Autobiografia (Monaldo Leopardi)/Capitolo XLVIII

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XLVIII.

Principj della insorgenza.

L’ingordigia somma delle armate republicane e il pessimo governo della nostra Republica avevano indispettiti estremamente i popoli, i quali non essendosi mai misurati [p. 111 modifica]con le truppe agguerrite e disciplinate credevano sempre di potersi misurare con esse. Il popolo è sempre fanciullo, e i fanciulli hanno l’audacia di attaccare i giganti come i cani piccoli inseguono e mordono i mastini sinchè ne vengono divorati. Le cose dei Francesi andavano male nell’Italia alta e in Allemagna, e però tenendo essi poche truppe in queste parti, e vedendosi nei nostri mari qualche legno Inglese, o Russo, o Turco, tutti inimici della Francia, il volgo incominciò a prendere coraggio. Nacquero insurrezioni in più parti di Italia, e comunque i Francesi ne traessero vendetta pronta e inesorabile facendo strage degli insorti, e saccheggiando e abbruciando i paesi, il racconto di questi avvenimenti lontani non persuadeva la plebe. La debolezza dei francesi non si poteva nascondere e non mancavano fanatici che sollevassero il popolo, e malvaggi che andassero in cerca di torbidi per cavarne profitto. Anche lo Stato nostro incominciò a tumultuare, e per la Marca fu fatale un tal Vanni, benestante di Caldarola. Dissero che era un buon uomo, ma se lo era, era pazzo ancora. Costui si dichiarò Generale degli insorgenti, e adunata attorno di sè una mano di disperati si mise in guerra contro la Francia. Entrando nei paesi atterrava gli alberi della libertà, abbatteva tutti gli emblemi della Republica, suonava le campane all’armi, e gridava Viva Maria. Il popolo correva a stormi, armato di quello che gli capitava alle mani, e trionfava facilmente entrando in quei luoghi nei quali veruno gli si opponeva. Alli quindici di giugno l’armata di Vanni fu in Macerata da dove fuggirono tutte le autorità republicane.