Audizioni Commissione d'inchiesta Federconsorzi/14

Audizione Carbonetti

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SENATO DELLA REPUBBLICA ---------------------------------------------- CAMERA DEI DEPUTATI XIII LEGISLATURA


COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SUL DISSESTO DELLA FEDERAZIONE ITALIANA DEI CONSORZI AGRARI


RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA DI MARTEDI’ 6 LUGLIO 1999


Presidenza del presidente Melchiorre CIRAMI


I lavori hanno inizio alle ore 11,30

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente)

Comunicazioni del Presidente

PRESIDENTE. In apertura di seduta desidero innanzitutto rendere alcune comunicazioni.

In data 25 giugno 1999, la Procura della Repubblica di Perugia ha trasmesso copia della richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Costantino Franceschini e di altri 23 imputati, in relazione a vicende riguardanti la parte del patrimonio Fedit (attività zootecnica) esclusa dalla cessione di massa alla società S.G.R. A tale richiesta risultano allegate le schede relative agli indici degli atti trasmessi al Gip, così da consentire alla Commissione una completa ricognizione in vista di eventuali richieste di acquisizioni documentali.

Vi informo, quindi, di aver richiesto, in data 30 giugno 1999, all'attuale giudice delegato del tribunale fallimentare di Roma, dottor Emilio Norelli, copia integrale degli allegati alla relazione sul concordato preventivo Fedit, redatta dagli esperti della procedura, dottori Gaspare e Cristiana Marcucci e depositata in data 9 giugno 1998. Tale relazione risulta, infatti, particolarmente interessante ai fini della nostra inchiesta e contiene elementi che non sono potuti confluire nella richiesta di rinvio a giudizio della Procura della Repubblica di Roma, in quanto quest'ultima è stata formulata prima che la relazione fosse depositata.

Vi comunico, inoltre, che il terzo gruppo di lavoro, riunitosi il 30 giugno, ha formulato le seguenti proposte che sono già state esaminate dall'Ufficio di Presidenza nella riunione del 1° luglio u.s.: innanzitutto si invita la Commissione a procedere quanto prima all'audizione dei responsabili della vigilanza sui CAP nel periodo 1982-93 e del direttore generale della Fedit dottor Pellizzoni; si richiede quindi l'acquisizione dei verbali di tutte le ispezioni eseguite dal Ministero, nonché degli accertamenti compiuti da alcune società di consulenza incaricate dalla Fedit negli anni '80 di eseguire un check up di numerosi consorzi agrari; si rappresenta infine l'opportunità di eseguire un monitoraggio di tutti i procedimenti penali in corso relativi alla gestione dei CAP e di avviare un'indagine, anche attraverso l'audizione degli amministratori dei consorzi agrari interessati, che consenta di fare luce sulla questione relativa agli 800 miliardi di titoli cambiari rilasciati dai consorzi e rinvenuti nella cassaforte della Fedit. Non facendosi osservazioni, le proposte formulate dal terzo gruppo di lavoro si intendono accolte.

Vi informo, infine, di aver richiesto, con lettera del 1° luglio 1999, al direttore generale della S.G.R., dottor Rossetti, alcuni documenti in vista delle audizioni fissate per questa settimana. In particolare, ho reputato utile acquisire elementi in ordine alle seguenti circostanze: composizione del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale della S.G.R. dalla sua costituzione ad oggi, elenco delle partecipazioni azionarie, dei bilanci e delle dichiarazioni dei redditi, elenco dei dipendenti con relativo mansionario, elenco degli immobili ceduti e di quelli locati, documentazione relativa alla pubblicità data a tutti i creditori Fedit della costituzione della società, della possibilità di aderirvi e delle relative condizioni.

Per quanto attiene alle collaborazioni, vi informo che, a seguito del nulla osta rilasciato dal Ministro delle finanze, i due ufficiali, capitano Cosimo Tripoli e tenente Giovanni Panebianco, sono stati finalmente assegnati alla nostra Commissione come collaboratori a tempo pieno, a decorrere dal 30 giugno 1999. Vi ricordo che giovedì 1° luglio l'Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentati dei Gruppi, ha incontrato i collaboratori designati dalla Commissione, ai sensi dell'articolo 24 del Regolamento interno. In quella sede, ho illustrato l'attività sinora svolta e le ulteriori iniziative che la Commissione intende intraprendere al fine di adempiere nel modo più congruo ai compiti ad essa assegnati dalla legge istitutiva.

Ho quindi ritenuto opportuno invitare tutti i collaboratori all'audizione odierna che riveste un particolare rilievo, avendo il professor Carbonetti svolto un ruolo importante – almeno ad avviso della Procura di Perugia - sia come consulente degli organi della procedura, sia in qualità di presidente della S.G.R. Se non vi sono osservazioni, i collaboratori qui presenti sono pertanto autorizzati, ai sensi dell'articolo 24 del Regolamento interno, ad assistere alla seduta.

Audizione del professor Francesco Carbonetti

PRESIDENTE. La Commissione procede oggi all'audizione del professor Francesco Carbonetti, che ringrazio per aver accolto con cortese disponibilità il nostro invito.

Prima di dare la parola al professor Carbonetti, avverto che i lavori della Commissione si svolgono in forma pubblica, secondo quanto dispone l'articolo 7 della legge istitutiva, e che è dunque attivato, ai sensi dell'articolo 12, comma 2, del Regolamento interno, l'impianto audiovisivo a circuito chiuso. Qualora da parte del professor Carbonetti o di colleghi lo si ritenga opportuno in relazione ad argomenti che si vogliono ritenere riservati, disattiverò l'impianto audiovisivo per il tempo necessario. Ricordo che l'audizione, si svolge ai sensi dell'articolo 15, comma 3, del Regolamento interno, in forma libera e che il professor Carbonetti ha comunicato che non intende avvalersi della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia.

Preciso infine che dell'audizione odierna è redatto il resoconto stenografico che sarà sottoposto, ai sensi dell'articolo 12, comma 6, del Regolamento interno, alle persone ascoltate ed ai colleghi che interverranno, perché provvedano a sottoscriverlo, apportandovi le correzioni di forma che riterranno in vista della pubblicazione negli atti parlamentari.

Do ora la parola al professor Carbonetti del cui curriculum ci siamo permessi di stilare una scheda che, se dovesse risultare errata, potrà essere, con il suo ausilio, corretta.

CARBONETTI. La ringrazio, signor Presidente. Non impiegherò più di un quarto d'ora per la mia esposizione e ringrazio la Commissione per l'occasione che mi ha fornito di esporre le mie ragioni in merito a questa vicenda. Ho bisogno di fare alcune precisazioni – ma non impiegherò più di qualche secondo - sul mio curriculum: altrimenti diviene inspiegabile la ragione per cui ho svolto nella vicenda Federconsorzi ruoli diversi, cosa sulla quale la Procura della Repubblica di Perugia fonda essenzialmente la sua tesi. Sono entrato nel 1967 in Banca d'Italia come avvocato a seguito di un concorso, ho svolto per vent'anni la mia carriera fino a diventare vice avvocato capo; ho collaborato strettamente con i governatori Baffi e Ciampi in numerose delicate vicende di vigilanza bancaria. Nel 1986 ho lasciato la Banca d'Italia per diventare capo dell'Area studi giuridici ed economici della Consob, incarico che ho ricoperto fino al 1989 e che mi ha dato occasione di occuparmi approfonditamente del mercato finanziario. Nel 1989 mi è stato offerto di diventare il presidente della Fideuram; ho lasciato la Consob e ho iniziato l'attività di avvocato libero-professionista. In ragione dell'esperienza che avevo maturato presso le istituzioni preposte al mercato finanziario, ho avuto la fortuna di ottenere immediatamente incarichi qualificati e tuttora sono avvocato libero professionista e docente di diritto commerciale presso la Luiss. Il 12 maggio 1992 ricevetti dal Presidente della sezione fallimentare di Roma, dottor Greco – che all'epoca conoscevo solo superficialmente – un incarico assai delicato che era quello di esaminare insieme al professor Sica e alla professoressa Martellini i bilanci della Federconsorzi negli ultimi 5 anni allo scopo di individuare le cause del dissesto e le conseguenti responsabilità. Questo mi dette l'occasione di avere una serie di contatti con gli organi della procedura nell'ambito dei quali mi vennero richiesti tre pareri sui quali il dottor Razzi si sofferma in maniera approfondita. Di questi tre il primo non ha niente a che vedere con la vicenda della vendita in blocco dei beni della Federconsorzi. E' un parere in data 18 novembre 1992 nel quale mi si chiedeva di affrontare il problema del coordinamento tra le procedure previste dalla legge fallimentare e quelle previste dalla legge bancaria e dalle istruzioni di vigilanza con riferimento alla possibile vendita del pacchetto di controllo della Banca di Credito Agrario di Ferrara. Gli altri due pareri, invece, sono quelli in cui si concentra l'attenzione della Procura. Il primo è in data 30 giugno 1992 e l'altro 22 luglio 1992; sono entrambi dedicati ai criteri di determinazione del valore dei beni della Federconsorzi. Poiché svolgo la professione di avvocato e non di dottore commercialista né di stimatore di aziende questi pareri sono di natura legale. In questi tre pareri mettevo a confronto tre cifre molto importanti nella vicenda. La prima è quella di 2845 miliardi che è il valore dell'attivo risultante dal bilancio al 31 dicembre 1991 redatto dai commissari governativi. La seconda è quella di 3939 miliardi che è la stima del commissario giudiziale circa il valore di tutto l'attivo della Federconsorzi. La terza era quella all'epoca nota come offerta del piano Capaldo, di 2150 miliardi che poi fu il prezzo, a distanza di molti mesi, determinato per l'acquisto in blocco dei beni. Il problema che mi si poneva e che mi trovai ad affrontare riguardava la spiegazione del divario di queste cifre sotto il profilo dei criteri giuridici applicabili di volta in volta ad un bilancio di esercizio di una società per azioni, ad un valore attribuito come presumibile realizzo in sede di liquidazione e infine al valore offerto negozialmente per l'acquisto in blocco dei beni. In questi due pareri mi soffermo essenzialmente sul confronto fra le due cifre che erano supportate analiticamente, cioè la cifra di 2845 miliardi, derivante dal bilancio al 31 dicembre 1991, e quella di 3939 miliardi che era la stima fatta dal commissario giudiziario per la vendita in blocco dei beni; volevo infatti mettere a confronto analiticamente, volta a volta, il valore attribuito alle partecipazioni, agli immobili, ai crediti e soffermarmi sui diversi criteri che, in base alla legge – nel caso del bilancio – o alle tecniche professionali – nel caso del valore di stima – presiedono alla stima dei pacchetti azionari, dei crediti cambiari e non, degli immobili e così via. Per quanto riguarda il valore dei 2150 miliardi del cosiddetto piano Capaldo, non potevo effettuare nessuna valutazione di confronto perché si trattava di un cifra globale non scomponibile. Nel mio parere testualmente precisavo che un confronto analitico non può essere compiuto e non si è in grado quindi di sapere a quali poste siano da attribuire le differenze valutative.

Pertanto solo in via congetturale indicavo alcuni elementi che potevano in astratto giustificare il divario, mi riferisco cioè ad elementi quali la certezza del prezzo e l'immediato pagamento e così via. Ebbene, come venni a sapere soltanto nel 1997, a quel punto si verificò che il dottor Razzi "casualmente" – questo è il termine che egli usa – ebbe modo di riscontrare l'esistenza della mia nota di liquidazione relativa all'emanazione di questi tre pareri, per un onorario richiesto di venti milioni, regolarmente poi liquidato dal Presidente del tribunale fallimentare, ma contemporaneamente l'assenza nel fascicolo della procedura di questi tre pareri. Sulla base di questa scomparsa il dottor Razzi fece alcune deduzioni, proponendo una spiegazione secondo cui si sostiene che il presidente Greco avrebbe chiesto i pareri da utilizzare come supporto rispetto alla decisione di vendere alla "cordata Capaldo" per 2.150 miliardi i beni della Federconsorzi; sostiene altresì che il presidente Greco avrebbe addirittura sollecitato il secondo di questi pareri in tempo utile e cioè prima della camera di consiglio che avrebbe deciso sull'ammissione della Federconsorzi al concordato. Infatti, il secondo parere porta la data del 22 luglio e la camera di consiglio si tenne il 23 luglio.

Sempre secondo questa tesi, il presidente Greco sarebbe venuto a sapere da qualcuno della mia intenzione di ricoprire la carica, o meglio che ero già stato in pectore nominato amministratore della S.G.R. e, rendendosi conto di aver compiuto un passo falso nel chiedermi tali pareri, avrebbe deciso di non citarli allorché depositò la sentenza di omologa nel mese di ottobre 1992. Quindi, da questa ricostruzione risulterebbe l'ipotesi di un accordo precedente tra me e il presidente Greco rispetto all'emanazione di questi pareri artificiosi che, in seguito, venendo meno tale accordo, il presidente Greco avrebbe cercato di nascondere addirittura sopprimendoli.

Ebbene, questa spiegazione – che peraltro non è supportata da nessun elemento documentale – contraddice la logica e i fatti per ben tre motivi. Innanzitutto perché i suddetti pareri non sono affatto di congruità: sono un avvocato e quindi non posso fornire pareri di congruità e ammesso che anche il presidente Greco avesse chiesto un parere di questo tipo, ritengo si sarebbe rivolto ad un dottore commercialista che per la sua professione può realmente valutare le aziende ed i beni. In tal senso, quindi, a che cosa sarebbe servito avere il parere di un avvocato? In ogni caso, proprio a tale proposito, mi permetto di consegnare alla Commissione – se già non ne dispone – questi pareri; in questo modo chiunque potrà leggerli e valutarli e quindi rendersi conto che essi non hanno nessuna finalità di valutazione della congruità della somma di 2.150 miliardi.

D'altro canto, quando il tribunale si pose il problema della vendita in blocco dei beni - fatto che si verificò non nel luglio 1992, bensì nel marzo 1993, e quindi a distanza di tanti mesi – mi risulta che acquisì una marea di pareri prima di prendere tale decisione e precisamente: il parere del comitato dei creditori, quelli del commissario governativo e del commissario giudiziale e delle organizzazioni sindacali, ed infine il parere delle banche estere e ricordiamo che a monte esisteva comunque l'autorizzazione della Banca d'Italia alle banche a comperare i beni ad un prezzo di questo ordine e cioè 2.150 miliardi. Al riguardo desidero infatti sottolineare che quando un tribunale ha la necessità di acquisire pareri sul valore di beni li richiede a soggetti di ben altra autorevolezza rispetto ad un avvocato. Pertanto, si può dire che sul piano logico la costruzione del dottor Razzi non regge. In secondo luogo, non è affatto vero che tali pareri – ammesso che fossero stati di congruità – potessero essere funzionali alla decisione da prendere in camera di consiglio il 23 luglio 1992; infatti, in quella sede si parlò dell'omologazione del concordato ed anche della vendita dei beni, ma sottolineando rispetto a questi ultimi la necessità di discuterne approfonditamente al fine di stabilire se vendere i beni frazionatamente o in blocco e, in questa seconda ipotesi, quali forme di pubblicizzazione e di asta si sarebbero potute ipotizzare per mettere a confronto l'offerta di 2.150 miliardi con qualunque altra offerta.

Quindi, il 23 luglio 1992 il problema della congruità del prezzo di 2.150 miliardi non si poneva in alcun modo. Torno a ripetere che il mio parere non era di congruità e comunque, ammesso che lo fosse stato, non serviva a prendere la decisione che fu poi presa. In terzo luogo – e questo è l'aspetto più importante – nei mesi di giugno e luglio 1992 non avevo la più recondita idea di poter diventare un giorno amministratore della S.G.R. e ciò è, grazie al cielo, dimostrabile documentalmente. Infatti, la S.G.R. venne costituita il 27 aprile del 1993, a quella data tutti i soci della S.G.R. (banche e imprese non bancarie come ad esempio la Fiat) firmarono un patto parasociale con il quale individuarono anche le procedure per la nomina dei consiglieri di amministrazione decidendo di fissare il loro numero in sei di cui: quattro in rappresentanza delle quattro banche maggiori creditrici; un quinto consigliere, espressione dell'impresa non bancaria maggiore creditrice; infine si stabilì che il sesto membro del consiglio sarebbe stato nominato previa consultazione tra gli altri soci che erano i piccoli azionisti e i creditori minori. Ebbene, io venni nominato come sesto consigliere, i quattro membri rappresentanti delle banche erano nell'ordine: il professor Capaldo per la Banca di Roma, l'avvocato De Palma per la Banca Nazionale del Lavoro, il ragionier Maranzana per l'Istituto bancario San Paolo di Torino ed il dottor Peluso per il Banco di Napoli; per quanto riguarda il gruppo Fiat venne nominato il dottor Amato. Io venni nominato in quanto ero presidente della Fideuram, un soggetto che vantava un credito che ammontava a meno dell'1 per cento del totale dei crediti e venni nominato previa consultazione tra gli altri soci. Ripeto, fui designato immagino perché ero presidente della Fideuram che era appunto un piccolo creditore ed altresì in quanto persona stimata nell'ambiente soprattutto per il mio passato in Banca d'Italia e in Consob.

La composizione azionaria della S.G.R., ancora al 28 gennaio 1993 – come posso dimostrare con il verbale della riunione dei soci promotori che è a vostra disposizione – non era ancora delineata in quanto, a quella data, vi erano solo dodici aspiranti soci di cui qualcuno addirittura in seguito non aderì; pertanto, per arrivare al numero di trenta soci che furono poi quelli definitivi, fu necessario attendere il marzo e l'aprile dello stesso anno.

Sono andato a rivedere le delibere della banca Fideuram dalle quali ho potuto verificare che questo istituto fu invitato a partecipare a questa iniziativa nel marzo e che rispose a tale invito nell'aprile. Pertanto, la consultazione sulla scelta del mio nome non poteva ovviamente essere anteriore all'inizio del mese di aprile 1993, quindi ben otto mesi dopo rispetto alla data in cui avevo rilasciato i famosi pareri.

Su questa base, quindi, l'ipotesi del dottor Razzi secondo cui nella mia persona coinciderebbe sia la figura che emanò quei pareri sia l'amministratore della società che avrebbe dovuto acquistare i beni della Federconsorzi è completamente destituita di fondamento e, ripeto, tutto ciò è documentalmente dimostrabile.

Il fatto poi che i suddetti pareri siano spariti dal fascicolo è cosa che naturalmente non mi riguarda perché l'accusa di tale sparizione è rivolta al presidente Greco; del resto, non ero certo io il custode di questi documenti.

Tuttavia al riguardo ho avuto modo di chiedere delle informazioni e posso assicurare che lo stato del fascicolo è stato definito caotico in quanto, a più riprese, la magistratura penale ha effettuato sequestri di documenti in maniera molto consistente e mi risulta che quelli più importanti siano stati sequestrati, sembra dai sostituti procuratori dottori Nebbioso e Castellucci. Tanto per darvi un'idea di quale sia lo stato di quel fascicolo, mi è stato detto che mancano addirittura i verbali di sequestro penale con l'elencazione dei documenti sequestrati; e quindi - non essendo rinvenibile il fascicolo – non si sa quali dei documenti siano stati sequestrati dalla magistratura penale.

In questa situazione, il fatto che siano spariti i suddetti pareri mi sembra di scarso rilievo.

Vorrei ora soffermarmi un attimo sulla sequenza delle date che interessarono questi fatti. Come ho già detto, i pareri da me forniti portano la data del 22 luglio 1992, la camera di consiglio si tenne il 23 luglio; il presidente Greco depositò la sentenza nell'ottobre e, secondo la ricostruzione del dottor Razzi, il dottor Greco rendendosi conto della gaffe compiuta nell'avermi richiesto i pareri avrebbe deciso di farli sparire.

Il presidente Greco liquidò il mio compenso nel novembre, e al riguardo credo che la cosa più logica, se veramente il presidente Greco avesse voluto far sparire quei pareri, sarebbe stata quella di chiamarmi per pregarmi di ritirare la nota liquidazione dei compensi: si trattava di venti milioni, avrei potuto anche farne a meno. Quindi, se il presidente Greco nel novembre 1992 liquidò il compenso per quei pareri, evidentemente non aveva alcuna intenzione di farli sparire, tant'è vero che la traccia seguita dal dottor Razzi è stata quella relativa alla liquidazione delle competenze.

PRESIDENTE. È possibile avere quei pareri?

CARBONETTI. Certamente. Il dottor Razzi mi accusa non soltanto di aver espresso questi pareri artificiosi e fuorvianti, ma afferma anche che, in quanto amministratore della S.G.R. e amministratore di fatto della Federconsorzi, realizzando i beni avrei dato esecuzione al piano criminoso. Divenni amministratore della S.G.R. nell'aprile del 1993 e a dicembre del 1994 ne divenni presidente in sostituzione del professor Capaldo. Come amministratore prima e come presidente poi ho svolto con il massimo scrupolo i compiti propri di un amministratore. Poiché per statuto la S.G.R. era un soggetto liquidatore, ossia una società nata per comprare dei beni in blocco e per procedere al loro realizzo, ho fatto quanto dovevo secondo procedure assolutamente ineccepibili, tese a massimizzare il prezzo, il valore di realizzo. Quindi, nello svolgere i miei compiti amministrativi insieme agli altri componenti del Consiglio di amministrazione della S.G.R., nessuno dei quali però risulta indagato, credo di aver fatto solo il mio dovere.

Il dottor Razzi afferma poi che io sarei amministratore di fatto della Federconsorzi. Occorre tener conto che i beni venduti in blocco dalla Federconsorzi erano numerosissimi (centinaia di immobili, migliaia di partite creditorie e molte partecipazioni azionarie) e che la cessione avvenne con un atto – da noi chiamato atto-quadro – la cui natura non era e non è ben definita: qualcuno sostiene che esso si configuri come un contratto preliminare da eseguirsi mediante tanti contratti definitivi riferiti ai singoli beni, qualcun altro, più fondatamente, ritiene che sia un contratto definitivo al quale occorre dare esecuzione secondo le forme traslative proprie di ogni bene. In base a quest'ultima ipotesi, l'esecuzione dell'atto-quadro, per quanto riguarda il trasferimento degli immobili, si farà per atto pubblico o scrittura privata autenticata, per quanto riguarda le cambiali si effettuerà mediante girata, per quanto concerne i crediti avverrà mediante scambio di lettere e così via. Quindi, nell'agosto del 1993, si sottoscrive un atto-quadro e successivamente vengono sottoscritti tanti atti di esecuzione.

Nell'atto-quadro si prevedeva una cosa banale, addirittura ovvia. Dal momento che la S.G.R. doveva comprare in blocco questi beni per poi venderli, se nel frattempo avesse trovato degli acquirenti era inutile che li comprasse e poi li rivendesse. Bastava indicare, dando istruzioni alla Federconsorzi nella persona del suo commissario, un terzo soggetto a cui vendere un determinato bene; la Federconsorzi avrebbe trattenuto il prezzo, scomputandolo da quello di 2.150 miliardi che la S.G.R. doveva pagare. E' una clausola assolutamente banale. Se qualcuno di voi ha fatto un compromesso sa che spesso si scrive "per sé o per persona da nominare". E' una forma ovvia di economia degli atti giuridici per evitare la stipulazione di due atti. Da ciò il dottor Razzi deduce che io, e quindi tutti gli altri componenti del Consiglio di amministrazione della S.G.R., eravamo anche amministratori di fatto della Federconsorzi. E questo perché noi infatti avevamo il diritto di dare istruzioni alla Federconsorzi circa l'alienazione dei beni. Il dottor Razzi dimentica che la figura dell'amministratore di fatto è stata definita dalla dottrina penalistica e commercialistica come quella di colui che amministra senza titolo. Il caso tipico è quello del socio tiranno il quale, per non assumersi alcuna responsabilità, trova un vecchietto in uno ospizio, lo fa nominare amministratore unico e gli dice di volta in volta cosa deve fare. Quello è l'amministratore di fatto, cioè colui che ha i poteri sostanziali di amministrazione, senza avere un'investitura formale. Nel nostro caso invece l'investitura formale c'era, perché la S.G.R. dava istruzioni in base ad una clausola perfettamente legittima di un contratto a sua volta perfettamente legittimo. Nego pertanto di essere stato amministratore di fatto della Federconsorzi. Non ho altro da aggiungere. Sono a vostra completa disposizione per le domande che vorrete rivolgermi.

Signor Presidente, quello che ho detto è sintetizzato in una memoria, cui sono allegati alcuni documenti, che mi permetto di depositare agli atti della Commissione.

ABBATE. Vorrei sapere se negli allegati sono contenuti anche i pareri ai quali faceva riferimento.

(Cenno di assenso del professor Carbonetti)

PRESIDENTE. Professor Carbonetti, quali sono stati i suoi rapporti con il professor Capaldo e, se ci sono stati, di che tipo erano?

CARBONETTI. Ho conosciuto il professor Capaldo in un'occasione singolare. Verso la fine degli anni Ottanta lui era presidente ed io vice presidente di una commissione di vigilanza sulle società di calcio professionistiche presso la Federcalcio. Entrambi controllavamo i bilanci delle società di calcio per verificare che non cadessero in dissesto facendo magari acquisti insensati di giocatori. Quindi, un'occasione marginale dal punto di vista professionale. Successivamente è iniziata una frequentazione che ha fatto sì che il rapporto si evolvesse in una amicizia basata sulla stima reciproca.

PRESIDENTE. Che genere di collaborazione professionale c'è stata tra voi?

CARBONETTI. Nessuna. Casualmente, proprio in questi ultimi mesi, c'è stata una collaborazione professionale. Entrambi infatti ci siamo occupati, per conto della Banca d'Italia, della vendita del pacchetto di controllo della società Risanamento Napoli; lui come aziendalista, io come avvocato. E' stata la prima volta in cui abbiamo svolto insieme un lavoro.

PRESIDENTE. Può confermarci il fatto che nella sentenza di omologa sono state raccolte le risultanze dei suoi pareri?

CARBONETTI. No, non si citano affatto. La sentenza di omologa non si pone il problema della congruità del prezzo di 2.150 miliardi di lire. Essa si pone innanzi tutto il problema dell'esistenza di tutti i presupposti del concordato, poi quello di come realizzare i beni. In proposito, quando fa riferimento alla lettera di intenti presentata dal professor Casella per conto di questa cordata, afferma che, trattandosi di una lettera di intenti, il tribunale non può adottare decisioni al riguardo, ma può solo considerare la proposta come un'ipotesi di liquidazione da coltivare soltanto in prosieguo, anche con l'eventuale pubblica gara, se ed in quanto si realizzeranno condizioni adeguate che garantiscano appieno gli interessi dei creditori. Poi si dice che il tribunale dovrà valutare, una volta realizzatisi i presupposti e formalizzata l'offerta, la sussistenza delle condizioni di convenienza che consigliano l'autorizzazione alla vendita. La sentenza di omologa non prende assolutamente posizione, affermando che si tratta di una questione che si vedrà in futuro. Innanzi tutto si vedrà se sarà conveniente vendere i beni in maniera frazionata o in blocco. Nell'ipotesi in cui si decida per la vendita in blocco si verificherà la congruità dell'offerta di 2.150 miliardi lire e la si porrà a confronto con altre eventuali offerte. Quindi, il tribunale non si pone neanche questo problema.

PRESIDENTE. Quanto ai crediti MAF, le formulo la seguente domanda: quale presidente della S.G.R. intendeva acquistare questi famosi crediti dalla Fedit al valore di 51 miliardi di lire, mentre nello stesso tempo si adoperava per ottenere il pagamento dell'ammontare nominale, enormemente maggiore, colloquiando con il Ministro dell'agricoltura pro tempore ed elaborando progetti in tal senso? CARBONETTI. Signor presidente, devo ricordare che l'offerta della S.G.R., accettata dalla procedura, era un'offerta globale di 2.150 miliardi di lire relativa a tutti i beni esistenti al 31 dicembre 1991. Quindi non era un'offerta analitica, bensì globale. Quando poi si trattò di effettuare formalmente i trasferimenti dei singoli beni, si attribuì un valore specifico a ciascun bene in un maniera del tutto convenzionale. Per esempio, per le partecipazioni si prese in considerazione il patrimonio netto; per gli immobili il valore catastale. Tutto ciò per arrivare alla somma di 2.150 miliardi di lire. Alla fine, poiché i crediti dovevano essere trasferiti per ultimi, essi finivano per essere la differenza fra il valore da attribuirsi ai singoli beni e i 2.150 miliardi di lire. Era una procedura per così dire "a tappo".

Quindi, quei 51 miliardi non erano una stima che faceva la S.G.R. del credito MAF, ma un valore del tutto convenzionale che serviva solamente per individuare il valore di trasferimento.

PRESIDENTE. Mi pare di capire che non avevano alcuna considerazione, se non vicina allo zero.

CARBONETTI. La verità, signor Presidente, è che il credito MAF per la S.G.R. ha sempre avuto un valore pari a zero, perché quei crediti, che nascono negli anni '40-'50, non vennero riconosciuti, prima ancora che pagati, dallo Stato per una serie di vicende - che immagino Lor Signori ricordino - che avevano anche una forte valenza politica. Quando nel 1992 si formulò l'offerta di 2.150 miliardi, mi disse il professor Capaldo - con il quale poi ne ho parlato - che loro davano a questi crediti un valore pari a zero o quasi zero, tanto è vero che non furono presi in considerazione come valutazione. Questa posizione era tanto corretta, che questi crediti non vennero pagati né nel 1992, né nel 1993, né nel 1994 e nel 1999 ancora non sono stati pagati. Quindi, un credito nato negli anni '50, che dopo 45 anni non viene pagato, qualunque stimatore sa che vale zero o pressoché zero. La S.G.R. li ha valutati zero anche quando si è fatta una transazione con gli organi della procedura per eliminare ogni possibile dubbio circa la validità dell'atto-quadro e del trasferimento dei beni: in questa transazione la procedura ha rinunciato ad incassare il residuo prezzo per circa 85 miliardi e la S.G.R. ha rinunciato al trasferimento dei beni non ancora trasferiti, tra cui il cespite principale è costituito proprio dai crediti MAF. Quando ho portato questa proposta in consiglio di amministrazione - che è stata ovviamente discussa in modo molto approfondito - tutti sono stati convinti nel ritenere che la S.G.R. avrebbe fatto un affare equo barattando 85 miliardi di prezzo "vero" da pagare in cash con il mancato trasferimento di questi crediti e di altri crediti di difficilissimo realizzo. Ormai la cosa non ci interessa più, ma devo dire che mi è capitato di leggere una recente sentenza - di circa 8-9 mesi fa - della Corte di appello di Roma, che dà torto ad un consorzio agrario, il quale aveva chiesto al Ministero di vedersi riconosciuto giudizialmente il credito. Bisogna considerare infatti che questo credito è anzitutto fatto di interessi: diciamo che su ogni 100 lire di credito MAF, 90 lire sono interessi capitalizzati e 10 lire sono capitale residuo; gli interessi vengono capitalizzati ad un tasso pari al tasso ufficiale di sconto più 4 punti (il che significa che, quando il tasso ufficiale di sconto era del 15 per cento, il tasso di interesse capitalizzato era del 19 per cento), sul quale poi si calcolavano nuovi interessi. Personalmente escludo che il Tesoro riconoscerà mai questo tasso di interesse; ammesso pure che il Tesoro riconosca prima o poi il capitale, lo farà probabilmente al tasso legale e lo pagherà in titoli di Stato a lungo termine, almeno questa è la mia opinione.

Cercai - perché avevo il dovere di recuperare questi crediti - di proporre al Tesoro e al Ministero dell'agricoltura un piano, che ancora oggi ritengo fosse una cosa seria, per il quale il Tesoro avrebbe riconosciuto i crediti MAF mediante l'emissione di titoli trentennali ad una tasso di interesse pari a zero o quasi zero (all'epoca i tassi di interesse non erano quelli di adesso, quindi il valore attuale di una dilazione abbatteva fortemente il valore del credito): questo avrebbe comportato per il Tesoro un effetto positivo sulla finanza pubblica del primo anno, perché la S.G.R. avrebbe rilevato una plusvalenza nel proprio bilancio sulla quale avrebbe pagato delle tasse, contribuendo con circa un centinaio di miliardi alla finanza pubblica in un momento molto difficile - parliamo degli anni 1994-1995 - per la finanza italiana, dopodiché il Tesoro in 30 anni avrebbe diluito il pagamento ed eliminato il proprio debito; inoltre, la S.G.R. si impegnava a contribuire con una quota di questo ricavo ad una iniziativa per il risanamento finanziario dei consorzi. Per noi questo credito valeva zero, qualunque cosa ne avessimo ricavato eravamo disponibili a riversarlo, per una quota consistente, in favore del sistema dei consorzi agrari per favorirne l'uscita dalla situazione di liquidazione coatta amministrativa.

Questo progetto, che venne esaminato con grande attenzione dal sottosegretario Giarda per il Tesoro, lo illustrai personalmente al ministro Poli Bortone. Insomma, ci fu molto interesse, poi avvennero i fatti penali, per cui ...

PRESIDENTE. C'era per caso l'interesse da parte della S.G.R. a gestire, era appetibile la rete commerciale rappresentata dai CAP?

CARBONETTI. E' esattamente il contrario, signor Presidente. La S.G.R. per statuto nasce come liquidatore e non poteva fare nient'altro. Ci fu l'idea da parte di qualcuno al Ministero ...

PRESIDENTE. Volevo sapere se, a livello di progetto, per caso non erano in preparazione anche delle costituzioni di società che di questo si sarebbero dovute preoccupare.

CARBONETTI. Proprio all'inizio della S.G.R., nel 1993, ci fu un sondaggio presso il sistema bancario per sentire se ci potesse essere interesse a costituire una nuova società che avesse lo scopo di contribuire al risanamento finanziario dei consorzi agrari in liquidazione coatta amministrativa. Questo sondaggio dette esito negativo e il progetto fu abbandonato.

Quando, da presidente della S.G.R. - quindi a distanza di almeno un anno e mezzo - presentai il mio progetto di cui ho parlato sopra, la S.G.R. rifiutò di giocare ogni ruolo di tipo imprenditoriale; eravamo disponibili solamente a dare un contributo finanziario; perciò, una delle condizioni che si ponevano, era che ci fosse un soggetto imprenditoriale che doveva essere espressione degli stessi consorzi agrari ...

PRESIDENTE. In pratica, la sostituzione di Fedit con una società omologa.

CARBONETTI. I consorzi agrari, signor Presidente, avevano costituito una società che si chiamava - e credo si chiami tuttora - SOCONAGRI, che potenzialmente doveva giocare questo ruolo.

PRESIDENTE. Che rapporti avevate come S.G.R. con la SOCONAGRI?

CARBONETTI. Abbiamo venduto a SOCONAGRI, mi pare per 1000 lire, la partecipazione nella società Siapa, che produceva fertilizzanti chimici e che poi è andata alla Caffaro (in verità, alla Caffaro è andata la società, perché è in concordato e non vale nulla, ma il ramo d'azienda).

PRESIDENTE. Gli azionisti della S.G.R. erano disposti ad ulteriori investimenti?

CARBONETTI. Purtroppo no, nel modo più assoluto. Anzi, abbiamo avuto grosse difficoltà nel finanziamento del prezzo d'acquisto, perché S.G.R. nasce con un capitale di 10 miliardi, aumentabile fino a 30 (ed è stato aumentato fino a 30 miliardi), ma il pagamento del prezzo di acquisto doveva avvenire mediante finanziamento dei soci. I patti parasociali prevedevano un finanziamento soci di 400 miliardi, che si dimostrò insufficiente per pagare le varie rate (l'idea era di pagare le rate, vendere e rientrare). Si immaginava all'inizio che un polmone finanziario di 400 miliardi fosse sufficiente; in realtà, l'indebitamento della S.G.R. è arrivato fino a 700 miliardi, quindi la società è stata costretta a ricorrere, in aggiunta ai 400 miliardi di finanziamento del patto parasociale, a finanziamenti sul mercato libero per 300 miliardi; e, debbo dire la verità, c'è stato un momento in cui abbiamo avuto difficoltà ad avere credito.

PRESIDENTE. Può spiegarci perché le banche estere non hanno voluto partecipare alla S.G.R.?

CARBONETTI. A questa domanda, signor Presidente, non le posso purtroppo rispondere. Non mi sono mai occupato della fase preliminare alla costituzione della S.G.R., quindi non ho idea ...

PRESIDENTE. Neanche successivamente c'è stato un tentativo ...?

CARBONETTI. Alcuni mesi dopo aver costituito la S.G.R. facemmo una nuova comunicazione a tutti i creditori per importi superiori a un miliardo - perché quelli al di sotto di un miliardo li avevamo in qualche modo sistemati, come Lei forse ricorda, signor Presidente - per invitarli a partecipare alla S.G.R.. La S.G.R. nasce come strumento aperto proprio per rendere sostanzialmente indifferente la posizione di creditore della Federconsorzi e azionista e di creditore non azionista; qualunque creditore poteva partecipare alla S.G.R., quindi fruire dei guadagni, se c'erano, o correre i rischi della S.G.R. in proporzione all'entità del proprio credito. Quindi noi facemmo un nuovo giro di inviti a tutti i creditori perché partecipassero, comprese le banche estere. Questo secondo giro ebbe un esito deludente: entrarono un paio di piccole società, ma neanche una società straniera.

DE CAROLIS. Signor Presidente la ringrazio perché i quesiti da lei posti ci hanno dato l’opportunità di venire a conoscenza di ulteriori elementi, del resto già in gran parte evidenziati nella relazione introduttiva del professor Carbonetti.

Professor Carbonetti, avendo ascoltato attentamente il dottor Razzi e, se ho ben compreso, la sua introduzione, si può già affermare che vi sono stati tre elementi che hanno indotto il dottor Razzi a non considerarla estraneo a tutta la vicenda, arrivando all’estrema conseguenza di chiedere il suo rinvio a giudizio. Il primo elemento: il presidente Greco le avrebbe chiesto un parere di congruità sul piano Capaldo, sebbene lei ci abbia spiegato di non aver mai espresso pareri di congruità. Il secondo elemento: il presidente Greco avrebbe poi sollecitato il deposito del parere in tempi utili, prima della camera di consiglio del 23 luglio. Il terzo motivo: il presidente Greco si sarebbe avvalso di tale atto per convincere altri due giudici, salvo poi ignorarlo nella stesura della motivazione e da ultimo sopprimerlo. Se ben ricordo lei è entrato a far parte del consiglio di amministrazione della S.G.R. il 27 aprile 1993; successivamente nel dicembre 1994 ha sostituito il professor Pellegrino Capaldo alla presidenza. Il dottor Razzi sostiene che, all’epoca in cui rilasciava pareri – se non sbaglio nel giugno-luglio 1992 - lei era già amministratore della S.G.R. in pectore. In questi giorni ho trovato sul settimanale "Panorama" del 2 giugno 1992 un articolo dal titolo Feder-crack. Se ben ricordo il consiglio di amministrazione era così composto: il professor Capaldo era il presidente; vi erano poi l’avvocato De Palma, il dottor Peluso, il ragionier Maranzana, in rappresentanza rispettivamente della Banca di Roma, della BNL, del Banco di Napoli e dell’Istituto San Paolo di Torino, le quattro banche maggiormente creditrici. Il dottor Amato rappresentava la Fiat, maggior creditore non bancario, e lei, professor Carbonetti, fu nominato in rappresentanza dei piccoli istituti di credito, di cui abbiamo parlato recentemente con riferimento alla Cassa di risparmio di Macerata. Questa decisione dei soci minori fu assunta in itinere, non nella parte iniziale della vicenda. Mi risulta che il dottor Razzi abbia disposto anche indagini patrimoniali. Sono andato a rivedere le motivazioni del rinvio a giudizio, ma non ve n’è traccia. Vorrei che lei ci dicesse che cosa è venuto in evidenza da queste indagini, se sono state svolte.

Lei ha avuto una parte rilevante nella vendita di palazzo Rospigliosi. La stima di 200 miliardi fatta da parte degli organi inquirenti, anche se personalmente non conosco bene i maggiori palazzi di Roma, mi sembra esagerata, tenendo conto dell’evoluzione del mercato immobiliare. So che lei ha avuto contatti con la proprietaria, la principessa Pallavicini: è vero che la base di partenza è stata di 19 miliardi - a me sembra estremamente bassa rispetto ai 200 miliardi - e che dopo una serie di trattative si è arrivati a 70 miliardi? Ci può spiegare questi passaggi perchè non sono riuscito, insieme ai miei colleghi, a venire a conoscenza di questo aspetto della vicenda che mi sembra estremamente emblematico.

CARBONETTI. A seguito dell’avvio delle indagini penali e del sequestro nella primavera del 1996, la S.G.R. è stata invasa da un nugolo di carabinieri e di uomini della guardia di finanza, con funzioni di polizia giudiziaria. Tutti i documenti della S.G.R., tutti gli atti di gestione, sono stati setacciati nel modo più attento. Il fatto che dalla richiesta di rinvio a giudizio non emerga un benchè minimo addebito che possa avere qualche implicazione patrimoniale – immagino che il dottor Razzi non se lo sarebbe lasciato sfuggire – significa che la gestione della S.G.R. è stata verificata e considerata regolare. La S.G.R. è una società espressione delle banche, ha un consiglio di amministrazione variegato, composto di persone di qualità, e un collegio sindacale; abbiamo deciso volontariamente di sottoporci a revisione contabile, la gestione della S.G.R. è quindi assolutamente cristallina.

Quanto alla mia persona immagino che anche nei miei confronti siano state svolte indagini patrimoniali, ma non è risultato nulla. Pago tutte le imposte dovute, come del resto fanno tanti professionisti, malgrado quel che si dica. Non ho conti all’estero, malgrado sia presidente di una banca. Non è stato trovato niente perché se fosse stato trovato qualcosa sarebbe stato fatto valere: ciò mi rallegra e considero questa richiesta di rinvio a giudizio come una patente di onestà che posso esibire a chiunque me la chieda.

La vicenda di palazzo Rospigliosi è molto interessante. E’ vero che la Procura della Repubblica deve sostenere l’accusa, ma dovrebbe non ignorare gli elementi di difesa.

MANCUSO. Questi non si cercano, è tempo perso!

CARBONETTI. Ciò che trovo singolare sono alcune affermazioni del dottor Razzi smentite dai documenti che ha depositato a supporto dell’accusa. Ad un certo punto i conti non gli tornano: la S.G.R. chiuderà in pareggio, sempre che vengano dissequestrate rapidamente le società immobiliari; allora non si capisce dove siano andati a finire quei 1.500 miliardi che secondo il dottor Razzi le banche avrebbero guadagnato dalla S.G.R.. I bilanci sono corretti, soggetti a revisione, le operazioni sono state fatte regolarmente. Non riuscendo a spiegarsi questa differenza, il dottor Razzi sostiene che noi avremmo svenduto il patrimonio, ma afferma di non avere avuto il tempo di indagare sugli atti di dismissione del patrimonio. Non so se un pubblico ministero può affermare che sono stati commessi reati ma che non ha il tempo di indagarli.

A supporto di questa affermazione indica tre episodi: la mancata vendita del palazzo di piazza Indipendenza alle Ferrovie dello Stato, la vicenda di palazzo Rospigliosi e una vicenda di Avezzano.

Per quanto riguarda la prima, dagli atti che egli deposita risulta che il commissario governativo dottor Cigliana, prima della costituzione della S.G.R., sostiene di aver ricevuto verbalmente da un dirigente delle Ferrovie dello Stato una manifestazione di interesse a comprare il palazzo di piazza Indipendenza, manifestazione di interesse che egli avrebbe riportato al presidente Greco il quale avrebbe detto che quando fosse venuto il momento si sarebbe visto cosa fare. Fatto sta che, quando abbiamo ampiamente pubblicizzato la volontà di vendere il palazzo di piazza Indipendenza, che era il cespite più importante che aveva la S.G.R., attraverso i giornali, rivolgendoci ad agenzie e così via, le Ferrovie dello Stato non hanno dimostrato alcun interesse, quindi l'affermazione del dottor Razzi è destituita di fondamento.

Affronto subito l'episodio di Avezzano. Ad Avezzano un acquirente di un piccolo immobile, che aveva partecipato ad una regolare asta davanti al notaio Mariconda ed era riuscito soccombente, poiché non gli era piaciuto l'esito dell'asta ha fatto una denuncia alla polizia di Avezzano non ricordo per quale motivo. La polizia di Avezzano ha condotto delle indagini scoprendo che tutto era regolare, ha fatto un rapporto al dottor Razzi, alla Procura della Repubblica di Perugia, che lo ha rinviato dicendo che la cosa non era di suo interesse; quindi anche questo è un episodio inesistente.

La terza questione, la più interessante, è quella di palazzo Rospigliosi. Il palazzo viene valutato dai periti del tribunale, quelli che hanno portato alla cifra di 4.800 miliardi, in 200 miliardi. Il che significa che un palazzo, sia pure bello e centrale, ma occupato, locato ad un fitto risibile fino al 2002, cioè all'epoca per quasi dieci anni, in pessime condizioni di manutenzione, viene valutato 35 milioni al metro quadro. Mi intendo un po’ di mercato immobiliare e vi assicuro che la quotazione massima a cui è arrivato a Roma il mercato immobiliare nel momento del boom è stata, per attici lussuosi a Piazza di Spagna, 15 milioni; oggi quell'attico si compra a 10-12 milioni. Questo dà l'idea dell'attendibilità della perizia fatta da questi signori, anzi mi domando perché non sia stato aperto un procedimento penale al riguardo. Allora, mettiamo in vendita Palazzo Rospigliosi, facciamo, come si dice a Roma, il giro delle sette chiese: andiamo presso la Corte costituzionale, la Banca d'Italia, il Parlamento, il Governo, facciamo annunci sul giornale, incarichiamo le più grandi agenzie anche internazionali, pubblicizziamo il palazzo anche all'estero, in America, per vedere se, per esempio, un'ambasciata potesse essere interessata, ma non riceviamo alcuna manifestazione d'interesse, fatta eccezione per la principessa Pallavicini, che era proprietaria dell'altra metà del palazzo, che si presenta ed offre 12 miliardi. L'offerta viene considerata ovviamente irricevibile, dopo un po’ la principessa ci ripensa e presenta un'offerta di 52 miliardi. Era un'offerta che non potevamo prendere in considerazione perché, se è vero che 200 miliardi era una stima assolutamente fantascientifica, 52 miliardi ci sembrava poco. Continuiamo dunque la nostra pubblicizzazione e si presenta finalmente un interesse della Coldiretti, che era il conduttore del palazzo. Voi sapete che l'affittuario valuta sempre di più di qualunque altro l'immobile che occupa perché, mentre tutti gli altri scontano il fatto che l'immobile è occupato, l'affittuario non lo sconta. Apriamo la trattativa con Coldiretti che partì subito, non ricordo i dettagli, ma si faccia conto da 60 miliardi, quindi da un prezzo superiore a quello offerto dalla principessa. Poiché, tra l'altro, ero anche buon amico della principessa Pallavicini e dell'avvocato Vittorio Ripa di Meana che l'assisteva e, nel mio cuore, avrei preferito veder ricomporre l'unità di questo palazzo antico e prestigioso che ha dentro un fedecommesso importante, dei quadri importanti, tifavo in cuor mio per la principessa Pallavicini. Andai pertanto a trovarla e le dissi che c'era un altro possibile acquirente col quale stavamo trattando in modo concreto del quale non feci il nome, per ovvie ragioni di correttezza, e la invitai ad aumentare la sua offerta, qualora avesse questa intenzione. La principessa si arrabbiò, poi incaricò l'avvocato Ripa di Meana di seguire la vicenda; io gli scrissi dicendo di avere un'offerta ferma ad un prezzo molto superiore ai 52 miliardi da loro offerti, invitandolo a sbrigarsi e dandogli ancora una settimana per rilanciare l'offerta. La settimana decorse, il rilancio non ci fu e noi vendemmo alla Coldiretti per 72 miliardi. Bene, il dottor Razzi sostiene che questo è un episodio di svendita e poi dice, tra parentesi, nella richiesta di rinvio a giudizio: "vedi deposizioni della principessa Pallavicini e dell'avvocato Ripa di Meana". Ho acquisito i documenti e li ho letti e c'è scritto che la principessa Pallavicini fa una denuncia in cui afferma che Carbonetti giocava al rialzo. Era vero, cercavo di far aumentare il prezzo e questo è stato valutato come "svendere". Queste sono le affermazioni del dottor Razzi: egli dice una cosa, rinvia per supporto documentale ad un documento da lui stesso depositato dove si dice esattamente il contrario di quello che lui afferma.

PASQUINI. Volevo fare due domande. La prima riguarda l'affermazione che abbiamo ascoltato anche dal professor Capaldo circa il fatto che la società S.G.R. era una società aperta, alla quale tutti potevano partecipare. Vorrei infatti ricordare ai colleghi presenti e al Presidente per un'ulteriore approfondimento che, nell'audizione del professor Casella e dell'avvocato Maugeri, quest'ultimo sottolineò come alcune riunioni con le banche creditrici, in modo particolare quelle giapponesi, trovarono l'avvocato Maugeri più che il professor Casella, perché di fatto conduceva lui la questione, in grave imbarazzo perché non in grado di dare risposta alla domanda delle banche, in termini di valutazione del patrimonio, di vendibilità dei beni immobili, di tempi per il realizzo. Pertanto di fronte a questo imbarazzo non poteva che determinarsi un atteggiamento di ritrosia da parte delle banche che si ritirarono tutte, tranne probabilmente quelle che conoscevano molto bene il patrimonio della Federconsorzi perché lo avevano conosciuto dall'interno, in quanto il professor Capaldo era stato consulente della Federconsorzi ancor prima di queste vicende, e tranne banche che certamente erano molto diffidenti ma forse potevano contare su un rapporto di amicizia di stima e fiducia con il professor Capaldo. Alla luce di questo vorrei sapere se il professor Carbonetti ancora ritiene che la S.G.R. fosse veramente una società aperta a tutti e se vi siano state riunioni di banche o di altri creditori per la loro adesione alla S.G.R. e il risultato, l'esito di questi incontri.

La seconda domanda è molto semplice. Vorrei riprendere il discorso dell'atto-quadro, per chiedere giuridicamente che cos'è. Il professor Carbonetti dice che è abbastanza controverso, ma è uno strano contratto che egli tende a dire definitivo, e cioè propende per un'interpretazione di contratto definitivo. Ma è un contratto definitivo che rimanda il trasferimento degli immobili a persona da designare, allora non è un contratto definitivo, e, riallacciandomi a questo aspetto, si riduce il prezzo da pagare, delle vendite o dell'incasso dei crediti nel frattempo intervenuti, dal momento in cui si avanza la proposta a quello in cui si firma l'atto-quadro.

E qui arrivo al nocciolo della questione. Perché si firma un atto-quadro per 2150 miliardi, quando in realtà le vendite effettuate fanno dedurre da questa cifra gli incassi già effettuati (che peraltro non conosco con esattezza, ma sicuramente si tratta di più di 1000 miliardi, forse 1500 miliardi; ripeto: non avendo documenti a portata di mano, ritengo la cifra puramente indicativa)? Perché non viene ridotto l'importo dell'atto-quadro in misura corrispondente alle vendite di patrimonio già effettuate, a loro volta corrispondenti ai crediti già incassati? E' questo il quesito.

CARBONETTI. Alla prima domanda - purtroppo - non sono in grado di rispondere, perché non mi occupai della costituzione della S.G.R.: me ne sono occupato solo a partire dal 27 aprile 1993. Delle discussioni che sono state fatte, quindi, non ho veramente alcuna cognizione. So che, quando la S.G.R. fu costituita (e quindi me ne cominciai ad occupare), ad un certo punto, a distanza di un anno dalla costituzione, lanciammo questo nuovo invito a tutti i creditori ad "entrare": a questo punto le valutazioni erano più facili di quanto potevano essere ex ante. Malgrado ciò, il risultato, come ho detto, fu negativo.

La spiegazione di ciò è che la S.G.R. in realtà non è una società nata per guadagnare, e non lo è volutamente; tale società è nata per accelerare il realizzo e quindi favorire un pagamento, il più possibile celere (sia pure in percentuale fallimentare), dei diritti dei creditori.

Direi che chi ha stimato i beni della Federconsorzi 2.150 miliardi ha dimostrato grande abilità, grande fortuna o tutte e due, perché alla fine il risultato sarà esattamente questo: il giorno in cui S.G.R. depositerà il bilancio finale di liquidazione risulterà da tale atto che la cifra sarà simile, magari con 10 miliardi in più o in meno.

Probabilmente (qui vengo alla Sua domanda, senatore Pasquini) chi decise di non partecipare lo fece perché si rese conto che, partecipando, non avrebbe avuto un'effettiva prospettiva di guadagno, ma avrebbe semplicemente contribuito insieme agli altri creditori a velocizzare l'intervento (e a renderlo più efficace) e quindi ad evitare ciò che purtroppo chi si occupa di procedure fallimentari sa benissimo che si determina, e cioè un'esito decennale delle liquidazioni, con spese ingenti per professionisti, per stime e per pareri, con un contenzioso interminabile e tempi lunghissimi per il realizzo. In altri termini, la S.G.R. è uno strumento che serviva a favorire tutti i creditori della Federconsorzi, e questo ha fatto, tant'è vero che oggi, a distanza di pochi anni dall'apertura della procedura, è già stato distribuito il 40 per cento a tutti i creditori.

Non saprei dirle nulla di più sulla prima domanda che mi ha posto. Sulla seconda domanda, la verità è che l'offerta fatta al tribunale, che poi quest'ultimo ha valutato ed accettato con un provvedimento (quello del marzo 1993) che ha autorizzato la vendita in blocco, era stata già formulata diversi mesi prima ed era l'offerta fatta dal professor Casella, che poi fu affinata, nel senso che vennero aggiunte clausole e vennero previsti altri interventi in favore dei piccoli creditori o dei dipendenti; ma nella sostanza l'offerta era sempre quella ed era stata formulata con riferimento ad un dato preciso: il patrimonio della Fedit al 31 dicembre 1991. Questo perché solo a quella data esiste una relazione del commissario giudiziale, che fa un inventario analitico di tutti i beni della Federconsorzi. Per la verità, trovai le cose già pronte: l'atto-quadro era già stato elaborato dal professor Casella, dal tribunale, dal notaio Mariconda, quindi non mi occupai dei suoi meccanismi giuridici, ma debbo ritenere che la ragione fu quella che Le dico: avrebbe significato perdere altri mesi dover fare un nuovo inventario e verificare che cosa fosse rimasto nella Federconsorzi.

La cifra di 1000 miliardi è eccessiva, senatore Pasquini. Il dottor Rossetti potrà essere più preciso, perché ha tutti i conti, ma mi pare che i beni realizzati erano dell'ordine di qualche centinaio di miliardi, non di più.

CARUSO Antonino. Professor Carbonetti anche ora, rispondendo al senatore Pasquini, ha tenuto a ricordare che lei, della vicenda S.G.R. (e quindi della vicenda di liquidazione dei beni, mediante acquisto da parte di questa società) iniziò ad occuparsi nel momento in cui la predetta società fu costituita. Devo dedurne, quindi, che lei, nell'ambito di Fideuram, di cui era presidente non fu colui il quale assunse la decisione di far aderire Fideuram alla società e quindi istruì la relativa "pratica", per così dire. In connessione a questo, il professor Casella, o meglio l'avvocato Maugeri, nel corso dell'audizione, ci hanno spiegato che in fin dei conti l'opera più complessa da loro svolta non fu tanto la compilazione dell'offerta, a cui dedicarono la prima fase del loro lavoro, ma quella di una mediazione estremamente faticosa con quelli che sarebbero stati poi i futuri soci di S.G.R.. La domanda si completa chiedendo quale fu la necessità di persuasione da parte dell'avvocato Casella nei confronti di Fideuram. Questo è il primo quesito.

CARBONETTI. A questo riguardo sono stato fortunato, perché mi sono fatto inviare le carte relative alla partecipazione di Fideuram in S.G.R. proprio l'altro ieri, e quindi sono in grado di rispondere con precisione alla sua domanda.

La cosa andò in questi termini. L'istruttoria sulla proposta pervenuta dall'avvocato Casella a Fideuram, nel mese di marzo 1993, di partecipare in proporzione al proprio credito al capitale della S.G.R. fu fatta dagli uffici e dall'amministratore delegato, che all'epoca era il ragioner Mario Prati. Peraltro, più o meno negli stessi giorni, ricevetti una telefonata dal professor Capaldo (con il quale, come ho già detto, avevo un rapporto di cordialità) il quale mi disse (non ricordo se ci davamo del lei all'epoca): "Guardi, professor Carbonetti, Casella sta scrivendo a tutti i creditori e ha scritto anche alla banca Fideuram; veda un po' se si può esaminare favorevolmente questa domanda, perché noi incontriamo molte difficoltà con i piccoli creditori, i quali non hanno molta voglia di partecipare a questa società, mentre invece noi siamo convinti che una partecipazione il più possibile ampia potrebbe essere utile. Quindi, se la banca Fideuram potesse dare il buon esempio...". Ecco, questo fu all'incirca il contenuto della conversazione, ma si trattò di una telefonata molto breve e non particolarmente pressante.

Quando, in una riunione del consiglio d'amministrazione del marzo 1993, fu posto all'ordine del giorno il problema "partecipazione di Fideuram alla S.G.R." il ragioner Prati fece una lunga relazione sostanzialmente positiva sull'argomento (che non avevo in alcun modo influenzato come presidente); io poi presi la parola e dissi, per l'appunto, che avevo ricevuto questa telefonata del professor Capaldo e che anch'io caldeggiavo l'adesione di Fideuram: ci fu una deliberazione unanime del consiglio sulla partecipazione. Così andarono le cose.

CARUSO Antonino. Devo dire la verità: la mia è una posizione che diviene progressivamente "incredula", presidente, sulle risposte che ci ha dato il professor Capaldo nel corso della propria audizione. Tutti lo ricordiamo: lui in sostanza disse "detti l'incarico a questo avvocato di Milano", che poi era il professor Casella, "e della cosa mi disinteressai". Quella che lei cita ora mi sembra, detto in maniera rozza, "una telefonata di raccomandazione"...

CARBONETTI. Sì.

CARUSO Antonino. Anzi, direi che - anche in maniera non rozza - "è" una raccomandazione a che Fideuram partecipasse a questo progetto, che evidentemente denota un interesse ed anche un'attenzione, un monitoraggio complessivo dell'andamento di questo progetto forse più alto, ma questo non è un problema che la riguardi.

Facendo un passo indietro, professor Carbonetti, quando lei ha iniziato a riferire, nel corso di questa seduta, ha più volte sottolineato il proprio ruolo di avvocato; lei più volte ci ha detto: "Non sono un dottore commercialista, non faccio stime di aziende; sbaglia il dottor Razzi ad aver individuato il mio parere come un parere di congruità: sono un avvocato".

Allora, esaminando la vicenda Federconsorzi in occasione di quei tre pareri, da avvocato le è venuto il dubbio che la procedura di concordato preventivo potesse non essere la procedura concorsuale dovuta?

Nel corso dei nostri pregressi lavori, più volte si è parlato di un'alternativa possibile al concordato preventivo (diciamo, ad una procedura concorsuale ordinaria) e cioè la liquidazione coatta amministrativa. A lei, da avvocato, pongo una terza via e le chiedo se non si accorse se, per caso, nella struttura oggettiva di Federconsorzi potessero esservi i presupposti perché questa società dovesse – sottolineo dovesse – essere sottoposta a quella procedura concorsuale conosciuta con il nome di legge Prodi?

CARBONETTI. Sarò franco, non me lo sono posto questo problema.

CARUSO Antonino. Una piccola curiosità: chi è stato a riferirle che lo stato del fascicolo del concordato preventivo era in condizioni pietose?

CARBONETTI. Me lo ha riferito il professor Picardi.

CARUSO Antonino. Le ultime due domande. Ritornando a quello che affermavo poc'anzi, lei inizia ad occuparsi di S.G.R. al momento in cui questa diviene operativa. Se ne occupa però in maniera molto ampia – da quello che ho potuto constatare – quasi in funzione di consigliere delegato o, quanto meno, in funzione di consigliere munito di particolari deleghe. Ci vuole spiegare – se lo ricorda – quali furono le vicende che connotarono la mancata assunzione, per ragioni contingenti, del dottor Bambara?

CARBONETTI. E' vero che mi sono occupato in maniera molto approfondita di questo incarico perché ciò fa parte della visione che ho del ruolo dell'amministratore. Ho pochissimi incarichi amministrativi, infatti, ma quelli che ho li svolgo con molto zelo perché ritengo che l'amministratore non debba semplicemente attendere le decisioni del presidente o dell'amministratore delegato. In merito alla vicenda di cui sopra, me ne occupavo studiando i fascicoli e credo che la ragione per cui poi mi fu chiesto di diventare presidente fu proprio perché ci si rese conto che me ne stavo occupando in modo serio.

Ricordo piuttosto vagamente (per cui quello che sto per dire potrà essere soggetto a qualche verifica) che quando S.G.R. fu costituita, Bambara avrebbe dovuto ricoprire l'incarico di direttore generale. Poi, invece, ciò non avvenne. Non ricordo da chi provenisse questa idea, ma quando furono scelte le 70 persone che avrebbero dovuto comporre S.G.R. Bambara veniva considerato come il potenziale direttore. L'idea cadde mi sembra per effetto del coinvolgimento di quest'ultimo in qualche vicenda penale.

CARUSO Antonino. Fu arrestato.

CARBONETTI. Si, ha ragione, fu arrestato e quindi questa idea non ebbe seguito.

CARUSO Antonino. Le idee non nascono mai da sole: se ci deve interessare poco il sapere se fu il professor Capaldo o altri a proporre il dottor Bambara quale direttore generale di S.G.R., occorre rilevare che tale posizione non era assimilabile a quella delle 70 persone che S.G.R. assumeva in qualità di impiegati o quadri; l'idea credo fosse quella di creare una sorta di paracadute anche di tipo sociale con l'assunzione di queste persone, mentre la posizione di Bambara, ripeto, non è assimilabile a queste.

Quindi, indipendentemente dal padre di questa idea, le domando quale fosse la ragione di questo proposito e perché, peraltro, fu incaricato lei di seguire questa vicenda.

Ci può dire, inoltre, quali furono i ragionamenti che furono da lei svolti, occupandosi di questa questione, con l'altro consigliere, il dottor De Palma, il quale si opponeva viceversa fieramente, almeno così mi sembra di leggere, all'assunzione del dottor Bambara?

CARBONETTI. E' vero che il consiglio ci incaricò di studiare il problema della direzione generale, ma non ricordo affatto che vi furono conflitti tra me e l'avvocato De Palma in merito a questa problematica.

CARUSO Antonino. Non parlo di conflitti tra lei e il dottor De Palma; dico semplicemente che quest'ultimo giudicò inopportuna l'assunzione del dottor Bambara.

CARBONETTI. Probabilmente l'avrò giudicata anch'io inopportuna in quel momento. Non vi è stato un momento in cui abbiamo avuto opinioni diverse in merito a questo argomento.

CARUSO Antonino. Il consiglio però alla fine deliberò di assumere il dottor Bambara e l'assunzione materialmente non avvenne perché fu "assunto" in un carcere della Repubblica. Quindi, fu una ragione di tipo fisico ad impedire la cosa.

La domanda allora è questa: chi era favorevole all'assunzione del dottor Bambara e, posto che non intendo criminalizzare nessuno, perché lo era?

CARBONETTI. Il dottor Bambara era una persona che era stata assunta all'interno della struttura della Federconsorzi quasi al termine della sua vicenda con lo scopo di dare esecuzione ad un piano di risanamento che doveva essere deliberato dagli amministratori della Federconsorzi. Bambara, quindi, era un uomo nuovo nella struttura Federconsorzi e mi sembra proprio che venne assunto in Federconsorzi nel 1988-89.

CARUSO Antonino. Nel 1989.

PRESIDENTE. Perché rimanga agli atti Bambara è stato direttore generale dal maggio 1991.

CARBONETTI. Si, ma era già stato assunto da qualche anno. Quindi, rappresentava in qualche modo un candidato naturale perché era una persona non coinvolta nelle cause profonde del dissesto. Il direttore di S.G.R., essendo quest'ultima una società che doveva liquidare e realizzare beni, doveva essere qualcuno che conosceva perfettamente gli immobili, le partecipazioni ed i crediti e, pertanto, sarebbe stato difficile assumerlo dall'esterno. Ripeto, non ricordo chi propose Bambara, ma sembrava che emergesse come candidato naturale.

CARUSO Antonino. Le rivolgo le ultime due domande. Richiamando l'argomento introdotto dal senatore De Carolis, la contessa Pallavicini offrì 12 e poi 52 miliardi; la Coldiretti 72: ma S.G.R. quanti ne chiedeva?

CARBONETTI. Noi ci eravamo dati delle procedure per la vendita degli immobili che dovevano garantire la massima trasparenza perché si sa che mentre i titoli quotati si vendono a prezzo di Borsa, un immobile può essere venduto a 100 o a 105, ma poi è facile che qualcuno dica che avrebbe potuto essere venduto a 5 lire di più. Allora, ci siamo dati delle procedure che prevedevano innanzitutto un'ampia pubblicità sulla stampa circa l'intenzione di vendere con la descrizione dell'immobile. Seguivano la raccolta delle intenzioni (le cosiddette manifestazioni di interesse), l'invito rivolto a tutti coloro che avevano manifestato interesse ad un'asta da svolgersi davanti ad un notaio (era il notaio Mariconda che se ne occupava), asta che partiva da un prezzo base pari alla maggiore delle offerte fatte da chi aveva manifestato l'interesse. Con questo meccanismo il consiglio di amministrazione creò una strada ben tracciata per cui, alla fine, non ci occupammo molto delle vendite immobiliari perché ne era incaricata la struttura. Veniva pubblicizzata, quindi, l'offerta a cui facero seguito le manifestazioni di interesse e l'asta davanti al notaio; chi vinceva la gara sarebbe stato poi l'aggiudicatario. Pertanto, come amministratori, ci occupavamo di tutti quei casi in cui questa procedura non funzionava perché, malgrado fosse stata attuata, non aveva dato nessun risultato. Questo è il caso del palazzo Rospigliosi. A questo punto, dovevamo avere un punto di riferimento, un parametro per decidere perché dire no alla Pallavicini quando ci offriva 52 miliardi e sì alla Coldiretti quando ne offriva 72. Il primo punto di riferimento era che noi, in quanto incaricati di realizzare il patrimonio, dovevamo vendere; tenere l'immobile e non venderlo non avrebbe rappresentato una soluzione, ma, d'altra parte, non era neanche una soluzione venderlo ad un prezzo palesemente incongruo. Decidemmo allora di affidarci alla valutazione di una società americana considerata il numero uno nel mondo che si chiama Richard Ellis la quale ha un filiale italiana; ad essa chiedemmo di assisterci nella procedura di valutazione. Richard Ellis, se non ricordo male – pregherò il dottor Rossetti di portare la documentazione al riguardo - valutò l'immobile mi pare (ma non ricordo bene) 65 miliardi. Considerammo questo come un prezzo congruo. Quindi, trattammo con Coldiretti – non ricordo se fui io a trattare o qualcun altro – e si riuscì a spuntare un prezzo ancora migliore che fu quello di 72 miliardi.

CARUSO Antonino. Avvocato Carbonetti, desidero porle un'ultima domanda. Intendo riferirmi al settembre 1993 - quindi a circa cinque mesi dal momento in cui fu costituita la S.G.R. - fase in cui ci si pose il problema, precedentemente evocato, della pubblicità che si sarebbe dovuta praticare per ampliare i partecipanti al capitale.

Da quanto ho potuto verificare, nel corso di una delle seduta tenute dal consiglio di amministrazione della S.G.R., venne sollevato un problema che francamente mi sembra risibile. Mi riferisco cioè al fatto che venne in qualche modo adombrata la possibilità che la Consob intervenisse, censurando la pubblicità che la S.G.R. era stata obbligata ad effettuare per pubblicizzare la partecipazione al suo capitale, come sollecitazione al risparmio. Posto che la partecipazione al capitale della S.G.R. era riservata ai creditori della Federconsorzi - e quindi non era rivolta a tutti - ritengo sinceramente che si trattasse di una preoccupazione stravagante. Tale consiglio di amministrazione si concluse poi con una riserva di approfondimento - sollecitata proprio da parte sua, avvocato Carbonetti - di queste tematiche al fine di decidere se la S.G.R. dovesse o meno effettuare questa pubblicità.

A tale proposito le chiedo se ricordi questo fatto da me menzionato e a quali conclusioni in definitiva lei pervenne riguardo al problema della trasparenza della partecipazione al capitale della S.G.R..

PRESIDENTE. Le chiedo scusa, senatore Caruso, lei non era presente quando ho dato alcune comunicazioni che vanno proprio ad integrazione di quanto da lei testé affermato, tant'è vero che noi abbiamo richiesto espressamente al dottor Rossetti – la cui audizione è in programma per giovedì prossimo – tra le altre documentazioni, di farci pervenire quella relativa alla pubblicità data a tutti i creditori Fedit della costituzione della società e quindi sia della possibilità di aderirvi che delle relative condizioni. Speriamo quindi di venire in possesso per tempo di questi dati.

CARBONETTI. Senatore Caruso, per la verità la questione non era risibile. Sono stato a capo dell'area giuridica della Consob e posso dirle che la posizione di questo istituto in materia di sollecitazione del pubblico risparmio è molto rigida. Intendo dire che la Consob non assume ai fini della qualificazione come sollecitazione pubblica il concetto civilistico di offerta al pubblico, cioè dell'offerta in incertam personam che noi, in base al diritto romano, siamo abituati a considerare tale. Per la Consob è offerta al pubblico anche quella rivolta a persone identificate sulla base dell'appartenenza ad una categoria. Ciò è comprensibile perché un'offerta sottoposta ai soci di una società è un'offerta rivolta ad una cerchia determinata di persone, tuttavia, implica un'esigenza di informazione che è alla base appunto della disciplina Consob.

Torno a ripetere che la posizione della Consob è basata su una disciplina molto restrittiva e quindi il problema non era così risibile come da lei evidenziato. In ogni caso, si arrivò alla conclusione che fosse consentito inviare una lettera uniforme ai creditori ancora non partecipanti per indicare loro la possibilità di aderire alle stesse condizioni degli altri soggetti.

MAGNALBO'. Signor Presidente, desidero rivolgere due brevi domande all'avvocato Carbonetti in ordine ad un aspetto che ritengo molto importante e che i fatti, nella loro obiettività, evidenziano in tutti gli atti: mi riferisco cioè all'eventuale esistenza in questa vicenda di un determinato elemento psicologico.

A tale proposito, avvocato Carbonetti, francamente non ho ben compreso due questioni che si riflettono in un unico modo di comportarsi e cioè in una certa disinvoltura in questa vicenda sia per quanto attiene l'assunzione dei ruoli, sia per ciò che concerne l'atto-quadro.

Riguardo al problema dell'assunzione dei ruoli, ho osservato come costantemente e sistematicamente gli stessi personaggi ricoprano o abbiano ricoperto incarichi sia da una parte che dall'altra in situazioni che poi si sono rivelate non solo ambivalenti, ma anche antitetiche tra di loro.

La domanda che mi pongo è come mai in tutta questa storia nessuno abbia pensato – se non altro per motivi deontologici - che non fosse corretto, come ad esempio nel caso del professor Capaldo, essere consulente della Fedit e poi subito dopo togliere di dosso questo abito per diventare, dall'altra parte, il consulente di tutto il sistema bancario che operò con la Federconsorzi. Per quanto la riguarda, avvocato Carbonetti - che è bravissimo anche a fare dei bilanci, come traspare dalla presente audizione - come mai non si pose il problema deontologico, e mi rivolgo come avvocato ad un collega? Come mai, ripeto, dal momento che aveva fornito quelle famose consulenze al presidente Greco – consulenze molto chiacchierate e che non si sapeva che fine avessero fatto - lei assunse così disinvoltamente il ruolo prima di amministratore e poi di presidente della S.G.R.?

Si trattava soltanto di disinvoltura, o dobbiamo ritenere che questa ambivalenza sistematica e costante facesse parte di un disegno che definirei "operativo" tra tutti coloro che agirono in queste circostanze?

Passo adesso alla questione dell'atto-quadro. Al riguardo Lei si è riferito al diritto romano affermando di esserne un cultore; ebbene, come ho precedentemente dichiarato, a mio avviso questo atto-quadro non ha precedenti nel sistema giuridico occidentale a partire da prima di Giustiniano. Si tratta, infatti, di un atto di cui non vi è la possibilità di conoscere la natura e rispetto al quale traspare una colossale evasione fiscale - o per lo meno l'intenzione - dal momento che il doppio passaggio a cui si fa riferimento serve soltanto allo scopo di evadere e non per risparmiare delle modalità operative o per semplificare. Vorrei quindi al riguardo sapere cosa sia in realtà successo sotto il profilo psicologico.

CARBONETTI. Senatore Magnalbò, debbo innanzitutto respingere la Sua definizione di disinvoltura riguardo al mio comportamento. Innanzitutto, mi posi il problema deontologico, ma proprio a tale riguardo desidero sottolineare che le consulenze che avevo in precedenza fornito al tribunale fallimentare, all'epoca in cui assunsi la carica di amministratore della S.G.R. (aprile 1993) non erano affatto "chiacchierate" ma, al contrario, elogiate. A mio avviso il problema deontologico si sarebbe posto se avessi assistito in un conflitto prima una parte e poi l'altra, mentre invece le mie erano consulenze alla procedura, volte cioè a verificare le cause del dissesto della Federconsorzi. Le Signorie loro avranno avuto forse modo di valutare i due volumi relativi alla consulenza fornita ad opera mia e dei professori Martellini e Sica; si tratta un lavoro di cui sono orgoglioso per la sua serietà e indipendenza. Inoltre, le consulenze fornite al dottor Greco non avevano niente a che vedere con la mia nomina ad amministratore della S.G.R.; infatti, nell'aprile del 1993, quando assunsi quella carica, tali consulenze appartenevano ormai ad un passato che non aveva avuto alcun effetto su quanto si verificò successivamente, tant'è vero che i pareri da me forniti non furono mai citati, né presi in considerazione da alcun atto giudiziario. Probabilmente le banche mi chiesero di diventare amministratore della S.G.R. in quanto ero il presidente di una della banche piccole azioniste, perché ero una persona perbene – come dimostrato dal mio passato professionale – e, soprattutto, già al corrente della situazione e che quindi non avevo la necessità di imparare tutto della vicenda.

Sono quindi del parere che non sia ravvisabile in questa situazione alcun problema di tipo deontologico.

Desidero inoltre sottolineare che assunsi la carica di amministratore della S.G.R. e poi di presidente, per spirito di servizio verso il sistema bancario e la Banca d'Italia, infatti ho ricoperto e ricopro questo ruolo per un compenso di venti milioni l'anno; ripeto che amministro un patrimonio di centinaia di miliardi per venti milioni l'anno e, quindi, per un compenso del tutto simbolico.

Quanto al problema dell'atto-quadro e dell'evasione fiscale, faccio presente che esso - come tutti gli atti importanti della procedura - sotto il profilo fiscale, fu esaminato da due studi prestigiosi, precisamente dallo studio Fantozzi per conto della procedura Federconsorzi e dallo studio Tremonti per conto della S.G.R. e ambedue diedero un parere di perfetta liceità fiscale.

MAGNALBO'. Lei ha citato la società Richard Ellis, vorrei sapere chi era all'epoca il fiduciario della divisione italiana della società.

CARBONETTI. I rapporti con la Richard Ellis li tenne il dottor Rossetti. Io non incontrai alcun rappresentante della società e quindi non so risponderLe.

CARUSO Antonino. Signor presidente, vorrei farle una richiesta. Il professor Carbonetti, con riferimento alla vicenda fiscale dell'atto-quadro, oggi ha affermato che sono stati assunti due pareri, uno da parte dello studio Fantozzi, l'altro da parte del professor Tremonti. Tutti i colleghi che hanno partecipato all'audizione del professor Casella ricordano che, a precisa domanda, egli ha escluso che fossero stati acquisiti pareri mirati ad accertare la liceità tributaria e fiscale dell'operazione. Chiedo pertanto che la Presidenza disponga l'acquisizione, presso gli studi Fantozzi e Tremonti, dei pareri citati dal professor Carbonetti.

CARBONETTI. Premetto che ho risposto a memoria. Lo studio legale Fantozzi seguiva sotto il profilo fiscale le vicende della Federconsorzi, mentre lo studio legale Tremonti seguiva, sempre sotto il profilo fiscale, le vicende della S.G.R.. Da ciò deduco logicamente che di fronte ad un atto importante come l'atto-quadro i due studi siano stati sentiti, ma si tratta di una mia deduzione logica. In ogni caso, poiché dopodomani è prevista l'audizione del dottor Rossetti, potrete chiedere direttamente a lui ed egli potrà senz'altro essere più preciso sul punto. PRESIDENTE. Comunque, nell'eventualità esistessero, vedremo come acquisire questi pareri dal punto di vista istruttorio. Professor Carbonetti, da precedenti audizioni, non esclusa quella del professor Casella, abbiamo appreso che la vicenda relativa alla cessio bonorum era tanto complessa da richiedere una serie di riunioni – si parlò poi di udienze – tra chi doveva predisporre l'atto-quadro e chi lo doveva convalidare. La natura giuridica dell'atto-quadro, nella misura in cui ciascuno ne dà una definizione propria, appare molto incerta. Ricordo di aver fatto alcune esemplificazioni all'avvocato Casella per capire se si trattava di un contratto per persona da nominare, di un contratto preliminare o di altro. Nella sostanza parrebbe che di tutto si possa parlare tranne che di una cessio bonorum. Lei oggi ci conferma che esso non configurava una vendita in blocco, ma una vendita per persona da nominare dal momento che, di volta in volta, la S.G.R. si riservava di indicare all'amministrazione giudiziale un acquirente.

Lei, dal momento che di fatto non vi fu una vendita in blocco, ritiene che l'atto-quadro non configuri in fin dei conti una cessio bonorum?

CARBONETTI. Premetto che dell'atto-quadro non mi sono interessato.

PRESIDENTE. Le chiedevo solo un'opinione.

CARBONETTI. Come amministratore partecipai ovviamente alla delibera del Consiglio di amministrazione della S.G.R. che decise di sottoscrivere l'atto-quadro, ma non partecipai alla sua stesura. In realtà l'atto-quadro è una vendita in blocco di tutti i beni, accompagnata però da una clausola che per ragioni di economia degli atti giuridici prevedeva che gli atti di trasferimento …

PRESIDENTE. Quindi nominalmente era una vendita in blocco, ma la clausola riqualificava l'intero contratto sotto aspetti diversi.

CARBONETTI. Signor Presidente, la clausola in realtà non fu utilizzata molto e la maggior parte dei beni fu trasferita.

PRESIDENTE. Ma il trasferimento è sempre avvenuto per singoli cespiti.

CARBONETTI. Si trattava di una vendita in blocco. Il mio dubbio personale era se essa avesse natura di contratto preliminare di vendita o di contratto di vendita definitivo.

PRESIDENTE. In sostanza, fino ad oggi la liquidazione dei beni è stata sempre effettuata per singoli cespiti?

CARBONETTI. Cercherò di spiegarmi. Nel corso del tempo si trasferirono blocchi di cespiti (immobili, crediti, partecipazioni azionarie e così via), fino al momento in cui la S.G.R. aveva pagato quasi tutto e la Federconsorzi doveva trasferire ancora i crediti MAF ed altri crediti verso lo Stato e verso l'AIMA.

PRESIDENTE. Mi scusi professore, le ho rivolto questa domanda per conoscere la Sua opinione. Il mio intento è avere una definizione giuridica di questo famoso atto-quadro e sapere se a seguito della sua formulazione c'è stata una vendita in blocco o per singoli cespiti. Le modalità di esecuzione della vendita in base a quella clausola non sembrerebbero configurare una cessio bonorum o una vendita in blocco.

CARBONETTI. Mi permetto di dissentire. L'atto-quadro aveva per oggetto la vendita di tutti i beni della Federconsorzi; quindi si trattava di una vendita in blocco.

PRESIDENTE. Nel senso dell'esclusiva?

CARBONETTI. No, per me era una vendita in quanto veniva individuato sia l'oggetto che il prezzo e quindi vi erano gli elementi essenziali della compravendita. Però, delle due l'una: o lo si considerava un contratto preliminare di vendita da eseguirsi in maniera frazionata o – secondo la tesi del notaio Mariconda, professore di diritto civile che si era occupato della stesura stessa dell'atto – una vendita definitiva in blocco a cui si dava esecuzione mediante singoli atti di trasferimento.

PRESIDENTE. Torniamo un attimo agli appunti che – come lei ha detto - contengono dei pareri. Negli allegati che ha depositato agli atti della Commissione non trovo la lettera di incarico con i quesiti che il presidente Greco le avrebbe commissionato circa l'espressione dei pareri. Dalla forma in cui sono redatti non sembrano pareri espressi nelle modalità prescritte, anche ai fini della materiale liquidazione dell'onorario, e forniti in base ad un quesito preciso da parte di colui che richiede il parere; sembrano piuttosto degli appunti cui non corrisponde un incarico formale da parte del tribunale o del presidente Greco. In sostanza, sembrerebbero piuttosto delle consulenze – mi perdoni il termine – di conforto alla decisione del presidente del tribunale di accedere ad una certa soluzione in ordine al concordato e alle vicende ad esso legate. Ripeto, sembrano degli appunti il cui contenuto comprende anche una valutazione sulla congruità dell'atto. In essi, tra l'altro, non trovo neanche l'indicazione dell'organo a cui dovevano essere diretti.

CARBONETTI. Nella mia pratica di studio anch'io non ho trovato il provvedimento e quindi può darsi che non vi sia. All'epoca – come ho già riferito – partecipavo all'analisi dei bilanci della Federconsorzi e frequentavo quasi quotidianamente il tribunale fallimentare, il che mi dava modo di avere scambi di vedute con il presidente Greco e con il commissario giudiziale, professor Picardi. Quindi, potrebbe darsi che siano appunti fatti sulla base di quesiti verbali del tipo: come possono essere spiegati, sotto il profilo dei criteri applicabili, le differenze fra le cifre che ho detto; questo non lo posso escludere.

PRESIDENTE. Quindi, lei era in un rapporto "personale" - mi consenta di dirlo - con il presidente Greco, se questi le ha chiesto di dare un suggerimento se questa procedura andava bene così oppure non andava bene, e lei ha corrisposto con degli appunti, che tra l'altro non contengono neanche il destinatario, quindi, devo ritenere che fossero degli appunti ad personam dati al presidente Greco; se così è, non mi spiego dal punto di vista formale neanche - mi perdoni - la liquidazione successiva, mancando formalmente il presupposto della sua...

CARBONETTI. Non vedo come si possa distinguere tra la posizione personale e quella dell'organo, signor Presidente.

PRESIDENTE. Tant'è, però, che questi appunti sono spariti dal fascicolo. Possono essere spariti per quelle vicende di sequestri da parte dell'autorità penale, quindi una dispersione del fascicolo, però la veste formale non era di un parere reso ad un organo, erano degli appunti diretti non so a chi. Lei oggi me li dà, li registro come tali, però non avevano una destinazione formale ad un organo giudiziario, dal quale tra l'altro formalmente non erano stati richiesti.

CARBONETTI. Ne aveva copia il professor Picardi nel suo archivio personale, quindi evidentemente erano andati alla procedura.

PRESIDENTE. Sentiremo il professor Picardi sotto questo aspetto, ma - ripeto - volevo sapere qual era il rapporto che legava lei e il presidente Greco per avere questa relazione o questi appunti sulla congruità dei valori; perché l'intestazione degli appunti in entrambi i casi reca: "Sui criteri di determinazione del valore dei beni della Federconsorzi", quindi era una consulenza sulla congruità dei valori, indipendentemente da quello che lei mi ha detto poco fa.

CARBONETTI. Mi permetto di dissentire, perché una cosa è la congruità, un'altra i criteri. Il problema era: quali sono i criteri che presiedono alla formazione di un bilancio, i criteri che presiedono alla formazione di una stima di presumibile realizzo, i criteri che presiedono alla formulazione di un'offerta negoziale; mi sono ben guardato dal dire - e La invito a leggere il parere - se i 2.150 miliardi offerti dal piano Capaldo erano un prezzo congruo, non potevo dirlo e non c'era nessun elemento per dirlo.

PRESIDENTE. Forse avrà sentito parlare, professor Carbonetti, di una proposta Roveraro nella vicenda. Mi può dare una conferma?

CARBONETTI. Non ne sapevo niente, signor Presidente. Ne ho sentito parlare dopo, leggendo le carte del processo.

PRESIDENTE. La proposta Roveraro si divideva in due parti: la prima, riguardava la liquidazione dei beni della Federconsorzi, la seconda, riguardava la gestione della rete commerciale dei consorzi agrari. Parrebbe - e così appare - che nei progetti della S.G.R. la seconda parte non ci fosse, ma che la società si occupasse della prima parte in una forma che io molto pragmaticamente ho definito di "recupero crediti"; in fin dei conti è questo l'aspetto formale che ad oggi traspare della S.G.R.. Però, in una lettera - di cui le posso offrire in visione - da lei diretta all'avvocato Daniele Discepolo, del 15 ottobre 1998, pareva che lei si preoccupasse, o lei per S.G.R., di quella che poteva essere la sistemazione definitiva dei consorzi agrari.

Le domando, allora, se era appetibile la ramificazione della rete commerciale dei CAP o, altrimenti, qual era l'interesse del risanamento dei CAP, e viceversa.

CARBONETTI. La ringrazio della domanda, signor Presidente. La lettera è del 1998 e si inserisce in un'attività svolta dalla S.G.R. nel tentativo di ottenere dal dottor Razzi e dal GIP la revoca dei sequestri. Ricordo che i sequestri avevano avuto per oggetto il pacchetto della Banca nazionale dell'agricoltura e i pacchetti delle tre società immobiliari, oltre che tutti i crediti verso il MAF.

Questo sequestro aveva creato - e crea ancora - una situazione di grave difficoltà alla S.G.R., che non è in grado di realizzare questi beni e con il ricavato di pagare i propri debiti. Uno dei tanti tentativi che si fecero per ottenere il dissequestro, fu quello di proporre al dottor Razzi uno scambio: in cambio, cioè, del dissequestro del pacchetto della BNA e delle tre società immobiliari che rappresentano cespiti realizzabili, proponevamo il sequestro di crediti, per un valore nominale di circa 1000 miliardi, nei confronti dei consorzi agrari in liquidazione coatta amministrativa (crediti ai quali noi attribuiamo un valore zero, ma ai quali il dottor Razzi invece attribuisce un valore di circa 300 miliardi).

PRESIDENTE. Pare, però, che ultimamente questi 1000 miliardi cominciano ad avere una loro "sostanziazione".

CARBONETTI. No, questi non sono i crediti verso il MAF, ma quelli verso i consorzi agrari, quindi valgono veramente zero.

Allora, nel tentativo di convincere la Procura della Repubblica a questo scambio, cercammo di avere anche l'alleanza degli stessi consorzi agrari, l'avvocato Discepolo è un avvocato di fiducia dei consorzi agrari, e cercammo di convincere anche l'avvocato Lettera. Dato che per noi questi crediti valevano poco o niente, proponevamo che, se ce li avessero sequestrati, saremmo stati disponibili a fare in seguito una serie di transazioni tra la S.G.R. e i singoli consorzi agrari che, insieme al recupero dei crediti MAF da parte dei consorzi agrari, avrebbero potuto consentire ad alcuni dei essi o a molti di essi di proporre delle soluzioni concordatarie per uscire dalla soluzione di insolvenza. E' in questo quadro che si inserisce quella lettera. Noi come S.G.R. non avevamo l'obiettivo di gestire il risanamento, eravamo disposti solo a contribuire facendo delle transazioni sui nostri crediti.

PRESIDENTE. Crediti della S.G.R. nei confronti dei CAP?

CARBONETTI. Sì, signor Presidente.

PRESIDENTE. Se nessun altro dei colleghi ha ulteriori domande da porre, ringrazio il professor Carbonetti per le delucidazioni che ha voluto darci e dichiaro conclusa l'audizione.

La Commissione tornerà a riunirsi giovedì 8 luglio 1999, alle ore 14 per procedere all'audizione del dottor Antonio Rossetti.

I lavori terminano alle ore 13,20.