Audizioni Commissione d'inchiesta Federconsorzi/34

Audizione Diana

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SENATO DELLA REPUBBLICA-------------------------------------------------- CAMERA DEI DEPUTATI XIII LEGISLATURA


COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SUL DISSESTO DELLA FEDERAZIONE ITALIANA DEI CONSORZI AGRARI



RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 14 MARZO 2000


Presidenza del presidente Melchiorre CIRAMI


I lavori hanno inizio alle ore 12,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).


Presidenza del presidente CIRAMI

Comunicazioni del Presidente

PRESIDENTE. Colleghi, l’Ufficio di Presidenza, riunitosi il 2 marzo 2000, ha predisposto il seguente calendario dei lavori: martedì 14 marzo 2000, alle ore 12, audizione del dottor Alfredo Luigi Diana; giovedì 23 marzo 2000, alle ore 14, audizione del dottor Giorgio Cigliana.

L’Ufficio di Presidenza ha altresì valutato la proposta formulata dal primo gruppo di lavoro di affidare ad un consulente l’incarico di esaminare la documentazione inviata dalle banche creditrici della Federconsorzi: ed ha esaminato il curriculum del dottor Giovanni Volpe, dottore commercialista ed esperto nel settore bancario e societario. Prima però di concordare la relativa proposta di delibera, ai sensi dell’articolo 24 del Regolamento interno, vorrei che mi venissero da voi indicazioni su questo punto, anche attraverso la segnalazione di ulteriori nominativi di esperti nel settore bancario, in modo da mettere a disposizione dell’Ufficio di Presidenza, che si riunirà mercoledì 22 marzo, una rosa di persone, all’interno della quale individuare il nuovo collaboratore al quale affidare l’incarico indicato dal primo gruppo di lavoro.

Vi informo quindi che, in data 2 marzo, il Presidente dell’ISVAP ha trasmesso copia dei verbali relativi alle due verifiche ispettive eseguite nel 1991 presso la società FATA Assicurazioni, nonché i prospetti relativi all’azionariato dell’impresa dal 1990 al 1999. In pari data, il Presidente della Coldiretti ha corrisposto alla nostra richiesta, inviando copia degli statuti sociali, dei bilanci per il periodo 1982-93, delle delibere annuali concernenti l’ammontare del cosiddetto contributo associativo, nonché di un prospetto riepilogativo dei conti correnti bancari nella disponibilità di questa organizzazione nel periodo 1982-93. In data 3 marzo, il Presidente della Confagricoltura, al quale era stata rivolta analoga richiesta, ha chiesto una breve proroga della data entro la quale consegnare la documentazione: a tale richiesta ho ritenuto di potere accedere indicando il termine del 31 marzo.

Infine, in data 3 marzo, il liquidatore giudiziale della Federconsorzi ci ha rimesso copia delle relazioni da lui depositate in data 23 febbraio e 21 settembre 1999.

Audizione del dottor Alfredo Luigi Diana

PRESIDENTE. La Commissione procede oggi all’audizione del dottor Alfredo Luigi Diana, che ringrazio per aver accolto, con cortese disponibilità, il nostro invito.

Avverto che i nostri lavori si svolgono in forma pubblica, secondo quanto dispone l’articolo 7 della legge istitutiva, e che è dunque attivato, ai sensi l’articolo 12, comma 2, del nostro Regolamento interno, l’impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Qualora da parte del dottor Diana o di colleghi lo si ritenga opportuno in relazione ad argomenti che si vogliono mantenere riservati, disattiverò l’impianto audiovisivo per il tempo necessario.

Preciso infine che dell’audizione odierna è redatto il resoconto stenografico, che sarà sottoposto, ai sensi l’articolo 12, comma 6, del Regolamento interno, alla persona ascoltata e ai colleghi che interverranno, perché provvedano a sottoscriverlo apportandovi le correzioni di forma che riterranno, in vista della pubblicazione negli Atti parlamentari.

Ricordo che il dottor Diana ha rivestito la carica di Presidente della Confagricoltura dal 1960 al 1977; è stato europarlamentare, deputato e senatore per varie legislature; ha quindi ricoperto la carica di Ministro dell’agricoltura dal 28 marzo 1993 al 10 maggio 1994. Una più compiuta biografia del nostro ospite è a vostra disposizione.

Dottor Diana, prima di rivolgerle una serie di domande, la invito a fornirci il contributo conoscitivo che è nelle legittime aspettative di questa Commissione in ragione degli incarichi da lei ricoperti (Presidente della Confagricoltura, parlamentare, anche europeo, Ministro dell’agricoltura), per quanto riguarda l’intera vicenda, a partire dal 1982 fino al suo incarico di Ministro.

DIANA. Signor Presidente, desidero innanzi tutto fare una breve precisazione. Sono stato Presidente della Confagricoltura dal 1969 al 1976; in quegli anni la Federconsorzi godeva reputazione di gallina dalle uova d’oro, o quanto meno di essere un’azienda in buone condizioni e ben gestita.

Desidero quindi sottolineare che il problema relativo alla Federconsorzi ebbe inizio successivamente e, se mi è consentito, vorrei scorrere rapidamente le tappe relative a questa vicenda.

Il 17 maggio il ministro Goria dispose il commissariamento della Federconsorzi; il 4 luglio dello stesso anno la Federconsorzi depositò presso il tribunale fallimentare di Roma la domanda di concordato preventivo per la cessione dei beni; in data 13-22 luglio 1991 il tribunale ammise la Federconsorzi alla procedura di concordato preventivo; il 22 maggio 1992 il commissario giudiziale presentò la relazione particolareggiata redatta sulla base delle perizie fornite dagli estimatori; nel giugno 1992 la Banca d’Italia autorizzò la vendita; il 23 luglio il tribunale omologò il concordato preventivo richiesto dai commissari governativi; il 23 marzo 1993 il tribunale, con decreto collegiale, autorizzò la Federconsorzi, nella persona del suo legale rappresentante, ad effettuare la vendita in blocco delle attività di cui alla relazione del commissario giudiziale; alla stessa data fui nominato, nel Governo Amato, Ministro dell’agricoltura e foreste in sostituzione del ministro Fontana, dimissionario.

Ho voluto ripercorrere questo periodo proprio per sottolineare che, quando venni nominato Ministro, la vicenda della Federconsorzi era ormai giunta ad un binario che praticamente non apparteneva più alla competenza del Ministero dell’agricoltura essendo ormai pervenuta nelle mani del giudice fallimentare e, per esito del giudice delegato, al commissario governativo, che di fatto era il braccio operativo del tribunale fallimentare che stabiliva le modalità e le procedure.

Come ho già ricordato, sono stato nominato nel marzo 1993, alla vigilia del referendum abrogativo del Ministero dell’agricoltura promosso da 5 regioni, il cui risultato era del resto del tutto scontato, tanto è vero che il 17 aprile 1993 il Ministero dell’agricoltura venne di fatto soppresso. Il 22 aprile 1993, cioè cinque giorni dopo, si dimise il Governo Amato; il 27 aprile dello stesso anno venne istituita la S.G.R.. Il 28 aprile venni confermato Ministro dell’agricoltura e foreste nel Governo Ciampi, con una strana posizione, perché in effetti il Ministero non esisteva più, o meglio restò in vita per i tre mesi successivi al referendum in attesa di valutare che sorte dovesse avere, anche perché al riguardo non vi era molta chiarezza, dal momento che all’interno della stessa compagine governativa vi erano alcuni che ritenevano opportuna la soppressione di questo Ministero - come si verificò per il Ministero del turismo - altri che pensavano che le sue competenze dovessero rientrare all’interno di un dipartimento sotto la giurisdizione della Presidenza del Consiglio, altri ancora che vedevano positivamente la creazione di un’istituzione che si dedicasse ai rapporti con il mondo dell’agricoltura.

Il presidente Ciampi, nel suo discorso programmatico alle Camere, dichiarò che l’agricoltura avrebbe avuto una propria istituzione, ma non accennò a quale potesse essere. Soltanto il 4 agosto 1993 fu presentato il decreto-legge n. 272 che prevedeva l’istituzione del Ministero per il coordinamento delle politiche agricole, alimentari e forestali. Pochi giorni prima, il 20 luglio 1993, il tribunale con proprio decreto aveva autorizzato la dismissione dei beni della Federconsorzi precisando che le vendite relative ai beni residui avrebbero dovuto iniziare entro il 10 luglio. Come ho già accennato, tutto ciò avvenne prima della presentazione del suddetto decreto-legge che decadde e fu ripresentato tre mesi dopo e definitivamente convertito in legge (legge n. 491) il 4 dicembre 1993, con la quale venne istituito il Ministero delle risorse agricole alimentari e forestali.

Il 23 marzo 1994 il governo Ciampi si dimise e restò in carica all’incirca fino al mese di maggio per consentire lo svolgimento delle elezioni.

Ho voluto ricordare queste date, che molto probabilmente sono note alla Commissione e a lei, signor Presidente, perché ho vissuto un periodo nel quale non solo la Federconsorzi era in fase di liquidazione, ma sembrava che finanche il Ministero fosse in fase di liquidazione. Dico questo perché effettivamente è stato un momento difficile durante il quale anche all’interno del Ministero vi era un certo avvilimento, considerato soprattutto il fatto che da tutte le parti si chiedeva un ridimensionamento delle funzioni e dell’organico del Ministero e del resto lo stesso disegno di legge prevedeva esplicitamente che il Ministero dovesse avere una struttura snella, quindi di pochi dipendenti e funzionari, sicché non era possibile in quella sede assumere quelle competenze specifiche che pure abbisognavano al Ministero. Questa situazione si è protratta praticamente fino alla fine del mio mandato ed io ho vissuto questa esperienza in maniera abbastanza difficile. Avrei forse meritato di essere iscritto nel Guinness dei primati perché, nel solo anno 1993, ho giurato per ben quattro volte nelle mani del Presidente della Repubblica. Credo che ciò sia accaduto solo a pochi Ministri!

PRESIDENTE. Attingendo alla sua lunga esperienza, acquisita in ragione degli incarichi da lei ricoperti di presidente della Confagricoltura, di parlamentare, anche europeo, e di Ministro dell’agricoltura, le vorrei sottoporre alcune tematiche.

Il primo tema riguarda la gestione della Federconsorzi.

In base alla legge istitutiva, la Commissione ha il compito di accertare cosa è accaduto nel periodo antecedente il dissesto della Federconsorzi, durante il periodo del dissesto e successivamente a questo, e credo che lei sia stato presente in tutte e tre le fasi di questa vicenda. Abbiamo già ascoltato il suo predecessore.

A suo avviso, come veniva gestita la Federconsorzi? Quella ispirata dalla sua organizzazione era una politica di sostegno ai consorzi agrari?

Condivideva lei la scelta della politica di sostegno ai consorzi agrari?

DIANA. Ricordavo poco fa che sono stato presidente della Confagricoltura dalla fine degli anni ’60 alla metà degli anni ‘70 e tengo a precisare che non sono mai stato amministratore né presidente, né socio di consorzi agrari perché mi è sembrato che, in questa sede, siano state fatte dichiarazioni in senso contrario.

Alla mia epoca la Fedit era praticamente amministrata dal direttore generale Mizzi, una personalità di rilievo che aveva avuto l’indubbio merito di ricostruirla all’indomani della guerra, che aveva riscosso la fiducia degli alleati per avere gestito in maniera eccellente il problema degli approvvigionamenti provenienti dagli Stati Uniti. Era per così dire il factotum, colui che amministrava la Federconsorzi, avendo certamente nella persona del presidente un appoggio di carattere più politico che amministrativo. I direttori dei consorzi agrari erano nominati dalla Federconsorzi e quindi si trattava certamente di un sistema centralizzato che, peraltro, aveva indubbiamente i suoi vantaggi perché guidato da un direttore che sapeva fare il suo mestiere. Questo sistema, però, aveva lo svantaggio che, avendo il dottor Mizzi concentrato nella sua persona ogni incarico e non avendo – come del resto tutti i dittatori - pensato a crearsi un successore, una volta venuto meno lui cominciarono i problemi.

Comunque, all’epoca le cose sotto il profilo economico non andavano male per la Federconsorzi, mentre iniziavano già ad affiorare problemi per alcuni consorzi che si erano già indebitati nei confronti della Federazione. Questo è stato sempre un motivo di critica nei confronti della Federconsorzi perché era chiaro che questa federazione dovesse reggersi sulle attività dei consorzi agrari e non viceversa. Ma ripeto, forse si trattava solo delle prime avvisaglie e i problemi non si erano dimostrati quelli che poi sarebbero diventati.

Da parte della Confagricoltura l’appoggio era dato evidentemente ai consorzi agrari; con Mizzi qualche problema caratteriale vi è stato, ma credo di poter dire che abbiamo avuto l’uno per l’altro un reciproco rispetto. Tra l’altro fu proprio Mizzi a dirmi che ero tra i pochi che non avevano richiesto per se stessi una lira alla Federconsorzi; e così è stato. Per il resto la Federcosorzi aveva grosse aziende agricole che pagavano una quota associativa come la Ferruzzi cereali, le Assicurazioni generali e altre aziende.

PRESIDENTE. Ma allora la Confagricoltura era contraria alla politica di sostegno ai consorzi agrari che fu una delle cause - se non la causa - che determinò il dissesto della Fedit? Se è così, vi siete opposti e cosa avete fatto in concreto per opporvi a questo sistema per cercare di cambiarlo?

Rappresentavate la parte imprenditoriale dell’agricoltura.

DIANA. Non c’è dubbio, ma questo sistema tutto sommato era voluto dai consorzi stessi che cominciavano ad avere dei problemi dovuti - questa è una mia idea che ho più volte manifestato - al fatto che avevano una rete estremamente frazionata. Certo era comodo per noi agricoltori andare a comprare il concime o il gasolio nel comune stesso dove vi era il magazzino del consorzio agrario. Ma forse ciò non era più adeguato ai tempi, nel momento in cui non ci si muoveva più con le carrette bensì con il trattore, ma piuttosto con il fuoristrada. Per cui, questa grande rete, che in passato aveva sicuramente avuto ragion d’essere, era diventata obsoleta e troppo costosa. I consorzi agrari si indebitavano perché non riuscivano a far fronte alle spese di un’amministrazione troppo vasta e troppo diffusa sul territorio. Questo è stato uno dei motivi di critica. Peraltro vi erano delle resistenze da parte dei consorzi stessi o perlomeno di alcuni, perché sembrava che doversi disfare di una parte della rete di vendita, costituisse un venir meno dei compiti istituzionali di servizio agli agricoltori.

PRESIDENTE. Queste condizioni di monopolio dettate dalla Federconsorzi, dalla Coldiretti e dalla Confagricoltura non pensavate di romperle con l’ingresso di altre organizzazioni?

E’ a conoscenza di qualche resistenza in tal senso?

DIANA. Personalmente ho sempre ritenuto che si dovessero "aprire le porte" dei consorzi agrari, anche per portare dentro aria nuova e ciò incontrava probabilmente degli ostacoli di carattere politico.

PRESIDENTE. Da parte di chi?

DIANA. Le forze che dominavano in Parlamento in quel periodo erano quelle della Democrazia cristiana, che era saldamente insediata nei consorzi agrari con i propri uomini e che diffidava delle possibilità di aprire ad altre persone. Io stesso, dicevo prima, non sono mai diventato socio dei consorzi agrari, pur essendo titolare di un’azione; mio padre aveva infatti, come tutti gli agricoltori della zona, acquistato un’azione. Peraltro, le azioni non potevano andare in successione, quindi avendo fatto una garbata domanda di entrare tra i soci dei consorzi agrari e non essendomi stata data risposta non avevo insistito ulteriormente. Quella era la politica: non facciamo entrare i disturbatori. Io venivo dalle file dell’ANGA, cioè dei giovani agricoltori, e potevo essere considerato tale. Questo credo sia stato uno dei mali dell’organizzazione, perché l’aria nuova e i disturbatori a volte portano qualche problema però anche a qualche vantaggio.

PRESIDENTE. La Confagricoltura riceveva dei contributi da parte di Federconsorzi e perché?

DIANA. Come quote associative.

PRESIDENTE. Soltanto queste?

DIANA. Si trattava di una quota forfettaria che ci veniva data e che era calcolata sulla base delle aziende federconsortili che aderivano alla nostra organizzazione.

PRESIDENTE. Lei ha già accennato alla crisi della Federconsorzi; ritiene di poter individuare le responsabilità della stessa in qualcosa o in qualcuno? Quale potrebbe essere stata, a suo modo di vedere, la causa principale di questo dissesto?

DIANA. Quando è terminato il mio incarico alla presidenza della Confagricoltura sono stato prima al Parlamento europeo e poi in questa stessa Aula del Senato; non ho seguito più la vicenda della Federconsorzi, né so dei tentativi di risanamento. Ricordo che proprio il giorno del commissariamento della Federconsorzi, in un’assemblea della Confagricoltura alla quale ero stato invitato come osservatore non avendo più alcuno ruolo in Confagricoltura, il presidente Gioia, che era anche vice presidente della Federconsorzi, parlò di un certo piano Pellizzoni per il risanamento della Federconsorzi. Questo voglio ricordarlo perché credo che Gioia fosse assolutamente all’oscuro di quanto stava in quei giorni maturando; non ne fece cenno e, al contrario, parlò di un piano di rilancio e ristrutturazione della Federconsorzi, che era portato avanti dall’allora direttore Pellizzoni. E’ un piano che non conosco, così come non conosco Pellizzoni.

PRESIDENTE. Come potrebbe giudicarsi l’operato di Goria e il conseguente commissariamento da lui attuato? A suo modo di vedere fu opportuno e necessario?

DIANA. A mio modo di vedere fu incomprensibile se non per pressioni che Goria può avere avuto da parte politica, forse proprio dalle parti politiche escluse dalla compagine Federconsorzi. Se andiamo a rileggere la stampa di quei giorni possiamo riscontrare che ben pochi dissero che era quello il momento e che era stata una decisione opportuna. Questo vale la pena di ricordarlo. Così come ricordo che io sostenni che un colpo di questo genere avrebbe probabilmente potuto portare dissesto anche tra i consorzi e questo sicuramente non sarebbe andato a vantaggio dell’agricoltura. Mi sembra che la mia fu all’epoca una delle poche espressioni in controcorrente.

PRESIDENTE. Quindi lei ritiene che il commissariamento avvenne più per ragioni politiche che tecniche.

DIANA. Credo che l’indebitamento della Federconsorzi fosse elevato. Da quello che si legge, c’erano dei problemi di liquidità e addirittura delle difficoltà di pagamento degli stipendi al personale; questo accelerò un commissariamento che forse nelle intenzioni del ministro Goria - ma non voglio evidentemente esprimere un giudizio sulle intenzioni - doveva portare a dei risultati diversi. Forse Goria pensava attraverso il commissariamento di poter portare avanti con più sollecitudine un piano di ristrutturazione dell’organizzazione federconsortile. Io non ho mai parlato con Goria in quei giorni di questo problema, quindi non so darne una spiegazione.

PRESIDENTE. Vorrei che alla fine noi riuscissimo a trarre una conclusione. In questa vicenda c’è un prima, un durante ed un dopo: un prima del quale nessuno si era preoccupato; un durante con l’improvviso commissariamento da parte di Goria, del quale nessuno riesce a dare una spiegazione accettabile sotto il profilo razionale, accompagnato da vari tentativi di costituzione di gruppi che avrebbero dovuto curare il rilancio di Federconsorzi; un dopo con la costituzione di S.G.R. Ma ne parleremo nel prosieguo e alla fine trarremo le conclusioni di questo discorso.

La sua esperienza va oltre la Federconsorzi; lei era infatti Ministro nel momento in cui stava sorgendo il problema della S.G.R. e della cessio bonorum nei confronti di tale società. Per quanto lei ne sappia, prima di tale evento era stato elaborato un progetto strategico per una privatizzazione di fatto di tutta l’intera rete, con la partecipazione di tutte le grandi imprese del settore? Lo Stato infatti non era più la fonte finanziatrice della Federconsorzi. Lei ci sa dire se si verificò un approccio da parte delle grandi imprese volto a privatizzare tale istituto?

DIANA. Mi dispiace deluderla, Presidente, ma veramente su questa vicenda quel che posso riferire al riguardo è ciò che ho appreso dalla stampa. I tentativi compiuti dalla Cariplo di Mazzotta e dalla Akros di Roveraro li ho appresi dalla stampa, non li ho vissuti in prima persona. Ripeto, quando lasciai la presidenza di Confagricoltura, non c’era motivo che si ponesse un problema di questo genere semplicemente perché non c’era nessuno stato di dissesto e di crisi all’interno dell’organizzazione federconsortile.

PRESIDENTE. Sarebbe allora fondato il sospetto che i contrasti più che sul commissariamento si verificarono sulla gestione di quest’ultimo?

Il commissariamento cioè ha "dato il la" alla vicenda ed i contrasti nacquero o si acuirono per la gestione del post-commissariamento.

DIANA. I commissari furono nominati da Goria nelle persone di Gambino, Locatelli e Cigliana; il loro incarico sarebbe dovuto durare un anno. Praticamente si dimisero nel giugno del 1992; da quello che ho appreso, ancora una volta dai comunicati della stampa, dicevano di aver ormai praticamente esaurito il proprio compito, o che questo diventato ormai di carattere gestionale minore non era di importanza tale da giustificare la presenza di tre commissari. Fu allora nominato il commissario Piovano in loro sostituzione; ancora una volta un commercialista che avrebbe dovuto curare la parte commerciale della vendita di Federconsorzi.

Non saprei dare un giudizio sull’operato di questi amministratori.

PRESIDENTE. Vorrei ora passare ad affrontare un secondo argomento proprio al fine di meglio comprendere il rapporto tra le grandi imprese che operavano nel settore e gli eventuali piani strategici che si stavano progettando per quanto riguarda la situazione post Federconsorzi.

Lei, dottor Diana, è stato presidente della Tecnagro e della Montedison agricoltura.

Al riguardo ci può ad esempio dire quali fossero i rapporti tra la Fedit e la Montedison?

DIANA. Sono stato presidente della Tecnagro, un’associazione senza finalità di lucro. Facevano parte di tale struttura: la Fiat Agri, la Montedison Servizi Agricoltura, l’Enichem, e in un momento successivo, anche la stessa Federconsorzi.

Compito della Tecnagro era essenzialmente l’assistenza agli agricoltori nella fase di trasformazione. La Tecnagro, ad esempio, quando si procedette all’erogazione dell’acqua nel Tavoliere delle Puglie si adoperò molto affinché questa risorsa venisse utilizzata, e con criterio, dagli agricoltori.

Non sono a conoscenza dei rapporti tra gli enti che costituivano la Tecnagro. Va considerato che quella era una sede in cui avevamo tentato di riunire determinati soggetti proprio perché si riteneva che il decollo dell’agricoltura, ad esempio in Capitanata, non richiedesse soltanto l’apporto di nuovo macchinario Fiat, di concimi, di fertilizzanti o di altro, ma soprattutto di assistenza agli agricoltori.

PRESIDENTE. Quali erano specificatamente i settori per i quali le due società, cui ho fatto prima riferimento, avevano rapporti con la Federconsorzi?

DIANA. Torno a ribadire che il servizio prestato dalla Tecnagro era prettamente d’assistenza agli agricoltori, quindi i rapporti con la Federconsorzi erano essenzialmente limitati al fatto che magari il consorzio di Foggia poteva essere anche il braccio operativo della Tecnagro in tale zona.

Per quanto riguarda i rapporti fra Federconsorzi e Montedison non so dire quali fossero.

PRESIDENTE. Non ritiene possibile che magari questi rapporti potessero essere sviluppati anche attraverso altre società?

DIANA. Non mi risulta, ripeto, non mi pare che ci fossero rapporti stretti; aggiungo che fra le maggiori società che operano in agricoltura i rapporti sono molto "evangelici" e in tal senso la mano destra non sa quello che fa la sinistra. A mio avviso, tra l’altro, questo aspetto costituiva uno degli inconvenienti maggiori, dal momento che le società del settore si muovevano - e ancora oggi in buona parte lo fanno - l’una all’insaputa dell’altra, ed anche una carenza a cui la Federconsorzi aveva cercato di porre rimedio.

Per quanto riguarda la Fiat, posso dire che aveva un rapporto privilegiato con i consorzi agrari, tant’è che i trattori Fiat venivano venduti esclusivamente attraverso la rete federconsortile.

PRESIDENTE. In che periodo è stato amministratore della Fiat Trattori?

DIANA. Ho fatto parte del consiglio d’amministrazione della Fiat Agri prima del 1983, ossia prima di essere eletto senatore, e a quella data rassegnai doverosamente le dimissioni.

PRESIDENTE. Per quanto tempo fu amministratore di quella azienda?

DIANA. Circa due anni.

PRESIDENTE. Che rapporti vi erano tra la Federconsorzi e la Fiat Trattori?

DIANA. Si trattava di un rapporto privilegiato nel senso che, come ho già detto, la Fiat vendeva i propri mezzi esclusivamente attraverso la rete federconsortile.

PRESIDENTE. Questo rapporto mediato dalla Federconsorzi risultava vantaggioso per gli imprenditori agricoli?

DIANA. Credo che fosse vantaggioso per la Fiat e per la Federconsorzi.

PRESIDENTE. E per gli imprenditori? DIANA. Forse gli imprenditori avrebbero preferito che vi fosse una maggiore concorrenza tra le varie case produttrici, così come accade oggi; anche se non per questo i trattori costano meno.

PRESIDENTE. Quindi in pratica gli imprenditori agricoli acquistavano questi mezzi in una situazione di monopolio?

DIANA. Sì, per quel che riguardava i trattori Fiat.

PRESIDENTE. Vorrei adesso porle una serie di domande che si riferiscono alla fase in cui fu nominato Ministro dell’agricoltura (22 marzo 1993).

Nel merito, lei fu designato dal Gruppo parlamentare di cui faceva parte o venne scelto direttamente dal presidente Amato?

DIANA. A quella data non ero più parlamentare - non mi ero ripresentato alle elezioni - ed ero tornato a svolgere il mio mestiere di agricoltore. Confesso, quindi, che rimasi francamente sorpreso quando ricevetti la telefonata del presidente Amato che chiedeva la mia disponibilità a ricoprire l’incarico di Ministro dell’agricoltura, sia pure per un breve periodo, in sostituzione del dimissionario ministro Fontana.

PRESIDENTE. Quali furono le ragioni per cui il presidente Amato si rivolse a lei? Ritiene che qualcuno avesse fatto il suo nome, oppure la designazione fu sollecitata dal suo ex gruppo politico di appartenenza?

DIANA. Signor Presidente, le confesso che ancora oggi mi chiedo il motivo di quella scelta, anche perché non sono mai stato iscritto alla Democrazia cristiana. Mi sono sempre presentato come indipendente sia pure nelle liste della Democrazia cristiana; inoltre tengo a precisare che, pur essendo stato per cinque anni parlamentare europeo e per otto senatore, non mi fu mai affidato alcun incarico da parte del partito, ad eccezione della carica di vicepresidente della Commissione agricoltura qui in Senato, ma solo per pochi mesi. Non credo quindi sia stata la Democrazia cristiana a fare il mio nome, anche perché il primo Governo di cui entrai a far parte era presieduto da un presidente socialista al quale ebbi tra l’altro modo di far presente che il referendum avrebbe comunque spazzato via il Ministero dell’agricoltura entro pochissimo tempo. Ricordo che il presidente Amato mi rispose che Cincinnato aveva impiegato meno tempo per distruggere gli Equi. Ripeto, comunque, che considerai la scelta del mio nome come un fatto abbastanza singolare.

PRESIDENTE. Quella che desidero fare potrebbe essere intesa come un’affermazione impertinente, ma posso assicurare che non lo è: ebbene, considerato che c’era un Ministero dell’agricoltura in fase di liquidazione, come mai si pensò a lei per questo incarico? La mia domanda non è affatto ingenua perché non bisogna dimenticare che proprio in quel momento era in via di costituzione la S.G.R. Ripeto, perché si pensò a lei e non ad altri, dottor Diana? E’ noto che, nel panorama politico dell’epoca, ci fosse una lotta tra gruppi parlamentari riguardo alla designazione delle persone da far entrare nella compagine governativa in qualità di Ministro o di Sottosegretario. Ebbene, si pensò a lei come soggetto esterno, non più parlamentare e, guarda caso, - la mia non è malevolenza, ma il tentativo di riassumere le circostanze - in quel momento era in pieno svolgimento la costituzione della S.G.R., cioè della società che si accingeva ad acquisire l’intero patrimonio della Federconsorzi. E’ da questa circostanza che nasce la mia domanda: perché si pensò proprio a lei, si trattava di una scelta in funzione di... oppure indipendente da...? DIANA. Signor Presidente, risponderò con altrettanta chiarezza e sincerità anche a costo di sembrare un po’ presuntuoso. Sono agricoltore da sempre, sono laureato in agraria, sono stato eletto al Parlamento europeo votato dagli agricoltori ed ho sempre e solo fatto parte della Commissione agricoltura; sono stato eletto al Senato due volte e ho sempre fatto parte della IX Commissione. Verrebbe, quindi, da chiedersi come mai non si fosse pensato prima a me per un possibile incarico in campo agricolo, dal momento che, modestamente, avevo una specifica competenza nel settore. PRESIDENTE. Ma si pensa a lei proprio nel momento in cui quel Ministero stava per essere soppresso. DIANA. Probabilmente perché nessuno avrebbe voluto assumere un’eredità che si sapeva essere di brevissima durata ed era quasi strano che venisse nominato un Ministro dell’agricoltura venti giorni prima del referendum abrogativo dello stesso Ministero. Probabilmente quell’incarico avrebbe potuto restare anche vacante, ma credo che il presidente Amato abbia pensato a me per non lasciare un posto vuoto; d’altra parte, credo che vi fosse poca gente in quel periodo con voglia di assumere un incarico di così breve durata.

Ciampi mi richiamò al Ministero ancora una volta in un momento di estrema confusione, quando il Ministero era stato soppresso; poiché quello di Ciampi era un Governo tecnico credo che fui scelto proprio in quanto tecnico del settore e non appartenente ad alcun partito politico.

PRESIDENTE. Diciamo che tra i compiti tecnici del Ministero dell’agricoltura c’era la costituzione dalla S.G.R..

Quale era la sua posizione in merito alla S.G.R.?

DIANA. Non sapevo nulla dell’esistenza o della costituzione della S.G.R.. L’ho appreso quando sono diventato Ministro perché già era stata presentata da parte del comitato dei creditori l’offerta nel maggio 1992. Quindi, un anno prima si era già ventilata l’idea che si sarebbe costituita una società aperta a tutti i creditori, ma il nome di S.G.R. appare soltanto nell’aprile 1993, proprio in quella fase di intermezzo durante la quale il governo Amato si era dimesso e il governo Ciampi non si era ancora costituito.

PRESIDENTE. A tal proposito, il commissario governativo Piovano aveva rassegnato, dal 5 al 23 febbraio 1993, alla procedura concorsuale tre pareri esprimendosi favorevolmente per la cessione in massa. Il 22 febbraio 1993 il professor Picardi, commissario giudiziale, aveva depositato un parere perplesso sull’ipotesi di vendita in massa dei beni Fedit.

Il 19 aprile il Governo emanò il decreto-legge 19 aprile 1993 n. 112 "Gestione di ammasso dei prodotti agricoli e campagne di commercializzazione del grano per gli anni 1962-1963 e 1963-1964" che prevedeva la sostituzione con titoli di Stato, con godimento 1° gennaio 1993, dei titoli di credito detenuti dalla Banca d’Italia in relazione alle campagne di ammasso obbligatorio, ma anche il ripianamento dei disavanzi derivanti dalla gestione dell’ammasso obbligatorio con la spesa di 1.035 miliardi per il periodo 1993-2000: esattamente 27 miliardi nel 1993, 144 miliardi nel 1994 e 144 miliardi nel 1995.

Il decreto, per informazione dei colleghi, non fu convertito ma fu seguito da identici decreti ed esattamente i nn. 565 del 30 dicembre 1993, 142 del 28 febbraio 1994, 264 del 29 aprile 1994, 423 del 30 giugno 1994, tutti non convertiti.

Il 27 aprile 1993, ovvero otto giorni dopo l’emanazione del decreto legge n. 112, fu costituita la S.G.R., Società Gestione per il Realizzo S.p.A..

Il giorno 11 maggio 1993 fu da lei nominato D’Ercole quale nuovo commissario governativo. Sub-commissari furono Brancadoro e Di Brina. Il 20 luglio 1993 il tribunale autorizzò la sottoscrizione dell’atto-quadro di cessione e l’atto-quadro fu stipulato dal notaio Mariconda il 2 agosto 1993.

La successione temporale degli eventi sembra ricollegare strettamente il ripianamento dei disavanzi delle gestioni speciali con la formalizzazione della S.G.R., avvenuta pochissimo tempo dopo.

In pratica voglio dire che tutta questa attività a livello ministeriale che predisponeva il denaro o le risorse finanziarie per liquidare la questione degli ammassi speciali agricoli, a cui abbiamo fatto riferimento, sembra essere prodromica alla formazione della società, in modo tale da rendere la Federconsorzi "appetibile" per la costituenda S.G.R. con l’accesso della società al concordato preventivo, alla cessio bonorum dei beni. Poi i decreti non furono convertiti e accaddero i fatti che valuteremo in seguito. Qual è stata la posizione del Ministero dell’agricoltura in ordine all’intera vicenda?

DIANA. Signor Presidente, i decreti-legge che lei ha ricordato, a cominciare dal decreto-legge n. 112 dell’aprile 1993 (due giorni dopo il referendum abrogativo) portano la firma del presidente Amato. È il Presidente del Consiglio che presenta il decreto-legge assieme al ministro del tesoro Barucci, di concerto con il Ministro dell’agricoltura. Lei ha ricordato che questo decreto non è stato convertito. Il decreto-legge n. 565 del 30 dicembre 1993, reiterato con il provvedimento n. 142 del 28 febbraio 1994, è ancora una volta di iniziativa del Presidente del Consiglio dell’epoca Ciampi, del ministro del tesoro Barucci, del ministro del bilancio Spaventa, sempre di concerto con il Ministro dell’agricoltura; anche questo è decaduto.

Ho voluto ricordare questo perché in effetti l’iniziativa non parte dal Ministero dell’agricoltura bensì dal Presidente del Consiglio, dal Ministro del tesoro e dal Ministro del bilancio. In precedenza questo stesso testo viene presentato praticamente da tutti i Governi; tutti i Governi presentano il piano di pagamenti del credito vantato dalla Federconsorzi e dai consorzi agrari nei confronti dello Stato perché è un atto dovuto. Lo Stato non può non pagare i propri debiti e il Ministro del tesoro e quello del bilancio insistono nel voler pagare perché queste somme (che inizialmente – se ben ricordo - erano dell’ordine di 35-36 miliardi, e sulle quali gravavano interessi composti che, in funzione di un mandato amministrativo di Natali del 1971, erano del 4,4 per cento in più del tasso di sconto) andavano via via crescendo. Pertanto, la Banca d’Italia, il Ministro del tesoro e quello del bilancio si preoccupavano giustamente di liberarsi al più presto di questo onere.

Quindi, la vicenda della S.G.R. e della liquidazione della Federconsorzi non entra in questa fase preliminare. È da sempre che esiste un atteggiamento di questo genere perché – ripeto – si tratta di un atto dovuto al quale non si è saputo o non si è potuto dare risposta. Ricordiamo tutti che, ogni qualvolta si parlava di Federconsorzi, dei miliardi della Federconsorzi, veniva ricordata la famosa denuncia del mio maestro Rossi Doria e di Ernesto Rossi sui miliardi della Federconsorzi che non si riferivano agli ammassi degli anni 62/64, ma a quelli degli anni 50 che non erano certamente quelli oggetto dei decreti che invece erano riferiti alle spese fatte dai consorzi agrari e dalla Federconsorzi per facchinaggio, magazzinaggio e così via. E pertanto non avevano a che fare con la politica degli ammassi precedenti e con la denuncia di Rossi Doria. Questo debito, ogni qual volta veniva portato all’attenzione del Parlamento, suscitava delle polemiche perché si ricordava la vicenda di anni passati; quindi, arrivati in Aula, i decreti-legge o i disegni di legge non venivano convertiti o approvati. Questo è accaduto prima, durante la mia permanenza al Ministero dell’agricoltura, ed anche dopo. Non penso che la S.G.R. avesse "messo gli occhi" su questi debiti. Non credo neppure che venissero valutati facilmente esigibili, tant’è vero che nell’ultimo bilancio della Federconsorzi furono addirittura decurtati; cosa che non so fino a che punto fosse lecito fare. Probabilmente gli stessi amministratori della Federconsorzi e dei consorzi agrari li consideravano se non inesigibili quantomeno di assai difficile pagamento.

PRESIDENTE. E con quel decreto-legge diventarono almeno in parte esigibili?

DIANA. Non mi sembra che lo furono e del resto mi sembra di ricordare che sarebbero stati pagati con titoli dello Stato trentennali, di cui più delle metà doveva andare ai consorzi agrari e la parte restante alla Federconsorzi. Questi soldi avrebbero dovuto servire per il rilancio dei consorzi agrari; forse, se fossero stati disponibili nel momento opportuno e se fossero stati pagati per tempo, avrebbero potuto addirittura evitare il dissesto della Federconsorzi, che aveva problemi di liquidità. Ma ciò non fu possibile e non credo che fosse per colpa del Governo, perché quest’ultimo quantomeno ci provò.

PRESIDENTE. A me sembra strano che lei possa parlare di un atto dovuto; dopo trent’anni è un atto dovuto che mi lascia molto perplesso. Chissà perché questo dovere si radica proprio nel momento in cui la Federconsorzi viene quasi messa in liquidazione con il commissariamento ed è in corso di costituzione una società di gestione per il realizzo. Mi sembra eccessivamente tardivo, per non essere sospetto, questo atto dovuto che avviene dopo trent’anni da quando si è verificata la causa del debito dello Stato nei confronti della rete federconsortile o di Federconsorzi. Erano passati quasi trent’anni dalle campagne del 1962-1963 quando vi fu un lungo dibattito in sede di Commissione agricoltura della Camera dei deputati, ad esempio nelle sedute del 27 aprile, 12 e 13 maggio 1993. In fin dei conti poi questo decreto-legge non venne convertito perché vi fu un’opposizione. Negli anni successivi la reiterazione degli altri decreti non venne mai approvata dal Parlamento. L’anno scorso, inspiegabilmente, un disegno di legge analogo che liquida tutta questa vicenda degli ammassi, votato all’unanimità, con qualche opposizione strenua ma assolutamente irrilevante per il sistema di maggioranza che si era creato, viene approvato. Però tutto ciò avviene non quando era in vita la Federconsorzi o quando poteva essere salvata la rete federconsortile ma quando l’ammalato è già in punto di morte o addirittura è deceduto e custodito nella bara. Nel frattempo stava nascendo la S.G.R.; c’è quindi il sospetto che ciò sia avvenuto mentre era in corso l’iter di formazione della Società Gestione per il realizzo. Ho il dovere di sottoporle questo mio dubbio personale, che è stato espresso anche da molti componenti della Commissione, perché è strano che questo atto dovuto si verifichi in procinto della costituzione - che avviene qualche giorno dopo - della S.G.R. Le voglio evidenziare tale coincidenza, per me assai sospetta, sulla quale vorrei delle spiegazioni più approfondite.

Per esempio, lei parla di un’iniziativa mediante decreto-legge da parte del Presidente del Consiglio, ma chi aveva rassegnato al Presidente del Consiglio e al Ministro del tesoro l’esigenza di compiere questo atto dovuto? Fu una sua iniziativa? Fu un’iniziativa di qualche organo esterno o delle banche? Vorremmo approfondire questo aspetto, ricercando fatti e testimonianze del momento e dell’epoca. Quali furono le ragioni profonde che motivarono tale necessità di compiere finalmente l’atto dovuto? Ci fu un’iniziativa in tal senso da parte della Coldiretti o della Confagricoltura mediante uno dei partiti dell’arco costituzionale che allora si apprestava a reggere il governo Amato? Vorremmo capirlo per dare anche una risposta al Parlamento, non soltanto per soddisfare una curiosità di natura personale o dei Commissari.

DIANA. Presidente, che fosse un atto dovuto è dimostrato dal fatto che, non all’epoca in cui io ero Ministro ma quando erano in carica i miei predecessori, tutti, o quasi tutti, presentarono decreti-legge in tale senso, nessuno dei quali venne convertito in legge. Quindi non sono passati trent’anni a vuoto senza che nessuno si sia accorto di questo fatto.

PRESIDENTE. Lei mi deve perdonare perché è stato parlamentare e quindi può dire più di quanto io non sappia, ma mentre il disegno di legge obbedisce ad un programma di Governo, il decreto-legge in quanto atto di urgenza - se me la deve far dire tutta - fa nascere maggiori sospetti; l’urgenza che non si è manifestata per trent’anni, viene recepita in un decreto-legge, guarda caso nel momento in cui si sta ultimando la definizione della S.G.R..

DIANA. Signor Presidente, io consiglierei di rivedere gli atti parlamentari; sono stati infatti presentati nel corso degli anni 3.174 decreti per la liquidazione dei debiti dei consorzi agrari e della Federconsorzi. Ogni consorzio vantava i suoi crediti e la Federconsorzi vantava i propri; tra l’altro, non vi era solo l’ammasso del grano ma anche quello delle uve e finanche del carburo. Quindi, per ogni debito dello Stato nei confronti dei consorzi agrari e della Federconsorzi venivano presentati singoli decreti. Assieme al cosiddetto decreto-legge Amato vennero presentati in allegato 89 decreti, uno per ogni consorzio. Ogni qual volta questi decreti arrivavano all’esame dell’Aula - per questo credo valga la pena di rileggere gli atti parlamentari - veniva obiettato che si trattava di soldi che andavano alla Federconsorzi, ergo Democrazia cristiana, ergo Coltivatori diretti e quindi non dovevano essere pagati. Questa vicenda ad un certo punto si chiude perché la Federconsorzi non esiste più - e quindi non c’è più motivo di mostrare un atteggiamento polemico nei confronti di tale ente -, perché la Coltivatori diretti non ha più nella Federconsorzi un ente finanziatore e probabilmente perché la Democrazia cristiana non ha più quella voce in capitolo che aveva prima. Quindi, questa vicenda che avrebbe potuto e dovuto liquidarsi trent’anni prima, con notevole vantaggio per il bilancio dello Stato, viene finalmente chiusa perché a quel punto non c’era più il sospetto che ciò potesse andare a vantaggio di quella forza politica o di quella data organizzazione.

Questi crediti della Federconsorzi e dei consorzi agrari nei confronti dello Stato ogni anno venivano iscritti nei rispettivi bilanci ed ogni anno venivano approvati con riserva di provvedere alla liquidazione del credito all’atto dello stanziamento nel bilancio statale. Siccome poi lo stanziamento in bilancio non veniva mai fatto, perché al momento dell’approvazione della legge finanziaria le somme non venivano iscritte, il debito non veniva pagato e aumentava di anno in anno per effetto degli interessi (il 4,4 per cento in più del tasso di sconto). Vi sono stati degli anni in cui il tasso di sconto era al 15-16 per cento; lascio quindi immaginare come questa cifra crescesse e come fosse interesse di tutti, soprattutto della Banca d’Italia, liquidare al più presto tali debiti.

Ricordo bene che, quando ero presidente di Confagricoltura, il governatore Carli e poi il governatore Baffi si erano anch’essi posti il problema di cercare di sbloccare al più presto questa situazione che pesava anche sulla Banca d’Italia.

PRESIDENTE. L’accordo politico del Governo inteso a compiere questo atto dovuto non trova però in Parlamento la sua consonanza nella maggioranza, la quale non fa convertire il decreto-legge n. 112 del 1993 e fa decadere tutti i successivi (n. 565 del 1993, n. 142 del 1994, n. 264 del 1994 e n. 423 del 1994). Qual era la resistenza in Parlamento e come si pensava di risolverla visto che l’opposizione da parte del Psi fino a quel momento era stata strenua?

DIANA. Ripeto, il decreto-legge n. 112 venne presentato dal Governo Amato e firmato dallo stesso Presidente del Consiglio praticamente alla vigilia delle dimissioni dello stesso Governo. Quando tale provvedimento arrivò all’esame dell’Aula (il 10 giugno del 1993), non c’era più il proponente, ossia il Governo che l’aveva presentato, era quindi comprensibile che fosse assai difficile poter trovare in quella sede consenso per il suddetto provvedimento.

PRESIDENTE. Come si pensava di superare questa resistenza? Si erano forse creati dei nuovi accordi politici? Questo è il nodo che vorremmo capire; infatti, che senso avrebbe presentare o discutere un decreto-legge se si sa già in partenza che dovrà essere bocciato e se al riguardo non esiste alcun accordo politico di maggioranza?

DIANA. Non saprei dire con certezza, magari è possibile che il presidente Amato, essendo socialista, volesse dare un segnale di via libera da parte del suo partito.

Il presidente Ciampi, invece, è stato governatore della Banca d’Italia ed anche tra quei soggetti che avevano da tempo operato delle pressioni affinché si arrivasse ad una conclusione di questa annosa vicenda; era quindi abbastanza logico che presentasse il decreto-legge n. 565, destinato anch’esso a decadere perché, nel frattempo, anche il governo Ciampi rassegnò le dimissioni, dopo di che si sono succeduti altri Governi ed altri Presidenti del Consiglio.

PRESIDENTE. Dottor Diana, il commissario governativo Piovano aveva chiesto ed ottenuto dal tribunale l’autorizzazione a riorganizzare la rete commerciale della Federconsorzi mediante l’utilizzazione della società Agrisviluppo che era stata creata dai commissari Cigliana, Gambino e Locatelli. Risulta che lei, nel corso di una conferenza stampa, il 15 aprile 1993 avrebbe fatto esplicito riferimento alla Banca di Roma come volano finanziario di Agrisviluppo: vorrei avere notizie al riguardo.

DIANA. Non mi risulta. In proposito ho un ricordo personale e cioè che poco prima di essere nominato Ministro, circa un mese prima, il commissario Piovano - che conobbi in quella occasione - mi chiese se fossi in qualche modo interessato ad assumere la presidenza dell’Agrisviluppo. Risposi di no perché non si trattava del mio mestiere, né di materia di mia competenza e quindi declinai l’invito cortese che mi era stato rivolto.

PRESIDENTE. Vorrei dare lettura di un comunicato della agenzia ANSA, tratto da una rassegna stampa dell’epoca e datato 1° marzo 1994: "La Banca di Roma collaborerà alla riorganizzazione della rete dei Consorzi Agrari Provinciali (CAP) attraverso la partecipazione nella società Agrisviluppo. La disponibilità a collaborare è stata data da Pellegrino Capaldo, Presidente della Banca di Roma e della S.G.R., la società che ha rilevato il patrimonio della Federconsorzi, nel corso di un incontro tra il ministro Alfredo Diana, il commissario governativo Stefano D’Ercole, i rappresentanti dei CAP e i sindacati confederali".

Un ulteriore comunicato della stessa agenzia della medesima data informa che: "Il ministro Diana si è detto ancora una volta favorevole all’intervento dello Stato, attraverso la RIBS, …

OCCHIONERO. Signor Presidente, chiedo scusa per l’interruzione. Vorrei far presente che c’è un altro comunicato sempre dell’ANSA, datato 15 aprile 1993, di cui vorrei dare lettura e che riporta una dichiarazione del dottor Diana: "La Banca di Roma potrebbe diventare il "volano finanziario" di Agrisviluppo...". Questa eventualità è stata esposta dal ministro dell’Agricoltura Alfredo Diana a margine di una conferenza stampa: "...Ho acquisito da parte dello stesso Presidente dell’istituto bancario, Pellegrino Capaldo, questa disponibilità" - ha detto il Ministro - "e ciò potrebbe permettere non solo il salvataggio della rete distributiva dei consorzi, ma il loro potenziamento".

Ripeto, si tratta di un lancio d’agenzia del 15 aprile del 1993 che fa esplicito riferimento ad una sua dichiarazione, dottor Diana.

DIANA. In effetti, le proposte che venivano da parte della S.G.R. e dal suo Presidente erano sostanzialmente quelle a cui si è fatto cenno: in primo luogo liquidare al 100 per cento i creditori al di sotto di 20 milioni e questa iniziativa rientrava evidentemente nell’interesse del Ministro dell’agricoltura perché bisogna considerare che si trattava soprattutto di agricoltori conferitori di grano all’ammasso e di uve alle cantine sociali, soggetti che il Ministro aveva tutto l’interesse a che venissero liquidati.

Un ulteriore impegno era quello di versare 20 miliardi - ne erano stati richiesti 50 – per favorire l’esodo del personale residuo della Federconsorzi. Si era infatti calcolato che, con tale ammontare, in ragione di 100 milioni per ciascuno, 200 dipendenti della Federconsorzi avrebbero potuto ottenere un esodo facilitato.

Un terzo impegno era quello di appoggiare la rete consortile ancora in bonis. Nel 1974 erano 24-25 i consorzi agrari ancora in bonis, 43 erano in stato di liquidazione amministrativa, i rimanenti erano commissariati da tempo. Pertanto, si riteneva che una iniezione di denaro ai consorzi agrari avrebbe potuto forse riportarne in bonis qualcuno e comunque aiutare quelli che erano in difficoltà.

In tal senso si era impegnato il professor Capaldo, impegno che poi si tradusse nella remissione dei crediti che la Federconsorzi vantava nei confronti dei consorzi agrari; crediti sui quali peraltro lo stesso Capaldo non credo facesse grosso affidamento in quanto si trattava di crediti almeno in parte inesigibili. Non penso che poi si sia andati oltre, in quanto il professor Capaldo lasciò il suo incarico alla fine del 1994 e non mi risulta che la S.G.R. abbia proceduto nella direzione indicata.

PRESIDENTE. Questi crediti apparivano come inesigibili? Mi scusi, dottor Diana, ma nel momento in cui vi era stata una manifestazione di impegno da parte del Presidente del consiglio, del Ministro del tesoro, del Ministro dell’agricoltura le sembra che questa iniziativa fosse senza alcun senso?

DIANA. Si trattava di crediti diversi: uno era quello che la Federconsorzi vantava nei confronti dello Stato e l’altro era rappresentato dai crediti che la Federconsorzi vantava nei confronti dei consorzi agrari e che erano garantiti da cambiali che però non sono state pagate o che lo sono state solo in minima parte. Questo era il credito al quale facevo cenno ed è anche quello a cui la S.G.R. all’epoca del presidente Capaldo faceva riferimento.

PRESIDENTE. Quale era il progetto complessivo? Forse quello in base al quale la Banca di Roma in forma diretta finanziasse Agrisviluppo oppure esercitasse una funzione di intermediazione con altri soggetti?

DIANA. La Banca di Roma era fra i maggiori creditori della Federconsorzi, forse solo seconda al Banco di Napoli, quindi in questo caso una remissione dei crediti rappresentava una forma di finanziamento dei consorzi agrari.

PRESIDENTE. Perché quest’operazione non andò in porto?

DIANA. Non mi sembra che questo sia esatto perché in effetti l’operazione relativa ai creditori con meno di 20 milioni in realtà andò in porto come del resto andò a buon fine anche l’iniziativa che prevedeva l’assunzione di 70 dipendenti della Federconsorzi da parte della S.G.R., inoltre sono stati versati i 20 miliardi che hanno consentito l’esodo di 200 dipendenti della Federconsorzi. Mi risulta altresì che sia stata anche attuata la remissione dei debiti dei consorzi agrari nei confronti della Federconsorzi. Non vi è stata la remissione diretta dei fondi di consorzi agrari, ma questo probabilmente è dovuto allo svilupparsi degli eventi, al fatto ad esempio che il professor Capaldo lasciò la presidenza della S.G.R. Credo siano insorti anche problemi di carattere politico a causa dei quali quello che era stato avviato su un certo binario non è più andato a buon fine.

PRESIDENTE. Ci risulta che lei predispose un disegno di legge che prevedeva un nuovo assetto dei consorzi. Quali erano i contenuti e perchè non fu portato avanti?

DIANA. Provvederò a consegnarne una copia alla Commissione. Al riguardo posso dire che non si è proceduto all’esame di quel disegno di legge, come non sono andati avanti altri disegni di legge durante quel breve periodo di permanenza al Ministero, che sono rimasti solo buone intenzioni proprio per gli avvenimenti che ho ricordato e per questa vita abbastanza breve e travagliata che ha vissuto il Ministero, del quale da più parti si chiedeva la soppressione.

OCCHIONERO. Attualmente lei che funzione ha nella riorganizzazione dei consorzi agrari?

DIANA. Nessuna. Non ho mai avuto alcuna funzione nella organizzazione dei consorzi agrari. Ho ricordato poco fa che non sono mai stato socio o amministratore di consorzi agrari, né alla presidenza di un’organizzazione dei consorzi agrari, come mi sembra lei abbia detto in qualche atra occasione.

OCCHIONERO. Lei non è attualmente presidente di un’associazione di riorganizzazione dei consorzi agrari?

DIANA. Assolutamente no.

OCCHIONERO. Il suo nome non è in calce alle lettere che vengono inviate ai vari consorzi agrari per il recupero dei contributi?

DIANA. Mai. Credo che lei mi confonda con un’altra persona. Non ho mai scritto lettere ai consorzi agrari. Ho letto questa sua dichiarazione, ma non è esatta.


PRESIDENTE. Perché nominò D’Ercole quale nuovo commissario governativo? DIANA. Il commissario Piovano, nel rassegnare le dimissioni, le motivò affermando che oramai si era conclusa la fase di gestione e che, di conseguenza, più che un commercialista - quale lui era - fosse necessario un avvocato; infatti, a suo avviso, ci si stava muovendo verso una fase in cui non vi era più un problema di gestione, ma un problema di atti amministrativi che avrebbero consigliato la presenza di un commissario con conoscenze amministrativo-legali anziché di un commercialista. Non conoscevo D’Ercole; egli mi fu segnalato in una rosa di nomi come persona capace di ricoprire quell’incarico; credo che fossero almeno tre i nomi che mi furono indicati ed io scelsi D’Ercole perché proveniva da un grosso studio di avvocati di Roma. MAGNALBO’. Vorrei avere da lei, dottor Diana, alcune precisazioni. Lei è stato presidente della Confagricoltura prima o dopo il presidente Gioia? DIANA. Assai prima, negli anni ’69-’76. MAGNALBO’. E all’epoca non c’era nessuna interferenza tra Confagricoltura e Fedit, nel senso che nessuno aveva assunto la carica di presidente dell’una o di vicepresidente dell’altra, come invece accadde con il presidente Gioia che era vicepresidente Fedit e presidente della Confagricoltura? DIANA. All’epoca in cui ero presidente della Confagricoltura, ricordo che il vicepresidente della Federconsorzi ere Farina (che era presidente di un consorzio agrario del Veneto) e dopo di lui fu eletto vicepresidente Francesco Petrilli, che era presidente dell’Unione agricoltori di Foggia. MAGNALBO’. Lei ha fatto riferimento agli anni ’50 e ad un gradimento degli alleati nei confronti del dottor Mizzi e quindi dell’operato di Federconosorzi. Quanto da lei affermato si riferisce alla funzione federconsortile che tutti conosciamo, cioè ufficiale, o anche ad un altro canale portato avanti dalla Federconsorzi in quel determinato ambiente, con gli alleati che appoggiavano e così via?

DIANA. L’ho appreso dalla letteratura dell’epoca. Mizzi all’epoca era direttore dell’Interregionale di Napoli. Le navi sbarcavano nel porto di Napoli e si racconta – ripeto è letteratura – che per la prima volta arrivavano portando il carico che avevano in partenza senza perderlo per strada. Questo fu riconosciuto essere un merito della gestione estremamente rigorosa e attenta del cavaliere Mizzi che su questo costruì la sua immagine di saggio amministratore. MAGNALBO’. Che rapporti aveva con il professor Capaldo? Lo conosceva?

Se conosceva bene il personaggio, trova logica la sua "mobilità" intellettuale che lo portò ad essere allo stesso tempo presidente di S.G.R., presidente della Banca di Roma e consulente della Fedit, accentrando così nella propria persona tutte le funzioni (che poi si sarebbero esplicate in un grosso affare): di controllante e controllato, come un contratto fatto con se stesso.

Trova naturale tutto questo?

Perché quello che è strano è che, a un certo momento, il professor Capaldo, consulente Fedit riconosciuto, è nello stesso tempo presidente del gruppo Banca di Roma che finanzia Fedit (quindi finanzia il gruppo di cui è consultente) e contemporaneamente assume la presidenza di S.G.R. che è la società che rileva, attraverso uno strano atto notarile che si chiama atto-quadro (che non ha precedenti nella storia giuridica occidentale) tutto il patrimonio della Fedit ad un prezzo che è un terzo o un quarto di quello che viene attribuito come prezzo reale del patrimonio Federconsorzi. Tutto questo avviene tra il 1993 e il 1994.

Ma sa, dottor Diana, l’altra vicenda strana è che proprio in quel periodo – credo che il Presidente volesse dire proprio questo – viene fuori quel decreto-legge per il recupero dei crediti verso lo Stato da parte della Federconsorzi quando questa non esiste più e quando S.G.R. ha acquistato l’attivo della Federconsorzi.

Capisce cosa voglio dire?

Voglio dire che non è più un beneficio per la Federconsorzi e per i CAP, ma è un beneficio per la S.G.R. governata da Capaldo, il quale era consulente Fedit, aveva costituito S.G.R. e, nello stesso tempo, aveva acquistato questo patrimonio ad un prezzo inferiore a quello stimato.

In una dichiarazione resa il 19 maggio 1993 (quindi sotto il Governo Ciampi) lei afferma: "Il patrimonio della Federconsorzi, che a breve passerà di mano alla S.G.R., la nuova società dei creditori guidata dal presidente della Banca di Roma Pellegrino Capaldo, sarà arricchito di 472 miliardi, ovvero degli oneri previsti dal decreto sugli ammassi spettanti alla stessa Federazione". Quindi questa vicenda era conosciuta. In altre parole, quando lei ha rilasciato questa dichiarazione era a conoscenza del fatto che questi 472 miliardi sarebbero rientrati nei 2150 miliardi di sottoprezzo che la S.G.R. aveva già promesso per l’acquisto della Fedit. Cioè erano miliardi che entravano regalati alla S.G.R. e non erano più per la Federconsorzi.

Vorrei avere da lei una precisazione su questo punto particolare.

DIANA. Ho conosciuto Pellegrino Capaldo nel 1991 quando fu nominato cavaliere del lavoro, all’indomani di quella che è stata la prima mega fusione bancaria (Banco di Roma, Banco di Santo Spirito e Cassa di Risparmio di Roma) dovuta proprio alla capacità organizzativa di Capaldo.

Per quello che riguarda la valutazione, io ricordo che quest’ultima, e la conseguente offerta di 2.150 miliardi, risale al maggio 1992. Io vengo nominato Ministro nel marzo 1993. C’erano state precedenti perizie, come lei sa bene, che stimavano i beni della Federconsorzi ad un livello più alto rispetto ai 2.150 miliardi. Peraltro, mi risulta che non vi furono altre offerte, perlomeno nel periodo in cui fui Ministro. Questa differenza esistente tra l’iniziale valore stimato e l’offerta da parte della società tra i creditori - la S.G.R. non esisteva ancora nel maggio - è dovuta probabilmente anche al fatto che l’Italia era in pieno periodo di recessione e gli investitori italiani, piuttosto che acquistare in Italia, preferivano acquistare all’estero, e al fatto che dei 15 esperimenti d’asta che erano stati effettuati dal commissario giudiziale solo due erano andati in porto; gli altri beni non avevano trovato acquirenti e non erano stati venduti. Inoltre, la Federconsorzi "macinava" mensilmente 6 miliardi, 3 per stipendi e 3 per oneri di gestione. In effetti, per pagare gli stipendi aveva venduto il vendibile. Io trovai una situazione in cui delle aziende poste in vendita due sole erano vendute a prezzo di inventario; una terza, che ha formato oggetto di lunga disamina da parte di questa Commissione, la Polenghi Lombardo, venne venduta ad un prezzo assai inferiore a quello di inventario, cioè a 46,5 miliardi (l’inventario parlava di 130 miliardi), con una "iniezione" di capitali pari a 20 miliardi a favore di Cragnotti. Conoscevo bene la vicenda della Polenghi Lombardo essendo stato eletto nel collegio di Lodi. Sapevo che era un grosso stabilimento, con una parte, quella dei formaggi, anche di recente costruzione e sapevo anche che perdeva tanti soldi nel corso dell’anno. Ciò non mi indusse a chiedere un’altra perizia; vi erano stati professori universitari e decine di perizie, nonché decine di avvocati e commercialisti che avevano lavorato intorno a questi dossiers con parcelle miliardarie, alcune delle quali giustamente bloccate dal mio predecessore, il ministro Fontana. Ripeto, c’era stato un deterioramento di questa situazione, tra l’altro le aziende ferme perdevano soldi, si deterioravano e calava conseguentemente l’apprezzamento del mercato. L’offerta che fu fatta all’epoca venne influenzata indubbiamente da questo stato di cose. Peraltro feci anche un tentativo per cercare di imboccare un’altra strada, quella della cosiddetta legge Prodi. C’era un’azienda, la SIAPA, che poteva rientrare nei parametri della legge Prodi. Scrissi all’allora ministro dell’industria Savona - perché l’applicazione della legge Prodi rientrava nelle sue responsabilità - di cercare di studiare le possibilità di applicare tale normativa per la SIAPA, il che avrebbe potuto probabilmente trascinare a catena qualche altro provvedimento del genere. Ciò avvenne il 1° luglio 1993; pochi giorni dopo, viceversa, ci fu la firma dell’atto-quadro. Savona non mi rispose nemmeno, del resto non vi furono neanche i tempi per approfondire quello che poteva essere un tentativo per cercare di "scantonare", quantomeno in parte.

Altri tentativi sinceramente non ho avuto la possibilità e nemmeno il tempo di fare. L’atto-quadro prevedeva che le vendite iniziassero entro dieci giorni e quindi avevamo tempi molto stretti per tentare di sperimentare vie alternative e, ancora una volta, lo ripeto, era il mio un atto dovuto, perché un tribunale, con decreto collegiale, lo ordinava.

RUBINO Paolo. Signor Presidente, abbiamo ascoltato in questa sede più uomini che hanno avuto responsabilità di Governo; l’impressione che si ha è che tutti erano di passaggio, cioè che contasse più l’usciere del Ministero che il Sottosegretario o i Ministri. Forse questo spiega la crisi della nostra agricoltura, anche se personalmente stento a credere che le nomine le facesse qualche funzionario. Per la mia piccola esperienza non conosco casi di questo tipo. Questa è un po’ la considerazione desolante che si ricava da queste audizioni.

Ciò posto, vorrei fare una domanda al nostro audito. Il senatore Diana afferma che c’era una compagine politica esclusa dalla gestione della Federconsorzi che, dissentendo, si era ribellata e che evidentemente combatteva per far saltare tutto. Sarebbe opportuno che iniziassimo a fare nomi e cognomi. Chi erano? E dietro questa divisione quali erano gli interessi che si nascondevano? Non credo fosse una battaglia di tipo ideologico; era una battaglia che rappresentava interessi diversi, su diverse posizioni. Quali erano questi interessi? Chi erano le forze economiche e politiche che si schieravano a favore e contro?

Il senatore Diana diceva che voleva essere chiaro, vorrei sottolineare che tutti vogliamo esserlo, ma nonostante ciò restiamo abbastanza oscuri.

C’è un’altra cosa che non capisco. Leggevo nella rassegna stampa che lei condivideva una delle linee presenti nella politica agraria italiana: relativamente alla Federconsorzi si prospettava la creazione di uno strumento nuovo, la Agrisviluppo, un’idea del ministro Goria. A meno di aver capito male, mi è sembrato però di cogliere una critica. Se però sul fatto fondamentale si era d’accordo, dove sta la differenza? Goria sosteneva la costruzione di uno strumento nuovo e la cosa era condivisa anche da lei, se ho bene capito. Ma allora la contraddizione dove sta? Riguarda fatti su cui lei non può rispondere?

Lei ha poi tenuto molto a sottolineare che era di passaggio, avendo un incarico provvisorio; era tutto provvisorio, il Ministero, la situazione politica. Ma perché allora affronta un nodo che dice vecchio, irrisolto e sempre rinviato? Io Ministro provvisorio, fatto di cui ho consapevolezza, affronto una questione decennale? E’ come se in un comune venisse chiamato un commissario prefettizio, che normalmente deve svolgere l’ordinaria amministrazione, per fare il piano regolatore. Perché? Come si sposa questa provvisorietà con la volontà di affrontare nodi storici? Questa mi sembra una contraddizione.

Lei è poi uomo di Governo, è stato dirigente di organizzazioni professionali, è anche un tecnico, ci ha tenuto a dirlo, e uno degli errori è di non averla scelta prima come Ministro. Quindi, è un uomo politico, un amministratore, un tecnico ed è stato uomo di Governo. Sulle due questioni di cui stiamo discutendo, cioè ammassi e S.G.R., lei, che aveva tutta questa esperienza, che giudizio ha dato e che giudizio dà oggi? Cioè, questa storia degli ammassi, in qualità di Ministro, come la affrontò nel tentativo di risolverla? Quale fu il suo ruolo in questa storia?

Un’ultima domanda. Ho letto in alcuni documenti che le organizzazioni professionali -compresa la Confagricoltura - ricevevano dei finanziamenti. Quello che al riguardo mi ha scandalizzato è leggere che venivano finanziati ad esempio regali, o addirittura le spese per le vacanze in colonia dei figli dei funzionari. Ebbene, di fronte a fatti di questo genere mi chiedo che cosa abbia pensato un dirigente che successivamente ha avuto anche la fortuna di diventare Ministro. Non si è indignato, non ha protestato facendo presente che la vostra era un’organizzazione e che rappresentavate i coltivatori diretti?

DIANA. Tenterò di risponderle. Considero giusto il suo stupore rispetto al fatto che tutti eravamo e ci sentivamo di passaggio nel nostro incarico, tuttavia la realtà è proprio questa. Sappiamo tutti quanto durino i Governi in Italia! Salvo un ministro, che tra l’altro è un amico, mi riferisco a Giovanni Marcora, tutti gli altri hanno avuto ministeri dalla vita brevissima. Penso a Goria che è stato Presidente del consiglio per pochissimo tempo quando Ministro dell’agricoltura mi pare fosse Saccomandi. A Goria succedette come Ministro dell’agricoltura Gianni Fontana e poi venne la mia nomina; dopo di che seguì una sequela di nomine che si situano in archi temporali brevissimi. Il mio mandato, ad esempio, durò esattamente un anno, durante il quale giurai quattro volte, vi fu un referendum abrogativo che soppresse il Ministero dell’agricoltura, fu presentato un ricorso alla Corte costituzionale da parte delle regioni che intendevano sopprimere anche il Ministero nuovamente istituito per decreto-legge.

Quindi mi si consentirà di affermare che la situazione era abbastanza precaria anche se tutto ciò, ovviamente, non vuole essere una giustificazione rispetto al fatto di non aver portato a termine alcune iniziative. Infatti, ogni ministro, anche nell’epoca brevissima in cui è in carica, ha il diritto-dovere di effettuare gli interventi necessari e, tra le iniziative che debbono essere espletate da un Ministro, vi è ad esempio quella di corrispondere ai debiti che il Ministero medesimo ha assunto. Questa fu una mia azione condotta anche in precedenza, tanto è vero che come ho già ricordato, in qualità di presidente della Confagricoltura, promossi un incontro con il governatore della Banca d’Italia dottor Carli e con il suo successore dottor Baffi per verificare se fosse possibile sbloccare questo debito che all’epoca non aveva ancora raggiunto il livello di miliardi, ma che comunque continuava a crescere. Debbo dire che trovai nei miei referenti della Banca d’Italia una buona disponibilità in tal senso, proprio perché si trattava di un passo che andava effettuato, e quindi, anche come Ministro dell’agricoltura, non potevo esimermi dal compierlo: l’iniziativa comunque nell’uno e nell’altro caso non partì dal Ministro dell’agricoltura ma dallo stesso Presidente del consiglio.

Precedentemente è stato chiesto quali fossero le forze che facevano pressioni per entrare nella Federconsorzi o che ne desideravano la soppressione. Al riguardo posso rispondere che evidentemente si trattava di quelle forze che ne erano escluse e non credo di affermare niente di strano; l’allora Partito comunista, ad esempio, era tra coloro che premevano…

RUBINO Paolo. Da quello che abbiamo sentito fino ad oggi lo scontro avveniva all’interno dello stesso partito di Governo, tra chi era legato ad una determinata parte e chi ad un’altra …

Questo Partito comunista ha tante colpe, tuttavia …

DIANA. Credo che in proposito basti leggere gli atti parlamentari per vedere chi abbia portato avanti la polemica: innanzitutto il partito socialista e il senatore Fabbri. Non voglio dire nulla contro questi colleghi perché evidentemente era nel loro diritto procedere in questo modo, erano esclusi da una determinata casa e come tali tentavano di forzare le porte.

Probabilmente non si trattava soltanto di interessi di carattere politico, perché di questo scenario facevano parte anche delle organizzazioni economiche. Dianzi ho affermato che la Fiat aveva un diritto di accesso privilegiato e quindi ovviamente vi erano delle altre case automobilistiche che non godevano dello stesso diritto. Quindi va considerato anche questo tipo di pressioni, e tutto ciò faceva sì che le porte della Federconsorzi e dei consorzi agrari fossero drasticamente chiuse proprio al fine di evitare l’accesso del nuovo. Tra coloro che ad esempio non entrarono mai in un consorzio agrario c’è anche il sottoscritto probabilmente considerato troppo "innovativo" nonostante abbia presentato regolare domanda.

Riguardo alla questione secondo cui nelle intenzioni di Goria l’azione dei consorzi agrari avrebbe dovuto essere rilanciata dall’Agrisviluppo, la mia opinione è che Goria possa aver avuto un’idea di questo genere e credo che forse il commissariamento fu deciso proprio nel tentativo di sbloccare una situazione di stallo determinatasi a livello di consiglio di amministrazione della Federconsorzi. Certamente non fu un’azione che andò in porto, probabilmente Goria aveva sottovalutato le forze che si sarebbero opposte alla sua idea, cosa che poi in effetti si verificò.

Vorrei svolgere un’ultima considerazione su quelli che erano i rapporti tra la Federconsorzi e le organizzazioni professionali. Al riguardo posso dire che, quando ero presidente della Confagricoltura, chiesi esplicitamente e con durezza al ragionier Mizzi - il quale a fine anno dava delle gratifiche anche ai funzionari delle organizzazioni professionali che si recavano a Bruxelles per difendere degli interessi economici (tabacco, riso) sia degli agricoltori che dei consorzi agrari – di non consegnare questi assegni ai funzionari della Federconsorzi, ma direttamente alla amministrazione della Confagricoltura che avrebbe provveduto a distribuire queste risorse tra chi lo meritava.

Ricordo altresì – ma questo fa parte ormai della storia - che chiesi al ragionier Mizzi di vendere il palazzo dove ha tuttora sede la Confagricoltura. Rammento che Mizzi si rifiutò decisamente di effettuare quella vendita perché probabilmente aveva un certo interesse a mantenere una "mano protettrice" sulle due organizzazioni. Questo era il personaggio, il ragionier Mizzi aveva certamente dei meriti, ma anche le sue spigolosità caratteriali.

PRESIDENTE. Se l’onorevole Rubino me lo consente, vorrei completare attraverso alcune mie osservazioni, una perplessità da lui manifestata. A fronte della precarietà dei Governi e degli avvicendamenti avuti al Ministero dell’agricoltura, per quale ragione un problema ormai pluridecennale avrebbe dovuto trovare soluzione all’interno di un Governo transitorio o di un Ministero dell’agricoltura altrettanto precario?

Va altresì considerato che si trattava di una questione che era stata già accolta negativamente dal Parlamento, visto che nel passato, prima ancora della sua nomina, vari disegni di legge su questa materia non erano stati approvati. Perché si pensava di poterla risolvere in una situazione transitoria, in un momento particolare in cui il Ministero dell’agricoltura stava quasi per cessare dalle sue funzioni e - guarda caso - in un momento assolutamente particolare per la vita della Federconsorzi, cioè per la costituzione della S.G.R.?

E’ questa la perplessità sulla quale ancora oggi ci si interroga.

Come mai questo dovere di fare lo si sente dopo trent’anni? Perché non è stato avvertito prima da parte di Governi leggermente più stabili e lo si avverte, invece, con un Ministero che, per sua stessa affermazione, era assolutamente provvisorio e nella fase in cui la Federconsorzi era, per così dire, già morta?

Questa è la perplessità dell’onorevole Rubino e mia personale.

DIANA. Signor Presidente, non mi consideri impertinente, ma io rivolgerei questa domanda innanzitutto a chi ha presentato questi decreti, quindi ai presidenti Amato e Ciampi.

Poi andrei a rivedere i 3174 decreti degli anni precedenti. Non si tratta di venti anni di inerzia, ma di venti anni nei quali vengono presentati ben 3174 decreti per la liquidazione del credito. Pertanto, si tratta di una continuazione di questa azione che fatalmente naufraga in Parlamento, ma che, necessariamente, deve essere riproposta perché è un debito e lo Stato deve assolvere ai propri debiti; non può fare diversamente.

Signor Presidente, credo che se lei fosse stato al mio posto avrebbe dovuto concedere il concerto al Presidente del Consiglio che ripresentava per l’ennesima volta questo provvedimento, magari sapendo che sarebbe andato allo sbaraglio come era accaduto per tutti di decreti-legge precedentemente presentati sulla stessa materia.

PRESIDENTE. Dottor Diana, non le faccio una contestazione personale, ma c’è l’esigenza da parte della Commissione – ed io che la rappresento mi devo fare portatore di quest’esigenza – di capire non perché il ministro Diana lo fece, ma perché il Governo, la politica e l’assetto politico di quel momento, che era assolutamente transitorio, affrontavano un problema che da trent’anni si era arenato nelle Aule parlamentari dal punto di vista legislativo. Ciò non ha nulla a che vedere con i tremila e rotti decreti ministeriali che sono una cosa molto diversa e che erano soltanto per la quantificazione dei crediti degli ammassi.

Voglio semplicemente rilevare come in una situazione politica ancora in evoluzione e transitoria – come lei stesso l’ha definita – si affronti un argomento, un problema, un atto dovuto dopo trent’anni, quando già i Governi precedenti avevano sperimentato negativamente questa loro iniziativa.

Non si tratta di una contestazione personale. Il problema è di capire se, come testimone del tempo, lei ci può offrire "argomenti di leggibilità" che ci permettano di capire il motivo per cui, in quel momento, avveniva tutto questo. E quel momento – lo sottolineo – non era un momento qualsiasi, ma un momento molto particolare perché di lì a otto giorni si sarebbe costituita la S.G.R.; tra l’altro, i crediti, che cominciavano ad apparire concreti nella loro esigibilità, venivano valutati quasi vicino a zero ed oggi - guarda caso - diventano prontamente esigibili, con una maggioranza che potremmo definire a 359 gradi perché l’unico grado che è mancato nella votazione finale - se non ricordo male – è stato quello dell’onorevole Occhionero.

OCCHIONERO. Sono mancato, ma non ho votato contro.

PRESIDENTE. Questa è diplomazia!

Nel corso della famosa riunione svoltasi al Ministero nel marzo 1994 alla quale parteciparono, oltre a lei, i sindacati confederali, il professor Capaldo ha dichiarato la disponibilità della Banca di Roma a collaborare finanziariamente per il rilancio della rete dei CAP.

Il suo progetto, dottor Diana, sarebbe stato di farvi concorrere anche una finanziaria pubblica, la RIBS.

Premesso che i consorzi erano fortemente indebitati con la Federconsorzi e, quindi, con la S.G.R.; che la società Agrisviluppo faceva parte integralmente del patrimonio della Fedit e, quindi, doveva passare in toto alla S.G.R.; che il tentativo di ripianamento dei debiti per la gestione ammassi non andava in porto perché i decreti-legge, nonostante le reiterazioni, venivano a decadere l’uno dopo l’altro le chiedo: quale era il progetto concreto? In che termini doveva intervenire la Banca di Roma? Con quanto capitale? Per conto di privati? Quali? Quale sarebbe stato l’assetto dei consorzi? Quali organizzazioni agricole erano chiamate a parteciparvi? Perché la società RIBS? Quanto doveva apportare la finanziaria pubblica? Perché non se ne fece nulla? Si tratta di domande alle quali vorremmo che lei, che ha vissuto in prima persona quelle vicende, ci fornisca delle spiegazioni comprensibili.

DIANA. Comincio dall’ultima domanda e cioè perché non se ne fece nulla. Non se ne fece nulla perché il 24 marzo 1994 il governo Ciampi si dimise.

Sul motivo per cui in precedenza si fosse cercato di ridare fiato ai consorzi agrari, devo dire che la rete dei consorzi agrari costituisce ancora oggi uno strumento importante al servizio dell’agricoltura e sono del parere che il Ministro dell’agricoltura avesse il dovere di fare in modo di tenere in vita per lo meno quei 24 consorzi ancora in bonis e di cercare di recuperare, se possibile, qualcuno dei 43 consorzi che, viceversa, erano in fase di liquidazione coatta amministrativa, magari predisponendo una rete a maglia più larga, non facendo dei consorzi provinciali, ma interprovinciali. Questo era - tra l’altro - uno dei progetti riconducibili al disegno Pellizzoni.

Per quanto riguarda le disponibilità del Ministro, esse dipendevano dalla finanziaria pubblica. La finanziaria pubblica del Ministero dell’agricoltura è la RIBS. Essa nacque per interventi nel settore bieticolo e saccarifero e poi divenne la finanziaria del Ministero dell’agricoltura. Rappresentava la sola disponibilità di mezzi finanziari e la sola azienda che avrebbe potuto, in qualche modo, apportare del capitale ai consorzi da ristrutturare. Credo che ancora oggi se mi trovassi a dover ripercorrere quella strada, farei ogni sforzo possibile ed immaginabile per cercare di ridare fiato alla rete di distribuzione dei consorzi agrari che era quella alla quale tutti noi agricoltori eravamo affezionati. Forse lo eravamo un po’ meno alla Federconsorzi, ma ai consorzi agrari – ripeto - eravamo legati e ancora oggi manteniamo legami molto profondi con questa organizzazione di vendita.

Sicuramente non era pensabile – del resto non lo avevo nemmeno voluto prima – che le porte dei consorzi agrari restassero chiuse; bisognava necessariamente aprirle a tutti coloro che volevano e potevano entrare. Sicuramente quello che in precedenza avrebbe potuto rappresentare un disegno appetibile da parte di molti, non si rivelò più tale nel momento in cui la barca faceva acqua da tutte le parti e, quindi, questa buona intenzione in massima parte naufragò proprio perché vennero meno le condizioni di solvibilità e di interesse da parte di chi avrebbe potuto entrare nella gestione dei consorzi agrari. Mi sembra di non meritare di essere sospettato di aver, in qualche modo, voluto o potuto favorire la S.G.R.. Ripeto, non ho mai avuto, né da parte della S.G.R. né da parte del presidente dell’epoca Capaldo, sollecitazioni a presentare quei decreti-legge che, tra l’altro, - ripeto ancora una volta – furono presentati dai due Presidenti del Consiglio che si sono succeduti, logicamente di concerto con il Ministro dell’agricoltura. I 3174 decreti, però, ai quali ho fatto riferimento, non erano un fatto isolato, ma erano strettamente collegati a disegni di legge che venivano presentati per la liquidazione del debito. Io stesso, assieme al decreto-legge presentato dal ministro Amato e successivamente dal ministro Ciampi, ho presentato 89 decreti per altrettanti interventi a favore dei consorzi agrari. Ma questo era un fatto conseguenziale alla liquidazione del debito che andava ripartito tra i diversi aventi diritto e non alla sola Federconsorzi o al singolo consorzio agrario.

PRESIDENTE. Lei mi deve consentire una domanda: in concreto questo progetto da parte della Banca di Roma, con l’intervento della finanziaria pubblica, quale strategia conseguiva? Era una strategia di tipo pubblicistico o di tipo privatistico, vista l’appetibilità che la rete commerciale dei consorzi agrari poteva nel tempo assicurare? Non era un vantaggio anche per S.G.R. il fatto che poteva intervenire una finanziaria pubblica nella gestione di questo progetto unitamente alla Banca di Roma? In concreto questo progetto come si è estrinsecato? Vorremmo sapere cioè perché la Banca di Roma interveniva, se c’erano dei privati che si muovevano alle sue spalle e se l’appetibilità dei consorzi agrari poteva interessare anche società oltre che banche straniere? Perché poi c’è tutto la questione delle banche straniere che ad un certo punto si sono dileguate. Stiamo facendo degli accertamenti per capire come mai le banche straniere, di punto in bianco, dopo avere minacciato addirittura l’onorabilità del sistema finanziario italiano, si sono "acquietate". Perché ciò è avvenuto? Questo è un capitolo diverso della nostra ricerca e del nostro tentativo di investigazione in questa materia. Volevo capire se questo progetto fu in concreto esplicitato; con quali scopi, modalità, finalità e strategie. DIANA. Presidente, la mia sensazione, perché, ripeto, si tratta più di sensazioni che di fatti certi, è che la S.G.R. fosse assolutamente contraria ad un rilancio della rete consortile. Alcuni dei maggiori creditori, e in particolare la BNL - della quale all’epoca mi sembra fosse presidente Cantoni - avevano posto addirittura come condizione che l’intervento della S.G.R. dovesse limitarsi alla vendita dei beni della Federconsorzi e alla liquidazione dei crediti, sia pure in misura diversificata, cioè con riferimento ai crediti piccoli, medi e grandi, e che non si dovesse assolutamente entrare nella gestione dei consorzi agrari. Posso anche immaginare che il professor Capaldo avesse pensato che questa opposizione si potesse superare in qualche misura; inoltre, mi sembra un fatto doveroso e normale che il Ministro dell’agricoltura pro tempore avesse speso più di una parola in questo senso proprio nei confronti del presidente della S.G.R. Io avevo il dovere di cercare di salvare il salvabile, di cercare di vedere nella rete consortile cosa poteva essere "portato a casa". E se vi era un’indisponibilità in questo senso da parte della S.G.R., essendovi una sensibilità maggiore - almeno così mi era sembrata - da parte del professor Capaldo, era logico che cercassi di premere su di lui, che tra l’altro rappresentava il secondo istituto creditore (il primo era il Banco di Napoli). Tra l’altro, Capaldo conosceva bene il meccanismo della Federconsorzi; era probabilmente l’uomo più sensibile ad un discorso di questo genere. Da parte mia potevo semplicemente intervenire attraverso la finanziaria RIBS e questo avevo sperimentato di fare, perché mi sembrava doveroso per "dare una mano". Ancora oggi ritengo di aver fatto bene a spingere in quella direzione, anche se purtroppo le cose poi sono andate come sono andate; una parte dei consorzi agrari si è però salvata; e menomale!

MAGNALBO’ Quindi, lei riteneva in quel momento che salvare la rete dei consorzi fosse lato sensu più un fatto sociale che altro. Cioè, occorreva salvare tutte queste entità che operavano nel territorio ma che in realtà avevano una cospicua dose di debiti: erano tutte organizzazioni indebitate. Non riteneva che questo fosse un vantaggio per la S.G.R. Lei, cioè, lo faceva perché riteneva giusto che fosse mantenuta in piedi una rete che era stata utile per l’agricoltura e nell’ambito della quale lavoravano persone che poi avrebbero fatto una fine diversa.

DIANA. Vede, senatore, non era solo e tanto una questione che riguardava i dipendenti dei consorzi agrari, che erano tanti e che dovevano essere tutelati, ma soprattutto gli agricoltori che di questi consorzi si erano sempre serviti; li hanno inventati loro un secolo fa e non sembravano capaci di farli sopravvivere. Almeno da parte mia una mano in questo senso ho cercato di darla, anche se lo riconosco con poco successo, ma non mi pento di averlo fatto. MAGNALBO’. E Cantoni non fu favorevole? DIANA. Ripeto, questa è letteratura, cioè quello che si legge; tra i grandi creditori vi era la BNL che, dicevano, era assolutamente contraria a prendersi quella che considerava una "patata bollente" e una fonte di perdita più che di guadagni. PRESIDENTE. Alla luce di questa vicenda e di quello che oggi ci siamo detti lei può sostenere o avere il sospetto che da parte di soggetti esterni ci sia potuta essere una strumentalizzazione dell’operato degli amministratori politici di quel tempo? Lei ha infatti espresso una linea politica che militava nel senso di salvare, perché erano utili e forse necessari, almeno i consorzi agrari in bonis e indirettamente la Federconsorzi; ma non c’è il sospetto che questo interventismo a vario titolo esercitato possa avere strumentalizzato il potere politico del tempo?

DIANA. Non comprendo bene la domanda.

PRESIDENTE. Manca in tutto questo discorso qualche filo logico, un filo di razionalità. Perché si è intervenuti tardivamente con questi decreti? Perché questo tentativo fu fatto in coincidenza con la costituzione della S.G.R., con programmi politici che non collimavano con i programmi di chi poi si agitava o si è agitato nella S.G.R. o nelle banche che hanno supportato tale operazione con fini assolutamente diversi e quant’altro? Può dirci con sicurezza che non c’è stata una strumentalizzazione, seppure inconsapevole, del potere politico da parte di un potere economico che teneva le fila del discorso attraverso il rapporto credito-debito con Federconsorzi? Parliamoci chiaro, dottor Diana, io non credo alle opere di carità in questo settore. Quindi non credo, e di questo ne possiamo essere tutti consapevoli e lei per primo, che la S.G.R. sia stata costituita per fare un’opera di carità; quando si parla di migliaia di miliardi credo che le opere di carità lascino un po’ il tempo che trovano. Quindi, questa operazione doveva avere una sua strategia. Qual era? Era una strategia diversa da quella che il potere politico in quel momento e in quel tempo si proponeva di seguire?

DIANA. La S.G.R. non nasce per fare beneficenza ma per recuperare dei crediti. Quando la Federconsorzi chiude lo fa con un passivo di gran lunga superiore all’attivo. Questo, Presidente, è un aspetto che forse varrebbe la pena di valutare. Il passivo di Federconsorzi è di gran lunga superiore all’attivo e ci sono 117.000 creditori di Federconsorzi i quali evidentemente vedono venir meno la possibilità di recuperare il proprio credito. La S.G.R. è un comitato di creditori inizialmente aperto a tutti - poi ne entreranno a far parte solo alcuni e non altri - che mira ad una cosa sola, non a fare beneficenza, ma a recuperare dei crediti e i crediti vengono pagati, come è noto a questa Commissione, per il 100 per cento, nel caso di somme inferiori a 20 milioni, per il 40 per cento per somme fino ad un miliardo e poi il resto viene diviso. Ma i 2.150 miliardi non bastano a soddisfare gli interessi di tutti i creditori, quindi sono comunque una parte minore del debito di Federconsorzi. L’obiettivo di Capaldo è semplicemente quello di vendere al meglio i beni della Federconsorzi; di evitare questo dissanguamento continuo di 6 miliardi al mese e di evitare che le aziende continuino a perdere soldi e che i beni della Federconsorzi si assottiglino, cioè in modo che resti comunque qualcosa per i creditori. E’ questo lo scopo; il Ministro dell’agricoltura in questa vicenda non c’entra niente, perché è il tribunale fallimentare che ci disse di vendere e che avevamo dieci giorni di tempo per iniziare a farlo (e questo lo dice nel giorno stesso in cui io vengo nominato Ministro). Cioè questa vicenda camminava per la propria strada, senza possibilità di intervento da parte del Ministro, il quale doveva stare a quello che diceva il tribunale. Che poi il Ministro tentasse di salvare il salvabile, dando "un po’ di fiato" a quel che rimaneva della rete consortile, che per un secolo aveva costituito uno strumento al servizio degli agricoltori, al di là di quelli che potevano essere interessi politici di questo o quel partito, di questa o quella organizzazione, mi sembra un fatto doveroso. Se mi trovassi ancora oggi in quella situazione cercherei di fare lo stesso per tentare di salvare quello che ritenevo, e tutt’ora ritengo, uno strumento estremamente importante che gli agricoltori avevano il diritto di cercare di salvare, avendolo creato loro.

PRESIDENTE. Vorrei porle un’ulteriore domanda. Risulta che lei, nel corso di un convegno a Bologna, riguardo alla riorganizzazione dei CAP abbia dichiarato che parte dei crediti della Fedit, secondo i creditori, non si dovevano considerare più tali perché si era scoperto che cambiali in portafoglio, che sembravano concorrere a costituire l’attivo, erano in realtà già scontate.

Da chi attingeva le notizie? Di quali cambiali si trattava e quale era il loro ammontare?

DIANA. Sinceramente non ricordo nulla in proposito. Certamente c’erano delle cambiali che venivano considerate inesigibili, tant’è vero che nell’ultimo bilancio, quello del 1991 – non so se fosse lecito o meno - vennero notevolmente svalutate dagli amministratori proprio perché si riteneva che si trattasse di crediti inesigibili.

In ogni caso, torno a ripetere che non ricordo di aver fatto questa dichiarazione.

PRESIDENTE. Un’ultima domanda. Quando precedentemente le ho rivolto delle domande a proposito della Tecnagro e della Montedison agricoltura avrei voluto anche chiederle se lei abbia avuto modo di occuparsi di soia.

DIANA. Credo proprio di no.

OCCHIONERO. Se nel corso di precedenti sedute della Commissione ho fatto erroneamente il nome del dottor Diana, chiedo scusa. Tuttavia non credo di essermi sbagliato, tanto è vero che da alcuni documenti dei consorzi agrari di Catania e di Enna – che purtroppo non ho qui con me – risulta che la richiesta relativa al ripianamento dei debiti ed al rapporto con il Ministero sia firmata, a nome di una associazione di consorzi agrari, dal cavalier Diana. In ogni caso entro questa sera, o al massimo domani, le farò avere una copia di questo documento.

Seconda questione. Vorrei sapere se il decreto-legge emanato dal presidente Amato sia stato predisposto dalla struttura del Ministero dell’agricoltura per poi essere sottoposto al Presidente del consiglio.

Per quanto riguarda la salvaguardia del ruolo storico e distributivo dei consorzi agrari condivido quanto ha dichiarato e cioè che valeva la pena di tentare di risanare la situazione.

Inoltre, dal momento che il professor Capaldo era presidente della Banca di Roma e della S.G.R. e considerato che, all’interno di quest’ultima, non era stata manifestata alcuna convinzione da parte degli altri partners banchieri, mi sembra di aver capito che lei in sostanza ideò e mise in piedi un progetto di salvaguardia dei consorzi agrari prefigurando un rapporto privilegiato con la Banca di Roma. Tra le condizioni previste affinché l’operazione andasse in porto vi era il ripianamento dei debiti; ciò poteva essere ottenuto attraverso il decreto-legge, per quanto riguarda gli ammassi degli anni precedenti e, visto che questi non erano sufficienti, anche con il coinvolgimento della finanziaria pubblica per nuovi investimenti dello Stato in favore dei consorzi agrari. Ebbene, era questa l’idea che si era fatta per salvaguardare il ruolo dei consorzi agrari?

Va inoltre tenuto presente che il decreto-legge non andò in porto (a questo proposito desidero sottolineare che i presidenti delle Commissioni agricoltura dell’epoca provenivano entrambi dalla Coldiretti) e che, nel corso dell’audizione dell’ex ministro Pandolfi, è risultato che la quantificazione dei debiti dello Stato nei confronti dei consorzi agrari e della Federconsorzi era di 2.510 miliardi. Ripeto, dalle istruttorie dei decreti che il Ministero dell’agricoltura aveva redatto per quanto riguarda i settori della soia, del grano, del sapone e dell’olio erano stati quantificati debiti per 2.510 miliardi.

Voglio chiudere, osservando che, a mio avviso, ognuno di noi, anche se consapevole della transitorietà del proprio incarico, ha comunque interesse a lasciare una traccia del proprio operato, un indirizzo, una scelta. Basti pensare al pontificato di Giovanni XXIII che venne considerato, come l’incarico del ministro Diana, "di passaggio"; faccio tuttavia presente che Giovanni XXIII diventerà santo e che ha lasciato nella storia una grande pagina.

Ebbene, lei dottor Diana, attraverso la salvaguardia dei consorzi agrari, anche se nell’arco di un solo anno, intendeva dare un segnale di completa innovazione del mondo agricolo, fornendo gli strumenti più adeguati e indipendentemente dall’opposizione dei comunisti manifestata in Parlamento?

Tuttavia, va tenuto presente che il decreto-legge non venne convertito perché non arrivò mai all’esame del Senato, evidentemente a causa delle difficoltà e delle obiezioni manifestate anche dal compianto onorevole Moro nel 1964 e rese pubbliche nell’audizione dell’ex presidente del Consiglio ed attuale senatore a vita Andreotti ed altresì ulteriormente aggravate dalla discussione all’interno della maggioranza (infatti non credo che dal 1984 al 1992 siano stati emanati altri decreti ad esclusione di quello di Goria).

Poi la questione venne in qualche modo riproposta in Senato attraverso un capitolo di una legge finanziaria di cui purtroppo non ricordo l’anno, se non sbaglio Ministro dei rapporti con il Parlamento dell’epoca era l’onorevole Fabbri. A quell’epoca si parlò di un ammontare di 1000 miliardi, ma si trattò di una norma che il Governo ritirò.

Si dovette aspettare il ministero dell’onorevole Pandolfi nel 1992 e quello del dottor Diana nel 1993 perché il problema si ripresentasse.

Nella sua esposizione ho notato una contraddizione: lei ha dichiarato che la Banca d’Italia e il Ministro del bilancio erano preoccupati per il grosso debito che aveva lo Stato e per il fatto che non venisse trovata una soluzione. Poco dopo lei ha affermato che, in qualità di presidente della Confagricoltura, - un passo che condivido e che credo rientrasse nei suoi doveri - promosse un incontro con i governatori Baffi e Ciampi per sollecitare la soluzione del problema.

Quindi evidentemente il problema non era tanto quello della preoccupazione del Ministero del tesoro, quanto il modo in cui vivevano questo stato di difficoltà le organizzazioni agricole.

DIANA. Se mi è consentito vorrei fare qualche precisazione. Innanzi tutto non incontrai il presidente Ciampi, bensì il governatore Carli. Inoltre, Pandolfi non era ministro nel 1992, ma assai prima, e dopo di lui si sono susseguiti parecchi altri ministri.

I crediti della Federconsorzi nei confronti dello Stato, all’epoca del commissariamento, mi risulta ammontassero a 1.375 miliardi di cui 650 miliardi a favore della Fedit e 725 a favore dei consorzi agrari.

OCCHIONERO. Chiedo al Presidente di mostrare il resoconto stenografico della dichiarazioni rilasciate in Commissione dall’ex ministro Pandolfi il quale ha invece fatto riferimento a 2.510 miliardi.

DIANA. Ma all’epoca Pandolfi non era ministro.

OCCHIONERO. Sto parlando del periodo precedente e quindi i debiti avrebbero dovuto accumularsi, aggiungersi e non sottrarsi. Pandolfi ha parlato in Commissione di 2510 miliardi.

PRESIDENTE. Pandolfi è stato Ministro dal 1983 al 1988.

OCCHIONERO. Se è stato Ministro nell’88, nel 1993 i miliardi non potevano diventare 1350.

DIANA. Il decreto-legge presentato dall’allora Presidente del Consiglio Amato (preparato non dagli uffici del Ministero che, purtroppo, non avevano questa capacità, anche se, certamente, hanno assistito il Ministero del tesoro e il Ministero del Bilancio nella sua predisposizione) si riferiva a 1375 miliardi e, di questi, 650 miliardi dovevano andare alla Fedit e 725 miliardi a favore dei consorzi agrari. Questo è quanto affermato nel decreto predisposto dal Presidente del Consiglio, con il Ministero del tesoro e il Ministero del bilancio, di concerto con il Ministero dell’agricoltura.

In sostanza, credo di aver avuto nei confronti dei CAP un atteggiamento che era doveroso da parte del Ministro dell’agricoltura. Anche all’epoca in cui ero presidente della Confagricoltura, credo di essermi speso nei confronti del Governo perché si arrivasse a saldare questo debito che forse avrebbe potuto salvare qualcosa che all’epoca ancora non "faceva acqua" e che di lì a poco iniziò a fare acqua.

Per quello che riguarda la lettera alla quale lei si riferisce, sicuramente non sono mai stato presidente di alcuna associazione di consorzi agrari. Il motivo per cui forse ho scritto qualche lettera al consorzio agrario di Catania è che sono uno dei clienti di questo consorzio avendo aziende in quella zona, ma certamente non in qualità di presidente di associazioni di consorzi.

PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l’audizione del dottor Diana che ringrazio per la disponibilità dimostrata.

La Commissione tornerà a riunirsi giovedì 23 marzo 2000, alle ore 14, per procedere all’audizione del dottor Giorgio Cigliana.

I lavori terminano alle ore 14,20.