Seguito audizione Pellegrino Capaldo

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SENATO DELLA REPUBBLICA CAMERA DEI DEPUTATI


XIII LEGISLATURA

COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SUL DISSESTO DELLA FEDERAZIONE ITALIANA DEI CONSORZI AGRARI


RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 4 MAGGIO 1999


Presidenza del presidente Melchiorre CIRAMI

I lavori hanno inizio alle ore 19,35. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente) Presidenza del Presidente CIRAMI

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE

PRESIDENTE. Vi comunico che il vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, dottor Giovanni Verde, con lettera del 23 aprile 1999, ha rappresentato la complessità del distacco immediato del dottor Rosario Basile, designato dalla Commissione come collaboratore a tempo pieno nella seduta del 16 marzo u. s., in quanto l’accoglimento della richiesta della Commissione, unitamente a quelle già formulate da altre autorità ed organismi, comporterebbe il superamento del limite riguardante il numero massimo di magistrati collocabili fuori ruolo, per funzioni diverse da quelle giurisdizionali. Il dottor Verde ha fatto altresì presente che è all’esame della competente commissione consiliare un progetto di ampliamento del suddetto limite che, però, stante la delicatezza della questione, non potrà essere definito in tempi brevissimi. Su tale questione, però, negli ultimi due giorni vi è stata un’accelerazione, innanzitutto perché ha rassegnato le sue dimissioni, da consulente a tempo pieno, il dottor Di Lello, magistrato distaccato presso la Commissione antimafia. Peraltro, ho avuto ampia assicurazione che il giorno 11 maggio si riunirà il plenum per discutere la modifica della circolare che disciplina i fuori ruolo. Quindi, tra l’11 e il 12 maggio, potremmo già avere a disposizione il dottor Basile.

Un’altra questione riguarda il Comandante generale della Guardia di Finanza, generale Mosca Moschini, il quale non ha fornito alcuna risposta scritta né all’originaria richiesta né alla successiva sollecitazione, da me fatta con lettera del 20 aprile 1999, di distacco di due ufficiali e di un sottufficiale. Nella riunione dell’Ufficio di Presidenza del 27 aprile, avevo evidenziato l’opportunità di informare i Presidenti di Camera e Senato di tali due questioni, al fine di rappresentare l’estrema difficoltà in cui si trova la Commissione nel procedere all’inchiesta, in assenza di un supporto tecnico professionale che fornisca, come previsto dall’articolo 5 della legge istitutiva, una collaborazione qualificata all’attività della Commissione stessa. Il primo problema è stato superato in seguito ai successivi contatti informali intercorsi con il CSM di cui vi ho testé parlato. Per quanto riguarda invece l’assegnazione di due ufficiali della Guardia di Finanza, il Comando ha assicurato, per ora solo verbalmente, (ma non posso dubitare che non lo farà anche per vie formali) che metterà a disposizione della Commissione le persone richieste, a condizione che tale collaborazione non si formalizzi in un vero e proprio distacco, in modo che i due ufficiali possano conservare la titolarità dei loro uffici. Ritengo che la Commissione possa accedere a tale richiesta, qualora il Comando generale della Guardia di Finanza fornisca espressa assicurazione che la disponibilità, da parte della Commissione, dei due ufficiali si concretizzerà in una collaborazione piena e totale. A noi non interessava la ragione giuridica del loro distacco; essi possono essere formalmente assegnati ad altri uffici purché la collaborazione venga data a tempo pieno.

È stato invece assegnato alla Commissione un sottufficiale della Guardia di Finanza, il brigadiere Marcello Caprini – già distaccato presso il Nucleo della Guardia di Finanza di stanza presso le Commissioni bicamerali – il quale sarà adibito a tenere l’archivio della Commissione. Il CSM ha inoltre autorizzato il dottor Domenico Parisi – qui presente – a prestare collaborazione a tempo parziale ai lavori della Commissione per cui da oggi, se non vi sono osservazioni, egli è autorizzato, ai sensi dell’articolo 24, comma 5, del Regolamento interno, ad assistere alle sedute della Commissione.

Vi informo, quindi, che il senatore Pasquini ha trasmesso alla segreteria della Commissione il curriculum del ragioniere Francesco Picone, ai fini di un’eventuale consulenza su aspetti attinenti ai compiti istruttori affidati al terzo gruppo di lavoro (precisamente quello che si occuperà dei consorzi agrari provinciali), mentre l’onorevole Muzio ha fatto pervenire il curriculum del dottor Fabrizio Mancinelli.

In relazione alla composizione dei gruppi di lavoro, l’Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi e dai coordinatori ha disposto che il deputato Fortunato Aloi, chiamato a far parte della Commissione in sostituzione del deputato Adriana Poli Bortone, decaduto dal mandato parlamentare, subentri a tale deputato anche come componente del primo gruppo di lavoro. Vi informo, infine, che è stato attivato su Internet un sito della Commissione, al quale si accede attraverso il sito del Parlamento Organismi bicamerali (www.Parlamento.it/parlam/bicam/fconsor/home.htm), dove sono consultabili la legge istitutiva e il regolamento interno nonché i resoconti sommari delle sedute mentre, per quanto riguarda i resoconti stenografici, si prevede di renderli disponibili in tempi brevi. La segreteria della Commissione ha altresì predisposto una nota introduttiva che contiene informazioni sui poteri, la durata e l’attività della Commissione. La divulgazione dell’attività della Commissione anche su Internet è volta ad offrire un ulteriore strumento di pubblicità, anche se informale, dei lavori della Commissione per tutti coloro che, a vario titolo, sono interessati all’inchiesta parlamentare.

SEGUITO DELL’AUDIZIONE DEL PROFESSORE PELLEGRINO CAPALDO.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito dell’audizione del professor Pellegrino Capaldo, sospesa al termine della seduta del 20 aprile 1999.

Avverto che l’audizione si svolge in forma pubblica, secondo quanto dispone l’articolo 7 della legge n. 33 del 2 marzo 1998, e che è dunque attivato, ai sensi dell’articolo 12, comma 2 del Regolamento interno, l’impianto audiovisivo a circuito chiuso. Qualora da parte del professor Capaldo o di colleghi lo si ritenga opportuno in relazione ad argomenti che si vogliano mantenere riservati, disattiverò l’impianto audiovisivo per il tempo necessario. Ricordo inoltre che l’audizione si svolge, ai sensi dell’articolo 15, comma 3, del Regolamento interno, in forma libera e che il professor Capaldo ha comunicato che non intende avvalersi della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia.

Preciso infine che dell’audizione odierna è redatto il resoconto stenografico che sarà sottoposto, ai sensi dell’articolo 12, comma 6, del Regolamento, alla persona ascoltata e ai colleghi che interverranno, perché provvedano a sottoscriverlo, apportandovi le correzioni di forma che riterranno, in vista della pubblicazione negli Atti parlamentari.

Ricordo che, nella seduta del 20 aprile 1999, hanno preso la parola per porre domande i deputati Mancuso, Sanza e Gaetano Veneto ed i senatori D’Alì, Antonino Caruso, Bucci, De Carolis e Pasquini. Do la parola al deputato Abbate che mi ha chiesto di intervenire per primo.

ABBATE. Professor Capaldo, nel corso dell’ultima seduta, lei ha ripercorso, con molta precisione, le vicende che hanno interessato la Federconsorzi nel periodo successivo al suo commissariamento. Ha inoltre illustrato l’idea da cui prese avvio la costituzione della S.G.R, addentrandosi nella descrizione dei rapporti tra i valori delle stime effettuate e quelli relativi ai realizzi ottenuti, fornendo altresì una lunga serie di indicazioni ed orientamenti. Personalmente, quindi, sono del tutto soddisfatto dalle sue risposte e, per questo motivo, eviterò ulteriori esplorazioni in questo ambito, che ritengo estremamente interessante per il lavoro della Commissione, considerati anche i risvolti penali ad esso collegati. La mia domanda, pertanto, riguarderà il periodo precedente il commissariamento della Federconsorzi.

Nella scorsa seduta, ricordo che il professor Capaldo esordì sottolineando di non aver avuto alcun rapporto con questa struttura prima del 1988 e quindi di essere in possesso, a quella data, di informazioni assai limitate.

Sempre in base alle sue dichiarazioni, professor Capaldo, nel 1988 l’onorevole Lobianco le chiese dei pareri circa la difficile situazione in cui versava la Federconsorzi, cosa che lei fece dopo aver analizzato la relativa documentazione.

Ora, in base all’attività conoscitiva da lei svolta in quella fase, quale fu l’opinione che si formò circa le ragioni che avevano condotto al dissesto ed alla gravissima situazione di squilibrio economico della Federconsorzi?

Seconda questione: dal momento che non faceva parte della Federconsorzi, perché fu proprio l’onorevole Lobianco a prendere contatti con lei?

Inoltre, ricollegandomi a quella che definirei la singolare presenza dell’onorevole Lobianco in questa vicenda, ed in ordine alle cause e ai fatti che condussero alle note ed insanabili difficoltà economiche, mi interesserebbe sapere quale fu il ruolo svolto dalla Coldiretti e dalla Confagricoltura nell’ambito della Federconsorzi. Mi risulta, infatti, che questi soggetti emunsero del denaro, contribuendo così essi stessi ad allargare e ad aggravare il dissesto economico. Vorrei inoltre avere qualche chiarimento in merito a quella sorta di incrocio, o di incastro che si rileva tra gli incarichi della Federconsorzi e quelli di competenza della Confagricoltura e della Coldiretti.

CAPALDO. Onorevole Abbate, forse la deluderò, ma non credo di poter rispondere approfonditamente ad alcune delle sue domande, perché al riguardo non sono in possesso di alcuna informazione. Naturalmente, posso fornirle delle delucidazioni in merito all’opinione a cui ero pervenuto riguardo la situazione economica della Federconsorzi.

Sul ruolo svolto dall’onorevole Lobianco in questa vicenda, posso soltanto confermare che non faceva parte del consiglio della Federconsorzi, al cui interno, tuttavia, erano presenti i rappresentanti della Coldiretti e della Confagricoltura. La mia personale spiegazione è che l’onorevole Lobianco, in quanto presidente della Coldiretti - che credo fosse l’organismo maggiormente rappresentato nel consiglio della Federconsorzi - fosse evidentemente interessato alle sorti e all’andamento di quella struttura.

Non sono invece informato circa i rapporti tra la Federconsorzi e le altre confederazioni agricole, né so se la Coldiretti e la Confagricoltura emunsero del denaro.

Circa l’andamento economico della Federconsorzi e le ragioni del suo dissesto, mi feci l’opinione che il motivo principale fosse da attribuire alla formula su cui si basava questo organismo, una formula ormai superata, che mostrava di non funzionare più, nel mutato contesto complessivo.

Nel merito, la Federconsorzi svolgeva un’attività di commercializzazione di quelli che comunemente vengono chiamati i mezzi tecnici dell’agricoltura, mi riferisco cioè a trattori, fertilizzanti e così via. Tale attività di commercializzazione presentava - e presenta tuttora - margini sempre più ridotti che non consentivano di mantenere una organizzazione composita, complessa e, tutto sommato costosa, come quella esistente. Infatti, la Federconsorzi si articolava in consorzi provinciali, ognuno dei quali aveva un proprio consiglio di amministrazione, una direzione, macchine, autisti, e tutta questa complessa organizzazione comportava spese considerevoli che non venivano coperte dai proventi della attività.

All’esame della situazione, mi apparve evidente l’esistenza di un divario molto netto tra i costi complessivi della struttura e i margini che si potevano conseguire, come differenziale tra i prezzi di vendita dei prodotti e quelli di acquisto, e quindi torno a ribadire che tali margini non coprivano i costi generali. E’ chiaro, inoltre, che il trascorrere del tempo contribuiva a deteriorare sempre di più la situazione, proprio in quanto si era in presenza di un meccanismo che, strutturalmente, non era in grado di raggiungere l’equilibrio economico.

Nella mia analisi, individuai una seconda ragione di squilibrio che passo ora ad illustrare. Bisogna tenere presente che la Federconsorzi aveva molti investimenti, molti beni, numerosi immobili e partecipazioni. Larga parte di tali cospicui investimenti erano stati finanziati con l’indebitamento della struttura per migliaia di miliardi a fronte di attività consistenti; tuttavia, il reddito generato da tali attività era significativamente inferiore al costo dei capitali necessari per finanziarle. Va altresì considerato che, all’epoca, il costo dell’indebitamento era molto più alto di quello attuale perché i tassi raggiungevano anche il 14, 15, 16 per cento. In sostanza, considerati i costi del finanziamento, il frutto degli investimenti che venivano effettuati con tale finanziamento risultava di gran lunga più basso, e tutto ciò andava a pesare considerevolmente sul conto economico della Federconsorzi sul quale, in effetti, l’incidenza degli interessi passivi era veramente enorme.

In sintesi, individuai essenzialmente in due le cause del dissesto economico della Federconsorzi: da un lato, l’attività non consentiva più un equilibrio economico e quindi non si avvertiva più l’esigenza di una organizzazione così complessa per svolgere una attività di mera commercializzazione nel campo della agricoltura; dall’altro, vi era una dimensione di investimenti, finanziati con debiti, che determinava uno squilibrio nettissimo tra il frutto di quegli stessi investimenti e il costo dell’indebitamento medesimo. Non a caso suggerii due linee di intervento. Per contrarre i costi generali consigliai, in primo luogo, di semplificare e asciugare il più possibile la struttura passando a consorzi articolati su base non più provinciale, bensì regionale o interregionale. Inoltre, più che continuare nell’attività di commercializzazione dei prodotti destinati all’agricoltura, suggerii di utilizzare i consorzi stessi, al fine di fornire una reale assistenza all’agricoltura.

A mio avviso, era quindi necessario, in prima istanza, ridimensionare la struttura della Federconsorzi e quindi della rete consortile trasformandola tendenzialmente su base regionale o interregionale; in secondo luogo, ritenevo opportuno smobilizzare, per quanto possibile, gli investimenti non strettamente funzionali all’esercizio dell’attività - mi riferisco ad alcune partecipazioni in vari settori bancari, manifatturieri e così via - al fine di ridurre l’indebitamento. Procedendo in tal modo, si sarebbero ridotti gli interessi passivi contribuendo così al riequilibro dei conti.

MAGNALBO’. Signor Presidente, avrei quasi rinunciato a porre le domande perché, andando avanti con l’audizione, ho ottenuto già dei chiarimenti. Vorrei formulare comunque due domande a largo raggio dirette al professor Capaldo. La mia prima grande curiosità è quella di capire chi in effetti consigliò a Goria, pochi giorni dopo la sua nomina a Ministro dell’agricoltura, di commissariare la Federconsorzi. Si trattava di un atto chiaramente strano nel contesto di una vicenda che vede degli istituti bancari notoriamente impegnati in un’operazione extrabancaria, direi non confacente alle regole; chi consigliò a Goria di fare questa operazione che immetteva nella Federconsorzi dei soggetti che non erano al corrente della situazione o lo erano, ma con funzioni commissariali ed ispettive? A chi era diretta politicamente questa operazione, oppure si trattava solamente di una vendetta? Lei, se crede, può anche non rispondermi.

CAPALDO. Se avessi qualcosa da dire le risponderei pure.

MAGNALBO’. Come mai lei, che aveva in mano tutta questa situazione dall’una e dall’altra parte, cioè dal lato bancario e da quello della Federconsorzi, non pensò di parlarne immediatamente con Goria che si inseriva in questo contesto politicamente, addirittura come Ministro, per trovare una soluzione che fosse meno traumatica? Forse, se ciò fosse avvenuto, oggi non ci saremmo trovati qui. CAPALDO. Come lei ricorderà, nel corso della precedente audizione, prima delle domande ho ricostruito la storia di tutta questa vicenda, per quello che mi risulta.

Goria mi chiese un parere sulla situazione della Federconsorzi e io glielo diedi nel senso che, a mio avviso, la situazione doveva essere tenuta sotto controllo, certamente andava studiata a fondo e richiedeva alcuni provvedimenti, ma gli sconsigliai l’ipotesi del commissariamento per tutta una serie di ragioni. Riguardo a chi lo avesse consigliato, le ricordo che Goria è stato Ministro del tesoro per tanti anni, si intendeva di economia e non credo che avesse bisogno di essere consigliato da qualcuno. Immagino che a questa soluzione ci sia arrivato da solo; avrà ascoltato il parere di tante persone, si sarà fatto una propria opinione e poi avrà deciso per il commissariamento. Tecnicamente la ritenevo e la ritengo una soluzione sbagliata, ma devo anche aggiungere che Goria, con l’esperienza e la competenza che aveva in materia economica, era in grado di farsi autonomamente un’opinione. Quindi, non so perché abbia scelto questa strada, immagino che abbia ritenuto il commissariamento una soluzione adeguata ai problemi della Federconsorzi.

Inoltre lei afferma che io avevo in mano la Federconsorzi. Ma io non avevo in mano la Federconsorzi perché, come ho più volte precisato, mi erano stati richiesti alcuni pareri in maniera informale dall’onorevole Lobianco, ed io li avevo dati. Qualche volta l’onorevole Lobianco mi ha chiesto di incontrarmi anche con altre persone del mondo della Confagricoltura e della Coldiretti per discutere sempre di questi argomenti, ma la conoscenza dei fatti della Federconsorzi da parte mia finiva lì. Dall’interno la Federconsorzi non l’ho mai vista, non ho idea delle operazioni che facessero e di come venissero realizzate. Non avevo alcuna ragione di occuparmi di questo quindi non è che avessi in mano il mondo della Federconsorzi e quello delle banche. Goria mi ha interpellato e mi ha sentito, come immagino abbia sentito altre persone su questo argomento, e poi ha preso questa decisione, ritengo in perfetta autonomia e indipendenza. Successivamente, non ho avuto alcun motivo di occuparmi di quella situazione; ho iniziato ad occuparmene circa un anno dopo, nel quadro della proposta che porterà poi alla costituzione della S.G.R.

PRESIDENTE. Vede, professore Capaldo, queste domande nascono dal fatto che lei, nella scorsa audizione, ha smentito (ma forse non è stata chiara la smentita) una dichiarazione di Silvio Pellizzoni, contenuta nella richiesta di rinvio a giudizio della Procura di Perugia (peraltro, a suo avviso, mal interpretata). Leggo testualmente dalla richiesta di rinvio a giudizio: "l’ipotesi del commissariamento, previo accordo con il sistema bancario, aveva costituito all’epoca oggetto di ripetute discussioni in Fedit con Pellegrino Capaldo, il quale, come risulta dalle dichiarazioni dello stesso Pellizzoni e di tutte le persone coinvolte nella vicenda, oltreché da notizie di stampa, notoriamente era consulente di grande rilievo in Fedit fino al suo commissariamento". Nasce quindi, da questa affermazione, l’ipotesi che l’idea del commissariamento fosse stata suggerita da lei, sempre secondo quanto riferisce Pellizzoni, e che si trattava di un’idea che legava il commissariamento al fatto che le banche, tramite l’accordo che avrebbe dovuto patrocinare lo stesso Goria, avrebbero potuto accordarsi su quali procedure seguire dopo il commissariamento ossia concordato preventivo, cessio bonorum e quant’altro, attraverso la S.G.R.. In merito a questo, leggeremo le dichiarazioni rese da Pellizzoni, cosa che io ho già fatto e devo dire che non mi ha dato questa impressione. Infatti leggendo le dichiarazioni rese da Pellizzoni, devo essere onesto, non mi sembra che emerga questa circostanza.

CAPALDO. A mio parere - ma forse sono di parte - emerge il contrario, e cioè che ho sconsigliato a Goria il commissariamento.

PRESIDENTE. La prego di essere chiaro su questo punto per evitare che sorgano equivoci; se vuole può citare anche i passi della smentita.

CAPALDO. Sono chiarissimo. Confermo che non ho suggerito, anzi che ho sconsigliato, a Goria di commissariare la Federconsorzi. Confermo quello che ho già detto la volta scorsa e cioè che solo un cretino poteva dare un suggerimento di quel genere ed io non credo di esserlo. Aggiungo, inoltre, che Pellizzoni non ha mai detto questo. Ho potuto consultare in questi giorni il verbale dell’interrogatorio di Silvio Pellizzoni e leggendolo traggo il convincimento opposto e cioè che egli indirettamente conferma che non ne sapevo nulla. Pellizzoni nella sua esposizione dei fatti alla Procura della Repubblica presso il tribunale di Perugia dichiara: "…Ciò che emergeva era che il piano appariva ormai inadeguato in quanto per quegli importi vi erano difficoltà sia in relazione ai tempi delle dismissioni sia in relazione all’assetto stesso della Fedit, forse da ripensare complessivamente. Si fece largo quindi l’ipotesi di una soluzione politica, ossia un intervento di sostegno proveniente dall’esterno. Nel corso del 1990 tali soluzioni non ci furono e da parte Fedit si sollecitò il Ministro per mettere in liquidazione coatta amministrativa sei consorzi già commissariati. Più o meno nello stesso periodo per la prima volta per i consorzi in liquidazione coatta non si surrogò nei debiti, creando allarme nel sistema bancario". Perché la Federconsorzi, di fronte ad un consorzio agrario in difficoltà, in genere si surrogava nei debiti. Prosegue poi Pellizzoni: "L’unica soluzione di rilievo che si profilò all’orizzonte fu quella promossa pubblicamente dal presidente della Cariplo Mazzotta, il quale promise il sostegno delle casse di risparmio, delle banche popolari del nord e delle casse rurali a condizioni che Fedit si trasformasse in s.p.a., consentendo quindi l’ingresso di capitali. Le due confederazioni non gradirono la soluzione. Lobianco mi disse – è sempre Pellizzoni che parla – che si attendeva la nomina di un nuovo Ministro dell’agricoltura, dotato di autorevolezza nei confronti del mondo bancario. La soluzione, così come discussa anche con Capaldo, poteva essere il commissariamento della Fedit previo accordo con un gruppo di banche che assicurasse il sostegno finanziario necessario per ristrutturare e risanare la Fedit". Quindi un commissariamento non al buio, se così lo possiamo definire. Aggiunge inoltre Pellizzoni: "Mi disse successivamente Capaldo di aver suggerito una cosa del genere al ministro Goria nel frattempo insediatosi". (Quindi intanto si trattava di un commissariamento previo accordo). "Nel frattempo la situazione dei consorzi peggiorava e, nell’aprile del 1991, venne approvato il bilancio 1990 della Fedit, nella cui introduzione si dichiarava palesemente la necessità di un intervento finanziario straordinario.

Goria inviò prima un consulente per la parte immobiliare, tale Della Valle, che prese contatti con Frosina, responsabile Fedit del settore, per raccogliere informazioni sul valore del patrimonio immobiliare; successivamente, il 16 maggio 1991, il Capo di Gabinetto del ministro Goria mi preannunciò la visita di un altro esperto, il professor Dezzani dell’università di Torino, per informazioni sulla parte non immobiliare del patrimonio Fedit. Mentre si stava lavorando con Dezzani, confrontando le stime, arrivò una telefonata dal Capo di Gabinetto del ministro Goria che ci comunicò che la Fedit era stata commissariata.

I dati che stavano emergendo dal lavoro con i consulenti di Goria erano abbastanza soddisfacenti, in quanto l’attivo Fedit risultava ancora superiore al passivo, mantenendo in funzione la struttura Fedit.

La decisione sorprese perché non aspettò di conoscere l’esito del lavoro di stima dei consulenti ministeriali. C’è da dire, inoltre, che nella stessa giornata Bambara..." - un funzionario della Federconsorzi - "... mi aveva comunicato di aver avuto notizia ufficiale che il Credito italiano aveva approvato un finanziamento di 240 miliardi garantito dal credito Fedit verso lo Stato per gli ammassi, credito iscritto in bilancio, approvato e riconosciuto dallo Stato, ma allo stato non liquido, sebbene certo ed esigibile, in quanto nel bilancio dello Stato non c’era la copertura finanziaria. Il Credito italiano aveva preventivamente raccolto il parere favorevole del ministro Goria sull’operazione attraverso il presidente Scotti. Il pomeriggio dello stesso giorno..." - afferma sempre il dottor Pellizzoni - "...mi incontrai con Lobianco e Capaldo separatamente per cercare di capire cosa stava succedendo. Lobianco mi fece capire che politicamente qualcosa non aveva funzionato, mostrandosi visibilmente dispiaciuto delle modalità con cui Goria aveva preso questa decisione. Per il resto Lobianco fu evasivo e visibilmente scosso. Nell’incontro con Capaldo capii che lo stesso Capaldo aveva partecipato a qualche riunione con il Ministro e forse anche con altri membri del Governo, ma anche lui si mostrò sorpreso di un commissariamento così precipitoso, disposto senza il preventivo accordo con le banche per il necessario sostegno". Infine, a domanda, il dottor Pellizzoni riferì anche che: "Dal giorno del commissariamento Capaldo non apparve più e non sembrò svolgere più alcun ruolo". ALOI. Signor Presidente, desidero porre una domanda molto semplice, in merito al rapporto tra la Federconsorzi e gli organismi provinciali. Professor Capaldo, secondo quanto riportato nella documentazione fornitaci, lei avrebbe affermato che buona parte del dissesto economico era ascrivibile ad un certo meccanismo di indebitamento e di disfunzione dei suddetti organismi. Desidererei pertanto sapere se si sia mai pensato di trovare una soluzione che potesse avviare un discorso di risanamento, partendo proprio da una situazione di disfunzione, anche di ordine finanziario, a livello di organizzazione periferica della Federconsorzi? CAPALDO. Onorevole Aloi, come ho già detto, i temi sui quali posso rispondere approfonditamente sono quelli che riguardano la S.G.R. Rispetto invece alle questioni da lei poste non ho informazioni, se non molto scarse e quindi, più che di dati certi, posso parlare delle mie valutazioni e impressioni.

Come già riferito, il meccanismo della Federconsorzi aveva nel complesso una strutturale debolezza economica. Numerosi consorzi soffrivano di difficoltà strutturali dovute al fatto che l’incidenza dei costi della struttura era sproporzionata rispetto ai margini che l’attività di commercializzazione generava e quindi si poneva un’esigenza di ristrutturazione che, a mio avviso, poteva essere efficacemente realizzata attraverso l’accorpamento di più consorzi. Ovviamente, esisteva il problema dei debiti che non poteva essere risolto se non rimuovendo la causa dell’indebitamento stesso. Infatti, il meccanismo funzionava in genere nel seguente modo: il consorzio si trovava ad avere dei fabbisogni finanziari, la Federconsorzi provvedeva attraverso dei prestiti, oppure garantendo l’indebitamento, in genere a tassi abbastanza alti, così che, guadagnando un certo spread riusciva anche a far quadrare - almeno apparentemente - i propri bilanci. Quindi il meccanismo procedeva in questo modo e cioè sulla base della dilatazione dell’indebitamento di molti consorzi provinciali nei confronti della Federconsorzi, finché non si giunse però al punto di rottura, ossia a quello della assoluta insostenibilità del debito da parte dei consorzi provinciali medesimi. Per queste ragioni molti di essi entrarono in crisi, alcuni furono commissariati ed altri posti in liquidazione coatta amministrativa.

Da un punto di vista economico, la soluzione del problema avrebbe dovuto essere ricollegata al recupero di efficienza del sistema, ma questa scelta non fu percorsa, sia per la difficoltà della sua realizzazione, sia perché sarebbe stato necessario rimettere in discussione tutta la formula su cui si basava la Federconsorzi. Ovviamente, una volta andato in crisi il sistema, la possibilità di recupero nei confronti dei consorzi provinciali - magari posti in liquidazione coatta - era legata come in qualunque procedura concorsuale, agli esiti della vendita dei beni e all'entità dei proventi ottenuti.

Concludendo, l’indebitamento era la conseguenza di un meccanismo economico ormai non più funzionale. Si era infatti di fronte ad una struttura che sistematicamente produceva perdite cui si doveva ovviamente far fronte con l’indebitamento che, considerati gli alti tassi di interesse dell’epoca, cresceva a ritmi vertiginosi, tanto è vero che ad un certo punto il sistema della Federconsorzi giunse alla paralisi.

Torno a ribadire, quindi, che a mio avviso la soluzione da attuare non era trovare una generica sistemazione dell’indebitamento, bensì incidere sulle strutture, garantendo in tal modo economicità al sistema.

PRESIDENTE. Per ragioni di chiarezza, vorrei sapere se, in base alle sue conoscenze, il professor Capaldo ritenga possibile che il sistema bancario non fosse al corrente della situazione di indebitamento - arrivato al limite del collasso nel rapporto tra Federconsorzi e consorzi agrari provinciali - né della gestione della Federconsorzi e delle relative cause di dissesto che portarono poi al suo crollo finale. Perché si continuavano a garantire ancora crediti alla Federconsorzi, fino a qualche giorno prima del suo commissarimento? Ripeto, è credibile che il sistema bancario non fosse in possesso di informazioni circa lo stato di decozione al quale si avviava la Federconsorzi? Se le cose stessero veramente in questi termini, desterebbero a mio avviso qualche perplessità.

CAPALDO. Signor Presidente, anche in questo caso non posso fornire che delle mie valutazioni. Sono, al riguardo, dell’avviso che questi aspetti non destino perplessità, se solo ci si cala nella specifica situazione e nell’Italia dell’epoca. Intendo dire che esisteva il generale convincimento che la Federconsorzi fosse un organismo pubblico e che in qualche modo - attraverso interventi dello Stato di vario tipo, o mediante finanziamenti agevolati - si sarebbe potuta trovare una soluzione al problema.

PRESIDENTE. Forse la situazione poteva anche essere in questi termini; tuttavia, possibile che da parte della la Banca d’Italia o del Ministero dell’agricoltura - considerata la funzione di vigilanza alla quale sono chiamati - non venisse richiesto il rispetto di alcune garanzie formali?

CAPALDO. Signor Presidente, la Federconsorzi era una normale impresa che veniva finanziata in ragione del merito creditizio. Ovviamente, se si vuole fare un processo nei confronti del sistema bancario lo si può anche fare, anche se bisogna comunque tenere presente che in questo caso non si sta parlando di alcuna banca in particolare. Da quanto risulta, il giorno prima del commissariamento della Federconsorzi, il Credito italiano aveva deliberato una linea di credito di ben 240 miliardi.

ALOI. Questo è un aspetto molto preoccupante!

PRESIDENTE. Ritengo che l’aspetto veramente preoccupante è che improvvisamente, dopo il commissariamento, questo atteggiamento di fiducia estrema del sistema bancario nei confronti della Federconsorzi venne meno del tutto.

CAPALDO. Come reazione mi sembra del tutto ovvia ed è naturale che ciò si verifichi a seguito di un commissariamento. Ecco perché sconsigliai tale scelta al ministro Goria; perchè il commissariamento in fondo che cosa significa e come viene interpretato in quel contesto? Lo Stato prende le distanze dalla Federconsorzi. A quel punto il sistema bancario prende anch’esso le distanze, mettendo in conto le perdite. Questo è il punto. Il commissariamento non è un fatto meramente tecnico, ma viene letto come una scelta politica. Ricordiamoci che, oltre alle banche italiane, anche quelle estere hanno finanziato la Federconsorzi; questo che vorrebbe dire, che sono tutte inefficienti?

MANCUSO. Signor Presidente, al fine di completare la mia comprensione delle domande che sono state poste, le chiedo quale sia il problema che sottostà alla domanda se il professor Capaldo avesse o meno consigliato il commissariamento. Quale rilevanza ha un problema del genere ai fini della nostra indagine? Se viene posta la domanda io che non l’ho posta - e non l’avrei posta - mi chiedo perché da altri, più arguti di me, sia stata fatta. Se il professore dicesse di aver consigliato o, come invece ha detto, di non aver consigliato il commissariamento, cosa cambierebbe ai fini del nostro interesse? Le rivolgo queste domande, signor Presidente, sempre per comprendere e non per contestare. Inoltre, quando si chiede al professor Capaldo perché il sistema bancario non abbia reagito con maggior cautela, egli che cosa ci può dire al riguardo? E quando ci avesse fornito una sua opinione, come questa verrebbe ad integrare e a soddisfare il nostro obbligo di interesse? Pongo questa domanda, ripeto, non per contestare, ma per partecipare di più alla comprensione delle altrui domande.

PRESIDENTE. Dovremmo porci nella mente di chi le propone.

MANCUSO. Compresa la sua.

PRESIDENTE. Compresa la mia, però non le anticipo quello che è il mio retropensiero.

LOSURDO. Chiedo alcune precisazioni in ordine a quanto lei ha affermato, precisazioni che gli avvocati chiamano ad colorandum, ma che potrebbero avere un significato anche sostanziale. Proprio all’inizio del suo intervento, nel corso della precedente audizione, lei disse che nel 1988 l’onorevole Lobianco le chiese di incontrarla per avere il suo parere. Le domando se le fu richiesto di dare un mero parere sulla situazione della Federconsorzi o se invece le fu richiesto di approntare un vero e proprio piano di ristrutturazione della Federconsorzi. Inoltre, subito dopo, afferma che, venuto in possesso di alcuni documenti essenziali, ne riferì in breve tempo. Le chiedo se ci può precisare l’arco di tempo in cui ha riferito, dopo che gli fu affidato questo incarico. Quindi, per riepilogare, se le fu commissionato un piano di ristrutturazione e in quanto tempo ha riferito.

Successivamente le porrò un’altra brevissima domanda.

CAPALDO. Preciso subito che non fu assolutamente un piano.

Devo premettere che la mia professione è proprio quella di esaminare situazioni di aziende anche in difficoltà e di avanzare ipotesi di risanamento o comunque di soluzione.

Mi fu chiesto un incontro, affinché mi venissero rappresentate le problematiche di questa realtà - che all’epoca non conoscevo – per avere una mia opinione. Fornii un parere esclusivamente verbale, che non si è mai concretizzato in un piano di ristrutturazione, a circa quindici giorni di distanza dal colloquio prima citato, quindi giusto il tempo necessario per dare uno sguardo alle carte. Devo dire, comunque, che non impiegai molto tempo per rendermi conto di quali fossero i suggerimenti da dare, anche perché questo è il mio lavoro e la situazione era abbastanza chiara. Per capire che la macchina era inceppata dal punto di vista economico non mi ci volle molto tempo ed era altrettanto evidente che c'era un indebitamento cospicuo, con costi di gran lunga superiori al frutto degli investimenti.

LOSURDO. Un’altra brevissima domanda.

Risulta dagli atti della Commissione di indagine ministeriale che il giorno stesso del commissariamento il direttore generale della Federconsorzi Pellizzoni si recò subito da lei prima ancora di andare, per esempio, dal presidente della Federconsorzi. Non le chiedo, perché sarebbe stupidamente provocatorio, come giustifica questo fatto, ma le domando come spiega che il direttore generale della Federconsorzi, non si rechi dal presidente della Federconsorzi o della Coldiretti, ma si rechi dal professor Capaldo il giorno stesso del commissariamento.

CAPALDO. A parte il fatto che il mio studio si trova a trecento metri dalla sede della Federconsorzi, Pellizzoni afferma che quel giorno ha incontrato Lobianco e me, ma non so se abbia incontrato o meno il presidente della Federconsorzi. Il dottor Pellizzoni mi telefona e mi chiede di poter farmi visita, non capisco quale sia il problema. Non so che dirle, evidentemente ha pensato che gli potessi dire qualcosa, oppure voleva consultarsi con me per avere una prospettiva di quelli che potevano essere gli sviluppi del commissariamento. Quando Pellizzoni chiedeva di incontrarmi per avere qualche suggerimento io di norma lo incontravo, non avevo motivo per non farlo perché ho stima della sua professionalità. In quell’occasione mi chiese un incontro, durante il quale abbiamo commentato e ci siamo interrogati sugli sviluppi della vicenda, ma non saprei dire ora perché egli venne da me e non si recò altrove.

CHIUSOLI. Se l'onorevole Mancuso, con la sua amabile cortesia non mi mette in difficoltà chiedendomi il motivo per cui pongo determinate domande, vorrei rivolgerle, professor Capaldo, innanzitutto una domanda di carattere generale e in secondo luogo chiederle una valutazione.

In questa sede non mi sento né detective né poliziotto, ma vorrei dare, se è possibile, un giudizio politico alla fine del mio lavoro. Quindi mi accontento di questo tipo di domande le cui tematiche, peraltro, sono state già sfiorate nell’audizione precedente.

La prima domanda di ordine generale riguarda un approfondimento sul suo grado di conoscenza del cosiddetto "progetto Fiordaliso", che aveva elaborato o stava elaborando la Akros del dottor Roveraro. Ad una precedente domanda del collega Gaetano Veneto lei ha risposto in maniera molto veloce e sbrigativa, quando invece dagli atti della procura della Repubblica presso il tribunale di Perugia sembra di capire che il dottor Roveraro non era uno dei tanti interlocutori che in quei giorni si ricevevano o si incontravano, ma piuttosto rappresentava l’alternativa alla proposta Casella. Vorrei quindi chiederle cortesemente un approfondimento sul suo grado di conoscenza di questo progetto e sui rapporti che lei ha avuto con la Akros e con il dottor Roveraro.

In secondo luogo, le chiedo di fare una valutazione, ma lei potrebbe anche dirmi che non ha alcuna valutazione da fare. Il dottor Greco rispondendo a Perugia, a proposito della congruità del prezzo di cessione della Federconsorzi, ad un certo punto dichiara: "Non capisco perché avrei dovuto chiedere un parere sulla congruità dell’offerta Casella quando ci era evidente che l’offerta non era congrua ma che c’erano motivi di opportunità per accettarla". Spero, prima o poi, di poter rivolgere questa domanda all’autore della frase; nel frattempo le chiedo di darmi il suo parere in proposito.

CAPALDO. Riguardo al progetto "Fiordaliso", credo di aver detto tutto quello che sapevo, anche se in realtà sono consapevole che è veramente ben poco.

Ricordo di aver incontrato in una o due occasioni il dottor Roveraro, il quale mi riferì di avere in fase di elaborazione un piano che in effetti, dalle notizie in mio possesso, mi consta che non prese mai corpo.

Posso invece affermare con certezza che il progetto "Fiordaliso" era un piano completamente diverso dal nostro, perché mirava alla ricostituzione di una rete al servizio dell’agricoltura; quello che fu poi definito "piano Capaldo", invece, consisteva semplicemente in un progetto per vendere al meglio i beni di un’azienda ammessa al concordato preventivo, e la costituzione della S.G.R. ebbe come unico scopo appunto lo smobilizzo di quei beni.

Debbo ammettere, onorevole Chiusoli, che anche in me desta qualche perplessità la dichiarazione del dottor Greco, da lei riferita, e riportata nel documento della procura di Perugia; tuttavia, non avendo avuto modo di leggere il verbale riguardante l’interrogatorio del dottor Greco, non sono in grado di rispondere.

Sono comunque dell’avviso che all’espressione "congruità dell’offerta" si possano attribuire diversi significati, anche se francamente non so dire in quale accezione precisa abbia inteso utilizzarla il dottor Greco; presumo con un significato del tutto particolare.

D’altra parte, dalla lettura dei documenti relativi alle riunioni del tribunale fallimentare che hanno portato alla approvazione della proposta S.G.R. - per cui sono stati necessari circa dieci mesi (dal marzo 1992 al marzo 1993) - emerge che è stata condotta un’analisi della situazione a tutto tondo e assai approfondita, per la quale ci si è avvalsi anche di pareri forniti da diversi soggetti.

Proprio alla luce di questi fatti, mi sembra molto strano che il dottor Greco possa aver sbrigativamente dichiarato che l’offerta non era congrua, ma che vi erano comunque motivi di opportunità per accettarla; ma su questo certamente il dottor Greco potrà essere più preciso di me.

RUBINO Paolo. Professor Capaldo, le sarei grato se potesse aiutarci a comprendere un po’ meglio questa vicenda. Premesso che si era in presenza del grave dissesto di un organismo come la Federconsorzi, che non era certo il piccolo consorzio agrario provinciale, ma un sistema che ha fatto la storia dell’agricoltura italiana, devo dire che stupisce quanto risulta dalle sue risposte; infatti, ritengo estremamente riduttivo che le uniche due figure cui si fa riferimento in questa vicenda siano rappresentate dal ministro Goria e dall’onorevole Lobianco. Per quale ragione, ad esempio, non appare mai il Governo nella sua collegialità? Eppure, torno a sottolineare che la storia di questo paese, soprattutto per quanto riguarda il settore agricolo, si può leggere attraverso quella della Federconsorzi. Quello che rende assai perplessi è che, di fronte a una problematica di quella importanza e di quella ampiezza, vi sia stata una quasi totale assenza del Governo. Infatti, ad eccezione del ministro Goria, non sembrerebbero esservi tracce di altri o, per lo meno, il professor Capaldo finora non ne ha dato notizia.

Tuttavia, nel corso di questa vicenda, talvolta con un linguaggio cifrato, è stato fatto cenno a qualcosa, magari utilizzando frasi oscure come: "Goria ha dato un dispiacere...".

Ebbene, che cosa c’era dietro tutto questo; esisteva uno scontro all’interno del Governo su questi temi, oppure quella del commissariamento fu un scelta sbagliata, del tutto attribuibile al Ministro?

Lei, professor Capaldo, che in quel momento era il consulente di fiducia, ha memoria e conoscenza del dibattito - ammesso che vi sia stato - che si svolse all’interno del Governo su questa vicenda?

Seconda questione. Credo che la risposta da lei fornita circa le ragioni della crisi della Federconsorzi sia molto semplicistica; lei ha infatti affermato che il sistema della Federconsorzi non funzionava più; ma si trattava soltanto di questo?

Lei conosceva talmente bene questa struttura che le è stato sufficiente pochissimo tempo per individuare la causa del malfunzionamento e quindi quale fosse il problema e la sua soluzione.

Ripeto, lei ritiene che la causa del fallimento strutturale e della crisi della Federconsorzi fosse soltanto quella da lei indicata, oppure ipotizza che fosse imputabile anche a ragioni di scarsa trasparenza e di cattiva gestione?

Desidero a questo punto porre un’ultima questione che più che altro è una curiosità che può servire a comprendere meglio la situazione.

Il ministro Goria utilizzò la sua esperienza in quanto lei era un consigliere economico? Intendo dire, per quale motivo il ministro Goria decise di rivolgersi al professor Capaldo? Non credo infatti che abbia individuato il suo nome attraverso una ricerca ell’elenco telefonico!.. Per quale ragione, quindi, si stabilì che dovesse essere lei l’esperto in grado di trovare la soluzione del problema?

CAPALDO. Onorevole Rubino, riguardo alla prima questione da lei posta non ho delle opinioni, né delle informazioni.

Mi preme comunque precisare un aspetto. Da quanto ho potuto ascoltare, sembrerebbe quasi che io mi sia occupato sempre della Federconsorzi, della quale mi sono invece interessato solo marginalmente e in un periodo in cui svolgevo contemporaneamente anche tantissime altre attività. Anzi, desidero aggiungere che, nell’ambito della mia vita professionale, la consulenza prestata per la Federconsorzi non rappresenta certo l’impegno più rilevante. Come ho già dichiarato, l’onorevole Lobianco mi chiese di incontrarlo per avere un parere sulla Federconsorzi.

Riguardo poi all’osservazione avanzata dall’onorevole Rubino circa la superficialità dell’analisi da me effettuata in quella occasione, posso semplicemente assicurare che non era certo difficile comprendere che il meccanismo su cui si basava la Federconsorzi non funzionava affatto e che era strutturalmente in perdita; ovviamente poi stava ai responsabili trovare il modo per risolvere il problema. Per parte mia dichiarai soltanto che, se le cose avessero continuato a procedere nello stesso modo, l’azienda sarebbe precipitata inesorabilmente verso il dissesto. Come ho già detto i costi erano sproporzionati rispetto ai margini e, per ovviare a tale situazione, si dovevano accrescere i margini, oppure ridurre i costi. Non ci voleva molto per effettuare diagnosi di questo tipo! Si tratta infatti di valutazioni per cui non è necessario avere una conoscenza approfondita di una struttura, né essere al corrente del funzionamento di tutto il mondo consortile. Per quanto mi si richiedeva in quella fase, per poter formulare dei suggerimenti era più che sufficiente una semplice analisi del bilancio e della documentazione integrativa ad esso relativa. Si trattava, del resto, solo di suggerire quelle che potevano essere linee di intervento che avrebbero dovuto essere successivamente messe a punto. Infatti, Pellizzoni predispose, con l’ausilio di un gruppo nutrito di consulenti, un piano di ristrutturazione che grosso modo seguiva le linee di intervento da me suggerite. Si trattava di linee che avevo indicato, ma che in realtà avrebbe indicato chiunque avesse avuto una certa esperienza in questa materia. Qualunque persona pratica di situazioni di crisi aziendali immagino sarebbe arrivata all’individuazione di quelle linee di intervento, salvo poi arrivare a concretizzare un piano di ristrutturazione molto dettagliato come aveva fatto successivamente Pellizzoni.

Sono professore ordinario a Roma di queste materie da trent’anni; nel settore sono abbastanza conosciuto come esperto di queste tematiche e credo che Lobianco prima e Goria dopo abbiano ritenuto che potessi dare un giudizio riguardo ad una situazione di quel genere. Del resto, Goria mi conosceva, sia pure superficialmente dall’epoca in cui era a capo del Dicastero del tesoro. Probabilmente sapeva che Lobianco mi aveva in precedenza interpellato e che ero a conoscenza, sia pure a grandi linee, della situazione della Federconsorzi e quindi mi chiamò. Il nostro fu un colloquio di un quarto d’ora, forse mezz'ora, ma immagino che in quei giorni abbia sentito chissà quante altre persone. Non si trattò di un rapporto di consulenza, dal momento che non affrontai sistematicamente la questione della Federconsorzi. Ci incontrammo al Ministero, ci scambiammo alcune opinioni circa le problematiche di cui sopra, ma non si può certo dire che io fossi organicamente presente nel mondo della Federconsorzi. Di presenze come quelle che ho avuto nella Federconsorzi credo di averne avute in tantissime altre vicende. Quella non era "la vicenda professionale", ma una delle tante cose di cui mi occupavo e sulla quale, potendo, davo - a richiesta – un’opinione. Tutto finiva lì. E’ sbagliato identificare me con la Federconsorzi o, comunque, pensare che io abbia avuto un rilievo importante; infatti su svariati argomenti non sono in grado di rispondere semplicemente perché non ne sono a conoscenza. Le linee generali del meccanismo federconsortile le avevo capite benissimo e su questo argomento non ho dubbi, come non li ho in merito alla diagnosi che avevo fatto. Posso rispondere in maniera esauriente e dettagliata su tutta la problematica inerente alla S.G.R. perché si tratta di vicende che ho vissuto. Su tutto il resto, capisco la vostra curiosità, ma ritengo di non essere la persona più adatta a poterla soddisfare. Vi sono tante altre persone in grado di soddisfare queste curiosità perché hanno vissuto certi problemi e quindi vi possono dire di più. Io invece credo di potervi riferire delle cose interessanti sulla questione della S.G.R., mentre - ripeto - su tutto quello che esula dalla S.G.R. posso fornirvi solo qualche notizia o qualche impressione, che non credo possa esservi utile più di tanto.

Non so se ho risposto alle domande che mi sono state poste. RUBINO Paolo. Ha detto quello che pensava. Io le ho chiesto se lei non si sia incuriosito del fatto che intorno ad un problema di questa natura il Governo non ne discuteva e che se ne occupava solo un Ministro.

CAPALDO. Immagino che il Ministro ne parlasse anche in sede governativa. Certo era un problema importante, ma era anche un Ministro ad occuparsene e non un funzionario qualsiasi del Ministero.

Tutto sommato, mi sembrava che ci fosse congruità tra il problema e i soggetti che se ne occupavano. Non so dire se, poi, il Ministro facesse tutto da solo o si consigliasse politicamente. Immagino che si sia consultato anche con il Presidente del Consiglio.

ALOI. Pongo al professor Capaldo una domanda molto semplice. Poiché egli ci ha detto che è in grado di fornire notizie più precise solo in ordine alla S.G.R. la domanda che aveva posto il collega la sposto in avanti dal punto di vista cronologico. Nel momento in cui ha messo mano a questa nuova società, ha avuto la sensazione che esistesse un qualche condizionamento o una qualche interferenza da parte del settore politico governativo per tentare, attraverso anche questo organismo, di non far emergere delle responsabilità pregresse? Ho colto, signor Presidente, l’input che mi ha fornito lo stesso professor Capaldo il quale ha dichiarato che, in merito al secondo momento, è in grado di dare qualche notizia in più.

CAPALDO. In merito a questo punto, credo di poter essere abbastanza preciso. Come ho già avuto modo di dire, la S.G.R. non ha avuto alcuna relazione con tutte quelle che potevano essere le responsabilità politiche o di altro tipo in questa vicenda. La S.G.R., infatti, fa una cosa semplicissima: in presenza di un concordato si propone semplicemente di comprare in blocco i beni da questo concordato per venderli con procedure efficienti. Non fa altro. Sotto il profilo al quale lei fa riferimento, il fatto che la S.G.R. abbia comprato o meno questi beni è assolutamente irrilevante. Infatti, se invece di vendere tutti i beni alla S.G.R. l’amministrazione concordataria li avesse venduti pezzo per pezzo, il contesto generale non sarebbe cambiato. Ne consegue che il progetto S.G.R. – a mio avviso - non è stato favorito o, per lo meno, io non ho percepito né sostegni né intralci per questo progetto. Si è trattato di un progetto che si è svolto tutto su un terreno tecnico. È stata fatta una proposta all’amministrazione concordataria sulla quale si è discusso - come ho già detto - per mesi e mesi e alla fine è stata approvata. Il ruolo della S.G.R. è semplicissimo. S.G.R. ha un senso e compare dopo che la vicenda ha avuto ormai un suo corso definitivo, cioè dopo che la Federconsorzi come azienda è scomparsa. C’è una massa di beni che si deve vendere per soddisfare, seppure parzialmente, le ragioni dei creditori e la S.G.R. si propone semplicemente come lo strumento per dare alla liquidazione di questi beni un metodo efficiente. Tutto qui. Per il resto essa non ha avuto alcun significato politico, né diretto né indiretto, e non serviva a coprire né a scoprire responsabilità di nessuno. È uno strumento tecnico per liquidare i beni che comunque andavano venduti in quanto facevano parte di un concordato preventivo.

PREDA. Professore, la mia domanda ritorna sul tema della Federconsorzi. Lei era ed è un grosso consulente aziendale e fu chiamato dal direttore della Federconsorzi per esaminare i dati di questo sistema.

CAPALDO. Non dal direttore della Federconsorzi ma dal Presidente, neppure della Federconsorzi, ma della Coldiretti.

PREDA. Comunque, lei ha avuto occasione di esaminare i dati di questa situazione abbastanza strana che faceva capo alla Federconsorzi. Come qualsiasi consulente aziendale del suo calibro, ritengo che abbia giustamente esaminato il bilancio dell’anno in corso ed anche quello degli anni precedenti ed abbia rilevato – mi sono segnato due o tre frasi che ha detto e che condivido in pieno – che bisognava dare economicità al sistema, che c’era questo sistema abbastanza strano di rapporti con i consorzi agrari provinciali di cui rispondeva la Federconsorzi, che il margine di guadagno sui mezzi tecnici era molto limitato, che c’era da far quadrare il conto economico, che era in una situazione di grave squilibrio, ed altresì da provvedere ad una serie di interventi rispetto alla gestione ordinaria della Federconsorzi.

Ovviamente credo che lei, professor Capaldo, come qualsiasi altro consulente aziendale, avrà certamente esaminato i problemi determinati dallo squilibrio finanziario dell’azienda e quindi fornito anche i conseguenti consigli professionali. Inoltre, per la individuazione di tali linee direttrici immagino abbia dovuto effettuare una valutazione sul patrimonio della Federconsorzi, onde sollecitarne l’eventuale parziale smobilizzo con il fine di coprire i debiti accumulati.

Ipotizzo altresì che lei, professor Capaldo, nel fornire i suoi pareri sia entrato nel merito dell’intero sistema consortile e quindi anche dei rapporti con i consorzi agrari, della gestione del personale, della situazione del conto economico, dei margini e delle perdite e, infine, dei beni che avrebbero dovuto essere venduti per far fronte alla situazione debitoria.

Fatta questa breve premessa, desidero porre la seguente questione. A mio avviso, non credo sia opportuno sottovalutare il rapporto che intercorreva tra la Federconsorzi e il sistema bancario proprio perché ritengo che gli istituti bancari abbiano concesso crediti a questa struttura non soltanto sulla base di un vago merito creditizio, ma probabilmente in quanto vedevano nella Federconsorzi un soggetto comunque importante sotto il profilo economico.

Vorrei quindi sapere se i consigli che lei fornì nell’occasione di cui ci ha parlato - anche se solo a titolo informale - riguardassero l’intero patrimonio e l’intera attività della Federconsorzi.

CAPALDO. Onorevole Preda, rispondendo all’onorevole Abbate, ho precedentemente fornito alcune precisazioni riguardanti appunto gli aspetti da lei richiamati. Ho riferito, infatti, che all’epoca suggerii essenzialmente due linee di intervento di carattere generale: innanzi tutto, il recupero di economicità e di efficienza del sistema attraverso una riduzione dei costi e, laddove fosse possibile, un miglioramento dei margini; in secondo luogo, il miglioramento della situazione finanziaria dell’azienda, mediante lo smobilizzo di alcuni beni non indispensabili all’esercizio della sua attività, proprio con lo scopo di ridurre l’indebitamento che era diventato particolarmente oneroso. Ovviamente, per giungere alla formulazione di queste due indicazioni, avevo dovuto effettuare una analisi sia della situazione economica, che di quella finanziaria.

Occorre però sottolineare che fornire delle "linee di intervento" non significa proporre un piano, tanto è vero che suggerii al mio interlocutore di organizzarsi proprio per predisporre un piano di risanamento della Federconsorzi. Va inoltre tenuto presente che elaborare un piano di quel genere, e per un’azienda di tali dimensioni, non era certo una cosa di poco conto, né si trattava di un impegno che potesse essere svolto solo da un unico consulente. In realtà seppi che fu deciso di seguire l’indicazione da me fornita, tanto è vero che ricordo che il dottor Pellizzoni - manager capace e di grande professionalità - una volta assunto, avvalendosi della collaborazione di numerosi consulenti, costruì un progetto molto articolato, che si muoveva lungo quelle linee direttrici a favore delle quali mi ero espresso e che in realtà rappresentavano a mio avviso dei percorsi obbligati.

In tal modo, quindi, si passò dai miei suggerimenti di ordine generale alla elaborazione di un programma di risanamento, che diventò anche un piano operativo di intervento. In quell’occasione, pertanto, io svolsi quasi la funzione del medico, dell’esperto al quale la persona che ha dei problemi di salute si rivolge per avere qualche prima delucidazione; tuttavia, occorre tener presente che dopo questa prima fase, si rende necessario procedere a delle analisi, a degli approfondimenti della situazione, per poi passare alla diagnosi vera e propria. Torno a ribadire, quindi, che mi si chiese in quel frangente soltanto di esprimere un’opinione personale sulla situazione di quell’azienda e per svolgere un compito di questo tipo non era necessario molto tempo; ovviamente, la questione cambia radicalmente se dalla semplice espressione di un parere si vuole passare alla realizzazione di un piano di risanamento! Tale piano fu comunque predisposto in seguito, basandosi proprio sulle linee direttrici che avevo anch’io suggerito e che rispondevano a criteri molto obiettivi, mi riferisco cioè, da un lato, al recupero dell’efficienza e, dall’altro, al riequilibrio del sistema finanziario.

PREDA. Lei, professor Capaldo, ha seguito poi l’evolversi del piano messo in atto dal dottor Pellizzoni?

CAPALDO. No, onorevole Preda. Posso solo aggiungere che il dottor Pellizzoni veniva di tanto in tanto a trovarmi perché aveva piacere di illustrarmi alcuni aspetti sui quali mi chiedeva anche dei consigli, ma si trattava di questioni molto tecniche relative alla costruzione del piano stesso. Ribadisco, comunque, che anche se non effettuai mai un analisi di quel piano - non vi era alcuna ragione per farlo - seguendone seppure a distanza l’elaborazione, avevo comunque l’impressione che con il lavoro svolto dal dottor Pellizzoni e dai suoi consulenti si fosse in realtà centrato il problema.

VENETO Gaetano. Signor Presidente, oggi mi ero ripromesso di non intervenire, dal momento che lo avevo fatto estesamente nella scorsa seduta, forse rubando un po’ del tempo a disposizione dei colleghi.

Tuttavia, anche se con molta brevità, desidererei verificare un aspetto, considerato anche che la nostra non è una Commissione di indagine, ma di inchiesta e quindi, se è vero che non svolgiamo funzioni di detective, è altrettanto reale che ci sono stati concessi ed imposti dei compiti che dobbiamo assolvere.

Leggendo il resoconto stenografico della seduta del 20 aprile scorso, ho avuto modo di riprendere in esame una domanda che le avevo posto e le cui motivazioni hanno trovato conferma attraverso un attenta analisi del verbale relativo all’interrogatorio del dottor Geronzi.

A mio avviso, professor Capaldo - e lo dico non per smentire la risposta da lei fornita nella scorsa audizione, ma proprio per aiutarla a ricordare - non è vero che il sistema bancario non si fosse posto il problema di una esposizione che ammontava a 5.000 miliardi, a fronte di una garanzia di 36 miliardi.

A mio avviso non risulta vero neanche quanto da lei riferito - e riportato a pagina 51 del suddetto resoconto stenografico - rispondendo alla mia domanda circa l’apertura di un tavolo di confronto presso l’ABI; mi riferisco in particolare a quando ha dichiarato che quest’ultima: "si è occupata molto di questi aspetti, non tanto a livello di consiglio di amministrazione e comitato esecutivo, quanto nel promuovere incontri tecnici tra le banche".

Infatti, nel suo interrogatorio - effettuato alle ore 11 del 10 maggio 1997, presso la procura della Repubblica di Perugia - il dottor Geronzi dichiara testualmente: "Io partecipai ad una sola riunione in sede ABI, insieme a tutti i componenti del comitato esecutivo, ove si discusse del tentativo del ministro Goria di trovare una soluzione concordata con il sistema bancario della situazione creatasi in Fedit".

Ricordo che, nella scorsa seduta e proprio a tale riguardo, replicai alle sue affermazioni, professor Capaldo, dichiarando di aver preso atto che l’ABI, di fronte ad una esposizione debitoria di 5.000 miliardi, non aveva ritenuto di coinvolgere politicamente i suoi organi istituzionali, limitandosi ad interessare soltanto i suoi tecnici.

Debbo ora, nuovamente, prendere atto che invece l’ABI si interessò alla vicenda, secondo quanto confermato dalla dichiarazione resa dal dottor Geronzi. Le date a cui si riferisce quest’ultimo si pongono a cavallo tra i mesi di maggio e luglio 1991 e, in quel periodo, se non erro, lei era presidente del Banco di Santo Spirito, di cui il dottor Geronzi era direttore generale e come tale faceva parte del comitato esecutivo dell'ABI.

Tornando al suddetto verbale, a proposito della proposta del ministro Goria, il dottor Geronzi prosegue dichiarando che: "In particolare veniva sottoposta alla nostra attenzione, da parte del presidente dell’ABI, una proposta appena abbozzata ed estremamente generica di liquidazione volontaria ".

Quindi, evidentemente il ministro Goria aveva presentato una proposta "anche se estremamente generica" di liquidazione volontaria al comitato esecutivo dell’ABI.

Sempre a tale proposito, il dottor Geronzi afferma altresì che: "Di fatto in detto comitato esecutivo erano rappresentati quasi tutti i creditori bancari della Fedit. La citata riunione non ebbe seguito". Come ho già detto, il dottor Geronzi in questa parte dell’interrogatorio, fa esplicito riferimento a vicende verificatesi a cavallo tra i mesi di giugno e luglio 1991. Nel gennaio 1992 nacque - per le ragioni esposte dal professor Capaldo, nel corso della seduta del 20 aprile scorso, di impegno culturale, personale e sociale - l’idea che portò poi alla creazione della S.G.R.

Professor Capaldo, nella documentazione allegata dall’avvocato Stelio Zaganelli - difensore di fiducia del dottor Geronzi insieme all’avvocato Francesco Vassalli - c’è anche il verbale del consiglio di amministrazione del Banco di Santo Spirito del 2 dicembre 1991. Da tale verbale risulta essere presente l’amministratore professor Pellegrino Capaldo, presidente, assente il collega Libonati. In esso è contenuta una relazione del vice direttore generale dottor Paolo Accorinti invitato ad assistere alla seduta. Viene esposta la drammatica situazione - uso il termine "drammatica" perché è contenuto nel verbale - di Agrifactoring con il piano di postergazione degli istituti bancari creditori, che vedeva al secondo posto il Banco di Santo Spirito. Tra l’altro, proprio in quel giorno, si stava avviando la procedura di fusione tra il Banco di Santo Spirito e il Banco di Roma, come risulta al punto due dell’ordine del giorno di tale verbale. Quindi, nella stessa giornata in cui si avviava la fusione tra i due istituti, si venivano a fondere anche situazioni creditorie pesanti.

In questo verbale, il consiglio di amministrazione, con l’astensione dei consiglieri Cassaro e Ciucci in quanto amministratori di banche e finanziarie creditrici di Agrifactoring, delibera di autorizzare la postergazione del credito del Banco verso Agrifactoring.

Riepilogando il tutto: tra maggio e luglio 1991 il Santo Spirito come le altre banche italiane, convocano politicamente una riunione strategica del comitato esecutivo dell'ABI e discutono una proposta abbastanza generica di liquidazione volontaria del ministro Goria, appena insediato. Questa proposta cade, non avendo seguito a livello politico, anche se a livello tecnico avrebbe potuto averlo, come lei stesso ci ha detto giustamente, in altri incontri. Nel dicembre 1991, il consiglio di amministrazione del Santo Spirito accetta e delibera la postergazione di 400 miliardi di credito di cui 234 della BNL, 98 del Santo Spirito mentre il terzo creditore era Efibanca, il tutto per soddisfare al cento per cento i crediti delle banche straniere tra cui la SUMITOMO, la MITSUBISHI e la BARCLAYS che diffidano di qualunque piano di riparto e chiedono con lettere severissime la restituzione dei loro crediti per evitare un secondo caso BNL - Atlanta. Ovviamente, a seguito di tale postergazione, vengono soddisfatte completamente le banche straniere, lasciando sofferente il sistema creditorio italiano. Questo è quello che risulta dai documenti e dai verbali. Per concludere, professor Capaldo, premesso che vi è stato un impegno e un interesse politico dell’ABI che è caduto strada facendo, a tal proposito le chiedo la sua opinione.

CAPALDO. Forse dobbiamo essere più precisi, nel senso che io faccio una discriminante: prima del commissariamento e dopo il commissariamento. Quando dico che il sistema bancario non si era occupato della questione, evidentemente mi riferisco a prima del commissariamento perché è chiaro che, dopo, tutti si danno in qualche modo da fare, non fosse altro perché il Ministro sollecita le banche a prendere qualche iniziativa. Si svolgono incontri in sede ABI e quindi non vi è dubbio che dopo il 17 maggio 1991, il mondo creditorio della Federconsorzi, ed in particolare il mondo bancario, si mette in movimento.

Quando, rispondendo ad una sua domanda, forse in un contesto diverso, sostenevo che l’ABI non si era mai occupata più di tanto di questi problemi, evidentemente mi riferivo a prima del commissariamento. Comunque, indipendentemente da questo, prendo atto che - come lei mi precisa – vi è stato un incontro, ma forse ci saranno stati vari incontri. Lei ha ricordato la riunione del consiglio dell'ABI, ma non so se si trattò di una riunione formale del comitato esecutivo o invece di una riunione informale con il Ministro. Lei ha fatto riferimento a questa riunione, ma immagino che ve ne siano state tantissime, anzi a livello tecnico, credo che, dopo il 17 di maggio 1991, fosse stato istituito un "tavolo" più o meno permanente presso l’ABI per discutere tale questione.

Lei ha posto anche la questione Agrifactoring ma, per questa, il discorso è un po’ diverso. Agrifactoring aveva come soci la Banca Nazionale del Lavoro, il Banco di Santo Spirito e mi sembra anche la Federconsorzi. VENETO Gaetano. Tra i soci vi era anche la Efibanca.

CAPALDO. Sì, l’Efibanca, ma sempre nell’ambito del gruppo Banca Nazionale del Lavoro.

Il fatto che la Banca Nazionale del Lavoro e il Banco di Santo Spirito si postergassero rispetto a banche estere non c’entra nulla con la Federconsorzi. Le banche estere assumevano di aver finanziato l’Agrifactoring, in quanto azioniste di maggioranza di questa società erano due banche italiane, ritenendo che, come accade, in qualsiasi parte del mondo, quando si finanzia un’istituzione che ha come soci banche di primaria importanza, queste garantiscono per la società. E’ una questione di fair play tra banche. In questo caso, non vale più il discorso di far fallire la società in quanto i soci non sono tenuti a pagare e così via. Come si sa in casi del genere, vengono pagati i debiti della società, anche se vanno oltre la dimensione del capitale sociale. La Banca Nazionale del Lavoro, il Banco di Santo Spirito e forse qualche altra banca si comportarono in quella circostanza come credo avrebbero fatto tutte le altre banche, cioè pagarono. In questo senso si postergarono nei loro crediti rispetto alle banche estere per consentire a queste ultime di rientrare. Direi, però, che si tratta di una questione che sfiora appena il problema più generale della Federconsorzi. Anche se non fosse accaduto il dissesto della Federconsorzi, ma ci fosse stato solo quello dell’Agrifactoring, le cose sarebbero andate in quel modo. Non c’è relazione.

VENETO Gaetano. Mi permetta di collaborare, sempre per aiutarla a ricordare e per darle una mano, professore.

Nel verbale del consiglio di amministrazione del Banco di Santo Spirito del 2 dicembre 1991, da lei presieduto, è scritto invece: "Le ripercussioni della vicenda Federconsorzi sulla situazione di Agrifactoring sono già state illustrate nella seduta del 29 luglio 1991" quindi non è vero che non esiste una relazione. Si sente il peso della vicenda Federconsorzi che porta a dire chiudiamo Agrifactoring e paghiamo le banche estere.

CAPALDO. La crisi dell’Agrifactoring è, in un certo senso, il riflesso della crisi Federconsorzi. Comunque, sta di fatto che Agrifactoring è in crisi, le banche socie di Agrifactoring si danno da fare perché questa onori i propri debiti, tanto più che questi sono contratti verso banche estere che non tollererebbero una situazione di quel tipo. Diversamente, le banche perderebbero credito anche sui mercati internazionali.

Direi, dunque, che tutto ciò non entra nella nostra vicenda. Le puntualizzazioni che lei ha fatto sul ruolo dell’ABI le accetto, anche se voglio precisare che, quanto ho sostenuto nella precedente audizione, in fondo andava nella stessa direzione. L’ABI, finchè la Federconsorzi non è andata in crisi, non esisteva. Certamente è esistita, successivamente, perché tutte le banche, di fronte ad un commissariamento che rappresentava, in un certo senso, il segnale che lo Stato non stava più dietro la Federconsorzi – passatemi queste espressioni atecniche – a quel punto sono entrate in fibrillazione. L’ABI, che in qualche modo rappresenta il sistema bancario, si è organizzata e quindi certamente ha tenuto numerose riunioni.

PRESIDENTE. Consentitemi di fare una riflessione finale in merito all’audizione del professor Capaldo. Credo che la costruzione sulla quale si basa la richiesta di rinvio a giudizio del tribunale di Perugia (che è uno dei primi atti che la Commissione ha esaminato con tutta la documentazione allegata) faccia versare o tenda a far versare la nostra Commissione d’inchiesta - che ha sì i poteri della magistratura, ma va al di là dei limiti posti al magistrato penale - e possa essere condizionante quell’accertamento che la magistratura penale, per il campo ristrettissimo dell’individuazione delle responsabilità penali, può determinare sui lavori di questa Commissione. Da ciò nasce una situazione pregiudizievole di cui mi faccio portatore, senza però svelare il retropensiero al quale facevo dianzi riferimento, rivolgendomi all’onorevole Mancuso.

Tale situazione pregiudizievole fa postulare all’accusa una circolarità di rapporti ed, in tal senso, intendo riferirmi a ciò che era l’indebitamento incontrollato del sistema bancario nei confronti della Federconsorzi; all’idea del commissariamento del ministro Goria che aveva potuto suggerire anche il concordato preventivo; alla compartecipazione del tribunale fallimentare attraverso l’insistita attività - omissiva o commissiva - del relatore, oggi imputato, ed altresì (per quello che emerge dalla richiesta di rinvio a giudizio) al rifiuto da parte di costui di esaminare altre richieste di valutazione dell’intero complesso immobiliare e patrimoniale della Federconsorzi.

Ebbene, torno a ribadire che tutte queste situazioni fanno postulare all’accusa una circolarità di rapporti tra l’ex ante il commissariamento e l’ex post.

Ciò crea una situazione di costruzione dell’accusa per cui - avendo responsabilità circolari tra di loro - si vorrebbe sullo stesso banco degli accusati sia chi prestò consulenze alla Federconsorzi, che chi determinò il concordato preventivo ed infine, chi costituì la S.G.R. per la cessio bonorum.

Infatti, attraverso l’analisi della costruzione dell’accusa parrebbe che, ad un certo punto, l’idea originaria - non si tratta di una mia opinione, ma in tal senso mi faccio portatore di quello che è scritto nella richiesta di rinvio a giudizio, e che può servire per la nostra Commissione come stimolo per andare oltre nella ricerca delle ragioni della verità, per quello che ci è possibile, anche sul piano politico - della "aggressione" dei beni della Federconsorzi non sia stata della S.G.R., ma del dottor Roveraro. Tanto è vero che, secondo quanto riportato a pagina 6 della richiesta di rinvio a giudizio che lo riguarda, si evince che la AKROS di Roveraro prospettò quello che era poi l’oggetto della stessa S.G.R.: "...l’idea era quella di costituire una società di tutti creditori acquirente il patrimonio".

Di questa proposta il dottor Roveraro ne parlò con l’allora presidente del consiglio Andreotti il quale - secondo quanto affermato dal Roveraro - gli consigliò di prendere contatto con il ministro Goria e il professor Capaldo. Tutto ciò porta l’accusa a pensare che fino ad allora il "progetto AKROS" fosse di matrice esclusiva della Coldiretti e della Confagricoltura.

Sempre a pagina 6 della documentazione fornita dalla procura di Perugia, si evince inoltre che, al riguardo, il senatore Andreotti avrebbe affermato che sostanzialmente non si era interessato della vicenda, né personalmente, né quale presidente del Consiglio dei ministri, non avendo mai la questione costituito oggetto di esame da parte del Governo.

Proprio riguardo a quest’ultimo aspetto, condivido quanto dianzi sostenuto dal collega Rubino, e cioè che risulta veramente incredibile il fatto che il Governo non si sia occupato - ad eccezione del Ministro Goria - di un’operazione di smobilitazione della Federconsorzi, ossia di un organismo che aveva costituito un sistema sul quale per parecchi decenni si era basata anche la politica governativa di questo paese. Il collega Rubino, a tale proposito, ha anche aggiunto che un pezzo della storia governativa dell’Italia di quegli anni poteva essere scritta attraverso quella della Federconsorzi.

Ebbene, in base alle dichiarazioni rese dal nostro audito, tutta questa costruzione dell’accusa sembrerebbe evidentemente smentita. Ciò, naturalmente, costituirà uno stimolo per la Commissione, nella ricerca delle ragioni della verità, che spero andrà più avanti rispetto a quanto accertato dall’autorità giudiziaria, la cui indagine - consentitemi di dirlo - è stata maturata un po’ troppo frettolosamente. Infatti, a mio avviso, in alcune circostanze sembrerebbero del tutto assenti le motivazioni giustificative relative ad alcune affermazioni che, secondo quanto dichiarato dai richiedenti del rinvio a giudizio, parrebbero apodittiche.

Fatta questa premessa, la domanda che le pongo, professor Capaldo, scaturisce direttamente dagli atti e non svela, quindi, quello che è il mio retropensiero. Ebbene, a suo avviso possiamo escludere un effetto speculativo delle banche sulla decozione e sul dissesto della Federconsorzi? Mi riferisco cioè all’intenzione di "aggredire" il patrimonio al fine di ripianare i crediti che si avevano nei confronti di questa struttura.

CAPALDO. Lei parla di aggressione, signor Presidente ...

PRESIDENTE. Professor Capaldo, parlo di aggressione perché altrimenti non si spiegherebbero le ragioni per cui il presidente del tribunale fallimentare, dottor Ivo Greco, sembrerebbe - secondo gli atti - aver manipolato quel sistema di istanze delle valutazioni dei beni e quant’altro.

CAPALDO. Immagino che, al riguardo, ascolterete il giudice Greco, comunque per quanto mi riguarda, ritengo che non abbia manipolato nulla.

Nel merito, credo che sia chiaro che nessun creditore poteva avere interesse a stimolare la scelta di commissariamento della Federconsorzi, anche perché appariva evidente che tale procedura avrebbe avuto gli effetti che poi si sono determinati.

CHIUSOLI. Il professor Capaldo ha detto più volte che chiunque avesse consigliato il commissariamento sarebbe stato un cretino. Tuttavia, faccio presente che il commissariamento avvenne. Può anche darsi che qualcuno abbia prospettato al ministro Goria l’esistenza di determinate condizioni e lo abbia quindi tirato in un tranello.

CAPALDO. Torno a ribadire che risulta evidente che, dal punto di vista dei creditori, il commissariamento era un fatto assolutamente negativo e quindi costoro avevano tutto l’interesse a che la Federconsorzi stesse in piedi, magari sorretta dallo Stato attraverso interventi di vario tipo, e che quindi in qualche modo riuscisse a pagare i debiti. In tal senso, l’attuazione del commissariamento costituì un danno per i creditori perché pregiudicò le prospettive di recupero dei crediti.

Pertanto, da questo punto di vista sgombrerei il campo da questo genere di perplessità in quanto, ripeto, non c’era interesse da parte dei creditori al commissariamento della Federconsorzi. A che pro poi, per impadronirsi dei beni? E per quale ragione? Questo discorso non sarebbe congruo, è evidente.

Il commissariamento invece fu attuato, e le ragioni di questa scelta restano ancora tutte da chiarire. In quella situazione, il problema per qualunque creditore - oltre alle banche c’erano anche soggetti come la Fiat - era quindi quello di ridurre il danno e cioè quello di tentare di recuperare, o meglio di perdere il meno possibile di questi crediti, partendo comunque dall’assunto che una parte sarebbe andata in ogni caso persa. A quel punto si esplorarono varie ipotesi, tra cui la liquidazione coatta, ipotesi alle quali i creditori restano estranei. Ci si orienta per un concordato preventivo; l’istanza viene presentata ed accolta. Nelle more dell’omologazione del concordato, alcuni creditori ritengono che, essendo ormai la vicenda incanalata su questi binari (la Federconsorzi non esiste più, il concordato preventivo significa che si sta sciogliendo), occorre recuperare al meglio i crediti. Poiché l’entità del recupero dei crediti dipende dal recupero che si riuscirà a conseguire dai beni, che costituiscono la sostanza della Federconsorzi per estinguere l’indebitamento, è interesse dei creditori che i beni vengano venduti nel miglior modo possibile. La S.G.R. nasce quando tutta la vicenda è ormai incanalata su certi binari: è intervenuto un commissariamento, che non può che essere vissuto negativamente dai creditori; è stata scelta la soluzione del concordato preventivo; i creditori si chiedono quale possa essere la strada per ridurre al minimo i danni. Su mio suggerimento la strada prescelta è stata la costituzione della S.G.R., che ha presentato tra l’altro il vantaggio di consentire interventi in campo sociale, agevolando l’esodo di 200 dipendenti, e di rimborsare al cento per cento i piccoli creditori.

Non parlerei tanto di "aggressione" di beni, qualunque sia l’accezione del termine; direi piuttosto che una normale impresa, di dimensioni cospicue come la Federconsorzi, ad un certo momento entra in crisi e si avvia una procedura di concordato preventivo; dipendendo il recupero dei crediti dall’esito della vendita dei beni, un insieme di creditori si offre per costituire una società che acquisti i beni per venderli meglio e chiudere più rapidamente la procedura. Non dimentichiamo che proprio le dimensioni della Federconsorzi rendevano complessa la procedura: la vendita di migliaia di beni, di migliaia di cespiti con una normale procedura concorsuale non è operazione facile. La S.G.R. è riuscita a costruire una procedura su basi diverse, rendendo più snella l’operazione.

E’ stato accennato al fatto che Roveraro voleva fare la stessa cosa. In quel momento tutti potevano avanzare proposte ed era anche giusto che lo facessero, perché ci si trovava di fronte ad una situazione un po’ anomala: il concordato preventivo non riguardava, come di consueto, una piccola o media azienda. E’ assolutamente plausibile che vi fossero soggetti interessati seriamente a fare proposte e mi meraviglio anzi del fatto che ne siano state avanzate poche. Immagino che la proposta di Roveraro sia stata plausibile, ma all’epoca ho sentito parlare di tante proposte che non si sono concretizzate. Ribadisco che la vicenda della S.G.R. va esaminata entro i limiti segnati da una procedura che aveva avuto il suo corso e sulla quale nessuno dei creditori aveva potuto incidere. Occorre inoltre ribadire che nessun creditore avrebbe potuto avere interesse ad un commissariamento. La S.G.R. va considerata come uno strumento per liquidare nel modo più efficace possibile la massa dei beni che costituivano l’attivo del concordato. Non so, Presidente, se ho colto il senso della sua domanda e le ho risposto.

PRESIDENTE. La risposta è esauriente; il bagaglio di conoscenze acquisite sarà poi oggetto di valutazione della Commissione, nella sua interezza. Ringrazio il professor Capaldo per la disponibilità dimostrata a corrispondere alle esigenze dell’inchiesta.

CAPALDO. Sono a disposizione della Commissione per ulteriori chiarimenti.

PRESIDENTE. Saluto il nostro ospite e dichiaro conclusa l’audizione.

VENETO Gaetano. Signor Presidente, in relazione al ruolo e ai compiti della Commissione d’inchiesta, desidero sottolineare che lei ha espresso una valutazione di carattere personale parlando di avventatezza a proposito del provvedimento di richiesta di rinvio a giudizio del professor Capaldo, del signor Geronzi e degli altri.

PRESIDENTE. Ho parlato di frettolosità che è cosa assai diversa dall’avventatezza. Il mio giudizio nasce dalla documentata accelerazione che è stata impressa all’inchiesta della procura di Perugia. Ho parlato a titolo personale ma, se avete la bontà di scorrere gli atti, riscontrerete l’incompletezza degli accertamenti in relazione ad elementi di discolpa che avrebbero dovuto suggerire approfondimenti maggiori. I lavori della Commissione non possono rimanere legati né alla formulazione dell’accusa né all’ipotesi dell’accusa, ma prendere spunto, ove si intenda farlo, dal lavoro svolto dalla procura di Perugia per continuarlo.

VENETO Gaetano. La ringrazio per aver precisato che si tratta di una valutazione espressa a titolo personale.

PRESIDENTE. Comunico che la Commissione tornerà a riunirsi martedì 11 e mercoledì 12 maggio per procedere alle audizioni rispettivamente del procuratore della Repubblica di Roma, dottor Vecchione, e del dottor Cesare Geronzi. I lavori terminano alle ore 21,25.