Clizia/Atto quinto/Scena quinta
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Niccolò Machiavelli - Clizia (1525)
Atto quinto
Scena quinta
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Cleandro, Damone
- Cleandro
- Quando io credo essere navigato, e la Fortuna mi ripigne nel mezzo al mare e tra più turbide e tempestose onde! Io combattevo prima con lo amore di mio padre; ora combatto con la ambizione di mia madre. A quello io ebbi per aiuto lei, a questo sono solo: tanto che io veggo meno lume in questo, che io non vedevo in quello. Duolmi della mia male sorte, poiché io nacqui, per non avere mai bene e posso dire, da che questa fanciulla ci venne in casa, non avere cognosciuti altri diletti che di pensare a lei; dove sono sì radi stati e piaceri, che i giorni di quegli si annoverrebbono facilmente. Ma chi veggo io venire verso me? È egli Damone? Egli è esso, ed è tutto allegro. Che ci è, Damone, che novelle portate? Donde viene tanta allegrezza?
- Damone
- Né migliori novelle, né più felice, né che io portassi più volentieri potevo sentire!
- Cleandro
- Che cosa è?
- Damone
- Il padre di Clizia vostra è venuto in questa terra, e chiamasi Ramondo, ed è gentiluomo napolitano, ed è ricchissimo, ed è solamente venuto, per ritrovare questa sua figliuola.
- Cleandro
- Che ne sai tu?
- Damone
- Sòllo, ch’io gli ho parlato, ed ho inteso il tutto, e non c’è dubbio alcuno.
- Cleandro
- Come sta la cosa? Io impazzo per la allegrezza.
- Damone
- Io voglio che voi la intendiate da lui. Chiama fuora Nicomaco e Sofronia, tua madre.
- Cleandro
- Sofronia! o Nicomaco! Venite da basso a Damone.