Ben Hur/Libro Quinto/Capitolo I
Questo testo è completo. |
Traduzione dall'inglese di Herbert Alexander St John Mildmay, Gastone Cavalieri (1900)
◄ | Libro Quinto | Libro Quinto - Capitolo II | ► |
CAPITOLO I.
La mattina dopo i baccanali celebrati nella gran sala del Palazzo, il divano era ingombro di giovani patrizi addormentati. Massenzio potrebbe arrivare e tutta la città andargli incontro, la legione discendere dal Monte Sulpio e presentare le armi; dal Ninfeo ad Omfalo svolgersi processioni e feste splendide e fastose come l’Oriente sapeva allestire; ma quei giovani avrebbero continuato a dormire i loro sonni ignominiosi sul divano, dov’erano caduti, o dove erano stati buttati dalle braccia degli schiavi indifferenti.
Non tutti però coloro che avevano partecipato all’orgia si trovavano in questo stato vergognoso. Quando la luce del giorno cominciò a far capolino attraverso le fessure delle imposte, Messala si alzò e si tolse la ghirlanda dal capo significando la fine dei bagordi; si ravvolse poi nella sua toga e, con un ultimo sguardo alla scena, senza una parola, uscì per raggiungere i suoi appartamenti. Cicerone non avrebbe potuto ritirarsi con maggiore gravità da una notturna seduta senatoriale.
Tre ore dopo due corrieri entrarono nella sua stanza e dalle sue mani ciascuno di essi ricevette un dispaccio suggellato contenente una lettera per Valerio Grato, Procuratore, ancora residente a Cesarea. L’importanza della lettera e della sua pronta consegna appariva dagli ordini impartiti; un corriere doveva andare per mare, l’altro per terra, entrambi procedere con la massima celerità.
E’ necessario che il lettore prenda conoscenza del contenuto della lettera.
Antiochia, xii. kal. Iul.
MESSALA a GRATO.
O mio Mida!
Non offenderti, ti prego, a questo indirizzo, poichè deriva dall’affetto e dalla riconoscenza che ti porto, ed è insieme una confessione che tu sei il più fortunato fra gli uomini. Del resto le tue orecchie sono quali tua madre te le ha date e tu non ne hai colpa alcuna.
O mio Mida!
Io devo raccontarti cose meravigliose, le quali, se per ora poggiano ancora su mere congetture, saranno nondimeno degne della tua attenzione.
Permettimi in primo luogo che io rinfreschi la tua memoria. Tu ricorderai, molti anni fa, la famiglia di un principe di Gerusalemme, assai antica e straordinariamente ricca — di nome Ben-Hur. Se la tua memoria e tarda nel rammentarti questo fatto, credo che una certa cicatrice che adorna ancor oggi il tuo illustre capo ti sarà stimolo ed aiuto efficace.
Come punizione del tuo tentato assassinio, — per la pace della mia coscienza tolgano gli Dei che si sia trattato di un accidente! — la famiglia fu fatta scomparire e i suoi beni confiscati.
La nostra azione fu approvata da Cesare — non manchino mai fiori alla sua tomba! — quindi non è vergogna alludere alle somme che da quella fonte entrarono nei nostri forzieri, per la qual cosa la mia gratitudine sarà eterna, come spero sarà eterno il godimento di quella parte di beni che la tua munificenza mi largì.
Per rivendicare la tua saggezza — qualità per la quale non brillava il figlio di Gordio a cui ti ho paragonato — richiamerò anche le disposizioni che prendesti riguardo ai membri della famiglia Hur, affinchè il silenzio della tomba ci assicurasse il tranquillo godimento dei nostri guadagni, e allo stesso tempo il rimorso di aver versato sangue non ci macchiasse la tenera coscienza. Ti ricorderai di ciò che hai fatto della madre e della sorella del malfattore, e se ora cedo alla curiosità di sapere se esse vivono o sono morte, la gentilezza dell’animo tuo mi sapra facilmente perdonare.
Ma per venire a ciò che si riferisce più essenzialmente all’affare presente, io mi prendo la libertà di ricordarti che il reo fu mandato alle galere perpetue, — così suonò la condanna, sentenza che io vidi coi miei propri occhi e consegnata al tribuno comandante la galera.
Ed ora stammi attento, o eccellentissimo Frigio!
Se calcoliamo in base al limite comune della vita di un galeotto l’assassino da te così giustamente colpito dovrebbe esser morto, o, per usare una forma più poetica, una delle tremila Oceanine avrebbe dovuto prenderlo a marito, almeno cinque anni fa. E se tu mi perdonerai questa momentanea debolezza, o eccellente fra gli uomini, — per l’amore che io gli portai in gioventù ed anche per la sua grande bellezza (io soleva chiamarlo il mio Ganimede) egli avrebbe di diritto dovuto cadere nelle braccia della più bella fra le figliuole di Nereo. In tale opinione ho vissuto tutti questi anni nel pacifico e tranquillo godimento della fortuna di cui gli sono in parte debitore — Faccio questa confessione senza intendere di scemare per nulla il debito di riconoscenza che ho verso di te. Vengo al punto più interessante.
La scorsa notte, io fungeva da anfitrione in una festa di alcuni giovani appena venuti da Roma, — la loro tenera età e la loro inesperienza avevano fatto appello alla mia compassione — quando mi venne fatto di udire una storia singolare. Oggi, come sai, arriva Massenzio, il Console, per dirigere la campagna contro i Parti. Fra gli ambiziosi che lo accompagnano vi è un tale, figlio del defunto duumviro Quinto Arrio. Intorno a lui ebbi alcuni particolari curiosi. Quando Arrio partì contro i Pirati, la sconfitta dei quali gli procurò le ultime onorificenze, non possedeva famiglia: quando tornò dalla spedizione condusse seco un erede.
Prepara l’animo tuo ad udire grandi cose.
L’erede di cui parlo è colui che tu mandasti in galera, e che avrebbe dovuto, secondo i nostri calcoli, esser morto cinque anni fa, e che invece ritorna ricco, potente, e probabilmente con la cittadinanza Romana, per.... Ecco, tu sei abbastanza altamente locato per non temere, ma io, o Mida, io sono in pericolo, non è bisogno ch’io dica il perchè: Chi dovrebbe saperlo se non tu? Che cosa dici di tutto ciò?
Quando Arrio, il padre adottivo di questa apparizione Oceanica, attaccò battaglia coi Pirati, la sua nave andò a picco, e tutto l’equipaggio perì, tranne due persone — Arrio medesimo, e questo suo erede.
Gli ufficiali, i quali li raccolsero dalla trave su cui galeggiavano, dicono che il compagno del fortunato tribuno era un giovane, e vestisse abiti da forzato. Questo dovrebbe bastare per convincerti; ma, nel caso che tu, ottimo Mida non fossi ancora interamente persuaso, aggiungerò che ieri la Fortuna mi fece incontrare faccia a faccia questo figlio di Arrio, e io ti giuro che quantunque non lo riconoscessi sull’istante, egli è quel Ben-Hur che fu per anni mio compagno d’infanzia; quel Ben-Hur, fatto uomo, il quale, fosse anche l’ultimo degli schiavi, deve in questo momento rivolgere disegni di vendetta — così farei io al suo posto — vendetta che non si arresterebbe neppure davanti alla morte; vendetta per la patria, per la madre, per la sorella, perdute, per gli anni passati al remo, per la fortuna infine di cui noi lo spogliammo.
A quest’ora, o mio benefattore ed amico, il pericolo che corrono i tuoi sesterzi, se non la tua pelle, avrà scosso il tuo abituale scetticismo, e la tua potente intelligenza si sarà messa a riflettere.
Sarebbe banale di chiederti che cosa dovremmo fare. Piuttosto lasciami dire che io sono il tuo cliente; o meglio, sii tu il mio Ulisse, dalla cui bocca attendo sapienti consigli.
Mi rimetto completamente a te. Sii celere come Mercurio, pronto come Cesare.
Il sole è già alto. Fra un ora due messaggeri partiranno dalla mia stanza, ciascuno con una copia suggellata, di questa lettera; uno viaggerà per terra l’altro per mare; di tanta importanza stimo l’apparire del nostro nemico in questa parte del mondo Romano.
Io attenderò la tua risposta in questa città.
Le mosse di Ben-Hur saranno naturalmente regolate dal Console, il quale, quand’anche lavori giorno e notte, non sarà pronto alla partenza prima di un mese. Tu conosci la fatica di riunire un esercito e di provvederlo di tutto il necessario per una campagna in un paese lontano e deserto.
Io incontrai ieri l’Ebreo nel Boschetto di Dafne, e se egli non vi è tuttora, dimora certamente nelle vicinanze, cosicchè sarà facile tenerlo d’occhio. Anzi, se tu chiedessi dove sia in questo momento, io giuocherei che egli si trova all’Orto delle Palme; sotto la tenda di quel canuto traditore, lo sceicco Ilderim, il quale non sfuggirà a lungo alle nostre mani. Non ti sorprenda se Massenzio, come passo preliminare, farà imbarcare l’Arabo sulla prima galera di ritorno e lo manderà a Roma.
Io sono così sollecito di tenerti a giorno sul nostro amico, perchè è di alta importanza per te, o illustre, dove egli si trovi; poichè già sotto la tua abile guida ho appreso tanto di saggezza umana quanto basta per conoscere che in ogni impresa, tre elementi si devono massimamente considerare — tempo — luogo — mezzo.
Se tu credi che questo sia il luogo opportuno, non esitare ad affidare l’attuazione dei tuoi piani al tuo amico e discepolo:
«Messala»