Cirio e Federconsorzi: due modi diversi di gestire la crisi

Riccardo Esposito

2004 articoli/agricoltura Cirio e Federconsorzi: due modi diversi di gestire la crisi Intestazione 25 dicembre 2008 50% Articoli


Mario Resca è riuscito nel risanamento industriale dell’ex impero di Cragnotti, che sembrava già destinato a fare l’ingloriosa fine di altri ex colossi in crisi come Federconsorzi.
Ma in che cosa il piano Resca si è distinto dal piano Capaldo?

da Spazio Rurale dicembre 2004

Rivista I tempi della terra



Nello spazio ristretto di quindici mesi il Commissario Straordinario della Cirio doveva compiere un miracolo: incassare il più possibile dalle cessioni per accontentare i creditori, formulare un credibile piano industriale per non disperdere un patrimonio produttivo e commerciale, salvaguardare i livelli occupazionali per ottenere così un consenso allargato e, perché no, mantenere in mani italiane l’azienda leader del settore agroalimentare. Mario Resca c’è riuscito.

La grande stampa, che in modo così supino aveva osannato Cragnotti, forse solo per i suoi meriti calcistici, ha visto la cosa quasi con dispetto. Alcuni noti giornalisti si sono vantati pubblicamente di non occuparsi di pelati e nulla a loro importa che dietro ad essi ci siano migliaia di posti di lavoro. Hanno plaudito unanimi, invece, alla sentenza assolutoria della Corte d’appello di Perugia nei confronti di chi aveva fatto perdere il posto di lavoro a migliaia di lavoratori Federconsorzi.

Uno dei più diffusi settimanali aveva dedicato l’editoriale, a firma perciò del direttore, a definire sentenza impossibile, quella di primo grado che aveva, invece, deciso per la condanna per bancarotta fraudolenta. In questi giorni quel giornalista è passato a dirigere un noto telegiornale.

Nessuno ha, invece, commentato, a distanza di un mese dal loro deposito, le motivazioni della sentenza che dice a chiare lettere che sono stati dissipati almeno mille miliardi di lire, smontando la tesi della relazione conclusiva della Commissione Parlamentare d’inchiesta.

Ma torniamo per ora a Mario Resca e alla sua storia a metà tra il libro Cuore e la favola di Cenerentola: il manager ferrarese, figlio di operai, fin da giovanissimo per mantenersi agli studi da ragioniere, lavorava come garzone in una macelleria. Dopo la laurea alla Bocconi a soli 27 anni si ritrova direttore della filiale di Bari della Chase Manattan Bank. L’impatto non è dei più felici: recupera i rapporti con tutti i bocconiani del Sud, ma uno splendido curriculum universitario non è sinonimo di successo imprenditoriale. I crediti in sofferenza per la sua filiale lo dimostrano.

Ma è nel 1992 che Resca dà una svolta alla sua carriera: entra in contatto con Mc Donald’s, società allora ancora poco presente in Italia, che gli affida la gestione del ristorante di corso Vercelli, allora ritrovo cult dei rampanti rampolli delle famiglie della Milano bene.

Così all’inizio degli Anni 90 pulisce anche i tavoli e serve hamburger assieme a moglie e figli, tra le preoccupazioni e gli sfottò degli ex colleghi convinti che Resca da manager di successo sia divenuto un semplice cameriere.

Ma nella multinazionale del Big Mc completa la sua carriera fin a diventarne presidente, realizzando operazioni complesse come l’acquisto dell’allora concorrente leader dei fast food Burghy.

Per tenere la presidenza della multinazionale “della grande Emme” rinuncia al ministero degli Esteri e poi a prestigiosi incarichi in Rai.

Accetta, invece, dopo averci pensato sù solo un’ora la proposta fatta da Gianni Letta e dal ministro Marzano di diventare commissario straordinario di Cirio: l’ex gigante con 1 miliardo di euro di fatturato e 2,3 miliardi di debiti.

I commissari straordinari della Cirio sono tre, ma come di Napoleone al tempo del consolato e prima ancora di Cesare l’immaginario collettivo dimentica i nomi dei colleghi. Nel bene e nel male tutti i meriti e tutte le colpe sono solo di Resca.

Quindi, adesso che l’operazione è andata felicemente in porto, possiamo dire che è riuscito in un’impresa disperata che sembrava persa in partenza.

Ora che è riuscita con soluzioni semplici e geniali, sembra addirittura banale ed ovvia. Per apprezzarne i meriti va confrontata a quella così infelice con cui il “grande” prof. Capaldo ha affossato la Federconsorzi.

A noi piace immaginare che Resca abbia studiato il “piano Capaldo” per fare poi esattamente il contrario.

Del resto gli avvocati che hanno assistito la Cirio nella domanda per il riconoscimento da parte del Tribunale dello stato d’insolvenza, erano:

  • l’avv. Bernardo Benincasa, all’epoca liquidatore giudiziale di Federconsorzi;
  • il prof. Agostino Gambino, che in passato era stato il Commissario governativo della Federconsorzi;
  • il il prof. Franco Coppi, che è il difensore degli imputati nella causa penale che ha

visto prima condannati e poi assolti, ma con una formula che ribadisce l’illiceità dell’operazione, sia l’ex presidente del Tribunale Fallimentare di Roma Ivo Greco, e poi presidente del Tribunale dei ministri, sia l’ex-presidente della Banca di Roma Pellegrino Capaldo.

Per giunta, dopo che anche Benincasa è stato travolto dalle inchieste del P.M. di Potenza, Woodcock, il suo posto per assistere la Cirio Del Monte è stato preso dal nuovo liquidatore: il prof. Sergio Scicchitano.

Ma quali erano i cardini del piano Capaldo che ha affossato Federconsorzi?

Lo leggiamo bene nella sentenza di Corte d’Appello di Perugia.

  • 1. Le banche italiane costituiscono una società che si rende acquirente senza

asta per un prezzo complessivo che è la metà del valore di stima del complesso dei beni della Federconsorzi; *2. i beni vengono venduti in blocco, mediante un atto-quadro che anche la Corte di Appello di Perugia dichiara illegale; *3. tutti i posti di lavoro vengono perduti, assieme all’avviamento commerciale

Insomma le banche puntano a recuperare nella loro qualità di azioniste della società acquirente quello che tutti i creditori perdono dalla sottovalutazione dell’attivo, ma il loro disegno è interrotto dall’intervento della magistratura.

Cosa fa invece Resca per salvare quello che è salvabile dell’impero di Cragnotti?

  • 1. Individua il nucleo centrale delle attività

(che gli economisti, secondo la moda inglese chiamano il core business) e lo mantiene concentrato, salvando marchi ed avviamento, apre un’asta competitiva; *2. valorizza singolarmente gli altri beni e li vende con aste differenti;

  • 3. salva i livelli occupazionali.

Dalla sua Resca aveva uno strumento più agile: per la Cirio si è ricorso all’Amministrazione straordinaria la cui normativa è indirizzata, per prima cosa, a salvaguardare la realtà aziendale. Per Federconsorzi si scelse, invece, il Concordato preventivo. Leggendo la sentenza della Corte d’appello di Perugia vediamo che l’ex Presidente del Tribunale Fallimentare di Roma, Ivo Greco (poi presidente del Tribunale dei Ministri) è stato condannato a 8 mesi di reclusione con la condizionale per aver occultato un’istanza presentata dai commissari di Federconsorzi su una questione apparentemente marginale: se occorreva o meno che l’assemblea dei soci della Federconsorzi mettesse in liquidazione la società.

Anche dalla motivazione della Corte di Appello traspare una convinzione: l’istanza era stata imboscata per impedire che i soci, riuniti in assemblea, decidessero, invece, di presentare al Ministero dell’Agricoltura una domanda di liquidazione coatta amministrativa.

I soci in assoluta maggioranza erano, infatti, essi stessi in liquidazione coatta amministrativa, ma autorizzati all’esercizio dell’impresa. A qualcuno premeva, invece, che Federconsorzi fosse in concordato preventivo.

Quale la differenza essenziale tra i due istituti? È sempre la Corte d’Appello a dare una risposta. Nel Concordato preventivo non è prevista la revocatoria che è, invece, prevista nella liquidazione coatta. Per legge nel caso di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa coloro che negli ultimi due anni hanno ricevuto pagamenti che alterino il pari trattamento tra tutti i creditori sono costretti a restituire le somme ricevute malamente.

Le grandi banche, secondo un copione che abbiamo visto ripetersi nei dissesti Cirio e Parmalat, poco prima del crack erano rientrate delle loro esposizioni con incassi per centinaia di miliardi di lire e che temevano di dover restituire. Anche nella vicenda Cirio vediamo che le azioni revocatorie sono il punto centrale del problema. Per completare l’opera a Resca non rimane che strappare alle banche un buon livello transattivo, appunto, nelle vertenze sulle revocatorie fallimentari.

Resca ha dichiarato che il salvataggio della Cirio è avvenuto quasi a dispetto delle banche italiane. Un aiuto l’ha avuto solo da alcune banche estere; c’era un tornaconto nel fatto che erano creditrici delle consociate estere sicuramente meno disastrate e che, in tal modo, non sono travolte dall’insolvenza della casa madre? Forse. Sta di fatto che senza il loro aiuto il salvataggio della parte industriale della Cirio, e perciò di migliaia di posti di lavoro, non sarebbe avvenuto.