Audizioni Commissione d'inchiesta Federconsorzi/20

Audizione Robusti

../19 ../21 IncludiIntestazione 16 maggio 2008 75% diritto

19 21
SENATO DELLA REPUBBLICA------------------------------------------------ CAMERA DEI DEPUTATI

XIII LEGISLATURA


COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SUL DISSESTO DELLA FEDERAZIONE ITALIANA DEI CONSORZI AGRARI



RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA DI GIOVEDI' 7 OTTOBRE 1999


Presidenza del presidente Melchiorre CIRAMI


I lavori hanno inizio alle ore 15,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente)

Presidenza del presidente CIRAMI

Comunicazioni del Presidente

PRESIDENTE. Vi informo che il vicepresidente della 9a Commissione permanente del Senato, senatore Cortiana, ha risposto, ieri pomeriggio, alla mia comunicazione del 6 ottobre 1999, con la quale lo informavo della deliberazione da noi assunta di trasmettere il resoconto stenografico dell'audizione, svoltasi nella seduta del 5 ottobre 1999, dei dirigenti e dei funzionari del Ministero delle politiche agricole e forestali alla Commissione agricoltura, e mi ha confermato l'interesse dei componenti di tale Commissione ad acquisire questo documento, a fini conoscitivi, nel rispetto comunque delle diverse e distinte sfere di competenza. Come sapete, ieri la 9a Commissione ha proceduto all'approvazione definitiva del disegno di legge sui consorzi agrari: il resoconto stenografico dell'audizione da noi svolta è stato comunque trasmesso, in bozza provvisoria, al presidente Mancino, per conoscenza, e alla predetta Commissione, affinché resti agli atti della stessa.

Vi informo inoltre di aver richiesto, con lettera del 30 settembre 1999, al direttore generale dell'ABI, copia di tutta la documentazione relativa alla vicenda Fedit in possesso di tale Associazione ed in particolare i verbali delle riunioni tra le banche italiane e tra queste e quelle estere riguardanti la crisi e il commissariamento della Federconsorzi, la corrispondenza intercorsa con la Banca d'Italia, le relazioni sulla vicenda, anche se riservate, infine le proposte e gli schemi operativi di soluzione.

Ho inoltre chiesto al direttore generale della S.G.R. di trasmettere, ad integrazione della documentazione già inviata, un quadro sinottico aggiornato dei crediti vantati da tale società nei confronti dei consorzi agrari per effetto dell'intervenuta cessione da parte della Fedit con l'atto-quadro. Il dottor Rossetti ha provveduto ad inviare tale documentazione in data 5 ottobre.

Vi comunico infine che il primo gruppo di lavoro, riunitosi in data 5 ottobre 1999, ha convenuto di richiedere a tutte le banche creditrici della Federconsorzi, alla data del commissariamento, l'entità dei rispettivi crediti nonché documentazione relativa alla costituzione e all'evoluzione del rapporto creditizio. Ha inoltre stabilito di acquisire la documentazione relativa alla concessione di crediti alla Fedit da parte di banche estere e di filiali estere di banche italiane e di proporre all'Ufficio di Presidenza l'inserimento nel calendario dei lavori dell'audizione del ragionier Luigi Scotti, già direttore generale e Presidente della Federconsorzi.

Audizione dell'ex presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sull'AIMA, Giovanni Robusti

PRESIDENTE. La Commissione procede oggi all’audizione dell'ex presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sull'AIMA, Giovanni Robusti, che ringrazio per aver accolto, con cortese disponibilità, il nostro invito.

Vi ricordo che, in data 24 settembre 1999, il senatore Robusti ci ha inviato una lettera in cui ha sintetizzato gli interventi e gli atti da lui posti in essere in qualità di Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’AIMA e ha svolto alcune considerazioni sulla questione della liquidazione dei crediti per gli ammassi, oggetto del disegno di legge n. 4860. Ha fatto inoltre presente che, nell’ambito dei lavori della Commissione antimafia, esisterebbero ampi riferimenti ad atti archiviati a titolo Federconsorzi e che risulterebbe scaduta presso l’AIMA una garanzia fideiussoria della Federconsorzi senza che si sia provveduto a richiederne l’esecuzione.

Prima di dare la parola al senatore Robusti per un approfondimento delle questioni da lui segnalate nella predetta nota, avverto che i nostri lavori si svolgono in forma pubblica, secondo quanto dispone l’articolo 7 della legge istitutiva, e che è dunque attivato, ai sensi dell’articolo 12, comma 2, del nostro Regolamento interno, l’impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Qualora da parte del senatore Robusti o di colleghi lo si ritenga opportuno in relazione ad argomenti che si vogliono mantenere riservati, disattiverò l’impianto audiovisivo per il tempo necessario.

Preciso infine che dell’audizione odierna è redatto il resoconto stenografico, che sarà sottoposto, ai sensi dell’articolo 12, comma 6, del Regolamento interno, alla persona ascoltata e ai colleghi che interverranno, perché provvedano a sottoscriverlo apportandovi le correzioni di forma che riterranno, in vista della pubblicazione negli Atti parlamentari.

Do ora la parola al senatore Robusti affinché ci illustri le sue considerazioni sull'oggetto e sul contenuto della nota cui ho fatto riferimento.

ROBUSTI. Signor Presidente, ho deciso di trasmettere a questa Commissione la nota da lei menzionata, con l'intento di puntualizzare il mio ruolo e di rendermi disponibile ad un'audizione, dopo aver preso visione di alcune deposizioni nelle quali si faceva riferimento ad interventi ed atti che ebbi l'opportunità di svolgere sul tema in questione nella mia funzione di senatore e Presidente della Commissione parlamentare sull'AIMA. Tengo a precisare che le due posizioni, quella di parlamentare e quella di Presidente della Commissione d'inchiesta sull'AIMA, hanno in realtà due impostazioni diverse. Mi sono interessato della vicenda Federconsorzi fin dall'inizio del mio mandato parlamentare con due iniziative rivelatesi poi fondamentali: la prima è consistita nel bloccare il decreto-legge che stabiliva il pagamento di 1000 miliardi di ammassi grano che al Senato decadde per un solo voto di scarto in fase di verifica del voto. All'epoca in Aula prevaleva la convinzione che almeno metà di quei crediti venivano pagati ad un soggetto che, avendoli valutati zero all'atto dell'acquisizione, non aveva alcun titolo a riceverli. Non era certo che su di essi il Ministero, per il potere di controllo che esercitava nei confronti della Federconsorzi, avesse espresso un parere favorevole alla cessione. La seconda iniziativa fu di trasmettere all'allora procuratore della Repubblica di Roma, dottor Coiro, un formale atto di denuncia preceduto da un'interrogazione parlamentare che mirava a rendere quell'atto espressione delle funzioni ispettive proprie di un membro del Parlamento. Nell'interrogazione ipotizzavo la complicità di diversi soggetti nel determinare in maniera artificiale il fallimento della Federconsorzi allo scopo di produrre un'azione di cannibalismo sui beni della struttura e di far emergere la maggiore forza politica delle banche rispetto alla forza politica del mondo agricolo. La tesi di allora, che sostengo ancora oggi, è che in quel momento la Democrazia cristiana dei banchieri era più forte della Democrazia cristiana degli agricoltori; il mondo dei banchieri era all'epoca più potente delle rappresentanze degli agricoltori all'interno delle istituzioni governative.

Successivamente l'ipotesi di un complotto fu assunta dal sostituto procuratore della Repubblica Nebbioso che ricevette da Coiro la delega ad approfondire la questione. Venne poi ripresa dalla Procura di Perugia nella seconda parte dell'indagine relativa alla fase successiva al commissariamento della Federconsorzi.

Nei lavori della Commissione parlamentare sull'AIMA invece la questione Federconsorzi emerse in ordine alla verifica degli ammassi grano, alla gestione del bestiame, alle importazioni dall'estero, all'esportazione di alcool e ad altre vicende. La Commissione tuttavia non riuscì a terminare il suo lavoro perché l'interruzione della legislatura limitò la sua attività sostanzialmente a due mesi. Nella legislatura successiva, infatti, il Parlamento non ritenne opportuno riaprire la questione.

La Commissione di inchiesta sull'AIMA non portò quindi ad un risultato definitivo, formalmente approvato dalla Commissione, ma produsse semplicemente una nota del Presidente che si limitava a riassumere il percorso seguito in quei due mesi. Tuttavia nella documentazione archiviata mi risulta vi siano ampi riferimenti ad atti, riguardanti la Federconsorzi, relativi anche ai lavori della Commissione antimafia.

Vorrei capire come posso essere utile nel fornire documentazione. Ho inserito in quella comunicazione e ho rivolto a lei, signor Presidente, e alla Commissione, l'invito a verificare se, all'interno di quegli archivi, esistano atti o riferimenti che possano risultare utili per lo svolgimento della funzione e del lavoro della Commissione. A voi ciò è consentito.

Colgo l'occasione per puntualizzare velocemente il percorso e quindi l'essenza del teorema che ho messo sul tavolo e che poi ha trovato riscontro anche negli atti formali di rinvio a giudizio di più persone. A mio avviso, la questione della Federconsorzi va inquadrata all'interno di un contesto più generale, che comprende la Federconsorzi, i consorzi agrari e gli agricoltori. C'è ancora oggi una piccola parte lesa, che non è ancora emersa ma - posso preannunciarlo - sta per presentarsi come comitato nel procedimento penale a Perugia. Mi riferisco ai soci dei consorzi agrari, cioè ai singoli agricoltori che, in quanto soci dei consorzi agrari, che sono poi soci della Federconsorzi, sono i soggetti che avrebbero dovuto beneficiare di questo sistema che per un certo periodo ha funzionato ed è stato determinante per le sorti positive dell'agricoltura italiana. Avrebbero dovuto beneficiare di questo sistema che, anziché trasferire immediatamente sull'agricoltore l'aspetto positivo e l'utile dell'aggregazione del prodotto, ha investito gli utili in strutture che poi sono risultate funzionali all'attività stessa dell'impresa agricola.

Non si può parlare della Federconsorzi senza considerare tutte le aziende collegate; alcune di esse sono state un drenaggio incredibile di risorse alla Federconsorzi, molte altre invece sono risultate un investimento effettivo. Non posso dimenticare la Siapa, la Sis Foraggiera, la Arsol, la Fata - che oggi è quotata in borsa. Sono strutture che servivano come supporto all'attività agricola anche se agli agricoltori non cedevano i prodotti ad un prezzo diverso rispetto a quello del mercato, anzi molto spesso a un prezzo leggermente superiore. Forse in questo contesto meriterebbe sentire anche la controparte della Federconsorzi, chi rappresenta oggi anche sindacalmente il mondo dell'impresa e della commercializzazione dei mezzi tecnici in agricoltura, per capire quale sia stato il ruolo effettivo della Federconsorzi, non tanto a vantaggio degli agricoltori quanto a vantaggio della capitalizzazione all'interno del mondo agricolo, con le opportunità commerciali che ne derivavano.

Va poi rilevata un'altra questione. La Federconsorzi era sostanzialmente un intermediario degli affari che erano fatti dai consorzi agrari. Una delle motivazioni che ha portato alla messa in stato di liquidazione della struttura è legata alla liquidità. A mio avviso, la liquidità è stata fatta mancare artificialmente negli ultimi due anni in maniera progressiva. È certamente un atto acquisito dalla Commissione la prima relazione prodotta dal ministro Poli Bortone, una relazione estremamente dettagliata dei flussi finanziari e delle evoluzioni della liquidità della Federconsorzi. La relazione evidenzia che nel 1992 si era verificato un incremento consistente dei trasferimenti finanziari ai consorzi agrari e che il fallimento era avvenuto nel momento in cui la Federconsorzi era maggiormente impegnata nei confronti dei creditori, cioè nei confronti dei fornitori di mezzi tecnici che, lo ricordo, rappresentavano aziende che non potevano non valutare il rischio di commercializzazione (mi riferisco alla Fiat, all'Anic, a aziende a dimensione multinazionale). La Federconsorzi, di fatto, non acquistava in proprio e nemmeno ordinava in proprio; riceveva le fatture degli ordini che facevano i consorzi agrari, si assumeva l'onere del pagamento delle forniture che però arrivavano direttamente ai consorzi agrari, dai quali poi forse incassava. Il fallimento in quel ben preciso contesto è frutto della gestione della liquidità portata in due anni a un livello molto risibile, spostandola verso i consorzi agrari, e del combinato pesante rapporto con i creditori, perché in quel momento la Federconsorzi era gravata dalle fatture di ordini che erano stati fatti in realtà dai consorzi agrari.

In questo contesto è ipotizzabile che l'operazione fosse premeditata e avesse una finalità ben precisa, guidata da chi voleva ottenere quello che poi in realtà si è ottenuto, cioè una sorta di crac per liquidare a un prezzo assurdo, rispetto al valore del patrimonio, una struttura che aveva una significativa importanza sul territorio a tutela dell'agricoltura e della presenza politica agricola. In alcune vostre relazioni c'è un passaggio che fa riferimento allo stato di crisi dell'agricoltura e quindi alla ricaduta di questo sulla Federconsorzi. Non può essere così. La crisi dell'agricoltura non ha alcuna attinenza con la crisi della Federconsorzi. La crisi che ha provocato una riduzione di reddito per l'agricoltura non ha mai determinato alcun effetto sulla redditività della Federconsorzi come tale. La Federconsorzi era una grande società di commercializzazione dei mezzi tecnici degli agricoltori e di gestione delle proprie scorte produttive, ma che aveva come primo obiettivo quello di trarre reddito da questa attività, indipendentemente da quello che fosse lo stato di qualità e di redditività degli agricoltori. La Federconsorzi era un insieme di scatole cinesi all'interno delle quali la gestione dei crediti e dei prodotti poteva consentire poi gestioni finanziarie redditizie anche se non sempre o non molto spesso trasparenti. Infatti, il potere veniva concentrato nella Federconsorzi la quale nominava, di fatto con un potere assoluto, i direttori dei consorzi agrari cioè coloro che erano operativi all'interno delle strutture.

In questo contesto, un elemento essenziale è rappresentato dagli ammassi grano che per i consorzi agrari sono stati per molti anni una grande opportunità per avere la gestione di cambiali che scadevano ogni quattro mesi e che comportavano per il consorzio agrario il pagamento di questa prestazione che rilevava in molti casi in modo significativo. Ricordo che la questione ammassi grano ha due facce, quella della gestione di ammassi grano, intesa come pagamento da parte dello Stato delle differenze tra il valore del grano acquistato e il valore del grano venduto, che assomma a qualche migliaio di miliardi, e quella della gestione effettiva e fisica delle prestazioni di gestione dell'ammasso medesimo. Quelle che vengono liquidate con la legge approvata dal Parlamento sono le seconde, perché le prime sono state liquidate da quel decreto che poi non è stato convertito ma che, avendo già prodotto effetti, venne sanato in una fase successiva, perché la Comunità economica europea rilevò che si trattava di un intervento diretto a sostenere imprese e che non era accettabile, in ottemperanza agli accordi di Roma.

La questione degli ammassi grano diventa in questo contesto importante in maniera significativa perché la gestione del crac della Federconsorzi doveva risultare, per chi lo aveva determinato e costruito, a costo zero, rilevando poi anche l'utile sull'incasso degli ammassi, la metà del valore del quale, circa 600 miliardi (che non sono lievitati più di tanto perché gli interessi del 4 per cento in più rispetto al tasso di sconto sono poi finiti nel 1996, in quanto il decreto comunque bloccò questo tipo di operazioni, ma che erano comunque già cresciuti, perché si partiva da 36 miliardi), determina poi l'effettiva consistenza dell'intervento e del business costruito dalle banche attorno alla Federconsorzi. Produssi quella documentazione e feci quella istanza di sequestro quando rilevai dal commissario governativo Lettera che all'atto della cessione dell'ultima parte del patrimonio, per la corresponsione dell'ultima lira, di lira una, si rilevava in cassa una liquidità che era vicina ai 1.000 miliardi. Questo metteva in evidenza come il valore di valutazione di tutto il pacchetto era pesantemente sottostimato.

A questo punto, desidero mettermi a disposizione della Commissione di inchiesta, che ha già svolto molto del proprio lavoro su temi che sono pubblici. Vorrei sapere come potrei esservi utile e se necessitate di ulteriore documentazione. Colgo l'occasione per confermare che, in fase di attivazione del procedimento penale, una parte degli agricoltori soci dei consorzi agrari si costituirà parte attiva del procedimento, per poter monitorare quella fase, affinché la questione non venga sepolta da una procedura penale che purtroppo ha i soliti tempi biblici. Sono certo che in questo contesto la Commissione può svolgere un ruolo determinante. A mio avviso, vi sono tutte le condizioni per riaprire la questione e per tornare - al di là degli atti compiuti che non possono essere revocati - ad una condizione di equilibrio venuta meno per una scelta, supportata dal comportamento politico di alcuni, che ha causato un danno rilevante ai produttori. Quarant'anni di attività economica del mondo agricolo, che rappresentano un capitale valutabile attorno agli 8000 miliardi di lire, sono stati di fatto svenduti per pochi soldi, e che forse non sono stati neppure pagati. Infatti - come avete rilevato voi stessi - l'effettivo esborso di S.G.R. probabilmente è stato pari a zero lire. I 500 miliardi incassati per effetto della legge approvata ieri alla Camera dei deputati hanno consentito alla società S.G.R. di portare a termine l'operazione a costo zero.

Signor Presidente, volevo infatti ricordare a mente che il comma 14 di quell'articolato approvato prevede la liquidazione degli ammassi grano dei consorzi agrari. Nel comma successivo si stabilisce che il Ministero delle politiche agricole deve provvedere alla verifica di tutte le questioni sospese e che il Ministero del bilancio deve agire di conseguenza. Tutto ciò è contenuto anche negli atti acquisiti dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sull'AIMA. Mi riferisco ad esempio alle importazioni di grano del 1946 che passarono attraverso gli ammassi non come produzioni provenienti dagli Stati Uniti nell'ambito del piano Marshall, ma come grano proveniente dai campi italiani che non potevano produrre quelle quantità e quindi gravati dai costi di gestione degli ammassi medesimi.

PRESIDENTE. Ringrazio il senatore Robusti per i suoi chiarimenti. Prima di cedere la parola ai colleghi per le domande, vorrei richiamare la sua attenzione sul contenuto dell'interrogazione parlamentare da Lei presentata in data 23 gennaio 1996 all'indirizzo del Presidente del Consiglio. Non so quale risposta abbia avuto in quella sede.

ROBUSTI. Nessuna. Non c'è stata alcuna risposta come del resto accade per molte interrogazioni.

PRESIDENTE. Nella seconda parte dell'interrogazione Lei avanza, sia pure in forma dubitativa, l'ipotesi, emersa anche in articoli di stampa dell'epoca, che con premeditazione si sia voluto far "fallire" la Fedit per abusare del suo ingente patrimonio. Al di là delle affermazioni odierne, dispone di elementi specifici in grado di avallare questa tesi della premeditazione, cui accenna nella sua interrogazione parlamentare?

ROBUSTI. Sono disponibile a fornire senza alcuna difficoltà il fascicolo consegnato alla Procura che sostanzialmente amplia e identifica in maniera più puntuale alcuni aspetti fondamentali della questione. D'altra parte l'interrogazione, come atto di sindacato politico, aveva chiaramente la funzione di sostenere l'azione anche sul piano parlamentare. I dati provengono dalla prima relazione della Commissione d’indagine del Ministero dell'agricoltura nella quale è contenuta un'analisi puntuale dei flussi finanziari. Dalla relazione emerge che chi gestiva la parte finanziaria della Federconsorzi aveva determinato, probabilmente in maniera non casuale, una situazione di difficile gestione finanziaria. Ciò non dipendeva tanto da perdite sopravvenute ma, da un lato, dallo spostamento dei flussi a copertura delle liquidità dei consorzi agrari (garantite in molti casi da cambiali che solo successivamente furono rinvenute) e, dall'altro, dal fatto di aver collocato questa operazione nel momento in cui la Federconsorzi era maggiormente esposta nei confronti dei creditori e non per scelta propria, ma di qualcun altro. Se questa operazione fosse stata fatta due mesi prima il rapporto debiti/crediti della Federconsorzi sarebbe stato molto diverso. L'operazione fu collocata nel momento più importante dell'annata agraria, quello cioè dell'acquisizione dei mezzi tecnici. Era quello il mestiere della Federconsorzi: acquisire migliaia di tonnellate di concimi, sementi, antiparassitari e collocarli presso i consorzi agrari. La combinazione di questi due elementi in quel preciso momento ha fatto emergere il problema finanziario. E' chiaro che tutto ciò si collega alla figura di colui che indirizzava finanziariamente la società. Mi riferisco ovviamente al dottor Capaldo, al di là del fatto che egli abbia svolto funzioni più o meno ufficiali all'interno della Federconsorzi. E' indubbio infatti che la mente finanziaria fu il dottor Capaldo proprio per la funzione che ricoprì anche nella gestione di tutte le fasi successive, a partire dall'intervento del ministro Goria.

La mia tesi quindi si basava essenzialmente sulla valutazione dei flussi finanziari e sul contenuto della relazione della prima Commissione ministeriale incaricata di fare luce sulla vicenda.

PRESIDENTE. Nel corso dell'audizione lei ha affermato che c'è stata una "voluta mancanza di liquidità della Fedit". Nelle nostre prime audizioni abbiamo avuto un segnale contrario. Pare infatti che due giorni prima del commissariamento una banca abbia concesso alla Fedit crediti per un importo pari a circa 60-70 miliardi di lire. La cosa ci è apparsa molto strana e per questo stiamo cercando di approfondire la questione. Sembra una contraddizione il fatto che da un lato qualcuno si sia adoperato per bloccare i flussi finanziari e quindi mettere in moto il meccanismo di "fallimento" della Federconsorzi e che, dall'altro, due giorni prima del commissariamento, la Fedit sia stata destinataria di un finanziamento di circa 70 miliardi da parte della Cassa di risparmio di Macerata.

ROBUSTI. Prima di risponderle desidero fare una premessa. Ho iniziato la mia attività professionale nel 1972 come perito agrario presso il consorzio agrario provinciale di Cremona. Ho svolto la mia funzione professionale come operatore nel settore degli antiparassitari e delle sementi fino ad arrivare a funzioni direttive di multinazionali, tra cui la gestione di rapporti diretti con l'ufficio acquisti della Federconsorzi. Sono creditore verso la Federconsorzi per un parcella di 60.000 lire perché per un certo periodo ho avuto rapporti per la cessione verso una grossa multinazionale estera di mais ed amido prodotto nei consorzi agrari.

Vi posso assicurare che nessuno aveva la benché minima sensazione che vi fosse un'ipotesi di gestione fallimentare della Federconsorzi. Nessuno pensava che vi fossero difficoltà finanziarie nella Federconsorzi. Non lo pensavamo noi, ma non lo pensavano neanche la FIAT, l'ANIC e tutte le grandi società che in quel momento continuarono ad operare con la Federconsorzi. Anzi, molto spesso si preferiva la Fedit perché la diretta fornitura dei mezzi tecnici ai consorzi agrari era finanziariamente meno garantita. Fornire il consorzio agrario di Cremona era più interessante, ma fornire quello di Torino poteva essere estremamente pericoloso. Era certamente più sicuro fornire direttamente la Federconsorzi pur concordando i prezzi e le quantità con il consorzio agrario, facendo però transitare le fatture su Fedit perché dal punto di vista finanziario nel settore non esisteva il minimo dubbio sugli incassi di quelle vendite.

Allora è proprio su questa base che il fulmine a ciel sereno dà la sensazione che possa essere stato provocato. Infatti, bisognava che scoppiasse nel momento in cui la Federconsorzi aveva la minor liquidità possibile in tasca, quanto meno dal punto di vista contabile, e la maggiore produzione possibile nei confronti dei consorzi agrari, perché questo poi avrebbe consentito di recuperare gli immobili degli stessi consorzi agrari dati a garanzia dei crediti. Pochi degli immobili sono di proprietà della Federconsorzi in quanto tale; quasi tutti sono effetto di cessione a garanzia della Federconsorzi da parte dei singoli consorzi agrari. Sono quindi patrimonio dei singoli consorzi agrari, ceduti a garanzia di elargizioni finanziarie che la Federconsorzi concedeva. Uno degli elementi che non è ancora emerso a sufficienza dai vostri lavori, se posso permettermi di rilevarlo, è il nesso con Agrifactoring.

Il fatto che una banca avesse concesso in quel periodo un credito alla Federconsorzi non stupisce coloro che lavoravano alla Federconsorzi e secondo me è questa la motivazione per la quale l'azione è stata costruita dall'interno; non c'erano condizioni esterne che la determinavano, poteva essere soltanto costruita dall'interno e provocata attraverso il coinvolgimento del Ministro in un'azione che il Ministro non ha valutato appieno nelle sue conseguenze successive. Forse questo è stato l'errore; non voglio fare ipotesi sulle intenzioni o meno di arrivare a quel punto, ma è indubbio che si valutarono in maniera non corretta le conseguenze di quell'azione. Tuttavia, quell'azione non era visibile all'esterno e questo è un forte sostegno all'ipotesi che dall'interno qualcuno costruì l'operazione deliberatamente e la fece scoppiare in un ben preciso momento.

PRESIDENTE. La voluta mancanza di liquidità di credito, cui lei faceva riferimento all'inizio della sua esposizione, la dobbiamo riferire ad un arco temporale assai prossimo alla data del commissariamento.

ROBUSTI. La voluta mancanza di liquidità doveva riguardare il riscontro che era necessario per sostenere, nel momento in cui si faceva scoppiare la questione, che la Federconsorzi non era in grado di pagare. In realtà, era un dato artificialmente costruito per far sì che, nel momento in cui si fosse detto che quelli non pagavano, ci sarebbero stati dei riscontri effettivi a sostegno del fatto che non erano in grado di pagare. Ma chi ci ha lavorato fino al giorno prima, non ha mai avuto la sensazione che questo fosse.

PRESIDENTE. In questo senso, quindi, va interpretata la sua espressione.

ROBUSTI. Posso far avere alla Commissione, se non lo ha, il fascicolo degli atti che ho prodotto in Procura. ALOI. Della sua esposizione, signor Robusti, mi interessa un passaggio, sul quale poi ritornerò successivamente. Lei ha parlato di una operazione condotta abilmente e artificiosamente dall'interno. Sia pure in una prospettiva del tempo che l'operazione avrebbe richiesto, il discorso può essere legato solo all'elemento factoring? Perché l'operazione andasse in porto, abbisognava anche di sinergie che, per usare termini meno eufemistici, presupponevano connivenze tra i vari fattori che hanno portato poi a quella conclusione?

Lei ha citato il ministro Goria. Noi meridionali, come sa anche il Presidente, sappiamo che dei morti si parla sempre bene e lo sanno anche certi ambienti che attribuiscono ai morti tutte le responsabilità. E' possibile che il ministro Goria abbia accettato questa operazione quasi semplicisticamente? O invece il ministro Goria (e esco dalla logica meridionale) si poneva, in una situazione varia, in cui il discorso diventava anche politico, il cui prodest ? Tante volte anche noi ci siamo chiesti a chi giovava questa operazione condotta da varie forze politiche, e sappiamo a quali forze facciamo riferimento, e gli obiettivi che perseguiva sul piano politico.

E' possibile che solo un'operazione dall'interno - di factoring, per intenderci - sia stata l'unico elemento centrale, senza sinergie con altri elementi che hanno studiato tutta l'operazione per arrivare a quell'obiettivo? Spero di essere stato chiaro e mi auguro che Lei possa rispondere anche a quello che non ho chiesto, ma che lei certamente ha intuito.

ROBUSTI. Non intendo approfondire la questione politica perché la mia funzione odierna è quella di un tecnico che può fornire elementi di valutazioni per atti formali che ho fatto in passato. La vicenda con Federconsorzi ha una chiara ed univoca connotazione politica, su questo non ci piove, ma potremmo entrare in un campo minato che, oltre tutto, mi assegnerebbe un ruolo diverso rispetto a quello che oggi vorrei avere. L'analisi della realtà politica, in altre parole, appartiene all'altra metà del tavolo ma, se lei mi pone una precisa domanda, cercherò di fornirle una risposta. Era necessario che si realizzassero insieme diversi elementi. La questione Agrifactoring è scoppiata successivamente rispetto alla questione Federconsorzi; ricordo che articoli di stampa del 1996, in particolare la testata "Terra e Vita", riferivano della consegna di un plico da parte di un anonimo personaggio alla filiale romana della società editrice, contenente la documentazione - che dovrei avere nel mio archivio personale, ma che comunque è reperibile - del coinvolgimento successivo di Agrifactoring quale elemento per completare l'assunzione di risorse finanziarie nell'operazione di fallimento. Ma Agrifactoring rappresenta soltanto un elemento. Era necessario creare le condizioni per cui la politica improvvisamente acquisisse il problema Federconsorzi come non risolvibile sul piano finanziario normale, ma bisognoso di un necessario intervento esterno di finanziamento da parte dello Stato delle attività di Federconsorzi o di messa in liquidazione della struttura. Nell'uno e nell'altro caso si sarebbero prodotte delle effettive disponibilità finanziarie che poi potevano essere destinate ad usi non troppo trasparenti.

Per realizzare questo insieme di cause, era necessario che ci fossero, nel momento in cui scoppiava il problema, una rilevanza meramente contabile di una situazione di difficoltà in termini di liquidità, una rilevanza contabile dei fornitori, che a quel punto si sarebbero agitati per recuperare gli ingenti crediti che solo in quel momento avevano prodotto e che qualche mese prima non avrebbero altrimenti prodotto, una rilevanza contabile dei consorzi agrari, che erano poi coloro che detenevano il patrimonio. Infatti, il patrimonio della Federconsorzi nei fatti era dei singoli consorzi agrari. Chi gestì l'operazione mise insieme queste tre condizioni facendole coincidere temporalmente. Nell'interrogazione che ho presentato, ho sostenuto come questo fosse determinato da un progetto politico; io stesso dichiarai che la Democrazia cristiana dei banchieri ebbe il sopravvento sulla Democrazia cristiana degli agricoltori. La gestione di quell'ingente patrimonio era collocata, come tutti sanno, in quell'area politica. Che ci fossero una responsabilità, una complicità, un'azione politica concordata da parte di chi era al Governo in quel momento, non sono in grado di dirlo, lo posso soltanto rilevare come soggetto politico, non appartenente a quell'area, in una logica di confronto, di dialettica, di contrapposizione politica. Secondo me, tuttavia, non potrà mai essere provato, ma ciò fa parte della funzione politica della Commissione parlamentare. Un elemento che ancora non è stato appieno rilevato riguarda il coinvolgimento delle strutture sindacali agricole che erano sostenute dalla Federconsorzi. Nelle relazioni del Ministero sono allegate le fotocopie degli assegni, che testimoniano i contributi miliardari e alcune persone che erano nel libro paga della Federconsorzi. Il crac della Federconsorzi inevitabilmente avrebbe prodotto effetti sull'area sindacale e non escludo che questa, per un certo periodo, abbia accarezzato l'idea di poter utilizzare l'evento per diventare essa stessa proprietaria di fatto della Federconsorzi. Questa idea è stata accarezzata in maniera malsana, nel senso che non avrebbe mai potuto funzionare. E' indubbio però che dietro tutto questo vi sia stata una logica politica. Un aspetto che non è stato chiarito, ma che a mio avviso merita di esserlo, è il ruolo pubblicistico della Federconsorzi, che in qualche maniera ha consentito l'uscita di scena delle banche estere. Come e perché le banche estere siano improvvisamente uscite di scena cambiando il loro atteggiamento resta infatti una questione da approfondire. ALOI. A suo giudizio l'aspetto pubblicistico è il solo elemento da considerare o vi furono anche pressioni e condizionamenti? ROBUSTI. Le banche estere posero un'alternativa molto semplice: "O ci consentite di uscire di scena o dimostriamo che la Federconsorzi è un ente pubblico". E la Federconsorzi era sostanzialmente un ente pubblico. Il semplice fatto che avesse in esclusiva la gestione dei crediti in natura e delle cambiali agrarie la rendeva un ente pubblico. Evidentemente le banche estere riuscirono a dimostrare in sede politica che c'erano le condizioni per rilevare Federconsorzi come un soggetto che svolgeva un'attività di tipo pubblicistico. Non sono a conoscenza delle modalità di liquidazione delle banche estere perché non ho potuto accedere agli atti, ma sono certo che siano state soddisfatte.

PRESIDENTE. Al momento anche per noi è un interrogativo insoluto.

ROBUSTI. Comunque le banche estere uscirono di scena e probabilmente ciò avvenne perché furono soddisfatte e non certo per ragioni politiche interne. E' indubbio che in questa operazione il fattore discriminante risieda nella soddisfazione dei crediti. Alcuni soggetti (i creditori costituitisi all'interno di S.G.R.) alla fine riusciranno ad ottenere più del credito vantato all'atto della messa in liquidazione della Fedit, altri saranno liquidati solo per il 32 per cento delle risorse rilevate. DE CAROLIS. Pur avendo ascoltato con la dovuta attenzione le considerazioni del senatore Robusti contenute nella lettera del 24 settembre 1999, che in sede di Ufficio di Presidenza è stata considerata un contributo utile al lavoro di conoscenza e di inchiesta che la nostra Commissione sta svolgendo, devo ammettere che le tesi esposte non si discostano molto da quelle sostenute dall'avvocato Lettera nel corso della sua audizione. Si tratterebbe quindi di un contributo costituito in larga misura da fatti già noti. Del resto, affermare che dal processo risulterà che una parte è stata lesa, è semplicemente un fatto auspicabile. Finora tutto è avvenuto nel silenzio più assoluto e nella pace generale. Tuttavia, anche sulla base delle interessanti affermazioni fatte in questa sede, desidero rilevare un aspetto politico sul quale ho una visione completamente diversa e totalmente suffragata dai fatti. Il senatore Robusti sa bene che nella legislatura 1987-1992, che vide l'onorevole Goria come Presidente del Consiglio per un periodo di tempo sfortunato, una parte del Parlamento si richiamava direttamente alla Federconsorzi. Quest'ultima era in grado di far eleggere all'interno dei Gruppi democristiani di Camera e Senato un cospicuo numero di parlamentari. Vi faccio una confidenza: il Presidente della Commissione agricoltura nel periodo 1988-1989, l'onorevole Giovanni Bruni, era espressione proprio della Federconsorzi. Detto ciò ho forti perplessità sull'equazione piuttosto rigida da lei sostenuta e in base alla quale all'epoca la Democrazia cristiana dei banchieri ebbe il sopravvento sulla Democrazia cristiana degli agricoltori. Non sono mai stato democristiano e sono anche lieto di non esserlo stato. La situazione di dissesto in cui versava la Federconsorzi era abbastanza nota e lo stesso Goria, diventato Ministro dell'agricoltura dopo essere stato Presidente del Consiglio, non vedeva l'ora di potersi sbarazzare di quel peso ingombrante. Sono convinto quindi, anche sulla base di una serie di riscontri, che egli abbia proceduto all'azione fallimentare contrariamente alle indicazioni dell'allora Presidente del Consiglio e di coloro che in quel momento avevano possibilità di influire. Questa è la mia tesi. La domanda che le rivolgo è la seguente. Nella sua lettera, entrando nel merito delle procedure avviate dalla S.G.R. - sulle quali indagherà la magistratura di Perugia - lei sostiene che l'intera operazione è avvenuta a costo zero. Poiché non mi sembra che le cose siano andate in questi termini, vorrei sapere in base a quali valutazioni mette in sordina quei 2150 miliardi che costituiscono il prezzo pagato dalla S.G.R. per l'acquisizione di tutte le proprietà della Federconsorzi.

ROBUSTI. Nel rispondere alla sua domanda mi permetto di ribaltare l'argomentazione da lei addotta. Probabilmente c'era un interesse a ridimensionare in maniera sostanziale il ruolo economico della Federconsorzi, quale braccio armato di quelle organizzazioni sindacali che all'interno del Parlamento avevano assunto un peso politico tale da scompensare gli equilibri esistenti all'interno del partito. Mettere in crisi la Federconsorzi sapendo che ciò avrebbe messo in crisi tutto il supporto economico e finanziario alle attività politiche del sindacato agricolo poteva essere un obiettivo da perseguire allo scopo di ridimensionare il ruolo stesso del mondo agricolo all'interno del Parlamento. Sull'acquisizione della Fedit a costo zero da parte della S.G.R. abbiamo dei dati di fatto. La S.G.R. pagò tre rate, di circa 700 miliardi ciascuna, per un importo complessivo di 2150 miliardi di lire con le liquidità e le cessioni di magazzino che rinvenne nel cassetto della Federconsorzi quando ne divenne proprietaria per effetto della liquidazione. Solo l'ultima tranche venne in qualche modo anticipata dalla S.G.R. senza aver ceduto nulla del patrimonio acquisito.

Ci fu poi un altro fatto rilevante. Si scoprirono circa 800 miliardi in cambiali che, all'atto di cessione dell'ultima lira, sarebbero passati dai cassetti della liquidazione del commissario della Federconsorzi ai cassetti della S.G.R.; costituivano l'elemento essenziale per pagare l'ultima tranche, senza tener conto dei mille miliardi degli ammassi grano. L'affare era stato realizzato utilizzando le risorse finanziarie rinvenute all'interno della liquidazione medesima, senza smobilitare nulla, attendendo comunque ulteriori riscontri finanziari di notevole rilevanza. In questo contesto non è stato preso in considerazione il valore effettivo delle partecipate Federconsorzi. La Siapa in quel momento era detentrice di una parte significativa del mercato degli antiparassitari italiani, non tanto perché era un'industria capace di produrre, di fare ricerca e di determinare prodotti, ma perché era una struttura della Federconsorzi, la quale aveva in mano la grande realtà distributiva dei mezzi tecnici. La cessione di princìpi attivi da parte di multinazionali alla Siapa, che quindi godeva di codistribuzioni e poteva etichettare i prodotti con il suo nome, avrebbe avuto in quel momento un rilevante valore, se fosse stata collocata nel mercato all'interno di un contesto attivo. Chiaramente, inserita in quel contesto, ha visto il suo valore svanire. In tale situazione, l'unica che si salvò fu la Fata perché riuscì a collocarsi come soggetto autonomo all'interno del mercato borsistico.

Tutto questo non può essere successo casualmente. Se si voleva smobilitare la Federconsorzi perché la politica riteneva che ormai il carrozzone era decotto e produceva solo debiti, si potevano vendere o privatizzare ( se era un soggetto politico pubblico, come di fatto lo era) le diverse attività, mantenendo inalterato il patrimonio, coprendo tranquillamente i debiti, ricollocando il patrimonio sugli stessi consorzi agrari. Questo avrebbe potuto far riuscire l'operazione, e sono in grado di dimostrarlo; molti consorzi agrari che sono falliti o tenuti a galla con artifizi vari - il riferimento a Ferrara è palese - oggi non sarebbero tali. Come bilancio finale, possiamo dire che si è perso molto di più di quanto non si sarebbe perso se si fosse cercata una soluzione più logica, questo se l'obiettivo era di sanare. Ma l'obiettivo, è evidente, era un altro, perché la Federconsorzi rappresentava un problema per la politica.

MAGNALBO'. Lei ha parlato di sconti degli effetti dei consorzi agrari. Tutti sappiamo che i consorzi scontavano i loro effetti e le loro cambiali presso la Federconsorzi e ogni quattro o sei mesi avveniva questo flusso e riflusso. Gli effetti che venivano rinnovati erano poi restituiti ai consorzi o erano tenuti dalla Federconsorzi?

Lei si è poi riferito a due parti dei crediti di ammasso, una relativa all'ammasso vero e proprio, che come posta fu poi liquidata e pagata, l'altra che era rimasta in vita ed è stata inserita nel provvedimento che ieri la Commissione a gricoltura del Senato ha approvato in sede deliberante.

La seconda posta da che cosa era costituita?

Che cosa pensa del provvedimento che ieri è stato approvato in merito allo scioglimento della Federconsorzi? Secondo lei è efficace? Ha rilevato qualche effetto particolare in merito a uno scioglimento deliberato per legge, con riferimento alle procedure concorsuali?

Lei ha stimato i beni in circa 8.000 miliardi, ma questa stima da dove deriva?

Vorrei poi sapere dove possiamo reperire l'elenco delle persone indicate nel libro paga.

Lei è stato molto sicuro rispetto al ruolo istituzionalmente pubblico della Federconsorzi mentre noi non siamo stati mai certi di questo, abbiamo pensato ad un qualcosa che era nell'immaginario collettivo e che facesse comodo al mondo bancario per poter offrire, senza difficoltà, tutte quelle aperture di credito con le relative garanzie (5.000 miliardi di credito e 36 di garanzia). Potrebbe infine fare un accenno allo svolgimento dell'operazione Cragnotti?

ROBUSTI. Il provvedimento approvato ieri è interessante e risolve alcuni problemi, ponendo fine alla Federconsorzi come aggregazione non volontaria ma obbligatoria dei consorzi agrari, con parecchi vincoli sugli stessi consorzi agrari che, di fatto, preferivano la gestione a livello centrale. Oggi la gestione è, per fortuna, dei consigli di amministrazione dei singoli consorzi agrari che, in questo contesto, diventano di fatto delle cooperative con la necessità di confrontarsi con il mercato come un normale imprenditore. Questo nuovo concetto va ricercato nella rivalutazione del capitale sociale all'interno della cooperativa-consorzio agrario, ai sensi della legge istitutiva. All'interno di quel provvedimento contesto e continuerò a contestare un punto, sul quale invito la Commissione ad esprimere una valutazione di indirizzo nei confronti del Governo per la parte di competenza del Ministero e della Corte dei conti, che dà la discrezionalità al Ministro di determinare l'ammontare della parte residua degli ammassi grano da liquidare, perché è lì il nocciolo della questione.

Il provvedimento nel 1996 fu respinto in Assemblea perché io sostenni che stavamo regalando 1.000 miliardi alla S.G.R., in quanto venivano pagati rendiconti non approvati dalla Corte dei conti, quindi non esigibili, anche se mescolati tra quelli esigibili. Alcuni consorzi agrari, infatti, ottennero un atto esecutivo con il quale vennero pignorate le azioni dell'Eni in Borsa, ottenendo la liquidazione dei crediti esigibili.

L'altra parte di quei crediti, che la S.G.R. valutò in 50 miliardi è quella interessante, se dietro si intravede la costruzione dell'operazione a fini truffaldini che deve essere bloccata. Se posso permettermi di esprimere questa valutazione, il Parlamento non può oggi abbandonare in modo così libero l'operazione perché si costruirebbero le condizioni precedenti.

In questo contesto, entriamo nel merito dei due ammassi grano. Gli ammassi grano rappresentavano uno strumento per sopperire alla mancanza di farina, in particolare nel periodo postbellico, e per sopperire alla sostanziale differenza di costo del grano rispetto a quello del pane, per cui il grano veniva pagato 100 lire all'agricoltore mentre la farina veniva venduta al mugnaio a 50 lire. Questa differenza di valore veniva pagata dallo Stato. Questo valore, di gran lunga superiore al costo effettivo degli ammassi - non ricordo esattamente la cifra ma mi pare che superasse i 10.000 miliardi - era garantito da cambiali del Tesoro che ogni 4 mesi venivano rinnovate dai consorzi agrari. Gli effetti cambiari, ammessi al riscontro presso la Banca d'Italia, continuavano quindi a circolare il provvedimento fu reso esecutivo a queste cambiali si sostituirono buoni ordinari del tesoro a scadenza ventennale. Quella posta venne pertanto liquidata, anche perché, trattandosi sostanzialmente di un intervento diretto dello Stato nell'attività di impresa, era stata messa in discussione dalla Comunità. Gli ammassi grano, di cui al provvedimento licenziato ieri dal Parlamento, rappresentano un'altra questione. I costi di facchinaggio e immagazzinaggio erano gli effettivi costi di gestione dell'operazione di acquisizione del grano e di cessione della farina ed erano a carico dei singoli consorzi agrari. Tali costi lievitarono in maniera spropositata per effetto della rendita che essi stessi garantivano ai consorzi. Non si può affermare che lo Stato è "un cattivo pagatore" perché dopo 40 anni non ha ancora pagato gli ammassi grano. Per 35 anni infatti nessuno ha chiesto quei soldi e questo perché era più remunerativo il debito dal momento che esso fruttava il 4 per cento in più del tasso ufficiale di sconto e un compenso per la sua gestione da parte del consorzio agrario. Tutto ciò fece sì che quei crediti, pari a 36 miliardi di lire arrivassero a 1.000 miliardi nell'arco di trent'anni. Alcuni crediti erano sicuramente esigibili e pertanto oggi vanno pagati, altri dovevano essere pagati alla S.G.R., per un importo pari a 50 miliardi. Infatti, se la stessa S.G.R. nella procedura concorsuale aveva attribuito a quegli ammassi grano un valore di 50 miliardi era quella la somma che doveva ottenere. Ciò è quanto sostenni in un disegno di legge da me presentato e sul quale la 1a Commissione permanente in fase di emendamenti espresse parere contrario per una valutazione di tipo giuridico-istituzionale a mio avviso non del tutto coerente.

Per quanto riguarda i crediti diversi dagli ammassi grano, non era prevista per essi una procedura codificata di garanzia. Le cambiali rinvenute durante il commissariamento di Federconsorzi erano solo uno degli elementi di garanzia del credito che la stessa vantava nei confronti dei consorzi agrari; altri elementi erano rappresentati dalla cessione di immobili o da iscrizioni ipotecarie sugli immobili dei consorzi. Aggiungo inoltre che questi ultimi acquistavano i prodotti dalle ditte fornitrici attraverso la Federconsorzi poi, all'atto del pagamento, se avevano problemi di liquidità, era la Federconsorzi a provvedere incrementando così le poste debitorie e le ipoteche. Questo è stato il meccanismo perverso in base al quale non solo la gestione dei consorzi agrari ma anche il loro patrimonio confluirono nella Federconsorzi. Non esisteva però una prassi consolidata. Ogni consorzio agrario si rapportava al creditore in funzione del peso politico che aveva all'interno del Consiglio o del sostegno politico di cui godeva. La Fedit nei confronti dei consorzi agrari era sostanzialmente una banca. Tutto ciò poteva avere un senso se prima o poi il patrimonio fosse tornato nelle mani dei consorzi agrari, ma non lo aveva più nel momento in cui la Federconsorzi venne liquidata.

Quanto alla sua valenza di ente pubblico, ritengo che non vi siano dubbi al riguardo, dal momento che la gestione degli ammassi in natura, di cui alla legge istitutiva, era assegnata in esclusiva alla Federconsorzi e lo è tuttora; anche la gestione delle cambiali agrarie era affidata alla Fedit. L'essenza stessa della gestione degli ammassi grano, che rappresentava sostanzialmente un intervento pubblico dello Stato realizzato attraverso lo strumento operativo della Federconsorzi, contribuiva a conferire alla Fedit un effettivo ruolo pubblicistico. Tuttavia questa funzione pubblicistica può essere certificata soltanto dalla magistratura nel momento in cui qualcuno decide di sollevare la questione; cosa che fino ad oggi però nessuno ha fatto. E' questa la ragione per la quale ho tirato in ballo le banche estere. A mio avviso, infatti, qualcosa su quel fronte deve essere certamente accaduto.

La questione dei libri paga è contenuta nelle relazioni (la prima redatta nel 1995 e la seconda successivamente), di due Commissioni di indagine ministeriali che produssero tre fascicoli con ampia documentazione allegata ancora oggi a disposizione delle Commissioni agricoltura di Camera e Senato. Nella documentazione allegata alla relazione governativa vi sono gli atti che ho citato, ossia l'elenco delle persone in libro paga, dei contributi pagati dalla Federconsorzi per la stampa di giornali, oltre ai dati relativi alla vicenda dei versamenti fatti ai sindacati; vi sono anche tutti i bilanci della Federconsorzi. Ritengo che il lavoro di quella Commissione sia pregevole sotto diversi profili e sono convinto che possa esservi utile dal momento che essa ha svolto un lavoro di screening iniziale che sarebbe inutile ripetere.

Quanto alla stima di 8.000 miliardi, prendo atto delle osservazioni del senatore De Carolis in base alle quali le mie tesi collimano con quelle dell'avvocato Lettera. Ho avuto rapporti con l'avvocato Lettera che, all'epoca del Governo Berlusconi, era a capo dell'ufficio legislativo del Ministero dell'agricoltura, e ritengo - e qui esprimo una valutazione personale - che egli abbia rappresentato un argine per lo Stato rispetto ad alcune operazioni che altrimenti sarebbero state meno trasparenti di quanto non sia accaduto. Del resto su alcune questioni, come quella relativa al pagamento delle parcelle ai consulenti, si rileva ancora oggi una scarsa trasparenza, evidenziata proprio dall'avvocato Lettera.

ALOI. Al riguardo non c'erano criteri oggettivi.

ROBUSTI. Non c'erano allora e ho l'impressione che non vi siano ancora oggi. Fui informato dall'avvocato Lettera del fatto che stavano per cedere un patrimonio del valore di 1.000 miliardi alla S.G.R. per il controvalore di lire una. Ritenni quindi mio dovere presentare un'interrogazione parlamentare.

La questione Cragnotti ad esempio è piuttosto delicata e allo stesso tempo rilevante. La Polenghi Lombardo ha costituito per molto tempo uno strumento significativo di supporto all'attività politica non tanto attraverso il pagamento del latte a prezzi più alti - come è accaduto per la Centrale del latte di Milano - quanto attraverso la rilevazione di risorse che servivano a gestire l'attività politica. Ciò produsse, anche per effetto di un'incredibile gestione di quella struttura, una montagna di debiti e la necessità di chiudere quella partita. Risulta curioso però che sia stata chiusa non prima che avvenisse il fallimento, ma quando esso era già in fase operativa, e soprattutto che sia avvenuto con l'inserimento di un contributo di 20 miliardi di capitale sociale prima che Cragnotti, unico acquirente di quella partita, presentasse una valutazione di 55 miliardi di per sé già assolutamente incredibile.

Ritengo che la questione Polenghi Lombardo, per essere compresa, debba necessariamente essere inserita nella vicenda della liquidazione delle industrie agroalimentari detenute dallo Stato. Mi collego alle questioni Cirio e Bertolli che già conoscete. E' indubbio che in quei casi vi fu una valutazione priva di senso. Sarebbe utile rilevare oggi il valore al quale Polenghi Lombardo è stata ceduta alla Parmalat per capire come una realtà che da allora non è cambiata, non ha cioè modificato il suo valore (il marchio, la lavorazione e gli immobili sono sempre gli stessi e non è mai stata fatta alcuna pubblicità), oggi venga valutata 5 volte di più.

Non c'è altro da dire su Fedit se non che sia Fedit che Polenghi Lombardo vanno inserite all'interno di Agrifactoring. E' determinante capire meglio la figura effettiva di Agrifactoring perché essa ha giocato un ruolo fondamentale nel fallimento. Avrebbe potuto azionare determinate leve per indirizzare il fallimento verso un'altra strada, ma non lo ha fatto; ha tentato di farlo dopo, soltanto per coprirsi rispetto a responsabilità oggettive. Questo non toglie che lo strumento operativo all'interno del quale l'intera questione è stata pensata è Agrifactoring.

Una questione che merita di essere approfondita riguarda Perugia per la gestione del bestiame. Il vitello rappresentava uno strumento per poter gestire all'interno delle cooperative la partita dell'Iva, la partita dell'importazione e poi la partita dell'alimentazione, perché ogni vitello mangia tutti i giorni.

ZANOLETTI. Signor Presidente, l'Ufficio di Presidenza ha deciso in maniera molto opportuna di ascoltare il senatore Robusti e quello che egli ci ha riferito è molto utile per i nostri lavori. Si tratta di informazioni preziose che gli derivano dalla conoscenza professionale del settore, dall' attività parlamentare, dal suo ruolo di Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sull'AIMA. Tuttavia, troppo sovente sono stati espressi giudizi riguardanti la situazione generale, andando addirittura al di là della vicenda Federconsorzi. Questi sono intempestivi oltre che soggettivi. Un dibattito utile è quello che porta la Commissione all'acquisizione di dati di fatto, lasciando ai commissari, alla fine del loro lavoro, la deduzione di giudizi di responsabilità su persone, su enti e, tanto più, sulla classe politica di un determinato periodo.

ROBUSTI. Condivido il suo intervento e rilevo che nella mia introduzione mi sono astenuto, in maniera voluta, da valutazioni su persone e da valutazioni di tipo politico. Ho infatti ritenuto necessario rendermi disponibile per un'audizione in quanto mi sono trovato coinvolto negli atti. Ho rilevato anche una certa curiosità da parte dei commissari sul mio coinvolgimento e quindi era necessario ed utile rendermi disponibile, per le funzioni svolte all'interno del Parlamento, su tale questione. Non ho predisposto un intervento particolare perché desideravo capire anche io quale fosse l'indirizzo che la Commissione intendeva seguire.

Ribadisco la mia disponibilità di tecnico e di conoscitore della materia, se fosse necessario, per eventuali approfondimenti e, chiaramente, lascio alla Commissione ogni valutazione politica, auspicando che la Commissione sappia esprimere un giudizio politico sulla questione Federconsorzi che è determinante ai fini della chiusura della partita. Voglio essere ancora più chiaro, ma non desidero andare oltre le righe. Se questa Commissione è stata voluta e pensata da alcune parti del Parlamento per porre una pietra sopra la questione Federconsorzi, ha le condizioni per farlo. Se questa Commissione è stata voluta dal Parlamento per esprimere invece una riclassificazione ed una valutazione di quello che è successo, quindi per dare gli elementi per riaprire e determinare la questione in modo diverso, ha ancor più elementi per poterlo fare. Ha un compito talmente delicato e importante, che attiene al ruolo politico, ed è indubbio che ogni intromissione risulta gratuita.

A me sono state rivolte alcune domande alle quali ho risposto in quanto, comunque, svolgo un ruolo politico.

PRESIDENTE. Vorrei invitare i componenti della Commissione a non esprimere in questa fase giudizi che, mancando la conoscenza piena dei fatti, sono pregiudizi. Questa Commissione, fino ad oggi, devo darne atto a tutti i componenti, non ha espresso pregiudizi. Si sta lavorando alla ricerca di fatti molto complessi ed è chiaro che, a mano a mano che la conoscenza aumenta, abbiamo maggiori elementi di formazione del giudizio che, in questa fase, lo ripeto, può assumere soltanto l'aspetto del pregiudizio. Non siamo ancora venuti a conoscenza dell'interezza dei fatti dei quali dovremo occuparci, che non sono né semplici né facili.

In esito a questo, le vorrei chiedere, signor Robusti, se lei è in possesso di quei documenti che sono stati consegnati alla rivista "Terra e Vita" in un plico chiuso. In caso affermativo, è in grado di trasmetterli alla Commissione?

ROBUSTI. Ne sono in possesso a memoria, ma ritengo che nei miei archivi dovrebbe esserci una parte cospicua di quel fascicolo, se non dell'intero fascicolo. Se non ne fossi in possesso, sono in grado di chiederlo direttamente alla fonte e di inviarlo alla Commissione.

PRESIDENTE. Assumiamo per certo questo suo impegno e eventualmente la solleciteremo.

A cosa si riferiscono esattamente gli atti che sono stati trasmessi alla Commissione antimafia? Sono diversi da quelli trasmessi a Perugia o si tratta di un duplicato?

ROBUSTI. In base ai miei ricordi e all'attività svolta, negli archivi della Commissione antimafia sia pubblici, sia soprattutto secretati, ai quali solo la Commissione può accedere, ci sono riferimenti a questioni legate agli ammassi e all'alcool che coinvolgono la Federconsorzi. Non hanno nulla a che vedere con i fascicoli di Perugia perché non sono relativi alla fase successiva della gestione ma alla fase precedente, semmai potrebbero essere riferiti all'azione della Procura di Roma, ma questo non mi risulta. Alcuni di questi atti, lo ripeto, sono secretati dalla Commissione antimafia e quindi non possono essere in possesso della Procura.

PRESIDENTE. A tutt'oggi sono secretati?

ROBUSTI. A me risulta di sì. Signor Presidente, se possibile, vorrei chiedere di proseguire i nostri lavori in seduta segreta.

PRESIDENTE. Non facendosi osservazioni, così resta stabilito.

I lavori proseguono in seduta segreta dalle ore 16,20 alle ore 16,25.

PRESIDENTE. Riprendiamo l'audizione in seduta pubblica. Ci sono elementi concreti per ritenere che la Parmalat fosse il vero acquirente della Polenghi Lombardo?

ROBUSTI. Signor Presidente, lei mi pone una domanda molto difficile. Vorrei fare una precisazione. Non vorrei contribuire con la mia deposizione ad appesantire la Commissione di una quantità di atti e documenti che alla fine rischia di essere difficilmente sintetizzabile. Gli elementi di cui vi ho parlato poc'anzi attengono comunque alla gestione della Federconsorzi prima del fallimento. Tutto dipende poi dalla direzione che la Commissione intende seguire, cioè se vuole occuparsi del prima o del dopo fallimento.

PRESIDENTE. Intendiamo lavorare sia sulla fase precedente che su quella successiva.

ROBUSTI. La questione Parmalat mi mette in difficoltà per due ragioni. In primo luogo perché per la mia attività professionale, che mi vede alla presidenza di una lunga serie di cooperative agricole, sono attualmente il maggior fornitore di latte della Parmalat; quindi i miei rapporti personali con questa società potrebbero influire in maniera non serena sul giudizio. In secondo luogo perché sulla questione non ci sono elementi oggettivi, ma soltanto delle voci. Pertanto posso fare solo una valutazione di tipo economico. Cragnotti rispetto a Tanzi è un finanziere; Tanzi è un industriale. Tuttavia l'attività di Cragnotti nella gestione del settore latte ha rappresentato un'attività industriale piuttosto concreta, specie in una certa fase. La realtà di mercato è configurabile nel fatto che Cragnotti ha investito sul latte fresco, mentre Tanzi su quello a lunga conservazione. La partita è stata vinta da Tanzi giacché il mercato, almeno fino a qualche mese fa, ha premiato la produzione di latte a lunga conservazione penalizzando pertanto la strategia industriale concepita da Cragnotti. Questa è la motivazione per la quale si è arrivati alla cessione delle attività, peraltro non alla Parmalat, ma per effetto dell'antitrust a strutture diverse. Non mi sento di affermare che in tutto questo vi sia stata una premeditazione. E' comunque indubbio che quella operazione Fedital ha prodotto un lucro rilevante, essendo stata ceduta oggi la Polenghi a valore di mercato contro l'acquisto a valore politico.

PRESIDENTE. Questo rientra nelle considerazioni che ognuno di noi può esprimere al riguardo. Tuttavia noi ci occupiamo dei fatti e quindi non desideriamo esprimere giudizi che potrebbero rivelarsi in realtà meri pregiudizi.

Ringraziamo il senatore Robusti per la sua disponibilità e per le preziose informazioni forniteci. A nome della Commissione desidero assicurare al nostro ospite che tutti noi non abbiamo alcuna intenzione di mettere una pietra tombale sul passato.

Dichiaro pertanto conclusa l'audizione. Comunico che la Commissione tornerà a riunirsi martedì, 12 ottobre, alle ore 12 per procedere all'audizione del dottor Claudio Clemente, direttore principale del Servizio Vigilanza sugli enti creditizi della Banca d'Italia.

I lavori terminano alle ore 16,30.