambientale, di scena, pubblica. A seconda dei casi adopero una fotografia che mira alla massima qualità tecnica ed estetica, altre volte invece è la sua funzione esecutiva a prevalere in quanto delegata al pubblico, che diventa parte in causa nella costruzione dell’opera stessa con tutto il rischio che ne consegue (Saluti a Modigliana, 2007).
privilegio la fotografia analogica, soprattutto per la sua carica emotiva (Lina, 2004; Le petit, 2006). L’analogico conserva ancora degli aspetti vicini alla magia e riesce sempre a stupirmi. Il mio lavoro sarebbe stato lo stesso anche senza l’avvento delle nuove tecnologie digitali, tant’è che con l’analogico riesco ad `’imitare’ questi linguaggi comuni. Nel lavoro dal titolo Offside, 2007, per esempio, la mimesi, l’innesto della figura all’interno di un’immagine, avviene realmente e la finzione svela i suoi trucchi mostrando a uno sguardo più attento un rialzo di plexiglass trasparente, con cui il corpo si aiuta per inseguire l’appiattimento bidimensionale, o viceversa, per riportare quell’immagine al presente, annullando così le resistenze spazio temporali. L’immagine fatta a fondale e un reale poster in PVC e in scala 1:1, di circa 4mt x 3mt, sorretto da due americane nascoste ai lati. Sarebbe stato più facile usare Photoshop, ma non avrei avuto la possibilità di calarmi in prima persona negli avvenimenti con il carattere e la personalità (Gap, 2008).
{{noindent|Il digitale mi interessa nella costruzione del video, nel rapporto tra un’immagine e l’altra (Senza titolo #2, 2001; Gap, 2008). L’analogico quasi sempre ha il sopravvento nel risultato finale, quando questo finale è invece in digitale, accade per la volontà di sottolineare un uso pubblico e democratico della fotografia. Inoltre il digitale mi è di grande aiuto per la preparazione e costruzione degli apparati più propriamente oggettivi o di scena (Poster, 2006), o ancora quando voglio accostare alla fotografia un visivo più freddo, più vicino a un’idea essenziale di pensiero e di schema (Propp, 2008).