Come si diventa socialisti

Edmondo De Amicis

1898 Socialismo Letteratura Come si diventa socialisti Intestazione 16 giugno 2008 75% Generale

Spronato da quel desiderio, egli si gettò alle nuove letture con la curiosità vivace di un viaggiatore che si affaccia a una terra sconosciuta, sorvolando a tutto il socialismo sentimentale e filosofico del primo periodo, per afferrarsi ai fondatori scientifici della dottrina. Era, per sua natura, singolarmente preparato a ricevere da quelle prime letture una impressione straordinaria, perché il più vivo e il più profondo dei suoi sentimenti era quello che chiamò “fondamento d’ogni moralità” lo Schopenhauer, la pietà; raffinato in lui da una calda immaginazione. In ogni periodo della sua vita, anche quando egli aveva l’ animo più offuscato dall’orgoglio, dalla sensualità, dai rancori, quel sentimento aveva trovato aperta sempre e subito la via del suo cuore, dal quale scacciava sull’atto, per più o meno tempo, tutti gli altri. Egli non poteva veder soffrire egli stesso con intensità quasi eguale a quella di chi l’impietosiva. La vista di un vecchio povero, d’un fanciullo consumato dagli stenti, d’una donna lacera e piangente, gli dava all’anima una stretta violenta, un’angoscia, un impulso di pietà appassionata, che gli faceva vuotar la borsa, che gli avrebbe fatto dare anche i panni che portava in dosso, se non gli fosse rimasto altro da dare.

Anche la sola idea astratta d’una creatura umana che, in mezzo a una grande città, con o senza sua colpa, non ha un tozzo o un pugno del più vile alimento da cacciarsi in corpo per non morire, che manca di quello che non manca al cane, alla belva, all’insetto più schifoso e malefico, gli era insopportabile come un dolore fisico acuto; e per poter vivere e lavorare doveva cacciar di continuo dalla mente, con uno sforzo faticoso, il pensiero che siffatte miserie esistevano intorno a lui, che gli passavano accanto non viste per la via, che si nascondevano forse nella sua medesima casa, sopra il suo capo. Fino allora, peraltro, egli non aveva sentito che la pietà della indigenza e dei dolori individuali. Ma quando, nelle nuove letture, vide per la prima volta la miseria delle classi inferiori, studiata in tutti i paesi, esposta in tutti i suoi svariatissimi aspetti, esaminata in tutte le sue conseguenze funeste, provata con cifre spaventevoli; quando conobbe tutte insieme le forme più miserande e inumane della fatica, gli orrori delle cave, delle risaie, degli opifici avvelenati, delle terre miasmatiche, le moltitudini condannate all’ozio forzato e alla fame, le generazioni infantili falciate dalla morte, che sta in agguato dietro al lavoro, i milioni di tane immonde dove milioni di uomini si ammontano, si ammorbano e si imbestiano, e ritto davanti a sé, come una montagna di sozzure, il cumulo immenso di alimenti ripugnanti e mortiferi di cui si pasce quotidianamente una moltitudine innumerevole di gente che lavora per un consorzio civile da cui par segregata e reietta; allora tutta l’anima sua ne fu sconvolta, come dalla rivelazione di un nuovo mondo. Per la prima volta egli vide scorrere davanti a sé l’enorme fiume nero della miseria, a onde di sangue, di sudore, e di pianto, ciascuna delle quali travolge una vittima e manda una maledizione e un singhiozzo, e come il Fausto del Goethe sentì tutte le angosce dell’umanità pesare sulla sua fronte e schiacciare il suo cuore.

E nel tempo stesso egli udiva dire per la prima volta che tutti questi mali non erano effetto di una legge misteriosa di natura, ma avevano le loro cause nelle istituzioni umane, e queste cause vedeva per la prima volta esposte e dimostrare. E si diede a studiarle avidamente. Era la parte critica della dottrina, la più forte e la più persuasiva, quella in cui regnava un quasi compiuto accordo fra le scuole più discordi, e alla quale erano opposte meno valide ragioni dagli avversari. Qui, nondimeno, errò, per qualche tempo in una nebbia d’idee, cercando di afferrarne una, che gli illuminasse tutte le altre. E ne afferrò una, che era già nella sua mente da un pezzo, ma confusa e fuggevole: cagione prima d’ogni male, il possedimento concesso a un piccolo numero di uomini di quello che è l’origine di tutti i prodotti e di tutte le ricchezze e il grane serbatoio di quanto è necessario alla vita comune: la proprietà privata della terra, su cui tutti nascono e muoiono, e l’uso della quale è supremo interesse di tutti; la proprietà che toglie all’uomo il diritto di partecipare al dominio della natura, e che fa che milioni di uomini, trovando già tutto posseduto al loro apparire nel mondo, nascono servi e mendichi. L’ingiustizia e il danno di una tal legge gli apparvero con la stessa evidenza luminosa che avrebbe avuto per lui l’assurdità di un monopolio dell’aria che respiriamo. E per lo squarcio fatto da questa nella cerchia delle sue vecchie idee, un’altra gli entrò nella mente subito dopo, legata stretta alla prima: la lucida comprensione di un’altra causa di male infiniti: il disordine immenso nella produzione di tutto ciò che alla società è necessario, l’anarchia della industria ridotta un gioco d’azzardo, di cui scontano le perdite le moltitudini che non hanno parte nei profitti, una libera concorrenza che mette in perpetuo contrasto l’interesse personale con l’interesse collettivo, che fa della vita civile una guerra combattuta con le armi dell’astuzia e della frode, che mette il lavoro, funzione sociale, senza protezione e senza diritti, in balìa della cupidigia e dell’egoismo, che sperpera un tesoro enorme di tempo, di forze e di ricchezza, trascurando ogni cosa utile ad altri che non frutti a chi la produce, arricchendo gli uni con le spoglie degli altri, mantenendo la società in uno stato perpetuo di affanno e di violenza in cui si logorano le più nobili facoltà e si scatenano le più tristi passioni umane. E infine egli comprese, per la prima volta, nelle sue origini e nei suoi effetti, il grande fatto, che non aveva mai meditato, della ricchezza: intuì l’ingiustizia che presiede alla sua formazione nella apparente, non reale, libertà di contratto tra chi compra il lavoro e chi lo vende, la filiazione mostruosa del denaro che mantiene delle dinastie di parassiti, vittoriosi fin dalla nascita nella lotta per l’esistenza e conquistatori senza lotta fino alla morte; l’esenzione iniqua della ricchezza individuale dal debito che ella avrebbe verso la società per la gran parte in cui questa concorre a produrla; e riconobbe nei suoi istituiti e nell’opera sua la grande feudalità finanziaria, che non contenuta da alcun freno né di legge né di morale, posta quasi al disopra del diritto e dello Stato, fornita di tutti i privilegi delle antiche classi spodestate, allaccia nella sua rete il commercio, l’industria, l’agricoltura, incetta e gioca le ricchezze nazionali, accaparra a suo profitto tutte le invenzioni e tutti i progressi, impone ad ogni cosa un balzello enorme che fa duplicare a tutti il lavoro, perturba con i suoi monopoli giganteschi le condizioni dell’esistenza dei popoli, e raccogliendo a poco a poco nelle proprie mani tutti i mezzi di produzione, con cui costringe una sempre maggior moltitudine d’uomini a chiederle pane e a subire le sue leggi, tende a dividere la società in una piccola schiera di dominatori che avranno tutto e in una folla immensa che non avrà nulla, separate l’una dall’altra da una disuguaglianza più odiosa, da un’avversione più feroce, da una contrarietà di interessi più inconciliabile e più funesta di quella che separava la servitù e la signoria dell’età media.

Quetato il primo tumulto di queste idee, che lo misero in uno stato di rivolta segreta contro la società, si presentò a lui pure quell’eterna domanda: - che fare? – e allora prese ad esame i grandi rimedi, la trasformazione fondamentale di ogni ordinamento, che il socialismo proponeva. Era la parte più debole della dottrina, quella in cui è a tutti più arduo e più lungo acquistare una salda persuasione favorevole. Egli fu lievemente meravigliato, sulle prime. Trovando la teoria della ricostruzione condotta già molto più innanzi di quello che si fosse vagamente immaginato, una enorme quantità di materiali pel nuovo edifizio già lavorati e quasi ordinati dal pensiero scientifico di mille intelletti poderosi e pazienti, la nuova vita sociale descritta e dimostrata possibile e quasi perfetta fin dalle sue minime funzioni e in ogni più difficile prova. Poi, voltatosi ad ascoltare le ragioni degli avversari, s’arrestò sgomentato. Al primo urto della loro critica che affermava assurda la nuova teoria del valore, soffocata dal collettivismo la libertà individuale, distrutto dall’abolizione della proprietà privata lo stimolo al lavoro, impossibile proporzionare legalmente il compenso alla varia natura dell’opera, inconcepibile l’azione di uno stato proprietario dì ogni cosa e incaricato di tutte le direzioni e di tutte le iniziative, gli apparve che l’edificio crollasse, ed egli indietreggiò, soverchiato per un istante dall’amarezza d’una grande delusione. Ma se non riusciva a persuadersi della possibilità dei rimedi, a che giovava l’indignazione contro le ingiustizie, a che la pietà delle miserie e dei dolori? E questi sentimenti erano già in lui così forti, che non poteva più rassegnarsi a crederli vani.

Una forza prepotente lo cacciava innanzi. Egli aveva bisogno di una fede, oramai, e la voleva ad ogni costo. E allora si mise a cercarla con passione che vuol trovare quello che cerca e abbatte tutti gli ostacoli sulla sua via. Si lanciò a capo basso contro alla critica nemica del suo sogno, raccolse nuove ragioni contro i suoi argomenti, si dissimulò fra questi i più forti, ingrandendo nella propria immaginazione l’importanza di quelli che riusciva ad abbattere, si afferrò all’idea che la trasformazione si sarebbe compiuta per effetto di eventi imprevedibili e di forze non ancor conosciute, che i vizi dell’ordinamento proposto sarebbero stati corretti con le modificazioni suggerite ed imposte dall’esperienza, che la società nuova avrebbe creato essa medesima, come la natura negli organismi animali, gli organi necessari alle sue nuove funzioni, che dalla concordia dei milioni d’oppressi già vicini alla meta sarebbe derivato nella società un tal mutamento morale da rendere agevole quasi miracolosamente l’attuazione di ogni più vasta ed ardita idea; che, infine, quello che innanzi ad ogni cosa premeva e s’aveva a fare era di consacrarsi alla santa causa, di proclamare e di diffondere il sentimento della ingiustizia e della intollerabilità dello stato sociale presente, di ordinare per ora le moltitudini intorno a questa sola bandiera, poiché esse non si raccolgono sotto alla bandiera della negazione, e di suscitare nella gioventù colta e generosa, con l’esempio e con la parola, la fiamma della fede che compie i prodigi e solleva il mondo. Così un po’ per virtù d’entusiasmo, un poco per effetto di persuasione, egli s’era formato un’illusione di certezza che, che la gioia di aver dato alla sua vita un nuovo ideale gli fece creder così piena e ferma e illuminata, da non aver più bisogno di porla alla prova ritornando a pesar le ragioni dei negatori. Datosi alla nuova idea coi tutto l’impeto della natura, non comunicando più che con le menti che gliele avevano infuse, trovava ogni giorno una nuova ragione in un suo sostegno, esultava della sua rapida diffusione, che su di lui aveva la forza di argomento, e l’accarezzava in segreto come un tesoro e n’era altero come di una conquista, aspettando d’essere abbastanza forte di meditazioni e di studi per poter professarla arditamente e difenderla da valoroso.

Tutti i suoi ideali passati, intanto, tutte le sue ambizioni d’insegnante e d’artista impallidivano davanti a quella nuova ospite dell’anima sua, come al sorgere dell’alba la fiammella del lume con cui aveva vegliato a meditarla...