Comunicare il museo con i social media: il caso Caltagirone/Capitolo2/Paragrafo2 3

Paragrafo 2.3: Cosa accade in Italia?

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L’organizzazione dei musei statali in Italia prevede dalla fine dell’Ottocento la rete delle soprintendenze22; per di più, con il recentissimo DM del 23 Dicembre 2014 recante “Organizzazione e funzionamento dei musei statali”, il nostro sistema museale, visto finalmente non solo come semplice ufficio di soprintendenze, ma anche come un insieme di istituti dotati di autonomia tecnico scientifica, è stato suddiviso in 20 musei autonomi23 e in una rete di 17 Poli regionali (MiBAC, 2014). Sebbene in Italia la gestione dei musei sia affidata prevalentemente al settore pubblico, tuttavia, però, si verificano anche alcuni casi in cui si ha una fondazione mista a partecipazione pubblica e privata, come avviene per il neonato Museo Egizio di Torino (C. Marini, 2005), oppure altri casi in cui si ha una stretta collaborazione tra una società partecipata, la sovrintendenza e la direzione dei musei, come avviene per il progetto “Musei in Comune” di Roma gestito dalla società Zetéma.

Nonostante ciò, oggi nei musei italiani si tende prevalentemente a esporre tutto e fittamente27, poiché le autorità spingono i musei a tirare tutto fuori, e a rispettare l’ordine tassonomico cosicché da rendere il museo super affollato di opere che, in questo modo, non svolgono il loro ruolo comunicativo (Antinucci, 2010). Per questo motivo, allora, i nostri musei devono assolutamente invertire la rotta e intraprendere un cambiamento radicale basato sulla presa di coscienza delle basi teoriche e filosofiche sulle quali l’istituzione museale poggia e si organizza, sull’elaborazione delle proposte di riforma che possano partire da una efficacia forma o modalità comunicativa museale e sull’adozione di sistemi innovativi legati all’allestimento e all’esposizione (Antinucci, 2010).

Ogni singolo museo deve esporre per comunicare e tutto questo avviene “non solo aggiungendo opere, ma oltre a ciò avviene anche da altri livelli dell’organizzazione museale: dall’ordinamento, dalla scelta delle opere e dall’organizzazione dello spazio fisico” (Antinucci, 2010, p. 159).

A tale proposito, tuttora molti musei ad esempio non possiedono un proprio sito web, oppure, se lo possiedono, gli utenti riscontrano problemi di accessibilità e di usabilità (#Svegliamuseo, 2014). Oltre a ciò, esistono anche molti studi che stanno dedicandosi sul rapporto fra social media e musei e molti di questi in Italia “sono per forza di cose soprattutto dedicati ai grandi assenti, cioè a quei musei che, pur essendo molto importanti, non sono presenti sui social o se presenti li utilizzano in maniera poco partecipata, ancora monodirezionale, quasi fossero vetrine in cui limitarsi a pubblicizzare gli eventi” (Mandarano, 2014, p. 20). Allora, è per questo motivo che ci si domanda: “Da quale social network iniziare?” (#Svegliamuseo, 2014, p. 176). Ad oggi la piattaforma più popolare è Facebook, seguita da Twitter, il quale permette di allargare il pubblico su scala globale, Pinterest, Instagram e Google+. (#Svegliamuseo, 2014). Andando avanti, possiamo notare anche il gap di alcuni musei italiani riguardo al mancato o limitato utilizzo dei “mobile devices” (#Svegliamuseo, 2014), oggigiorno sempre più onnipresenti cosicché i visitatori potranno varcare “le soglie del museo con i loro smartphone e/o tablet in mano, utilizzandoli per accedere alle informazioni e scattare foto ma, sopra ogni cosa, per condividere la loro esperienza con gli altri” (#Svegliamuseo, 2014, p. 179).

In conclusione, possiamo affermare che, sebbene il nostro paese e, di conseguenza, anche il nostro sistema museale abbia molteplici punti di debolezza, le successive politiche di digitalizzazione italiane, intraprese dal MiBACT, hanno sì in parte innovato il sistema, ma le difficoltà continueranno a persistere poiché, ancor di più, si pensa che “le ragioni profonde della crisi di un paese che non cresce, sono nella distanza abissale tra le parole che vengono pronunciate dalla classe dirigente e i fatti” (Ricciardi, 2008, p. 23).