Ben Hur/Libro Settimo/Capitolo I
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Traduzione dall'inglese di Herbert Alexander St John Mildmay, Gastone Cavalieri (1900)
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CAPITOLO I.
L’incontro ebbe luogo nel Khan di Bethania com’era inteso. Poi Ben Hur accompagnò i Galilei nel loro paese, dove la sua impresa sulla vecchia Piazza del mercato gli guadagnò fama ed autorità. Prima che l’inverno fosse trascorso, aveva raccolte tre legioni, organizzandole secondo il modo Romano. Ne avrebbe potuto avere il doppio, poichè lo spirito marziale di quel popolo valoroso non s’era mai assopito. Tuttavia fu prudente consiglio limitarne il numero, dati i sospetti di Roma, non solo, ma la vicinanza di Erode che avrebbe veduto una minaccia in queste esercitazioni campali. Egli addestrò gli ufficiali nel maneggio delle armi, particolarmente della spada e della lancia, e nelle manovre proprie alla formazione delle legioni, dopo di che li mandava a casa ad ammaestrare alla lor volta i compagni. In breve questi esercizi divennero un passatempo per il popolo. Come si può immaginare, il compito richiedeva pazienza e abilità, zelo, fiducia e devozione, — da parte sua, e la massima fra le doti di un capo popolo — quella di infondere in altri i sentimenti che animano noi. Egli la possedeva in sommo grado e l’adoperava con grande efficacia. Come lavorava! E con quale profonda abnegazione e sacrificio di se stesso! Pure, con tutto ciò, non sarebbe riuscito se non avesse avuto l’appoggio di Simonide, il quale lo forniva di armi e di danaro, e quello d’Ilderim che vegliava su di lui nel deserto e gli portava viveri e provviste. E anche allora i suoi sforzi sarebbero stati vani se non lo avesse aiutato l’ingegno dei Galilei.
Sotto questo nome eran comprese le quattro tribù Asher, Zabulon, Ittacar e Naftali, abitanti nei distretti originariamente a loro destinati.
L’Ebreo, nato nelle vicinanze del Tempio disprezzava i suoi confratelli del nord; ma contro di lui stava la testimonianza del Talmud eterno: — «Il Galileo ama l’onore e l’Ebreo il denaro.» —
Animati da un odio per Roma pari soltanto all’affetto che sentivano pel proprio paese, in ogni rivolta essi erano sempre i primi ad entrare in campo e gli ultimi a lasciarlo. Cento e cinquanta mila Galilei perirono nell’ultima guerra con Roma. In occasione delle grandi Feste essi si recavano a Gerusalemme, marciando con tende e cavalli, come un esercito. Tuttavia avevano sensi liberali e tolleravano fino il paganesimo. Provavano un giusto orgoglio per le bellissime città, Romane nella loro apparenza, che Erode aveva costruite specialmente nella Seforide e nella Tiberiade, alle quali avevano validamente contribuito col lavoro delle proprie braccia. Tenevano per concittadini i popoli di tutto il mondo, e vivevano in pace con loro. Alla gloria del nome Ebreo contribuirono poeti, come l’autore del Cantico dei Cantici, profeti come Hosea.
Sopra un tale popolo, così svelto, così superbo, così valoroso, dotato di tanta devozione e d’una così fervida fantasia, il racconto della venuta del nuovo Re non potè non avere una straordinaria efficacia. Il fatto solo ch’egli veniva per abbattere Roma, sarebbe stato sufficiente perchè essi si schierassero con Ben Hur; ma quando, per sovrappiù, si disse loro ch’Egli doveva impugnare lo scettro del mondo, che sarebbe stato più potente di Cesare, più saggio di Salomone, e che il suo regno doveva durare eternamente, l’appello fu irresistibile, e li avvinse alla sua causa, corpo ed anima. Domandarono a Ben Hur dietro quale autorità egli parlasse ed egli citò i profeti, e raccontò loro di Balthasar che aspettava lassù in Antiochia. Essi gli credettero ciecamente, poichè era la vecchia e sempre amata leggenda del Messia, a loro comunicata dalle parole del Signore: era il sogno da tanto tempo accarezzato, a cui finalmente si fissava una data certa e sicura. Non si prevedeva più la sola venuta del Re: Egli era già arrivato.
I mesi d’inverno trascorsero veloci per Ben Hur, e quando venne la primavera con le sue continue pioggie; egli aveva lavorato a tutt’uomo e potè dire con compiacenza:
— «Amici, ora venga il buon Re. Non avrà che a dirci dove vuole che sorga il suo trono; noi abbiamo le spade per difenderlo.» — E tutte le persone che ebbero da fare con lui in questo tempo, lo conobbero solo come un figlio di Giuda, e come tale lo chiamarono.
Una sera, nella Traconite, Ben Hur sedeva con alcuni dei suoi Galilei sulla soglia della caverna che gli serviva di dimora, allorchè un corriere Arabo si presentò a lui, e gli consegnò una lettera. Rompendo il plico, egli lesse:
«Gerusalemme, Nisan IV
È comparso un individuo che gli uomini chiamano Elia. Egli visse per anni nella solitudine, ed ai nostri occhi egli è un profeta; e tale lo rivelano le sue parole, il succo delle quali è che un personaggio assai più grande di lui, deve venire a giorni, e che egli attende ora sulla sponda orientale del Giordano. Io sono stato a vederlo ed a sentirlo; colui ch’egli aspetta, è certamente il Re; vieni per giudicare tu stesso. Tutta Gerusalemme corre dal profeta, e tanta è la gente che vuol vederlo, che la spiaggia ove egli dimora, è come Il Monte degli Ulivi negli ultimi giorni di Pasqua
Malluch.»
Il viso di Ben Hur s’illuminò di gioia.
— «Con questa notizia, o amici miei» — egli disse» — con questa notizia, la nostra attesa volge al suo fine. L’araldo del Re è comparso e l’ha preannunciato.» —
La lettura della lettera destò una felicità generale fra i Galilei.
— «Preparatevi ora» — egli aggiunse — «e domattina dirigetevi verso casa; quando sarete arrivati, mandate ad avvertire i vostri subalterni e teneteli pronti a riunirsi a un mio comando. Per me e per voi andrò a vedere se il Re è realmente arrivato, e ve lo farò sapere. Frattanto viviamo nella gioia della promessa.» —
Entrato nella caverna, egli scrisse una lettera ad Ilderim, ed un’altra a Simonide, comunicando loro le notizie ricevute, e parlando del suo intento di recarsi immediatamente a Gerusalemme. Le lettere furono spedite per mezzo di rapidi messaggieri. Quando cadde la notte e spuntarono le stelle, egli montò a cavallo, e con una guida Araba si diresse verso il Giordano, intendendo di raggiungere la via delle carovane, tra Rabbath Ammon e Damasco.
La guida era fidata e Aldebran veloce; cosicchè verso la mezzanotte i due uscirono dalla valle, che per tanti mesi era stata la loro dimora.