Audizioni Commissione d'inchiesta Federconsorzi/18

Audizione Pellizzoni

../17 ../19 IncludiIntestazione 16 maggio 2008 75% diritto

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SENATO DELLA REPUBBLICA---------------------------------------------- CAMERA DEI DEPUTATI XIII LEGISLATURA

COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA SUL DISSESTO DELLA FEDERAZIONE ITALIANA DEI CONSORZI AGRARI __________

RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA DI GIOVEDI 23 SETTEMBRE 1999 ______________

Presidenza del presidente Melchiorre CIRAMI


I lavori hanno inizio alle 14,05. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Presidenza del presidente CIRAMI

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Colleghi, prima di procedere all'audizione del dottor Pellizzoni, desidero rendervi alcune comunicazioni. Come risulta dall'elenco trasmessovi dalla segreteria della Commissione, è pervenuta ulteriore documentazione durante la pausa estiva.

In particolare, il subcommissario governativo AIMA, professor Lucio Francario, ha inviato alcuni documenti relativi ai rapporti tra tale azienda e la Fedit per l'erogazione degli aiuti comunitari per le campagne soia 1989/90 – 1990/91, mentre la società Richard Ellis, in data 6 agosto 1999, ha trasmesso copia della documentazione da noi richiesta su Palazzo Rospigliosi.

Il Ministero per le politiche agricole, con lettera del 9 agosto 1999, ha trasmesso l'elenco completo dei consorzi agrari nonché i verbali delle ispezioni eseguite presso i CAP. Per quanto concerne l'istruttoria relativa ai commissariamenti ci ha comunicato "che generalmente gli elementi giustificativi per l'adozione di tali provvedimenti erano desunti dai dati di bilancio, quali esposti nei documenti contabili di chiusura degli esercizi finanziari", già in nostro possesso. Riguardo alla nostra richiesta di acquisizione di una relazione redatta da un consulente della società Arthur Andersen per incarico del ministro Saccomandi, il Ministero ha fatto presente che essa non risulta agli atti. Da contatti della segreteria con la filiale di Roma di tale società di consulenza, si è appreso che il ministro Saccomandi avrebbe incaricato informalmente un consulente di tale società di verificare lo stato di liquidità della Federconsorzi. A seguito di tale incarico si sarebbe svolto un incontro presso la Fedit tra tale consulente, il dottor Pellizzoni, il dottor Bambara e il dottor Cocco, nel corso del quale sarebbe stato esaminato lo stato finanziario e patrimoniale della Federconsorzi. Il consulente in questione, da noi contattato, ha confermato tale circostanza e ha precisato di aver riferito al ministro Saccomandi i risultati della sua analisi con un appunto, di cui non ha conservato copia e che aveva comunque carattere informale: si è dichiarato tuttavia disponibile a fornire qualsiasi ulteriore chiarimento alla Commissione. Infine, facendo seguito alla nostra richiesta del 7 luglio 1999, sono pervenute 64 risposte da parte degli uffici giudiziari in ordine alla pendenza di procedimenti riguardanti la Federconsorzi e i consorzi agrari provinciali.

Tra le poche segnalazioni positive sembrano di particolare interesse quelle di Cuneo, Ferrara, Piacenza, Salerno e Treviso, mentre siamo in attesa che la Procura di Roma compia una più approfondita verifica in ordine all'esistenza di ulteriori procedimenti, oltre a quello a noi noto che pende dinanzi alla II Sezione penale del tribunale.

Vi comunico infine che l'Ufficio di Presidenza ha approvato il seguente calendario dei lavori: giovedì 23 settembre, ore 14: seguito audizione dottor Silvio Pellizzoni; martedì 28 settembre, ore 12: seguito audizione avvocato Francesco Lettera; giovedì 30 settembre, ore 14: audizione dei responsabili del Ministero per le politiche agricole della vigilanza sui CAP, nelle persone dei dirigenti dottor Camillo De Fabritiis, dottor Vincenzo Pilo e dottoressa Gabriella Delle Monache, e dei funzionari Giovanni Terracciano e Maria Luisa Fè Celletti; martedì 5 ottobre, ore 12: audizione del responsabile della vigilanza della Banca d'Italia nel periodo 1991-1993; giovedì 7 ottobre, ore 14: audizione del responsabile dell'Associazione banche estere, dottor Guido Rosa, e del rappresentante della Sumitomo.

OCCHIONERO. Signor Presidente, intendo evidenziare la necessità, anche in considerazione dell'avvenuta approvazione da parte della Camera dei deputati del disegno di legge n. 4860, di procedere, in una delle prossime sedute, ad una attenta ed approfondita valutazione delle questioni relative all'effettiva entità dei crediti vantati dai consorzi agrari nei confronti dello Stato per le gestioni ammassi e all'individuazione degli attuali titolari di tali crediti. In particolare, chiedo formalmente che la Commissione, con grande serenità, rilevi l'incongruenza della somma sulla base dei dati oggi disponibili e sulla base delle richieste dei soggetti che vantano crediti nei confronti dei consorzi agrari, senza nessuna vena polemica e senza che ciascuno di noi o il sottoscritto ritengano che all'interno del Parlamento vi siano delle persone coinvolte o complici. In tal modo, si renderebbe giustizia al lavoro svolto dalla Commissione e merito alla ricerca che è stata condotta. Oggettivamente, dopo 46 anni, è possibile certificare che, sia nei confronti della Corte dei conti che nei confronti del Ministero dell'agricoltura e del Ministero del tesoro, sono state esercitate pressioni per chiudere una partita che diventava insopportabile. Ma da qui alla legittimità ci corre l'Oceano Indiano.

MISURACA. Signor Presidente, su questo argomento intendo avanzare una proposta. Considerato che il dibattito alla Camera si è tenuto sino alle ore 11,30, propongo di acquisire il resoconto della seduta di stamattina affinché venga distribuito ai colleghi senatori in modo da poter tenere un'apposita riunione per le valutazioni del caso, evitando ora di entrare nel merito della questione che indubbiamente si presta anche a delle valutazioni politiche che, per quanto ci riguarda, vorremmo dibattere.

PRESIDENTE. Al riguardo devo dire che non era intenzione né della Commissione né della Presidenza entrare nel merito del disegno di legge n. 4860. Ricordo che, in data 17 giugno 1999, ho così scritto al Presidente della Camera Violante:

"Signor Presidente,

la Commissione parlamentare d’inchiesta sul dissesto della Federazione italiana dei consorzi agrari, che mi onoro di presiedere, nella seduta del 16 giugno 1999, mi ha incaricato di sottoporre alla Sua attenzione l’opportunità di tener conto, ai fini del prosieguo dell’iter parlamentare del disegno di legge n. 4860 (Nuovo ordinamento dei consorzi agrari), dell’esigenza di consentire alla Commissione un’adeguata valutazione dell’incidenza di tale provvedimento sull’oggetto dell’inchiesta ad essa demandata dalla legge n. 33 del 2 marzo 1998.

Ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettere a) ed e) della legge istitutiva, difatti, la Commissione deve esaminare le attività, la gestione e la situazione economico-finanziaria della Federconsorzi dal 1982 al 1991 nonché verificare la situazione economico-finanziaria, le ragioni, le modalità e i tempi del ricorso alle procedure di liquidazione o commissariamento dei consorzi agrari in stato di liquidazione coatta amministrativa o di commissariamento. Difficoltà operative e soprattutto scadenze istituzionali e politiche, intervenute nella fase di avvio dei lavori, hanno in qualche misura contribuito a rendere meno serrato il procedere dell’inchiesta.

Il rinvio dell’inizio dell’esame in Assemblea del disegno di legge n. 4860 consentirebbe ora alla Commissione di valutare attentamente i contenuti del provvedimento, di esaminarne aspetti e profili connessi all’oggetto dell’inchiesta ed, eventualmente, di fornire un contributo al dibattito avviato presso la Camera dei deputati, attraverso l’elaborazione di un documento in materia. Sarà mia cura informarLa tempestivamente degli sviluppi dell’inchiesta e delle iniziative intraprese in relazione al predetto articolo 1, comma 1, lettera e) della legge istitutiva. (…)".

Il Presidente della Camera ha così risposto:

" Caro ed illustre Presidente, ho ricevuto la sua lettera in data odierna relativa all'iter del disegno di legge n. 4860, già approvato dal Senato, recante il nuovo ordinamento dei consorzi agrari.

Il provvedimento è stato inserito nel programma dei lavori dell’Assemblea per il periodo aprile-giugno 1999 dalla Conferenza dei Presidenti di gruppo nella riunione del 24 marzo scorso. A seguito della successiva riunione del 26 maggio, l’inizio dell’esame del disegno di legge è stato previsto a partire dalla seduta di domani, venerdì 18 giugno 1999, con lo svolgimento della discussione sulle linee generali, per proseguire nelle settimane successive nell’ambito del calendario del mese di giugno.

Pur riconoscendo la rilevanza delle ragioni da Lei indicate a fondamento della richiesta di rinvio dell’esame del provvedimento, un differimento ad altra data del medesimo allo stato non appare possibile, considerate le decisioni assunte in sede di programmazione dei lavori dell’Assemblea. Resta fermo che, nel corso dell’iter parlamentare, la Camera potrà comunque valutare gli eventuali contributi che la Commissione che Ella presiede vorrà far pervenire a questa Presidenza e che saranno immediatamente trasmessi alla Commissione competente ed ai gruppi parlamentari.(…)".

Questi sono i testi delle due note che ci siamo scambiati con il Presidente della Camera dei deputati. Siamo al 21 di giugno. Credo sia noto a tutti noi che, per quanto riguarda questo aspetto della vicenda, abbiamo avuto solo il mese di luglio durante il quale la Commissione ha continuato a lavorare avviando una serie di indagini e di investigazioni, svolgendo audizioni e acquisendo documenti. La Commissione ha inoltre scritto alle Procure della Repubblica di tutto il territorio: ad oggi sono pervenute 64 risposte alcune contenenti gli estremi di procedimenti penali riguardanti i consorzi agrari, di cui si intende richiedere gli atti. E' chiaro che il contributo maggiore verrà dato soprattutto dal terzo gruppo di lavoro che si occupa di questo ramo specifico della nostra inchiesta. Per me nulla questio di porre all'ordine del giorno del prossimo Ufficio di Presidenza, che sarà convocato per martedì 28 settembre 1999, l'individuazione di una o più sedute da dedicare all'esame delle problematiche indicate dal deputato Occhionero riguardanti l'incidenza che ha il disegno di legge n. 4860 sui lavori di questa Commissione. In seguito decideremo se assumere eventuali iniziative d'inchiesta oppure di cognizione o se redigere delle osservazioni da portare all'attenzione del Presidente del Senato, visto che il disegno di legge ritorna a questa Camera per essere nuovamente esaminato. CARUSO Antonino. Signor Presidente, intervengo in riferimento al calendario delle audizioni stabilito nell'ultimo Ufficio di Presidenza, durante il quale - lo ricordo per i colleghi che non ne fanno parte - si è avuto un incontro con l'avvocato Lettera, commissario governativo della Federconsorzi, il quale - al termine dell'incontro stesso - ha chiesto di depositare una serie di documenti di cui aveva svolto l'illustrazione orale. In quell'occasione Lei invitò l'avvocato Lettera a produrre in un momento successivo questi documenti, corredandoli di un indice. Volevo chiedere, intanto, se l'avvocato Lettera ha provveduto in tal senso, e invitare la Commissione a valutare l'eventuale posposizione dell'audizione dell'avvocato Lettera al seguito del deposito di detti documenti e dell'esame degli stessi da parte di tutti i commissari, cosa che mi permetto di raccomandare ai colleghi.

PRESIDENTE. Lei ha ragione, senatore. Speravamo che l'avvocato Lettera ci facesse avere per tempo i documenti, di cui ci aveva parlato, per metterli a disposizione della Commissione prima dell'audizione, ma mi informa la Segreteria che fino ad oggi tali documenti non sono pervenuti, anche se l'avvocato Lettera ha promesso di renderli disponibili entro qualche ora.

Onestamente, stando così le cose, non credo ci siano le condizioni per procedere all'audizione di martedì.

CARUSO Antonino. Volevo solo precisare, signor Presidente, che desidero procedere all'audizione dell'avvocato Lettera, ma solo dopo aver esaminato quei documenti. Di essi l'avvocato Lettera ha solamente parlato, ce li ha esibiti e ne ha comunicato il deposito in quella sede. Dico questo per l'evidenza degli atti. In quella sede lei correttamente precisò che l'Ufficio di Presidenza avrebbe accettato per la Commissione il deposito di quei documenti solo se corredati da un indice che li identificasse. Questo per ragioni del tutto ovvie: l'avvocato Lettera ci consegnava un pacchetto di documenti, che peraltro ci aveva illustrato nei contenuti. Quindi credo che, da una parte, si debba procedere all'audizione dopo aver esaminato questi documenti, dall'altra, si debba riflettere se proseguire l'audizione dibattendo sul contenuto di questi documenti, cosa che non faccio adesso perché sottrarrei tempo ai colleghi. Intendevo soltanto comunicare al plenum della Commissione quanto l'avvocato Lettera ha riferito nel ristretto contesto dell'Ufficio di Presidenza.

PRESIDENTE. Senatore, riconosco la fondatezza delle sue osservazioni. Anche nel caso in cui i documenti venissero depositati entro oggi, non penso ci sarebbe per i colleghi la possibilità di prenderne visione prima di martedì. Propongo pertanto di differire quell'audizione ad altra seduta.

Non facendosi osservazioni, così rimane stabilito.

Inversione dell'ordine del giorno

PRESIDENTE. Colleghi, propongo di invertire l'ordine del giorno, nel senso di procedere immediatamente al seguito dell'audizione del dottor Silvio Pellizzoni.

Non facendosi osservazioni, così rimane stabilito.

Seguito dell'audizione del dottor Silvio Pellizzoni

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell’audizione del dottor Silvio Pellizzoni, che era stata sospesa al termine della seduta del 20 luglio 1999.

Avverto che l’audizione si svolge in forma pubblica, secondo quanto dispone l’articolo 7 della legge n. 33 del 2 marzo 1998, e che è dunque attivato, ai sensi dell’articolo 12, comma 2 del Regolamento interno, l’impianto audiovisivo a circuito chiuso. Qualora da parte del dottor Pellizzoni o di colleghi lo si ritenga opportuno in relazione ad argomenti che si vogliono mantenere riservati, disattiverò l’impianto audiovisivo per il tempo necessario.

Ricordo inoltre che l’audizione si svolge, ai sensi dell’articolo 15, comma 3, del Regolamento interno, in forma libera e che il dottor Pellizzoni ha comunicato che non intende avvalersi della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia.

Preciso infine che dell’audizione odierna è redatto il resoconto stenografico che sarà sottoposto, ai sensi dell’articolo 12, comma 6, del Regolamento, alla persona ascoltata e ai colleghi che interverranno, perché provvedano a sottoscriverlo, apportandovi le correzioni di forma che riterranno, in vista della pubblicazione negli Atti parlamentari.

Prima di dare il via alle domande, vi informo che il dottor Silvio Pellizzoni, con lettera del 4 agosto 1999, ha svolto alcune precisazioni in ordine alle dichiarazioni da lui rese nel corso dell'audizione del 20 luglio: in particolare, ha chiarito che, quanto ai benefits, si giovava di una clausola di stabilità per 5 anni e utilizzava una foresteria di Federconsorzi a Roma; ha precisato di aver confuso l’incarico conferito alla Coopers and Lybrand per la certificazione dei bilanci con l’audit della passività liberate, che sono state invece analizzate dal dottor Cattaneo; di non aver mai parlato con ispettori del Ministero per la cancellazione di tali passività liberate, essendosi confuso con precedenti controlli; ha infine precisato che la Fedit non erogava contributi per manifestazioni politiche, ma acquisiva spazi pubblicitari a beneficio del proprio marchio, oltre a sponsorizzare manifestazioni agricole. Il dottor Pellizzoni ha altresì trasmesso documentazione riguardante la sua posizione retributiva nonché copia di una sintesi del Master Plan predisposto dalla Cuneo ed Associati. Con lettera del 20 settembre, infine, ha sottoposto alla nostra attenzione una riformulazione delle pagine 18 e 19 del resoconto stenografico del 20 luglio, ritenendo che la spiegazione da lui data in quella sede del cosiddetto ROA risulti del tutto incomprensibile. Se siete d’accordo propongo di acquisire tale nota di chiarimento che resterà agli atti della Commissione e di incaricare gli Uffici di apportare alcune modifiche al testo originario, sulla base delle segnalazioni fatte dal dottor Pellizzoni, senza tuttavia sostituire completamente il testo originario della risposta data nel corso dell’audizione.

Detto questo, passiamo subito ai quesiti.

Dottor Pellizzoni, perché, come ha riferito nella precedente audizione, al culmine del successo, lasciò la Perugina? Fu licenziato o si dimise? Perché?

PELLIZZONI. Credo che la Perugina sia stato il mio più grosso successo professionale e la famiglia Buitoni fece di tutto per trattenermi. Erano però cinque anni che andavo avanti e indietro in macchina da Milano a Perugia, ebbi un'offerta molto vantaggiosa dalla famiglia Coin e l'accettai. Rimasi in consiglio di amministrazione credo ancora per un anno o fino alla scadenza del mandato. Ancora oggi ho un rapporto stupendo con i Buitoni.

PRESIDENTE. Quindi, si dimise lei.

PELLIZZONI. Sì.

PRESIDENTE. Lei entrò nella grande casa della Fedit attraverso la porta della Polenghi. Il suo ingresso è del settembre 1988; sette mesi dopo, nell'aprile 1989, fu nominato direttore generale della Fedit. Possiamo interpretare quello come un periodo di prova o di parcheggio?

PELLIZZONI. Non ho capito la domanda. Sono entrato subito come amministratore delegato.

PRESIDENTE. Nel settembre 1988 è entrato alla Polenghi?

PELLIZZONI. Sì, che si chiamava Fedital, e vi entrai come amministratore delegato.

PRESIDENTE. Fu un parcheggio o un banco di prova?

PELLIZZONI. Me lo sono sempre chiesto anch'io.

Già nella scorsa audizione, ho spiegato che, dopo essere entrato nel settembre 1988, il mio primo lavoro fu quello di elaborare un piano di ristrutturazione, articolato in tre alternative. Fu scelta una di queste tre alternative, che forse era la più onerosa in termini di sostegno finanziario da parte della Federconsorzi, però aveva anche minori impatti sociali. Nel gennaio del 1989, questo piano fu approvato, prima informalmente, alla presenza dei presidenti delle due associazioni di categoria, poi ufficialmente dal consiglio di amministrazione della Fedital.

Pochi mesi dopo, come ho detto la volta scorsa, fui contattato dall'onorevole Lobianco, il quale mi espresse degli apprezzamenti sul lavoro che avevo svolto, soprattutto sul modo in cui avevo impostato la diagnosi della situazione della Fedital, mi parlò di eventuali avvicendamenti organizzativi all'interno di Federconsorzi e mi chiese se ero disponibile ad accettare un incarico in Federconsorzi. Qualche mese dopo, fui contattato nuovamente dall'allora direttore generale, cavalier Scotti, il quale mi disse che stavano modificando la struttura organizzativa, che egli sarebbe stato nominato presidente e che tutti facevano il mio nome come direttore generale.

Dopo aver assunto tale incarico, come ho già precisato nella precedente audizione, mi furono dati quattro obiettivi fondamentali. Il primo era quello di ripetere il lavoro di diagnosi che avevo compiuto in Fedital, in modo tale da chiarire la situazione. Il secondo obiettivo era quello di fare un piano di ammodernamento... PRESIDENTE. Di questo però abbiamo già parlato la volta scorsa. Più precisamente, dal momento che tra il suo ingresso alla Polenghi e quello alla Fedit è trascorso un periodo di tempo molto breve, vorrei sapere quali risultati lei aveva acquisito per passare da una piccola - si fa per dire - azienda come la Polenghi ad una grossa holding qual è la Fedit.

PELLIZZONI. Me lo sono chiesto anch'io. Tenga però presente che mantenni l'incarico di amministratore delegato della Fedital. Come ho detto la scorsa volta, forse è stato il più grosso errore della mia vita.

PRESIDENTE. Quindi lei ha cumulato i due incarichi?

PELLIZZONI. Sì ne avevo parecchi, come risulta dall'elenco che vi ho inviato. Comunque, in Fedital assumemmo un direttore generale. Mi recavo lì una volta alla settimana - generalmente ne approfittavo il sabato mattina quando ritornavo da Roma - per controllare l'andamento del programma di ristrutturazione.

PRESIDENTE. Si è chiesto perché la Polenghi Lombardo perdeva decine e decine di miliardi?

PELLIZZONI. Sì, abbiamo fatto anche una diagnosi precisa. Qualche anno prima del mio ingresso, era stato costruito un nuovo stabilimento che aveva allargato la gamma di prodotti, aggiungendo al latte anche i caseari. Giudicai questo ingresso nel mercato dei caseari estremamente tardivo, perché ormai esisteva un mercato abbastanza consolidato, con una concorrenza molto precisa (Galbani, Invernizzi ed altre società di questo tipo). La spesa per la costruzione dello stabilimento fu molto elevata, ma soprattutto fu investita una somma enorme, che poi finiva direttamente sul conto economico, per le spese di commercializzazione e per la costituzione della rete distributiva e logistica. Inoltre, le modalità con cui erano stati costruiti i sistemi logistico e distributivo avevano richiesto l'impiego di un calcolatore e di programmi che erano costati decine di miliardi.

PRESIDENTE. È azzardato ipotizzare che la Polenghi Lombardo era in perdita perché acquistava latte a prezzo troppo alto?

PELLIZZONI. Non è azzardato. Credo fosse una delle componenti, nel senso che la vocazione che si era data il gruppo Federconsorzi era quella di favorire l'agricoltura italiana. Quindi, tutto il latte che veniva acquistato da Polenghi era italiano; poi chiaramente, data la sua ubicazione (era a Lodi), si trattava di latte proveniente soprattutto dal Nord.

PRESIDENTE. Dalle province di Cremona, Mantova e Bergamo?

PELLIZZONI. Anche.

PRESIDENTE. Anche o soprattutto?

PELLIZZONI. Adesso le percentuali non le conosco.

PRESIDENTE. Mi affidavo ai suoi ricordi.

Nella precedente audizione, lei ha parlato di "situazioni" - le ha definite così - da chiarire con il Ministro dell'agricoltura e con Lobianco, quando era ancora in Polenghi Lombardo. Come si colloca Lobianco e quali erano queste "situazioni"?

PELLIZZONI. Quando arrivai in Polenghi Lombardo, mi feci portare i bilanci, da cui risultava una perdita relativa. Invece, compiendo un'analisi molto più accurata, risultò che tali perdite erano pari a circa 80-100 miliardi all'anno. Lei può immaginare la situazione di un neoamministratore delegato che si trova di fronte ad un quadro di questo genere. Non sapevo a chi rivolgermi. Mi rivolsi all'onorevole Lobianco e cercai di avere anche un incontro con l'allora ministro Mannino. Tutti mi dissero di procedere, di fare una diagnosi completa, precisa e puntuale di tutta la situazione.

PRESIDENTE. Il consiglio di amministrazione della Fedital era sottoposto ad una direzione esterna? Di fatto, chi gestiva la Fedital?

PELLIZZONI. Quando sono entrato, esisteva un presidente, che era un vice presidente della Coldiretti (si chiamava Andreoni); l'amministratore delegato della Fedital era il cavalier Scotti (direttore generale anche della Federconsorzi); il direttore generale si chiamava Mutti.

I consiglieri della Fedital, oltre a queste tre persone, generalmente erano i presidenti di consorzi agrari, che erano i più interessati ai problemi del latte, poiché evidentemente avevano degli allevatori nel loro consorzio.

PRESIDENTE. Il presidente della Fedital era il senatore Micolini?

PELLIZZONI. No, il senatore Micolini lo diventò successivamente, se non ricordo male più o meno nell'ultimo periodo in cui ero già direttore generale della Federconsorzi, quindi verso la fine dell'89 e l'inizio del '90, quando Andreoni ebbe tutta una serie di problemi che lo portarono a dimettersi dalla vicepresidenza della Coldiretti e dalla presidenza della Fedital.

PRESIDENTE. E con il senatore Micolini quali rapporti ha avuto nel periodo Fedital e successivamente?

PELLIZZONI. Ebbi ottimi rapporti con Micolini poiché non era un manager e quindi delegava molto le "parti" manageriali. Era una persona che godeva soprattutto di un'ottima reputazione nel mondo agricolo ed aveva ottimi rapporti con gli allevatori cosa che, per il ruolo che ricopriva, era fondamentale. Non essendo io un politico e nemmeno un uomo di quel mondo avrei incontrato molte difficoltà a farlo.

Micolini introdusse una certa severità nel rapporto con il mondo degli allevatori. Vi furono anche discussioni molto accese in sede di associazione proprio perché la situazione della Fedital era diventata evidente e quindi si doveva risparmiare su tutto.

PRESIDENTE. Le risulta se fu elaborato un piano di ristrutturazione dei debiti Fedital ad opera dello studio Pescatore? In caso positivo ce ne illustri i contenuti.

PELLIZZONI. Pescatore è un altro tipo di discorso. Devo fare una premessa. Sono stato circa 24 mesi in Federconsorzi e divido questo tempo in due grandi periodi: il primo che va dal luglio del 1989 alla fine di agosto del 1990. Parlo del mese di luglio anche se sono entrato in Federconsorzi il 13 aprile, ma i mesi di maggio e giugno sono trascorsi attraverso contatti e conoscenze. Il periodo nel quale si cominciò ad attivare un programma di diagnosi per poi arrivare ad una vera strategia può essere datato 4-5 luglio con la famosa Convention di Bracciano. Tutto l'approccio che si diede in questo primo periodo lo si può definire di riposizionamento.

Infatti, sia da ciò che era emerso, sia dagli studi effettuati dal professor Capaldo e sia da quello che si poteva ricavare in quel determinato momento sembrava che il sistema, con la fisionomia dei consorzi agrari ancora strutturati in un certo modo e attuando rapidamente tutta una serie di interventi, potesse ancora reggere. Infatti, anche il documento prodotto dalla Cuneo all'inizio del 1990, approvato dall'Assemblea di fine aprile dello stesso anno, ribadiva che bisognava sbrigarsi, fare le cose molto in fretta, non perdere troppo tempo e che forse si sarebbe riusciti a salvare la situazione. Nel giugno-luglio 1990 ricevemmo, invece, i bilanci dei consorzi agrari dell'89 e, nel frattempo, anche i piani strategici dei consorzi agrari predisposti nei mesi precedenti. In quel momento prendemmo coscienza che quel fabbisogno finanziario, inizialmente stimato in circa 800 miliardi, di fatto era diventato 1.500 miliardi; nel mese di settembre, quindi, dissi chiaramente che bisognava passare da un piano di riposizionamento ad uno di ristrutturazione. In quest'ottica di ristrutturazione si iniziarono tutta una serie di attività. Questo piano, tra le altre cose, era legato alla situazione dei consorzi agrari che era risultata molto più grave di quanto non si sospettasse all'inizio e ciò forse era emerso anche grazie a tutto il lavoro approfondito di diagnosi che era stato fatto. I consorzi agrari pagavano un terzo per contanti e il resto per cambiali. La maggior parte di essi richiedeva il rinnovo delle cambiali. Questo fatto dei rinnovi stava diventando un problema molto serio che, se si fosse lasciato andare così come stava andando, avrebbe inciso fortemente anche sulla Federconsorzi. Quindi, chiedemmo diversi pareri e tra questi ci fu anche quello dell'avvocato Pescatore che, tra le altre cose, ci venne consigliato dal professor Capaldo proprio per cercare di risolvere questo problema delle cambiali.

PRESIDENTE. Prima di passare ad un altro argomento, lei può definire i bilanci di Fedital falsi?

PELLIZZONI. Mi fa una domanda molto difficile. I bilanci del 1989-1990 sono bilanci giudicati, anche dagli stessi periti, veritieri al 100 per cento. Il bilancio 1989 è certamente un bilancio di transizione, tra quello dell'88 (che era un bilancio ancora redatto con una classificazione molto vecchia ed antiquata e, probabilmente, con un commento insufficiente) e quello del 1990 che era talmente trasparente e preciso che l'onorevole Goria, allora Ministro dell'agricoltura, disse che era talmente ingenuo che non avrebbe potuto far altro che commissariare la Federconsorzi.

PRESIDENTE. Forse c'è stato un equivoco, le parlavo dei bilanci Fedital.

PELLIZZONI. Sui bilanci Fedital devo dire che c'erano parecchie cose che non funzionavano.

PRESIDENTE. Le chiamiamo allora anomalie?

PELLIZZONI. No, le chiamiamo delle capitalizzazioni improprie. PRESIDENTE. Diciamo delle anomalie e mi dica, queste anomalie sono state sistemate?

PELLIZZONI. Si, sono state sistemate. Infatti nel primo bilancio da me firmato, che è quello del 1988, troverà una perdita, se non vado errato, di 129 miliardi, che è la conseguenza di un lavoro di pochi mesi.

PRESIDENTE. Le perdite avevano già eroso il capitale sociale?

PELLIZZONI. Erano perdite che tenevano conto anche di alcune svalutazioni di attivo di stato patrimoniale che abbiamo dovuto apportare per avere un bilancio veritiero.

PRESIDENTE. Quindi il capitale sociale era andato perduto?

PELLIZZONI. Venne immediatamente ricoperto dalla Federconsorzi con una svalutazione ed un'immediata rivalutazione del capitale sociale tanto che proprio per non incorrere nelle violazioni previste dagli articoli del codice civile tutto questo venne fatto prima di Natale ed anche se non ero ancora in Federconsorzi ricordo che ciò creò molta tensione all'interno del comitato esecutivo.

PRESIDENTE. Per la domanda che sto per porle debbo fare delle premesse: Lei è rimasto in carica, quale direttore generale della Fedit e amministratore delegato della Fedital, fino al 17 settembre 1991…

PELLIZZONI. Sì.

PRESIDENTE. Risulta che nel mese di aprile-maggio 1991 si svolsero trattative per la cessione della Fedital, in tutto od in parte, alla Parmalat di Callisto Tanzi…

PELLIZZONI. Esatto.

PRESIDENTE. La Parmalat era assistita dalla banca di affari Akros di Gianmario Roveraro, patrocinatore - lo ricordo alla Commissione - del progetto Fiordaliso che riguardava tutta la Fedit; il commissariamento della Fedit è del 17 maggio 1991; il commissariamento sembra aver interrotto definitivamente la trattativa. Tanto premesso le chiedo: fu lei a trattare o chi altri? Come nacque la trattativa? A che punto si era all'atto del commissariamento? In particolare fu la Parmalat ad offrirsi (di sua iniziativa o su sollecitazione politica) o fu la Fedit a prendere l'iniziativa? Fu sua la decisione di sospendere, nei primi mesi del 1991, i pagamenti della Fedital ai fornitori di latte? Perché e con quali reazioni?

PELLIZZONI. Su questo posso essere esatto, perché è una questione che conosco perfettamente.

Come dissi, fu approvato un piano di ristrutturazione della Fedital che manteneva in piedi il settore caseario e la struttura così com'era stata concepita, però richiedeva un fortissimo finanziamento da parte di Federconsorzi per poter affrontare i 3-4 anni che occorrevano per arrivare ad un pareggio. Dopo pochi mesi dal mio arrivo in Federconsorzi, verso la fine del 1989 - questi sono tutti atti che si ritrovano nei comitati esecutivi - sostenni che Federconsorzi non avrebbe potuto sostenere l'onere finanziario di un piano di ristrutturazione così forte, che sarebbe stato necessario trovare per lo meno un partner per la Fedital.

Fedital all'epoca aveva due attività, quella di derivazione del latte con Polenghi e quella di derivazione della frutta con Massalombarda. La prima operazione fu quella di scorporare Massalombarda, perché era un'attività che andava abbastanza bene, era più o meno in pareggio, e si cominciò a cercare dei partners per quanto riguardava il latte e il settore caseario. Si vendette la parte dietetica della Fedital…

PRESIDENTE. Chi era il partner?

PELLIZZONI. Il partner - che in verità era un'acquirente - era l'americana Heins (Plasmon, per intenderci). Per poter essere competitivi nel campo dei dietetici bisogna avere dei laboratori di ricerca estremamente validi; l'attività, così com'era concepita, avrebbe prodotto anche poco reddito però non aveva possibilità di sviluppo. Questo settore fu venduto ad un prezzo eccezionale, perché soltanto per il ramo dell'attività e per la cessione dei marchi - se ricordo bene - prendemmo qualcosa di più di 30 miliardi, una cifra molto alta.

Rimaneva la parte dei caseari. Siccome la voce era circolata, eravamo stati contattati anche da cooperative francesi che volevano entrare in Italia, da altri stranieri che adesso non ricordo, fintantoché un giorno venne da me Gotti Tedeschi della Akros per dirmi se non poteva essere una possibilità di matrimonio la parte lattiero-casearia della Fedital con la Parmalat di Callisto Tanzi. Questa non era una novità, perché appena entrato - quindi, nel famoso settembre 1988 - dopo pochi giorni mi trovai in ufficio dei funzionari dell'IMI che stavano studiando una possibile fusione tra Parmalat e Fedital. All'epoca Parmalat aveva dei grossi problemi finanziari, Fedital aveva dei grossi problemi finanziari e reddituali. Credo che i funzionari dell'IMI pensarono che forse era un matrimonio tra due zoppi. Chi aveva seguito per conto di Tanzi questa operazione era stato proprio Gotti Tedeschi della Akros. Dopo un anno, quando la Parmalat cominciò ad avere il fiato meno corto e a riprendersi e dopo il piano di ristrutturazione predisposto per Fedital, fui contattato da Gotti Tedeschi che mi chiese se non era giusto riprendere il progetto IMI del 1988; risposi che per quanto mi concerneva andava bene, perché stavamo proprio cercando un partner. A quel punto cominciarono delle trattative con Callisto Tanzi; seduti al tavolo di queste trattative, c'erano, da una parte, Callisto Tanzi e Gotti Tedeschi (che era, se non vado errato, anche in consiglio di amministrazione della Parmalat, perché poi la Akros aveva trovato dei finanziamenti per l'operazione), dall'altra io e Micolini per la Fedital. A tutta questa trattativa posi il vincolo che, pur essendo la Fedital ancora in perdita, non l'avrei venduta ad una lira meno di quanto era in carico sul bilancio di Federconsorzi, non volevo delle minusvalenze sul bilancio di Federconsorzi; stavamo perciò trattando una cifra intorno ai 100 miliardi. Ci furono alcuni altri incontri, Tanzi e Gotti Tedeschi mandarono dei loro analisti, insomma, si stava discutendo. Quando venne il commissariamento, chiaramente questa cosa finì; Fedital andò in amministrazione controllata come la maggior parte delle società del gruppo Federconsorzi, poi ho perso le tracce. La sospensione dei pagamenti ai fornitori di latte nei primi mesi del 1991 è un episodio che proprio non ricordo.

PRESIDENTE. In ordine a queste trattative tra Fedit e Parmalat per la cessione di Fedital, quali erano rispettivamente le posizioni del ministro Goria, di Lobianco, di Micolini e di Capaldo?

PELLIZZONI. Capaldo non se ne occupò mai. Micolini, come ho detto, era intervenuto assieme a me al tavolo delle trattative. Le uniche riunioni a cui ho partecipato sono state quelle ufficiali, nelle quali c'erano Callisto Tanzi e il suo direttore commerciale - di cui adesso non ricordo più il nome - che fungeva anche da direttore generale; mi ricordo che c'incontrammo un paio di volte a Parma. Il ministro Goria non l'avevo mai visto.

PRESIDENTE. Volevo sapere se nell'ambito di queste trattative si era appresa la posizione del ministro Goria, non se fosse presente.

PELLIZZONI. Non ho mai sentito parlare del ministro Goria. Se poi il signor Tanzi è andato a parlare con lui o con qualcun'altro non lo so proprio.

PRESIDENTE. Quali finanziamenti ebbe a trovare la Akros per finanziare l'operazione?

PELLIZZONI. Non si era arrivati a quel punto; eravamo ancora in una fase in cui per Tanzi 100 miliardi erano troppi, anche se la cosa gli faceva gola e gli piaceva molto, mentre io rimanevo rigido su tale cifra, poi finì tutto.

PRESIDENTE. Quindi è una coincidenza temporale il commissariamento della Fedit con la pendenza delle trattative con Parmalat?

PELLIZZONI. Sì, devo dire che c'era un forte interesse. Ero molto contento per questo, per cui tentavo anche di ottenere un prezzo che fosse commisurato all'interesse.

PRESIDENTE. Deve ritenersi allora una coincidenza temporale che, qualche giorno dopo il suo allontanamento, cioè il 1° ottobre 1991, i commissari governativi presentarono al giudice Greco una richiesta di vendita della Fedital, allegando un elenco di soggetti interessati all'acquisto, tra i quali non sembra vi fosse la Parmalat?

PELLIZZONI. Purtroppo questa è una vicenda che non conosco e che ho appreso anch'io dai giornali, per sentito dire. Le posso dire - ma, ripeto, si tratta di notizie che ho appreso, quindi non di fatti che ho vissuto in prima persona - che la Fedital, dopo che è stata messa in amministrazione controllata, come sempre avviene per le aziende poste in amministrazione controllata, essendo una società che perdeva soldi, rischiava di fallire. Allora il tribunale di Milano avanzò la richiesta alla Federconsorzi di versare una somma abbastanza cospicua, in modo tale da evitare questo fallimento. Tutto ciò che è avvenuto dopo l'ho appreso solo dai giornali.

PRESIDENTE. La volta scorsa, lei ha attribuito la sua uscita dalla Fedit a ragioni politiche. Quali erano queste ragioni politiche? Queste avevano attinenza con le iniziative assunte per la vendita di Fedital? C'era correlazione tra le persone politiche...

PELLIZZONI. No, non credo proprio. Vorrei fare una precisazione. Molto spesso anche in azienda si usa la parola "politica". Non ho usato questa parola riferendomi a partiti politici o correnti.

PRESIDENTE. Quindi ha usato questa parola in termini di carattere generale, non si riferiva ai partiti.

PELLIZZONI. Non posso assolutamente attribuire la mia uscita da Federconsorzi ad alcun fatto... Ho partecipato a riunioni due o tre volte, quindi di tutto quello che è avvenuto dopo non so niente.

PRESIDENTE. Ma tutto questo non era in attinenza con la trattativa per la vendita della Fedital?

PELLIZZONI. No, avvenne tutto dopo.

PRESIDENTE. Nel suo periodo in Federconsorzi, si conservò la prassi, accertata dalla commissione ministeriale di indagine, dei preconsigli di amministrazione che si svolgevano presso la Coldiretti e la Confagricoltura?

PELLIZZONI. Questo era un fatto tipico, storico. Credo che fu solo il caso di Gioia, che era contemporaneamente Presidente di Confagricoltura e Vice Presidente di Federconsorzi, non so se è avvenuto anche in passato. Generalmente, il presidente ed il vice presidente di Federconsorzi erano nominati, rispettivamente, da Coldiretti e da Confagricoltura, ma non avevano cariche all'interno delle due confederazioni. Da quanto so io, questa era una prassi che durava da decenni. Quando il presidente preparava l'ordine del giorno dei comitati esecutivi e dei consigli di amministrazione, chi in un modo chi nell'altro, il presidente confederale riuniva i suoi consiglieri: c'era quindi il gruppo di Coldiretti ed il gruppo di Confagricoltura. Ritengo discutessero i punti all'ordine del giorno per concordare una linea d'azione.

ALOI. Che significa l'espressione: "chi in un modo chi nell'altro"?

PELLIZZONI. Ricordo, per esempio, che Gioia li riceveva nel suo ufficio 10-15 minuti prima dell'inizio del consiglio di amministrazione. Per quanto riguarda Lobianco, mi sembra che si riunissero la sera prima in Coldiretti. Non ho mai partecipato a queste riunioni, perché vi partecipava il presidente.

PRESIDENTE. Questa prassi non è legale. Ne venivano informate le autorità, il Ministro?

PELLIZZONI. Non ero presente, quindi non so di cosa discutevano, come avvenivano le riunioni. Molto spesso, Coldiretti e Confagricoltura venivano nominate dai giornali - erroneamente, da un punto di vista giuridico - come gli azionisti della Federconsorzi. Non era vero, perché gli azionisti erano i consorzi agrari, però, essendo le due confederazioni, di fatto rappresentavano i due centri di potere. Ho sempre ritenuto che la prassi a cui ho accennato fosse assimilabile a quella che si segue nelle società per azioni: quando ci sono, ad esempio, tre gruppi di azionisti principali, prima di andare in consiglio di amministrazione, ognuno dei tre gruppi si riunisce per conto proprio e decide una linea politica (questa parola va intesa sempre nel senso aziendale). Sinceramente, non so se durante le discussioni avvenisse altro.

PRESIDENTE. Dove pensava di attingere i 1.500 miliardi necessari per il risanamento della Fedit? La invito ad essere molto stringato.

PELLIZZONI. Occorreva valorizzare al 110 per cento l'avviamento di tutte le attività di Federconsorzi. Su questo vorrei essere molto chiaro, perché era la chiave del secondo piano, cioè della fase 2 della ristrutturazione.

La Federconsorzi mancava di tre cose. Innanzitutto, mancava di un capitale proprio, inteso come capitale sociale, quindi non poteva attingere a denaro fresco, non aveva azionisti a cui andare a chiedere soldi. In secondo luogo, non aveva (e mi scuseranno coloro che leggeranno questo resoconto stenografico) capacità manageriali per gestire delle aziende. Terzo, non esisteva la possibilità di avere una massa critica sufficiente per cambiare la cultura, perché era un gruppo nato in se stesso e per 98 anni era rimasto sempre il medesimo.

Se avessimo venduto, come avevamo già iniziato a trattare con alcune aziende e come avevo anche discusso con Mazzotta (presidente della Cariplo), tutte le aziende a quello che tecnicamente si chiama best owner (cioè chi sa fare il mestiere, chi ha già una posizione competitiva), mantenendo quella che oggi, con un termine moderno, si definirebbe una golden share con dei patti parasociali, avremmo valorizzato al massimo l'avviamento ed avuto il good will di tutte queste società, avremmo ottenuto capitale fresco e gruppi manageriali in grado di gestire queste aziende e, infine, avremmo ottenuto che nei consigli di amministrazione si sedessero non solo presidenti di consorzi agrari ma anche managers di società come la FIAT, l'ENI e tutti i vari fornitori che potevano imprimere un'imprenditorialità, cosa che da solo, pur avendo inserito decine e decine di consulenti, non sono riuscito a fare. La stessa cosa avrebbero dovuto fare i consorzi agrari, solo che questo piano (come ho detto l'altra volta), anche quando Mazzotta lo ventilò, cambiava totalmente la struttura del potere del sistema, quindi ha avuto dei mesi di gestazione estremamente difficili.

PRESIDENTE. Può essere fondato o infondato il sospetto che allora occorreva una specie di shock nel sistema?

PELLIZZONI. L'ho provocato io!

PRESIDENTE. E lo shock poteva essere costituito dal commissariamento? Poteva essere il commissariamento un presupposto che creava le condizioni per mutare la cultura di cui lei parlava, per l'introduzione di capacità manageriali a livello di sistema? Potrebbe essere stato lei l'ideatore del commissariamento?

PELLIZZONI. Siamo nel secondo periodo. Mi spiego subito perché questo mi è molto chiaro: nel mese di settembre alzai la bandiera rossa dicendo che avevamo ancora un patrimonio notevole e che non si era assolutamente in stato di insolvenza.

PRESIDENTE. La interrompo. Quanto lo valutava lei il patrimonio della società?

PELLIZZONI. Il patrimonio calcolato ai valori di mercato alla data di commissariamento era di circa 700 miliardi. Se per assurdo ci fosse stato lo Spirito Santo che avesse comprato tutto, rilevando i crediti e pagando i debiti, ci sarebbe rimasto un patrimonio di circa 700 miliardi.

PRESIDENTE. Quindi il complesso patrimoniale a quanto ammontava?

PELLIZZONI. L'attivo ammontava intorno ai 5.000 miliardi e il passivo intorno ai 4.500. Però si compie sempre un errore quando consideriamo l'entità giuridica Federconsorzi e quando consideriamo i consorzi agrari. L'entità giuridica della Federconsorzi è una cosa a sé ed io ho tentato di salvaguardare - come risulta da tutti i verbali dei comitati e dei consigli - i diritti dei creditori nei confronti della Federconsorzi. Esisteva poi la realtà dei consorzi agrari che era veramente in crisi. Il peggioramento della Federconsorzi è stato causato proprio dal tentativo di finanziare i consorzi agrari attraverso queste nuove cambiali per dare loro il tempo di ristrutturarsi.

ALOI. Il nesso c'era.

PELLIZZONI. Il nesso c'era perché Federconsorzi ha fatto per un certo tempo la banca dei consorzi agrari. Vorrei però rispondere alla sua domanda che mi sembrava molto importante se cortesemente me la può ripetere perché ho perso il filo del discorso.

PRESIDENTE. Le chiedevo se per creare questo shock che mutasse le condizioni negative di gestione di Federconsorzi il commissariamento potesse essere un momento per sbloccare la situazione.

PELLIZZONI. Nel settembre dissi che i tempi tecnici con i quali i consorzi agrari e il sistema reagivano non erano coerenti con quelli necessari alla ristrutturazione. All'epoca, quando si parlava di interventi drastici si parlava di commissariamento, ma era una parola – come ho già detto – vaga. Occorreva qualcosa che potesse accelerare il processo decisionale e, di conseguenza, qualcosa o qualcuno che si assumesse l'onere di essere impopolare. Il fatto di esser impopolare nei confronti del mondo consortile e di quello agricolo rappresentava un prerequisito per poter ristrutturare il sistema. Le ristrutturazioni comportano sempre impopolarità. Nella situazione in cui si era allora – ed io ho parlato di lacci e lacciuoli – nessuno voleva assumersi l'onere di questa impopolarità; malgrado tutto lo sforzo fatto dalle due confederazioni per convincere i consorzi agrari a ristrutturarsi, a vendere immobili e via dicendo, il sistema era immobile. Allora, non so se potesse chiamarsi commissariamento o in altra maniera, ma occorreva un provvedimento che permettesse di accelerare il processo decisorio di ristrutturazione del sistema. Non solo, ma abbiamo lanciato come management altri segnali di cui uno molto importante, alla fine del 1990, relativo alla messa in liquidazione coatta amministrativa – tramite il Ministero – di sei consorzi agrari. Fu con il discorso che tenni alla fiera di Verona che invitai espressamente il Governo italiano ad occuparsi della Federconsorzi perché era giunto il momento di farlo e per questo discorso fui molto criticato. L'errore fondamentale è che non si fa un commissariamento così come è stato fatto. Occorreva, cioè, prendere il nostro piano e, se si fosse ritenuto non corretto, stracciarlo; altrimenti discuterlo con il management, accordarsi con un pool di banche per avere il sostegno finanziario - come fanno tutte le aziende che vogliono ristrutturarsi - e, sulla base di quest'accordo, trovare la forma giuridica che poteva chiamarsi commissariamento, amministrazione controllata o in altro modo (per esempio comitato di sorveglianza di banchieri da affiancare al consiglio di amministrazione) e dare atto a quel piano. Quando fu nominato Goria, noi come management facemmo i salti di gioia pensando di riuscire a smuovere il sistema. Goria aveva sulla carta tutti i numeri per essere il Ministro giusto, essendo stato Ministro del tesoro, Presidente del Consiglio e via dicendo. Ci aspettavamo che ci convocasse, che predisponesse quel famoso piano con le banche in modo tale da dare finalmente un assetto definitivo che probabilmente – come ha detto il dottor Mazzotta – avrebbe anche portato alla trasformazione in S.p.A. o in altra forma giuridica che permettesse di ottenere del capitale fresco. Poi, perché il venerdì 17 alle ore 17 Goria annunciò il commissariamento resta ancora un mistero.

PRESIDENTE. Non le sembra surreale che il commissariamento previsto come forma per sbloccare il sistema sia stato adottato poi dalla persona che lei riteneva competente - ma che tale non si è rivelata almeno a tal fine - senza nemmeno ascoltare lei che era direttore generale della Fedit dichiarando praticamente il fallimento della sua opera?

Il commissariamento poi dette adito ad altri shock di natura giuridica rispetto a quello che lei prospettava come elemento shock del sistema per sbloccarlo. Ma dove sta il surreale? Sta nel fatto che poi lo stesso Ministro la nomina consulente.

PELLIZZONI. Quando il Ministro presentò alla stampa il commissariamento presentò contemporaneamente un piano di ristrutturazione in cui - se non ricordo male - aveva ipotizzato due o tre società. Non solo, ma il decreto di commissariamento non è di tipo liquidatorio; è un decreto che nomina dei commissari per rimettere a posto la gestione nei successivi tre anni.

PRESIDENTE. E invece il commissariamento sortì un effetto totalmente diverso.

PELLIZZONI. Sortì un effetto totalmente diverso perché il lunedì mattina le banche si spaventarono e cominciarono ad essere molto più attente.

PRESIDENTE. Mi pare illogico che le banche si siano spaventate il lunedì mattina, come se la situazione non fosse già nota prima. Questo improvviso spavento delle banche mi sembra poco opportuno, poco accorto o - se vogliamo - poco diligente perché la situazione della Federconsorzi proprio alle banche avrebbe dovuto essere nota. Non solo, ma in carica come Ministro dell'agricoltura c'era un ex Ministro del tesoro, che aveva una certa dimestichezza e aveva avuto contatti con le banche. Quindi, il commissariamento, partito per un obiettivo, può avere dato adito invece alla realizzazione di obiettivi trasversali.

Fermo restando questo, le chiedo se c'era qualcuno all'interno o all'esterno di Federconsorzi che si opponeva a quelle dismissioni, che sarebbero state utili presupposti per risanare la "barca" Fedit.

PELLIZZONI. C'erano certamente delle resistenze alle dismissioni.

PRESIDENTE. Avevano una paternità queste resistenze?

PELLIZZONI. Purtroppo, debbo dire che era più il gruppo di Confagricoltura ad essere un po' resistente a queste dismissioni; però - forse perché sono una persona abituata a vedere la bottiglia mezza piena e non mezza vuota - sono convinto che tutte quelle persone che non volevano dismettere (la BNA piuttosto che tutta una serie di altre cose) fossero convinti della possibilità di ottenere per l'ennesima volta un aiuto pubblico.

ALOI. Questa è la motivazione, secondo lei?

PELLIZZONI. Questa è la mia interpretazione. La prima cosa su cui richiamavo l'attenzione era a non sperare nell'aiuto dello "Spirito Santo", perché poteva non arrivare. Non solo, ma anche in varie riunioni ufficiali avevo avuto occasione di dire che, anche se fosse arrivato l'aiuto dello "Spirito Santo", ma non avessimo trasformato il sistema dandogli un assetto tale da poter essere in equilibrio economico finanziario, me ne sarei andato perché avrebbe significato soltanto rimandare il problema di qualche anno.

Per il mio vissuto - però ero una persona un po' estranea nel sistema, non ricevevo le confidenze, ero un signore di Milano - credo veramente che si aspettassero un aiuto pubblico.

VENETO Gaetano. Dottor Pellizzoni, le pare credibile che quel venerdì 17, alle ore 17, il ministro Goria abbia fatto quell'operazione senza avere in tasca il consenso delle banche?

PELLIZZONI. Sì.

VENETO Gaetano. L'ex Presidente del Consiglio, l'ex Ministro del tesoro?

PELLIZZONI. Sì.

Io l'ho saputo venerdì mattina, perché era venuto da me Dezzani, che era un consulente del Ministro, proprio per confrontare la valutazione che loro avevano fatto dell'attivo con la nostra. Mentre ero in riunione - tra le altre cose concordavamo su certe valutazioni degli immobili, delle partecipate e via dicendo - mi telefonò il capo di Gabinetto dicendo che mi voleva avvertire che il Ministro avrebbe commissariato la Federconsorzi. Io rimasi stupefatto; chiesi al Presidente, ma non ne sapeva nulla neanche lui. Durante la giornata non c'era nessuno per cui nel pomeriggio, appena possibile, mi recai, adesso non ricordo se prima da Capaldo oppure da Lobianco, che erano le uniche due persone dalle quali potevo avere informazioni; Lobianco lo trovai distrutto, perché interpretò il fatto come una decisione politicamente a suo svantaggio; Capaldo disse queste parole: "Se Goria ha preso questo provvedimento senza un preventivo accordo con le banche, è matto".

VENETO Gaetano. Il professor Capaldo lo ha ripetuto anche in questa sede. Le chiedo se è credibile che il ministro Goria lo abbia fatto senza il consenso delle banche.

PELLIZZONI. Magari lo riuscissi a sapere, è una cosa che mi porto dietro da otto anni. Non lo so. VENETO Gaetano. Non le sembra più probabile che qualcuno abbia promesso a Goria questo accordo e che poi questo accordo non ci fosse? Non le sembra più probabile una trappola politica per il ministro Goria?

PELLIZZONI. Non lo so, non ho questa capacità di interpretazione, non ho mai vissuto questo mondo. Non le so rispondere; vorrei poterlo fare, perché è un fatto che ha inciso fortemente anche sulla mia vita.

PRESIDENTE. Vorrei completare e chiudere questo capitolo. La cosa surreale sta nel fatto che il Ministro - a mio modo di vedere - decide il commissariamento senza averne parlato con gli amministratori - cioè con lei - e nel contempo nomina lei come consulente, come se volesse creare una continuità nel rapporto conoscitivo e di competenza tra il direttore generale Fedit e il consulente del Ministro.

PELLIZZONI. Secondo me è successa un'altra cosa. Per tutta una serie di motivi si è deciso - come abbiamo visto - che fosse meglio che io lasciassi la Federconsorzi, ma credo fosse un po' come sparare sulla Croce Rossa. Lo stesso ministro Goria in un incontro mi disse che era meglio se lasciavo quella posizione, perché oramai ero diventato il capro espiatorio di tutta la vicenda e via dicendo, e che avrebbe trovato una soluzione perché aveva apprezzato il lavoro che avevo svolto.

ALOI. Un contentino.

PELLIZZONI. Ecco, siccome interpretai quella nomina come un contentino, non mi presentai mai. Magari ho fatto il maleducato, ma - ho portato qui con me il decreto di nomina - non mi sono mai presentato.

PRESIDENTE. Dottor Pellizzoni, Lei ebbe mai a parlare delle dismissioni con il professor Capaldo e quale tipo di impressione registrò?

PELLIZZONI. Delle dismissioni ne parlammo spesso con Capaldo, soprattutto perché cercavo di utilizzare la sua autorevolezza per convincere e spiegare che queste dismissioni erano urgenti, per i motivi che dicevamo prima; per cui ci sono state delle riunioni con i due presidenti confederali, Capaldo e - se ricordo bene - anche con i direttori generali di Confagricoltura e di Coldiretti, nelle quali spiegavamo che era bene accelerare questo processo di dismissioni perché andava ridotto l'indebitamento e di conseguenza l'onere finanziario.

PRESIDENTE. Se non sbaglio, nell'audizione precedente ha parlato dell'idea di trasformare la Fedit in una sorta di fondazione e di individuare dei partners in grado di investire il capitale. Le chiedo di chi è l'idea e con chi fu discussa: se fu discussa con Capaldo o se ci fu un'elaborazione di qualche altro ente.

PELLIZZONI. Questa idea fu mia. Dopo il mese di settembre del 1990, quando entrai nell'ottica che non si poteva fare più del maquillage, ma bisognava entrare in una fase di ristrutturazione, anche di tipo societario - era l'epoca nelle quali le banche avevano cominciato a fare questa opera - allora, nelle pensate notturne, mi sono detto: è vero che esiste una legge del 1948 che è di difficile modifica - perché occorrerebbero anni per farla - però, se troviamo il sistema di mantenere in piedi l'entità Federconsorzi, la quale ha un certo numero di diritti - perché aveva certi ruoli che gli sono attribuiti dalla legge - e sotto trasformiamo tutto in SpA, otteniamo il duplice vantaggio dell'accesso al capitale fresco - di cui abbiamo parlato - e inoltre manteniamo un'entità che ha al suo interno alcuni diritti, come il credito agrario e altre cose. Usavo la parola "fondazione" proprio perché se ne parlava in quei giorni nelle banche; non si parlava in quei giorni di golden share, se ne sarebbe parlato qualche anno dopo, ed è per questo che non ho mai parlato di golden share.

PRESIDENTE. Ma questa rimase solo un'idea o fu avviato un processo conoscitivo?

PELLIZZONI. Non solo fu avviato un processo conoscitivo: fu persino deliberata (ci sono delle delibere al riguardo; fanno parte della documentazione che sto predisponendo, però voglio disporla con un certo ordine) la costituzione di società o la trasformazione di alcune società del gruppo, che dovevano diventare … ne cito qualcuna: la Federfin, che doveva essere la capogruppo di tutte le attività finanziarie ed assicurative del gruppo; la Italiana Mangimi, che doveva acquisire tutti i mangimifici di tutti i consorzi agrari, in modo tale da compiere un processo di razionalizzazione, chiudere quelli inefficienti e poter così creare un polo di mangimi (quest'operazione fu osteggiata in maniera forte); la Italiana Sementi, una società per la commercializzazione, eccetera; ci sono, insomma, tutte delibere del consiglio d'amministrazione che avevano dato il via a queste società.

PRESIDENTE. Di quest'idea, diciamo, creativa di una fondazione (o come la si voglia chiamare) ne parlò mai con Capaldo o con altri personaggi?

PELLIZZONI. Ne parlai sì. Ne parlai con Capaldo e ne parlai con i membri del consiglio d'amministrazione; in particolare, ne parlai con Capaldo sempre per il discorso che facevo prima, cioè perché era un po' il mio referente tecnico, nel senso che a lui chiedevo se stavo facendo delle cose folli oppure se avessero un certo senso; ne parlai certamente con Lobianco, perché si trattava di una rivoluzione del sistema; e ne parlai anche con Gioia perché, fra le altre cose, era anche vice presidente, membro del consiglio d'amministrazione.

Quindi, si era su quella via.

PRESIDENTE. Ci furono altri soggetti o enti con i quali ebbe a poter elaborare questo programma?

PELLIZZONI. Sì, un unico soggetto che rappresentava un ente e che, secondo me, costituiva la vera via che avrebbe salvato la situazione: si chiamava Mazzotta, presidente della Cariplo. Io non so chi abbia stimolato Mazzotta a telefonarmi; però egli mi telefonò, mi disse che voleva vedermi, che sapeva che avevamo elaborato un piano di ristrutturazione, che sapeva che avevamo bisogno di trovare capitale fresco e cose del genere, che era disposto a mettere a disposizione i suoi funzionari (e me ne presentò un paio), che era disposto a mettere a disposizione tutte le casse di risparmio, le banche rurali e non mi ricordo più quale altra terza cosa che faceva parte del gruppo, per poter studiare assieme questo programma. Lo presentò in alcune manifestazioni pubbliche e trovò la freddezza completa da parte delle due confederazioni.

PRESIDENTE. Un ultimo pettegolezzo, dottor Pellizzoni. Lei incontrò l'allora professor Prodi in casa di un comune amico.

PELLIZZONI. Sì.

PRESIDENTE. Ebbe mai a scambiare idee di questo tipo con il professor Prodi?

PELLIZZONI. No, non ho parlato mai di Federconsorzi. Con Prodi si parlava di tutt'altro. O meglio, parlai con lui solo una volta di Federconsorzi quando andai a trovarlo all'IRI per ringraziarlo perché avevo saputo che aveva fatto il mio nome.

PRESIDENTE. Ma di questo piano non ne ha mai parlato.

PELLIZZONI. Assolutamente no.

PRESIDENTE. Avrei altre domande da porre, però i colleghi forse non tollererebbero una mia continuazione. Lascio dunque la parola ai colleghi che intendano intervenire.

VENETO Gaetano. Signor Presidente, è stato così cortese da chiedere scusa, per cui è scusatissimo se abbiamo sentito per cinquanta minuti le sue domande.

Io purtroppo ho un problema e mi devo scusare due volte: vengo dalla Commissione finanze, torno in Commissione difesa; avremo occasione in Ufficio di Presidenza di riprendere una tematica che so che il collega Occhionero ha anticipato. Sinteticamente, dottor Pellizzoni. Quasi per telepatia lei ha messo in ballo il nome di Mazzotta, e la prima domanda che le pongo (alla quale lei ha già risposto, però solo in parte) è la seguente (vorrei una risposta sintetica): Mazzotta telefonò a lei, ovviamente in ragione del suo ruolo, offrendo i servizi e la disponibilità della Cariplo?

PELLIZZONI. Mi disse che mi voleva vedere, che sapeva che stavamo facendo un piano di ristrutturazione, che sapeva…

VENETO Gaetano. Quando avvenne questo? Lo ricorda più o meno?

PELLIZZONI. Sì, certamente: adesso chiedo venia se magari sbaglio di poco, ma era la primavera del 1991. Ci sono giornali che ne hanno parlato, sono stati scritti molti articoli al riguardo.

VENETO Gaetano. Sempre sinteticamente. Lei già dal 1990, ci ha detto poco fa, pensava a un sistema tipo atto-quadro, diciamo, un sistema che potesse in qualche modo creare, diciamo, una specie di telone dei pompieri: ci si butta giù e si può sopravvivere. Però prima aveva detto che c'erano tante soluzioni. Per esempio, molto spesso succede che quando le banche sono creditrici per cifre molto alte creano un pool; cioè, tra la gamma di soluzioni, escluso il commissariamento, ci può essere questa del pool di banche, come avviene spessissimo, che diventano in qualche modo garanti, creano un comitato di creditori che assiste; c'è tutta una gamma giuridica di interventi. Le due soluzioni confliggono, perché una cosa è la logica, la filosofia dell'atto-quadro, altra cosa è la soluzione del pool di banche. Chiedo a lei soltanto, dottor Pellizzoni: ma le banche avevano mai parlato di questo con il presidente Gioia, con lei, eccetera? Infatti, risulta agli atti che l'ABI fu coinvolta una volta su quest'argomento; l'esposizione del sistema bancario era così grande (e non di Mazzotta, guarda caso, ma di altri), le banche erano talmente coinvolte che non poteva esserci altra soluzione che l'intervento diretto. Pertanto questa fuga di tre giorni (che non era una "fuga in Egitto", ma una fuga precipitosa da altre sponde), da venerdì 17 a lunedì 20, sembra contraddittoria con la normale (sottolineo "normale") politica bancaria: banche che danno fidi per 5.000 miliardi e oltre, a fronte di garanzie per 36 miliardi, e che dal 1990 al 1992, per due anni, ventiquattro mesi, non ne parlano, anzi, si riuniscono ed escludono l'argomento, non ne parlano affatto nel consiglio direttivo dell'ABI, devolvendo invece soltanto a funzionari tecnici (sottolineo "tecnici") accertamenti su come poter rientrare nel recupero delle somme.

Ultima domanda, sempre sintetica, legata a questa considerazione. Lei ha fatto giustamente una distinzione che purtroppo sfugge molto spesso anche a molti dei nostri colleghi parlamentari, anche nel dibattito oggi in Aula alla Camera, tra Federconsorzi e consorzi agrari. Il punto è importante e su questo personalmente mi farò parte diligente. Le chiedo cortesemente un suo punto di vista (anche tenendo conto della sua gestione, del suo ruolo, delle sue responsabilità) se il sistema creditizio bancario avesse presente che una cosa era la Federconsorzi e ben altra cosa il sistema di erogazione di crediti ai consorzi agrari, specialmente a fronte di una storia antica ormai di poca valutazione, non solo nell'opinione pubblica, ma addirittura da parte delle stesse banche, della solvibilità dei crediti a fronte di una debitoria dell'ente pubblico.

PELLIZZONI. Signor Presidente, per comprendere bene gli avvenimenti, occorre situarli nel tempo, altrimenti si rischia di fare confusione. Nel mese di settembre 1990 ha inizio il cosiddetto piano numero 2, un piano che prevedeva la presenza di tante società per azioni ed altro. Come ha detto prima il Presidente, c'era il problema di reperire i fondi. I soldi potevano essere trovati attraverso la vendita della maggior parte delle azioni di tutte le varie società, cercando di valorizzarle al massimo. Non si era ancora parlato del pool di banche né di altro, poiché si trattava di una operazione volta esclusivamente a realizzare questo determinato piano. In seguito, ci si rese conto che per realizzare questo piano occorreva un supporto da parte di fornitori importanti (come la FIAT, l'ENI, le banche, e in quel periodo ho avuto contatti con rappresentanti della FIAT e dell'ENI per verificare questa idea).

Nella primavera del 1991 è intervenuto Mazzotta, ma ancora in quel periodo non si parlava del pool di banche. Mazzotta propose il suo gruppo di banche, di modo che queste potessero fare quasi da "banca d'affari"; propose di aiutare la Federconsorzi con il supporto di tutte queste banche, al fine di realizzare il piano prefissato. VENETO Gaetano. Mazzotta rappresentava l'ACRI.

PELLIZZONI. Come Presidente dell'ACRI, infatti, dichiarò che poteva mettere a disposizione tutte le banche e altro. Non facevano questo per un atto di generosità bensì perché tutti i conti correnti e tutti i fondi di tutti gli agricoltori sono sempre stati molto appetibili per le banche; forse per questo le banche hanno sempre sostenuto tale sistema.

Il discorso Mazzotta saltò in quanto, di fatto, gli fu risposto negativamente da parte delle due associazioni. In seguito, ho scoperto una cosa importante, che voi politici vi parlate tramite i giornali. Mazzotta aveva reso alcune dichiarazioni, che poi furono pubblicate, in un paio di convegni; in alcuni giornali gli fu poi risposto che non si capiva bene che cosa lui volesse fare. La realizzazione di questo sistema che, come abbiamo detto, era abbastanza urgente, andò a rilento, e si disse che, se il pool di banche non poteva essere quello di Mazzotta, se ne poteva trovare un altro. Si pensò di fare un pool di banche con il quale realizzare il piano al quale aveva pensato Mazzotta, adattandolo alle proprie esigenze, ascoltando i vari pareri. Si arrivò quindi alla determinazione di dare il via, con una formula giuridica adeguata, a un pool di banche.

Si tratta quindi di tre momenti diversi, del pool si parla solo dal mese di aprile, cioè da quando cadde il discorso Mazzotta. Non so se le banche hanno fatto una confusione giuridica fra i consorzi agrari e la Federconsorzi, ma so per certo che le banche hanno sempre finanziato i consorzi agrari in quanto la Federconsorzi, storicamente, ha sempre pagato. Le banche, pertanto, facevano affidamento sul patrimonio della Federconsorzi del cui valore erano a conoscenza. In quel periodo incontrai anche Barucci, che allora era amministratore delegato del Credito, al quale spiegai il nostro piano. Lui rispose che come Federconsorzi avevamo una fortuna, che tutti i nostri beni si rivalutavano ad un tasso più alto di quello inflattivo; avevamo la fortuna, insomma, di un patrimonio in crescita.

Per quanto riguarda l'ABI, non posso dire assolutamente nulla perché tutto è avvenuto in un secondo momento, non ho mai partecipato a riunioni ABI in quanto si era già entrati nella fase del commissariamento.

Vorrei aggiungere un ulteriore elemento. Dal mese di settembre in poi, noi abbiamo ricevuto - dico noi perché devo fare riferimento anche al mio management, quindi alle persone con cui collaboravo più da vicino - molti complimenti. Infatti, quando spiegavamo quello che stavamo facendo, le persone si rendevano conto che finalmente i problemi venivano affrontati ed anche con un certo stile manageriale, adatto ai tempi. Avevamo ancora linee di credito per 700 miliardi di lire e per tali motivi molte piccole banche venivano a chiederci se potevano lavorare con noi. Avevano infatti percepito, attraverso convegni e altre manifestazioni pubbliche, che qualcosa stava cambiando e qualcosa si stava facendo, e forse gli stessi consorzi agrari promuovevano questa idea. Come anche altri banchieri che verranno qui davanti alla vostra Commissione potranno dichiarare, si percepiva una nuova ventata, la possibilità di un cambiamento.

ALOI. Signor Presidente, ci siamo resi conto, nel corso delle varie audizioni che abbiamo tenuto, di come il problema bancario sia centrale per vari motivi. Vorrei che lei, dottor Pellizzoni, ci dicesse qualcosa, non in riferimento alle banche italiane, ma su alcune banche straniere che vantavano parecchi crediti e che avevano riposto una grande fiducia in quanto, se ben ricordo, non riuscivano a distinguere tra Federconsorzi, Governo italiano, Stato italiano. C'era un elemento di fiducia incondizionata e acritica; le banche straniere si sentivano garantite rispetto al rapporto che avevano con la Federconsorzi. Di punto in bianco le banche straniere si volatilizzano.

Tra le varie ipotesi, vorrei sapere se è stata tenuta presente anche la realtà di questi istituti bancari stranieri che avevano offerto un loro supporto. Ma - ed ecco la mia seconda domanda - il discorso della deterrenza politica (lei, in alcuni suoi passaggi, si è riferito alla politica, ma non nella sua accezione migliore) ha potuto condizionare tale situazione? Perché, in un momento in cui si cercava di adottare una soluzione, quando una scelta era risultata prevalente su altre, lei è stato quasi invitato a togliersi di mezzo con un contentino? In riferimento all'incidenza politica, lei prima ha fatto dei nomi: ma la politica è riuscita a prevalere anche rispetto agli elementi di competenza, di disponibilità - ritorno qui alla prima domanda - di ordine creditizio, di liquidità, per andare in soccorso alla Federconsorzi, nel tentativo di salvare una situazione in dissesto?

Sono queste le questioni che problematicamente desideravo porle.

PELLIZZONI. Non ho avuto modo di accennarne prima, ma io sono uscito da questa vicenda molto traumatizzato sul piano personale, come voi potete capire. Ho avuto modo poi di leggere alcuni libri riguardanti la Federconsorzi che è stata negli anni commissariata diverse volte, che è passata da ente di diritto pubblico a ente di diritto privato, ed altre cose ancora. Esprimo naturalmente la mia opinione, ma all'esterno la Federconsorzi - forse lo riassume bene un termine che lessi su un giornale straniero - era percepita come una Agency, come dicono gli anglosassoni, del Ministero dell'agricoltura. Per cui a mio modo di vedere, le banche straniere hanno finanziato non solo la Federconsorzi ma anche i vari consorzi agrari perché, giusto o sbagliato che fosse, forse non avevano fatto studi a sufficienza e neanche noi c'eravamo posti il problema circa il fatto se eravamo un ente di natura pubblica oppure privata; mi ricordo che anche la volta scorsa mi è stata rivolta una domanda in tal senso. Quindi, queste banche avevano la percezione di trattare con un ente che poi, bene o male, aveva alle sue spalle una garanzia dello Stato. Questo per rispondere alla domanda sulle banche straniere. Ritengo che la stessa percezione più o meno l'avessero anche le banche italiane; probabilmente, da una parte, il patrimonio di Federconsorzi sembrava enorme, lievitato e via dicendo, e, dall'altra, le banche avevano fatto un sacco di soldi con Federconsorzi e con i consorzi agrari. Quindi, dal momento che circolava molto denaro, non si erano mai posti problemi di garanzia.

ALOI. Ma se li sono posti nelle ultime 24 ore!

PELLIZZONI. Come ho detto nella scorsa audizione, uno dei primi atti che posi in essere e che mi fu sottoposto dall'allora direttore finanziario, fu quello di trasformare i debiti a breve in debiti a lungo periodo; chiedemmo un prestito di 200 miliardi di lire a banche giapponesi ed esse non ci chiesero una sola garanzia. Quando arrivarono i commissari si meravigliarono di ciò perché non trovarono nulla; come garanzia forse vi era quella consistente in qualche milione di lire per un mutuo acceso su un immobile. Dopo il famoso giorno 17 le banche straniere si sono inviperite – volevo usare un'altra parola più goliardica – da morire, allorquando si sono trovate di fronte al fatto che avevano trattato con un ente privato, per cui il Ministero competente non aveva alcuna responsabilità in proposito.

Come management abbiamo fatto di tutto; devo dire sinceramente che non mi ero mai posto il problema se eravamo un ente pubblico o privato, però abbiamo insistentemente sponsorizzato il piano che stavamo predisponendo in quanto lo ritenevamo un presupposto logico per la nostra credibilità futura.

PRESIDENTE. Ritengo che probabilmente il dottor Pellizzoni dovrà esserci di aiuto in un'ulteriore audizione che dovremo calendarizzare. La disturberemo ancora perché, ad esempio, vorrei chiederle come intendeva trasformare la Federconsorzi in una fondazione, quale era il suo concetto di commissariamento e quale destino avrebbe avuto l'intera azione: solo in questo modo sapremo se vi fu un mutamento di significato del termine "commissariamento". Inoltre, dovremo parlare dell'operazione AIMA ed anche di tante altre questioni.

PELLIZZONI. Signor Presidente, prendo appunti sull'operazione AIMA, perché in questo momento essa non mi dice nulla.

PRESIDENTE. Ora le sto citando solo alcuni argomenti da trattare in una prossima sua audizione. Nello specifico, poiché la Federconsorzi operava nel settore della soia, vorremmo anche sapere se vi fu un contratto di esclusiva con la Ferruzzi. ALOI. Dottor Pellizzoni, mi interessava sapere chi è che, ad un certo punto, ha stoppato questo processo? Infatti, molto stranamente dal giorno 17 si pone in essere una certa operazione e le banche straniere scompaiono.

PRESIDENTE. Onorevole Aloi, lei non era presente nella prima parte di questa audizione, quando a tal proposito ho dato alla Commissione alcune informazioni. L'Ufficio di Presidenza ha stabilito che martedì 5 ottobre, alle ore 12, vi sarà l'audizione del responsabile della vigilanza della Banca d'Italia e giovedì 7 ottobre, alle ore 14, l'audizione del responsabile dell'Associazione banche estere, dottor Guido Rosa, e del rappresentante della Sumitomo. Avremo pertanto modo di porre domande al riguardo agli ospiti di queste audizioni, in particolare sulla partecipazione alla S.G.R., per conoscere dove sono andati a finire alcuni miliardi avanzati.

PELLIZZONI. Vorrei velocissimamente ribadire, così come ho già detto nella precedente audizione, che sono a vostra completa disposizione in qualsiasi momento. Vorrei anche dire al Presidente che, se a causa della tecnicità della materia, intravedeste la necessità di far leggere i documenti che vi invierò ai vostri consulenti, ne sarei ben felice. Infatti, so bene che alle volte diventa complicato affrontare certi discorsi, fin troppo tecnici, solo in una sede come questa. Quindi, Signor Presidente, sono a completa disposizione della Commissione.

PRESIDENTE. Ogni audizione per noi è uno stimolo ad approfondire gli argomenti, per cui probabilmente la richiameremo e forse le richiederemo anche delle osservazioni scritte.

Dal momento che vari colleghi debbono andar via a causa di impegni assunti in precedenza, ringrazio di nuovo il dottor Pellizzoni per il contributo fornito ai lavori della nostra Commissione e rinvio il seguito di questa audizione ad altra seduta. Proposte di delibera relative alle collaborazioni, ai sensi dell'articolo 24 del Regolamento interno

PRESIDENTE. Comunico ai colleghi che l'Ufficio di Presidenza, nella riunione del 15 settembre 1999, ha convenuto di sottoporre al plenum la designazione di nuovi collaboratori ai quali richiedere una consulenza non continuativa. In particolare, l'Ufficio di Presidenza ha incontrato il dottor Gaspare Marcucci, ha esaminato i curricula dell'avvocato Salvatore Iacuzzo, del dottor Fabrizio Murri, del dottor Paolo Sgattoni e del dottor Francesco Verdicchio ed ha concordato le relative proposte di delibera che vi sottopongo per l'approvazione.

Se non vi sono osservazioni, metto ai voti le proposte di delibera concordate con l'Ufficio di Presidenza relativa alla designazione a consulenti part-time dell'avvocato Iacuzzo e dei dottori Marcucci, Murri, Sgattoni e Verdicchio.

Sono approvate.

Avverto i colleghi che la Commissione tornerà a riunirsi giovedì 30 settembre 1999, alle ore 14, per procedere all'audizione dei dirigenti e dei funzionari, sia attuali che del passato, del Ministero per le politiche agricole, responsabili della vigilanza sui consorzi agrari provinciali. I lavori terminano alle ore 16,55.