Consorzi agrari e Federconsorzi. Brevi Cenni storici e disciplina giuridica

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Consorzi agrari e Federconsorzi. Brevi Cenni storici e disciplina giuridica
I III

Capitolo Secondo

Consorzi agrari e Federconsorzi. Brevi Cenni storici e disciplina giuridica

Cenni sull’origine dei consorzi agrari e della Federconsorzi

L’origine storica dei consorzi agrari si può far risalire ai Monti frumentari che, sorti nell’alto Medioevo, fino al diciannovesimo secolo assolsero la funzione di anticipare le sementi necessarie per le colture ai contadini, che le restituivano pagando un interesse a raccolto avvenuto.

Nel 1863 ne esistevano in Italia 2051.

Il formarsi del moderno Stato unitario nazionale pose il tema del miglioramento dell’agricoltura, che costituiva il settore di gran lunga più importante dell’economia, al centro dell’attenzione dei Governi.

A fini di sostegno delle politiche agricole governative, furono ideati e realizzati i comizi agrari istituiti in ogni capoluogo di circondario con regio decreto del 23 dicembre 1866 n. 3542.

Essi segnarono il primo intervento "dirigistico" dello Stato in agricoltura.

I comizi, infatti, erano associazioni obbligatorie che avevano le finalità pubblicistiche di promuovere iniziative nel settore agricolo ed in particolare nel campo del miglioramento delle tecniche di coltivazione.

Un successivo regio decreto del 22 giugno 1879, completata l’unificazione politica del paese, affidò ai comizi anche una specifica missione di "promuovere le disposizioni necessarie perché siano migliorate ed unificate le consuetudini vigenti tra coloni e conduttori di fondi".

Sul finire del secolo, ad essi si affiancarono, nella diffusione della conoscenza e nell’incitamento alla pratica delle migliori metodologie culturali, le accademie agrarie e le cattedre ambulanti di agricoltura.

Contestualmente, nella seconda metà del secolo XIX, per esigenze economiche ed operative di cui si rendeva interprete un vasto e composito movimento cooperativo, si erano formate libere associazioni di di agricoltori per l’acquisto in comune dei mezzi necessari per l’attività agricola.

Concretizzando talel’ esigenza, fortementemolto avvertita in alcune zone della pianura padana a più forte sviluppo agricolo, con lo scopo statutario di favorire la commercializzazione dei prodotti agricoli ed un allargamento della cooperazione, nacque a Piacenza, con atto siglato il 10 ottobre 1892, la Federazione italiana dei consorzi agrari, ente di diritto privato.

Un anno prima, il 25 ottobre 1891, un congresso delle associazioni agrarie tenutosi nella stessa città, ne aveva posto le fondamenta.

L'atto costitutivo fu sottoscritto da nove comizi agrari, cinque consorzi, due banche popolari e da trentadue agricoltori privati.

Il capitale fu fissato in 3.925 lire.

Alla neonata Federazione arrise grande successo; il numero degli associati andò progressivamente aumentando fino a superare alcune centinaia di migliaia negli anni Venti; il giro di affari aumentò notevolmente.

Nell’anno 1921 fu fondata, con il rilevante concorso della Federconsorzi, la Banca nazionale dell’agricoltura.

Con la legge sul credito agrario - regio decreto legislativo del 29 luglio 1927 n. 1509, convertito dalla legge 5 luglio 1928 n. 1760 - alla Federconsorzi furono conferite funzioni creditizie.

Negli anni Trenta si verificò, tuttavia, per cause che qui non è necessario approfondire, essenzialmente di natura finanziaria, la prima grave crisi del sistema consortile che fu affrontata e risolta dal governo fascista con la creazione di un ente finanziario dei consorzi agrari e, quindi, con un forte intervento statale.

Nel 1938, in pieno regime autarchico, fu istituito l'ammasso obbligatorio e cioè la consegna obbligatoria del grano affidato per la vendita alla Federconsorzi.

Parallelamente fu operato un intervento strutturale sulla natura e le funzioni delle associazioni agricole di primo e di secondo grado.

Con il regio decreto legislativo 5 settembre 1938 e con la legge 2 febbraio 1939 n. 159, i consorzi agrari e gli enti cooperativi agricoli furono trasformati coattivamente in enti morali e fusi nei consorzi agrari provinciali.

Essi divennero, da associazioni commerciali di diritto privato, enti di diritto pubblico e furono sottoposti alla vigilanza del Ministero dell'agricoltura e delle corporazioni.

Con legge 18 maggio 1942 n. 566, i consorzi agrari furono trasformati nuovamente in persone giuridiche private, ma controllate e guidate dalla Federazione, posta, a sua volta, sotto le dirette dipendenze del Mministero dell’agricoltura.

Dopo il conflitto mondiale fu dato, con il decreto legislativo 7 maggio 1948 n. 1235 (ratificato con legge 17 aprile 1956 n. 561), un nuovo assetto ai consorzi agrari ed alla Federazione durato fino all’approvazione della recente legge 28 ottobre 1999 n. 410 che ha soppresso la Federconsorzi ed innovato parzialmente la disciplina dei consorzi agrari.


La normativa

Il decreto legislativo 7 maggio 1948 n. 1235, "Ordinamento dei consorzi agrari e della Federazione italiana dei consorzi agrari" (ratificato con legge 17 aprile 1956 nr. 561), ha rappresentato la legge fondamentale di riferimento sia per la Federconsorzi sia per i consorzi agrari.

Esso stabiliva che i consorzi e la Federazione italiana dei consorzi agrari (a cui di seguito si farà riferimento con le denominazioni Federconsorzi o Fedit) erano società cooperative a responsabilità limitata, regolate dalle norme dello stesso decreto e dal codice civile.

Le cooperative a responsabilità limitata, giova ricordarlo, secondo la definizione del codice civile (agartticoli. 2511 e 2513), sono imprese con scopo mutualistico delle cui obbligazioni è chiamata a rispondere la sola società con il suo patrimonio.

Ai consorzi agrari era affidato il compito di contribuire all’incremento ed al miglioramento della produzione agricola e ad iniziative socio-culturali nell’interesse degli agricoltori; alla Fedit era attribuito lo stesso compito sul piano nazionale ed in più quello di svolgere servizi di carattere generale nell’interesse dei consorzi, di coordinare l’attività di questi, di compiere operazioni di credito agrario di esercizio e, quindi, di effettuare prestiti ed anticipazioni su pegno nell’interesse dei consorzi.

Potevano partecipare ai consorzi solo le persone fisiche o giuridiche che esercitavano una impresa agraria nella qualità di proprietari, enfiteuti, usufruttuari mezzadri o coloni. Le quote di partecipazione erano costituite da azioni che avevano un valore nominale di lire 100.

Potevano partecipare come soci alla Fedit solo i consorzi agrari con quote costituite da azioni del valore nominale di lire 50.000.

Nessun socio dei consorzi e nessun consorzio sottoscrisse, tuttavia, azioni per un valore maggiore di una singola quota. Ciò avvenne per la ragione decisiva che il possesso di un numero di azioni superiore ad una non dava al possessore diritti maggiori di quelli spettanti ai sottoscrittori della quota minima: nelle assemblee dei consorzi e della Fedit ciascun socio aveva diritto ad un solo voto quale che fosse l’ammontare della sua partecipazione al capitale sociale.

In relazione al numero complessivo dei consorzi agrari, ciascuno dei quali deteneva una quota, il capitale sociale della Fedit era, pertanto, pari a sole lire 4.650.000 (50.000 x 93).

I consorzi erano amministrati da un Cconsiglio di amministrazione di tredici membri. Dodici di essi erano eletti dall’Assemblea dei soci; due terzi dei posti spettavano alla maggioranza ed un terzo alla minoranza. Il tredicesimo componente era eletto dal personale consortile di cui era rappresentante.

La Fedit era amministrata da un Cconsiglio di amministrazione di ventuno membri.

Di essi diciotto erano eletti dall’Aassemblea dei consorzi, rappresentati dai loro Presidenti o da persona delegata. Due terzi dei posti spettavano alla maggioranza ed un terzo alla minoranza. Un membro rappresentava i dirigenti della Fedit, che lo eleggevano. Un altro rappresentava il personale non dirigente, che parimenti lo eleggeva. Il ventunesimo rappresentava la categoria dei direttori dei consorzi, che lo sceglievano nel loro ambito.

Il cConsiglio di amministrazione era affiancato da un Ccomitato esecutivo costituito, tanto per i consorzi, quanto per la Fedit, da sei membri.

Quattro membri spettavano alla maggioranza e due alla minoranza.

Organo dei consorzi e della Fedit era la Presidenza, con poteri di rappresentanza esterna, composta da un presidente e da un vicepresidente nominati dal Consiglio di amministrazione.

Il Ccollegio sindacale dei consorzi era composto da sei membri, dei quali tre elettivi. Due di questi ultimi spettavano alla maggioranza ed uno alla minoranza.

Il Ccollegio sindacale della Fedit era composto da otto membri, cinque dei quali elettivi. Tre di essi erano attribuiti alla maggioranza e due alla minoranza. L’elezione competeva alle rispettive assemblee.

I tre membri non elettivi venivano nominati da tre Ministeri: agricoltura; tesoro e lavoro.

La presidenza del Collegio sindacale spettava, per disposizione del codice civile, ad uno dei sindaci di nomina governativa.

I consorzi, infine, venivano diretti da direttori che potevano essere scelti solo tra gli iscritti ad un ruolo speciale.

L’ambito di operatività dei consorzi coincideva con il territorio di ciascuna provincia della Repubblica. Erano, tuttavia, possibili accorpamenti.

La Fedit operava su base nazionale ed internazionale.

Gli utili sia dei consorzi sia della Fedit erano distribuibili ai soci in misura non superiore all’interesse legale maggiorato dell'1o uno1% per cento, ragguagliato al valore nominale delle azioni e della riserva e dopo averne destinato il trenta per cento alle riservae, ordinaria e straordinaria, non divisibile.

I controlli dell’autorità governativa, previsti per tutte le cooperative, erano affidati, relativamente ai consorzi agrari ed alla Fedit, al Ministero dell’agricoltura che quindi poteva:


in caso di irregolare funzionamento revocare amministratori e sindaci e nominare un commissario governativo;


sciogliere consorzi e Federazione, nel caso in cui non fossero stati nella condizione di raggiungere gli scopi istituzionali, non avessero depositato i bilanci per due anni consecutivi e nel caso di inoperatività; nominare i liquidatori e sostituirli, in caso di irregolarità o ritardi;


disporre ispezioni sul funzionamento dei consorzi e della Fedit;


sospendere l’esecuzione di deliberazioni od atti illegittimi o contrari alle finalità istituzionali o al pubblico interesse;


annullare gli atti contrari alle leggi, ai regolamenti, ed agli statuti.

I consorzi e la Fedit avevano l’obbligo di dare comunicazioni al Ministero dei del bilancio, delle delibere dei Consigli di amministrazione, dei Ccomitati esecutivi e delle Aassemblee e delle proposte di modifiche statutarie.

La normativa del 1948 era, infatti, completata dalla predisposizione di statuti tipo che furono obbligatoriamente adottati dall’una e dagli altri e che riproducevano l’illustrato dettato normativo.


La natura giuridica

I consorzi agrari, erano società cooperative a responsabilità limitata (di primo grado), e, la Fedit, era una società cooperativa a responsabilità limitata (di secondo grado).

Così espressamente stabiliva il decreto legislativo n. 1235 del 1948.

La definizione legislativa non lascerebbe adito a dubbi, ponendosi in continuità con quella che si leggeva nella precedente legge del 1942 che aveva espressamente distinto tra i consorzi agrari, persone giuridiche private, e gli altri enti pubblici con analoghe funzioni in agricoltura.

E pur tuttavia, con riferimento alla normativa anteriore al decreto del 1948, le Sezioni unite della Corte di Cassazione - sentenza n. 130 del 29 gennaio 1949 - superando la lettera della legge, erano giunte a stabilire che i consorzi agrari e la Fedit dovevano considerarsi, per la loro disciplina e per i compiti loro affidati, enti pubblici.

Poiché l'assetto del 1948 non si discostava, per alcuni profili sostanziali, da quello del 1942, la questione della natura giuridica della Fedit e dei consorzi non poteva che riproporsi.

La forte limitazione alla libertà contrattuale che l'obbligatorietà degli statuti tipo prevedeva, il regime nominale della vigilanza, e soprattutto l’identico scopo o, per usare una terminologia più attuale, la "missione" affidata alla Fedit ed ai consorzi, "contribuire all’incremento ed al miglioramento della produzione agricola" (tutta la produzione agricola, non solo quella dei soci) "ed alle iniziative di carattere sociale e culturale nell’interesse degli agricoltori" (tutti gli agricoltori e non i soli soci), costituivano connotazioni tipicamente pubblicistiche.

Permaneva la commistione tra contenuti privatistici e funzioni pubblicistiche.

La giurisprudenza di merito e di legittimità dei tribunali, della Corte di Cassazione civile, del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è pervenuta, però, costantemente a conclusioni opposte rispetto al passato.

E' stata, infatti, costantemente affermata la natura di soggetti privati dei consorzi e della Fedit.

Le decisioni giurisprudenziali in merito si sono, inoltre, progressivamente diradate a partire dagli anni Settanta in poi, in coincidenza temporale con l'affievolirsi delle gestioni pubblicistiche per conto dello Stato ed il definitivo consolidarsi dell'accezione imprenditoriale privatistica dei consorzi e della loro Federazione.

Lo svolgimento di funzioni pubblicistiche si collocava nella classificazione dell'esercizio privato di funzioni e servizi pubblici e, quindi, nella separazione tra natura degli enti e connotazioni di parte del loro agire e dello loro finalità, con conseguenti riflessi sul piano delle responsabilità e delle garanzie patrimoniali non estensibili allo Stato.

Occorre, tuttavia, precisare che, ai fini penali, si riteneva che si connotasse di rilievo pubblicistico, con opposti riflessi sulle connesse responsabilità personali, la parte dell’attività della Federazione e dei consorzi che concerneva la gestione degli ammassi, volontari od obbligatori che fossero.

La natura giuridica di private imprese cooperative dei consorzi e della Fedit deve, comunquein ogni modo, ritenersi acquisita al patrimonio delle conoscenze giuridiche degli operatori, almeno dagli anni Cinquanta in poi.

Ad attestazione dell'assunto si pongono i contenuti delle schede elaborate dagli uffici, cui era affidata l'istruttoria delle pratiche di affidamento della Federconsorzi, degli istituti di credito che ne erano creditori alla data del commissariamento, acquisite dalla Commissione.

In tutte è chiaramente enunciata la natura di cooperativa privata della Fedit.

Se la natura giuridica era nota, dalla commistione di natura privata e funzioni pubbliche, derivava la legittima considerazione della Federconsorzi come una sorta di ente economico con funzioni pubblicistiche che concorreva alla politica agricola nazionale.

L'assunto trova il massimo riconoscimento in due pronunce successive della Corte costituzionale del 1995 (sentenze nn. 384 e n. 517).

La Corte - richiesta di pronunciarsi dalle Regioni che, a seguito del progressivo trasferimento ad esse delle competenze nel campo dell'agricoltura, rivendicavano nel corso degli anni la competenza esclusiva sui consorzi agrari - si era in precedenza pronunciata con sentenza n. 63 del 1969 affermando che i consorzi agrari svolgevano compiti di spettanza statale e che per la loro essenza avevano rilevanza nazionale, con specifico riferimento alle operazioni di ammasso e di distribuzione delle merci, agli interventi di mercato previsti dalla Comunità europea, dal cosiddetto "piano verde", allae funzioni svolte per conto dell'AIMAIMA.

Con le sentenze sopra citate nn. 384 e n. 517, - che tenevano conto delle sopravvenute leggi leggi n. 364 del 1970, n. 111 del 1965 e n. 616 del 1977, che ampliavano tutte le competenze regionali, la Corte, fatta propria l'affermazione della difesa dello Stato, secondo cui i consorzi svolgevano una serie di compiti non strettamente rientranti in campo agricolo, affermava: "alla luce degli elementi legislativi e giurisprudenziali può concludersi che i consorzi agrari costituiscono a tutt'oggi strumenti dell'intervento pubblico sul mercato agricolo e risultano pertanto ancora ispirati al conseguimento di finalità nazionali; finalità che in questa materia non risultano essere soddisfatte in via esclusiva da altri organismi."

In dipendenza delle loro funzioni pubblicistiche, fu riconosciuto ai consorzi di svolgere funzioni di agenzie assicurative per conto dell'assicurazione degli agricoltori partecipata dalla Federconsorzi, la FATA.

Al sistema federconsortile furono affidati, in sintesi, compiti tipici di una agenzia governativa.

Esso ebbe grande rilievo nell'assetto strutturale dell'agricoltura nazionale, almeno fino a quando la politica agricola non divenne comunitaria ed il centro decisionale si spostò da Roma a Bruxelles.

Ciò consente di comprendere la posizione delle banche estere che avevano finanziato la Fedit e che, a crisi conclamata, in forza di argomenti non giuridici (nei contratti da esse stipulati la Fedit era chiaramente indicata come un soggetto privato) si attendevano che degli impegni di essa si facesse carico il Governo italiano.


4. La gestione tra normativa e prassi: il ruolo delle organizzazioni professionali

La Federconsorzi non era, quindi, che una società cooperativa di secondo grado perché i suoi unici soci erano società cooperative.

Si trattava, tuttavia, di cooperative che non potevano darsi libere regole.

La loro vita era interamente governata da regole imposte con legge e contenute negli statuti tipo.

Esse erano obbligate ad associarsi alla Federconsorzi ed a rispettarne lo statuto.

I consorzi erano governati secondo un principio maggioritario che assegnava alla maggioranza un potere assoluto sugli organi di amministrazione attiva ed una importante partecipazione a quello di autocontrollo.

Il Ccollegio sindacale annoverava due su sei componenti appartenenti alla maggioranza.

La scelta di quello che, con linguaggio corrente, si usa definire come management, non era possibile perché il direttore di un consorzio non poteva provenire che dalle fila di quelli abilitati dalla Fedit, in numero chiuso ed in intuitiva sintonia con essa.

Anche la Federconsorzi era governata dalla stessa regola maggioritaria che assegnava al gruppo che avesse riportato il maggior numero di voti in Assemblea la presidenza ed il controllo del Consiglio di amministrazione, del Comitato esecutivo ed una significativa presenza nel Collegio sindacale, ancorché, quanto a quest’ultimo, lo statuto raccomandasse di scegliere preferenzialmente i sindaci tra i direttori dei consorzi.

A ciò va aggiunto che la funzione di garanzia che i sindaci di nomina ministeriale, ed in particolare i presidenti dei Collegi sindacali, quasi sempre coincidenti con quelli designati dal Ministero dell’agricoltura, avrebbero dovuto svolgere, come meglio si dirà in seguito, non fu di fatto mai assicurata e non costituì mai un ostacolo per il dispiegarsi degli interessi della maggioranza.

Si tratta di aspetti che legittimano l’opinione di chi ritiene che, con l’adozione del decreto legislativo n. 1235 del 1948, emanato meno di un mese prima delle elezioni che segnarono il primato, destinato a durare per circa mezzo secolo, del partito della Democrazia cristiana, si volle mantenere sostanzialmente invariata la struttura corporativa prebellica procedendo ad un cambiamento nominale e non sostanziale.

Sembra evidente il disegno, nelle norme integrate dagli statuti obbligatori, di un modulo organizzativo che non mirava ad assicurare la libera espressione di voci politicamente diverse, tra loro contrastanti o dissonanti, ma l’egemonia di una sola parte così realizzando un controllo integrale sul sistema consorzi-Federazione e, quindi, di riflesso, un controllo forte su gran parte del mondo agricolo.

Esso si rivelò un formidabile strumento di controllo politico. Infatti la Coldiretti, con metodi fortemente controversi ma anche con strumenti più efficaci e con maggior sintonia con il modo di essere e di sentire dell’impresa contadina di allora, riuscì immediatamente ad impadronirsi del sistema, conquistandone il dominio pressoché assoluto, durato fino al commissariamento della Fedit e, come si vedrà, anche oltre.

Essa non ebbe avversari od oppositori.

Una seconda organizzazione, di non contrastante ispirazione, la Confagricoltura - l’organizzazione sindacale degli imprenditori agricoli - condivise il controllo dei consorzi e della Fedit, ma in posizione minoritaria e sostanzialmente subordinata.

Va ricordato che le due organizzazioni professionali esprimevano una forte rappresentanza politica e parlamentare.

In particolare, per alcune legislature, una parte significativa, per peso numerico e politico, dei gruppi parlamentari della Democrazia Ccristiana era costituita da deputati e senatori espressi dalla Coldiretti.

Alla Fedit fu affidata la gestione di una parte degli aiuti previsti dall’E.R.P. (European Recovery Program) - e cioè dal programma meglio noto come "Piano Marshall" - mediante l'acquisto di grano all'estero e la sua successiva commercializzazione.

Sull’attuazione di quest’ultimo e di d’i altri piani di d’i aiuti internazionali (U.N.R.R.A. - U.S.F.A.R. - A.U.S.A.) che si concretizzavano nell’approvvigionamento e nell’ammasso delle derrate alimentari ed in particolare nell’ammasso del grano, durato fino alla campagna 1963-1964, la Fedit costruì la sua potenza economica e finanziaria che raggiunse il culmine negli anni Sessanta.

Basta considerare che in quell’epoca il patrimonio immobiliare della Federconsorzi era passato da un valore di 3,5 milioni dell’immediato dopoguerra a ben 8.336 milioni con un aumento vertiginoso.

Attuata la conquista del governo dei Cconsigli di amministrazione e dei Ccomitati esecutivi, le cui decisioni non trovavano alcun controllo nei Collegi sindacali che erano espressione dei medesimi interessi, le organizzazioni sindacali che si dividevano la rappresentanza dei consorzi e della Fedit, passarono progressivamente, con la scomparsa di personalità come quelle di Bonomi e Mizzi, che avevano impresso alla Fedit una direzione forte ancorché controversa, ad una vera e propria direzione esterna.

Sentendosi legittimati dal rappresentare la quasi totalità dei soci dei consorzi e la totalità dei soci della Fedit, la Coldiretti e la Confagricoltura finirono per confondere i loro interessi sindacali con quelli dell’intero sistema federconsortile.

La Commissione ha maturato il convincimento che esse, sia pure in misura diversa, dirigevano di fatto la Fedit, gestendo risorse di sostanziale derivazione pubblica, perché in gran parte accumulate grazie alla politica dei pubblici ammassi, nulla rischiando del loro patrimonio, ed anzi attribuendosi parte dei ricavi, sotto forma di contribuzioni miliardarie di dubbia legittimità.

Anche le scelte di politica economica e finanziaria che portarono al tracollo del sistema, furono assunte dai due sindacati ed in particolare dalla Coldiretti.

Sistematicamente, infatti, negli ultimi anni, le riunioni dei Consigli di amministrazione e dei Comitati esecutivi della Fedit erano preceduti da preconsigli e cioè da riunioni separate dei consiglieri della Coldiretti e di quelli della Confagricoltura, presiedute dai rispettivi dirigenti, ed in particolare, per la Coldiretti, dal presidente Lobianco, che discutevano gli argomenti all'ordine del giorno degli organismi amministrativi e prendevano le relative decisioni, che, quindi, venivano semplicemente ratificate nel corso delle riunioni ufficiali.

Con parole di grande chiarezza l’ex sottogretario all’agricoltura, onorevole Noci, ha illustrato a questa Commissione, nella seduta del 22 febbraio 2000, il reale ruolo dell’ultimo presidente della Fedit, ragionier Luigi Scotti, e della direzione esterna esercitata dalla Coldiretti: "Nella Federconsorzi il presidente Scotti era tra coloro che meno erano al corrente dei fatti (…; veniva chiamato bonariamente "Piero) Firma", cioè il grullo che firma quello che preparano gli altri.

Io ho conosciuto poco il presidente Scotti ma era chiaro che non era lui a compiere le scelte; contava il Presidente della Coldiretti che premeva in un senso, contava il Presidente dei consorzio agrario di Ferrara che premeva in un altro e, perché così magari in quel collegio era più facile prendere voti, poteva presentarsi chiunque altro con un'altra carica e sarebbe stato accontentato anche lui. Scotti firmava la sintesi di queste volontà".

La Commissione ha raccolto un coro di voci e di indicazioni in ordine alla effettiva direzione della Fedit che si identificava, quanto alle principali scelte strategiche e di politica d'impresa, nella presidenza della Coldiretti ed in parte minore in quella della Confagricoltura.

Per tutte è significativa la testimonianza di un componente dell'ultimo Consiglio di amministrazione, il deceduto dottor Pietro Gentili, imprenditore agricolo e presidente del consorzio agrario di Siena, di estrazione Confagricoltura.

Si riportano, di seguito, estratti della sua deposizione, del 1° marzo 1995, alla Commissione ministeriale di indagine.: Da essa emerge, altresì, il motivo del rigetto del piano di salvataggio e di ristrutturazione della Federconsorzi, elaborato dal direttore generale, dottor Pellizzoni, per insanabile contrasto con la struttura stessa della organizzazione consortile.

"(…) Il consiglio di Amministrazione funzionava poco, non aveva importanza, le decisioni passavano sempre sulla nostra testa.

(…) Le grosse decisioni spesso non passavano, che so, la nomina del Direttore Generale non è mai passata né per il Comitato (Eesecutivo n.d.r.) né per il Consiglio.

(…) Sono il solo, mi trovo in un comitato di cinque persone, quattro e cinque con il Presidente, dove tutto quello che dicevo ero soltanto io a verbalizzare, io soltanto a protestare, gli altri quattro accettavano passivamente.

(…). gGuardi le dirò tutto. Lì dentro è sempre mancato il proprietario insomma perché c'era un Lobianco che non appariva mai ma era quello che tirava le fila (….. però lì dentro non c'era nessuno. Wallner che litigava con Lobianco e la struttura si era praticamente impossessata, la struttura, di questa organizzazione. Noi quattro consiglieri divisi così perché io ero il solo, gli altri erano legati alla struttura, io dicevo ma figlioli, quando vado a casa mia, a me mi costa la Federconsorzi, io non vedo l'ora di scendere gli altri invece per loro era non lo so il sistema per stare a Roma od altro e quindi praticamente …)….. questo proprietario non c'è stato mai quindi noi abbiamo vissuto da un direttore generale come Mizzi capacissimo, in gamba, molto bravo che ha creato il patrimonio poi è passato a un Bassi che è stato un ragioniere, un ottimo ragioniere, poi tutti quanti si sono illusi, la struttura, di fare il secondo Mizzi (…)o il secondo caso e abbiamo avuto un direttore generale che è stato una tragedia. Debbo dirlo che il direttore generale che è venuto fuori (…). che ad un certo punto non si sapeva mai quello che faceva (…). …., le indecisioni, le cose od altro.

D.: chi è questo direttore di cui sta parlando?

…..R.:I il direttore (…) come si chiama, Scotti che poi hanno nominato presidente della Federconsorzi ( questo Scotti, da direttore generale è stato nominato presidente della Federconsorzi…. Per quali motivi… dice ma voi eravate nel consiglio e potevate dire ma come ma chi, io ero un voto lì dentro, ero un voto.

D.: senta, la vostra nomina come consiglieri a termine di statuto come avveniva, da chi erano proposti i vostri nominativi?

R.: erano dalle due organizzazioni che…

D.: quindi le due organizzazioni avevano la potestà di nominare i consiglieri di amministrazione?

R: certo e poi dovevano distribuirli?

D: e giuridicamente chi vi nominava?

Altro: erano designazioni provenienti dall'alto?

D: era l'assemblea dei soci?

R: l'assemblea certo eleggete questo eleggete quest'altro…

D: quindi voi formalmente l'investitura l'avevate dall'assemblea dei soci della Federconsorzi?

Altro: lei veniva nominato?

R.: la Confagricoltura mi ha nominato (…)"…).".

Un altro consigliere della Federconsorzi, il dottor Alessandro Sandra, dichiarava alla Commissione ministeriale di indagine Poli Bortone il 1° marzo 1995: " (…) La Federconsorzi era amministrata da Confagricoltura e Coldiretti, cioè dai Consiglieri, ma che erano espressione degli azionisti. (…) Noi consiglieri, prima delle riunioni, facevamo dei preconsigli, nel senso che la Confederazione di appartenenza (nel mio caso la Coldiretti) ci invitava per un predibattito sugli argomenti all’ordine del giorno della riunione successiva".



"(…) Passai alla Federconsorzi e ci sono stato dall'85 fino al '91 quindi fino al crollo. Perché ci sono stato? Perché mi sono illuso di poterla salvare la Federconsorzi; sarei potuto scappare, tutti i topi scappano, io invece sono stato fino all'ultimo perché mi illudevo di salvare la Federconsorzi. Perché queste illusioni, glielo spiego perché io entrai di dentro, situazione strana, anomala dove c'è un Presidente e quattro, noi eravamo in 4 consiglieri, 2 di un'organizzazione e due dell'altra. Francamente la Confagricoltura, essendo un'organizzazione basata sui numeri e sui voti e quindi la Confagricoltura aveva perso un sacco di consorzi, erano rimasti pochi i Consorzi nella Confagricoltura e aveva pochissima capacità di poter influenzare l'andamento della Federconsorzi perché la Coltivatori Diretti era quella che faceva quello che voleva insomma eravamo appena tollerati insomma e a me mi chiamò Wallner.

(…) Il consiglio di Amministrazione funzionava poco, non aveva importanza, le decisioni passavano sempre sulla nostra testa.

(…) Le grosse decisioni spesso non passavano, che so la nomina del Direttore Generale non è mai passata né per il Comitato o per il Consiglio.

D.: E come facevano? E come avveniva allora, mi scusi?

R.: Prima di tutto c'era questo. Per chiamare il Direttore Generale le due Organizzazioni che lo hanno nominato.

D.: E lo nominavano loro? Ma mica avevano i poteri formali per farlo. Da un punto di vista formale ci voleva un atto vostro.

R.: Lo nominavano loro. E d'altronde io dico francamente. Io non sarei stato nemmeno in grado di nominare un Consigliere di una Federconsorzi perché ecco io faccio l'agricoltore, sono, sto a Siena, io ho chiesto a Stefano Wallner nomina qui un Direttore Generale forte, una persona importante, questo mi sono raccomandato.

D.: e nominò Pellizzoni. Ora le dico, questo, questa nomina però l'avrà fatto il Consiglio.

R.: ah, ma certo. Ma dopo quando ce l'hanno presentata abbiamo nominato questo.

(…) Sono il solo, mi trovo in un comitato di cinque persone, quattro e cinque con il Presidente dove tutto quello che dicevo ero soltanto io a verbalizzare, io soltanto a protestare, gli altri quattro accettavano passivamente.

D.: le decisioni prese altrove..

R.: tant'è vero quando Pellizzoni presenta il piano allo Sheraton davanti alla Confagricoltura tutta questa schierata, la Coltivatori Diretti e tutta la Federconsorzi, io vorrei leggervi anche le lettere.

D.: poi ci dirà qualcosa anche sul piano.

R.: cosa faccio; chiedo la parola e dico guardate che per me che ho un consorzio, questo piano non è calabile nella realtà dei consorzi agrari italiani.

D.: l'ha verbalizzato questo?

R.: certo!… nell'89… non è realizzabile, non è calabile…

D.: ecco perché non è…

R.: perché ad un certo punto il Pellizzoni che si circonda nella sua attività di consulenti, una valanga di consulenti che non sapevano niente, saranno stati specialisti bravissimi nel campo dell'industria ma nel campo di consorzi agrari non sapevano niente. Io me ne accorgo quando ad un certo punto mi porta il progetto di Grosseto o altro dove per dire per loro il Direttore doveva andare a vendere i concimi, dovevano uscire fuori ma, ma voi siete tutti pazzi siete qui dentro, e faccio una grossa battaglia perché secondo me non si risanava così la Federconsorzi assolutamente, quindi, allo Sheraton davanti a tutti io chiedo la parola e dico scusate un momentino. Io vi dico che questo piano non è calabile nella realtà attuale dei consorzi agrari. Forse se dovesse essere fatto ex novo per una nazione nuova, può anche essere fatto ma data le realtà che ci sono senza mancanza di dirigenti non è calabile nella realtà e voglio che sia verbalizzato però dal momento che tutti quanti lo avete approvato io mi metto al servizio del piano anzi cercherò di non ostacolarlo e c'ho la lettera di Pellizzoni che gli scrivo tutto quanto dove lui dice, ma allora lei con questa sua opera, lei mi vuol fare saltare il piano? No, dico, praticamente gli sbagli che ci sono che state facendo, state facendo un sacco di sbagli e lo urlo, lo verbalizzo, lo dico, lo scrivo che altro potevo fare, ero solo a fare questo, non c'era altro, nessuno lì dentro ha mai parlato.

(…) Ecco senta, noi del commissariamento non sapevano niente, noi speravamo di poter salvare la baracca.

D.: ma salvarla voi o mediante il commissariamento?

R.: pensavamo di salvarla perché praticamente nel 90 il Pellizzoni ed il Bambara ci fanno una dichiarazione, ci dichiarano in Comitato addirittura che la situazione era imbrigliata che nel '94 la situazione sarebbe ormai tornata in parità. L'indebitamento massimo Fedit scenderà a 800 miliardi, il deficit delle società passerà da 140 a 70 miliardi, stiamo superando il 35% di contanti, i recuperi maggio, giugno, luglio stanno aumentando, abbiamo imbrigliato il sistema. Questo ce lo dichiarano il 3 agosto del '90.

D.: quindi, insomma, erano ottimisti. Invece poi cosa è successo?

R.: è successo invece che la situazione è sfuggita completamente a loro è sfuggita, no? Tutte queste enormi spese che hanno fatto il Pellizzoni od altro non hanno dato i risultati attesi perché erano misure sbagliate quindi c'è il commissariamento. Io ho criticato il commissariamento in questo senso perché secondo me l'azienda poteva e doveva essere anche commissariata ma non posta subito in stato fallimentare, ho sempre detto secondo me avrei commissariato e poi dopo un anno o due anni vediamo che cosa si può fare.

D.: ma commissariata come, mi spieghi che tipo di commissariamento lei avrebbe fatto.

R.: cioè, dobbiamo essere ancora più precisi, bisogna dirle tutte le cose, guardi le dirò tutto. Lì dentro è sempre mancato il proprietario insomma perché c'era un Lobianco che non appariva mai ma era quello che tirava le fila però lì dentro non c'era nessuno. Wallner che litigava con Lobianco e la struttura si era praticamente impossessata, la struttura, di questa organizzazione. Noi quattro consiglieri divisi così perché io ero il solo, gli altri erano legati alla struttura, io dicevo ma figlioli, quando vado a casa mia, a me mi costa la Federconsorzi, io non vedo l'ora di scendere gli altri invece per loro era non lo so il sistema per stare a Roma od altro e quindi praticamente questo proprietario non c'è stato mai quindi noi abbiamo vissuto da un direttore generale come Mizzi capacissimo, in gamba, molto bravo che ha creato il patrimonio poi è passato a un Bassi che è stato un ragioniere, un ottimo ragioniere, poi tutti quanti si sono illusi, la struttura, di fare il secondo Mizzi o il secondo caso e abbiamo avuto un direttore generale che è stato una tragedia. Debbo dirlo che il direttore generale che è venuto fuori che ad un certo punto non si sapeva mai quello che faceva, le indecisioni, le cose od altro.

D.: chi è questo direttore di cui sta parlando?

R.: il direttore come si chiama, Scotti che poi hanno nominato presidente della Federconsorzi questo Scotti, da direttore generale è stato nominato presidente della Federconsorzi…. Per quali motivi… dice ma voi eravate nel consiglio e potevate dire ma come ma chi, io ero un voto lì dentro, ero un voto.

D.: senta, la vostra nomina come consiglieri a termine di statuto come avveniva, da chi erano proposti i vostri nominativi?

R.: erano dalle due organizzazioni che…

D.: quindi le due organizzazioni avevano la potestà di nominare i consiglieri di amministrazione?

R: certo e poi dovevano distribuirli?

D: e giuridicamente chi vi nominava?

Altro: erano designazioni provenienti dall'alto?

D: era l'assemblea dei soci?

R: l'assemblea certo eleggete questo eleggete quest'altro…

D: quindi voi formalmente l'investitura l'avevate dall'assemblea dei soci della Federconsorzi?

Altro: lei veniva nominato?

R.: la Confagricoltura mi ha nominato.

Altro: erano i due presidenti che decidevano e poi facevano formalizzare dagli organismi all'uopo…?

(…) R.: Dunque rispondo alle due domande. La prima che lei mi ha fatto dunque era gestione dei crediti. Io qui faccio una battaglia, come in tutte le cose, perché faccio una battaglia, perché io c'avevo grazie a Dio ero riuscito a portare un consorzio in attivo dalla tragedia quindi io non voglio, assolutamente la solidarietà, perché così andiamo a premiare i consorzi sfasciati e chiudendo i bilanci così, ma lì dentro erano tutti sfasciati erano, tutti quanti, invece erano il contrario, nessuno mi veniva dietro perché io non posso ad un certo punto, se la Federconsorzi, noi siamo azionisti della Federconsorzi, se la Federconsorzi guadagna cento lire, dobbiamo beneficiarne tutti noi azionisti, no che ad un certo punto i guadagni devo andare soltanto ai consorzi sfasciati per riportare su i consorzi sfasciati che poi non riportavano su niente, cioè era una mungitura generale, quindi io mi oppongo proprio a questo fatto, io non sono solidale con i consorzi sfasciati.

(…) Come consigliere e come membro del Comitato della Federconsorzi ho espresso apertamente il mio pensiero sul piano presentato dal dr. Pellizzoni nell'incontro che avvenne all'hotel Sheraton il 29 marzo 1990. Alla presenza sua, in qualità di presidente Fedit, dei presidenti e Direttori generali della Confagricoltura e Coldiretti e di tutti i colleghi presidenti dei C.A.P. italiani, conscio dell'assoluta improcrastinabile necessità di una trasformazione e di un rilancio della nostra organizzazione parlai volontariamente per ultimo per non creare turbative negli altri colleghi, anticipando e prevedendo le difficoltà che il piano avrebbe incontrato. Dissi testualmente che questo piano, ottimo se si dovesse applicare per la costruzione ex novo di un'altra Fedit, avrebbe tuttavia incontrato grosse difficoltà per applicarlo nella nostra organizzazione e più particolarmente per calarlo nella realtà dei consorzi che versano in condizioni economiche precarie per mancanza di uomini capaci, di strutture moderne, di agenzie efficienti, di sistemi di controllo validi. E lo dissi allo Sheraton, davanti a tutti".

Un altro consigliere della Federconsorzi, il dottor Alessandro Sandra, dichiarava alla Commissione ministeriale Poli Bortone il 1° marzo 1995:

" (…) La Federconsorzi era amministrata da Confagricoltura e Coldiretti, cioè dai Consiglieri, ma che erano espressione degli azionisti. (…) Noi consiglieri, prima delle riunioni, facevamo dei preconsigli, nel senso che la Confederazione di appartenenza (nel mio caso la Coldiretti) ci invitava per un predibattito sugli argomenti all’ordine del giorno della riunione successiva".

Ai preconsigli, oltre agli amministratori della Federconsorzi partecipavano "il Presidente della Coldiretti, qualche volta il Segretario Centrale e di solito il Presidente della Federconsorzi che veniva ad esporre l’ordine del giorno. Questa procedura, cioè l’azionista di maggioranza e di minoranza che riunisce i Consiglieri e li informa dell’ordine del giorno, ci sembrava allora assolutamente normale".

Dal punto di vista giuridico Coldiretti e Confagricoltura non si potevano definire azionisti, ma "lo erano di fatto"; le decisioni di un certo peso le prendevano loro".

Ha dichiarato il ragionier Luigi Scotti, il 20 marzo 1995, alla Commissione ministeriale di indagine:

"(…) Sembra essere il decreto legislativo che dà questa potestà di rapporto alle due organizzazioni perché il Consiglio della Fedit è fatto dai Presidenti dei C.A. i quali sono nominati dai soci che sono iscritti nelle due organizzazioni a carattere generale (Confagricoltura e Coliretti). Attraverso questa delega surrettizia le organizzazioni ritenevano nell’ambito della politica generale dell'agricoltura italiana di dare pareri sulle decisioni importanti della Federazione.

Come Presidente partecipavo ai preconsigli della Coldiretti, come Presidente espresso dalla Coldiretti. Non ho mai partecipato ai preconsigli della Confagricoltura".

A distanza di cinque anni, dinanzi a questa Commissione, nella seduta del 15 luglio 2000, il rag.ionier Scotti nel confermare che "(…) …i preconsigli si svolgevano generalmente il giorno prima del consiglio di amministrazione. Io partecipai ai preconsigli dal momento in cui divenni presidente; i direttori generali non partecipavano ai preconsigli. (…). Vi partecipavano i membri del consiglio di amministrazione della Federconsorzi (…)... Vi partecipavano i rappresentanti che, nel consiglio di amministrazione, rappresentavano le singole confederazioni, cioè la Coltivatori diretti da una parte e la Confagricoltura dall'altra. In questi preconsigli si discutevano i principali problemi (…)..…… da tempo immemorabile (…). ha tentato di presentarli come discussioni dalle quali non scaturivano decisioni vincolanti: ……"(…) I preconsigli si svolgevano evidentemente in funzione dell'ordine del giorno del consiglio di amministrazione; si discutevano gli argomenti, però non ho mai sentito, nei preconsigli a cui ho assistito come presidente, porre vincoli alle determinazioni del consiglio del giorno successivo. Nel preconsiglio vi era un dibattito sugli argomenti. Il giorno successivo, nel consiglio di amministrazione, ciascuno evidentemente si comportava in funzione della propria coscienza e del proprio intendimento. Quindi, ripeto, per quei due anni nei quali io in qualità di presidente, ho assistito ai preconsigli, non c'è stata nessuna imposizione del vincolo".

Tali affermazioni non sono parse alla Commissione né persuasive né credibili. E’ noto che le riunioni di gruppi omogenei di consiglieri nelle società non hanno altro scopo che quello di pre-concordare la linea comune da tenersi nei consigli di amministrazione.

Se non fossero sufficienti le affermazioni di d’opposto contenuto sopra riportate, basterebbe scorrere Basta scorrere i verbali dei cConsigli di d’amministrazione della Fedit per rendersi conto dell’assoluta assenza di posizioni individuali.

In data 9 luglio 1985 dichiarava, infatti, non senza compiacimento nel corso del Consiglio di amministrazione il Ppresidente Truzzi: (…) iIl nuovo impegno dell'Organizzazione Federconsortile fu delineato in un programma deciso concordemente dalle due confederazioni generali che esprimono questo consiglio di amministrazione (…) non vi è stata mai situazione di maggioranze e minoranze; si è deciso sempre insieme e non a colpi di votazione(…)".

In una nota riservata indirizzata ai quadri dirigenti datata 26 aprile 1988, trasmessa ai quadri dirigenti dal pPresidente della Confagricoltura il dottor dott. Wallner, presidente della Confagricoltura dal 1983 al 1989, scriveva a proposito dell’atteggiamento dei consiglieri della Confagricoltura:, pur rivendicando una posizione della sua organizzazione differenziata da quella della Coldiretti sul futuro dei consorzi Aagrari e della Federconsorzi non riconosceva che :"(…) noi facciamo parte del consiglio d’amministrazione in una condizione che è sostanzialmente di minoranza (…).. però abbiamo continuato a comportarci finora come se facessimo parte della maggioranza in quanto tutte le decisioni sono state prese finora all’unanimità (…). E’ quando è capitato che nel comitato esecutivo (…). che i nostri rappresentanti abbiano rifiutato di votare una certa delibera la votazione è stata sospesa fino a quando non si è trovato un punto di incontro".

Poco tempo dopo, il 21 luglio 1988, il presidente Truzzi rassegnava tuttavia a verbale che "(…) ci siamo incontrati e confrontati con le due Confederazioni nelle persone dei due presidenti on. Lobianco, drr. Wallner (…) vi è concordia nelle valutazioni delle difficoltà attuali del settore agricolo e sulle possibilità di dare adeguate risposte.

In particolare vi è accordo (…) su un adeguato sforzo per il recupero dell'efficienza dei consorzi agrari e delle società".

In nota: il quadro della situazione dei consorzi era ancora presentato in forma edulcorata.

Il dott.or Wallner, pPurresidente della Confagricoltura dal 1983 al 1989, lamentando la difficoltà di praticarla e la posizione minoritaria della organizzazione da lui presieduta rispetto alla Col diretti, ha ribadito, nel corso dell'audizione del 1° febbraio 2000, il concorso della Confagricolturasua organizzazione alla guida della Fedit:

"…(…).. L'organizzazione di cui ero presidente era, come è ben noto, la parte minoritaria, il socio di minoranza dell'organizzazione cooperativa della Federconsorzi e, per quanto sia difficile dirlo, "concorreva"(…)... con fatiche inaudite e successi scarsissimi alla gestione di una Federconsorzi (…)…

……..

Noi eravamo, nell'ultima fase della mia gestione, minoritari, otto consiglieri a dieci (…).. Comunque, era tale l'ammontare delle deleghe (…)… per la gestione ordinaria, ma anche per la rilevantissima gestione finanziaria, che svuotavano di fatto la conoscenza dei consiglieri certamente di minoranza, ma, a mio avviso, anche dei consiglieri normali della maggioranza, in quanto molti di loro – io stesso – venivano a sapere di decisioni finanziarie rilevanti a consuntivo dei bilanci.

(…)… Riunivo in genere i due membri del comitato esecutivo in quanto ero a digiuno di ciò che avveniva dal momento che due o tre giorni prima mi arrivava semplicemente un foglietto dove era indicato per punti il capitolo in discussione di cui non si sapeva assolutamente mai nulla quindi utilizzavo queste pre riunioni tutte informali per documentarmi.

Le decisioni (….dei Consigli di amministrazione n.d.r. )… per quanto mi risulta, erano già determinate e non certo nel senso indicato dalla Confederazione o dal Presidente Wallner"..


In nota

Su come lLee associazioni venissero poste in grado di eseguire una delibazione preventiva vano informate direttamente anche delle decisioni concernenti la gestione esecutiva della Federconsorzi si può ritenere esemplare una nota. del 29 novembre 1988 del direttore generale ragionier Scotti indirizzata

Scriveva il ragionier Scotti proprio al presidente della Confagricoltura Wallner: il 29 novembre 1988:

"Le trasmetto il fascicolo relativo al comitato esecutivo della Federconsorzi convocato per il giorno 3 c.m. alle ore 10.30. A sua disposizione per qualsiasi chiarimento; le porgo i più cordiali saluti".

Ed aA riprova dell'assunto che le decisioni riunioni del consiglio di amministrazione della Fedit venivano precedute da decisive rriunioni delle associazioni di categoria che avevano assunto un carattere formale, si annovera può, emblematicamente citare, tra i tanti documenti, uun telegramma del 4 marzo 1991, e cioè di due mesi prima del commissariamento, indirizzato al presidente Scotti :

"Riunione preconsiglio Fedit est convocata presso sede confederale Roma via 24 maggio 43 mercoledì 13 marzo prossimo ore 18 stop Pregasi non mancare Arcangelo Lobianco presidente Coldiretti."


Persino il rappresentante della Fedit presso la CEE veniva designato nella persona di un dirigente della Coldiretti.

D’altra parte lo stesso pPresidente Lobianco, in una intervista rilasciata nel 1992 al giornalista Antonio Saltini, si assumeva espressamente le responsabilità di scelta delle strategie e degli uomini per la Fedit.

Infatti, alla domanda diel signor Saltini: "(...) se Lobianco avoca a sé la responsabilità di scegliere strategie ed uomini non può ricusare poi la responsabilità sull’esito finale delle sue decisioni", l'onorevole Lobianco rispondeva: "In questi termini assumo quella responsabilità". (Da Terra e Vita, n.1/92).

E sicuramente, a giudizio di questa Commissione, tra le maggiori responsabilità dell’eclisse della Federconsorzi, vi sono le scelte strategiche compiute dal 1982 in poi dalla Coldiretti ed, in misura minore, per il minor peso che essa aveva, dalla Confagricoltura.

Il presidente dott. Wallner ha rivendicato per la sua breve gestione, coincisa con gli anni cruciali delle scelte mancate per la sorte della Federconsorzi, una lucida ed inascoltata intelligenza dei problemi.…….Sono un imprenditore qualsiasi con qualche conoscenza privilegiata perché il sindacato me ne ha dato l'opportunità, ma se lei prende i bilanci della Federconsorzi dal 1980 in poi credo che da una prima lettura dei crediti verso i consorzi agrari, che ammontavano a 2.200-2.300-2.500 miliardi, risulta che molti di questi consorzi agrari erano in decozione e molti altri in amministrazione coatta amministrativa. Chi li restituiva questi soldi?.

Non pare, però, alla Commissione che il dottor Wallner, nonostante talela consapevolezza e l'assunzione di alcune meritorie iniziative, abbia mai rinunciato ai cospicui vantaggi del sistema.