Attraverso lo specchio/IV
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Traduzione dall'inglese di Silvio Spaventa Filippi (1914)
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Essi se ne stavano sotto un albero, ciascuno con un braccio intorno al collo dell’altro, e Alice seppe subito chi fosse l’uno e chi l’altro; perchè uno aveva un "Dum" ricamato sul collare e l’altro un "Dì".
"Certo tutti e due portano scritto "Tuiddle di dietro sul collare", ella disse fra sè.
Se ne stavano così calmi, che ella dimenticando assolutamente ch’erano vivi, stava per girar loro intorno per veder la parola "Tuiddle" scritta di dietro sul collare, quando fu sorpresa da una voce che veniva da quello segnato "Dum".
— Se credi che noi siamo statue di cera, — egli disse, — avresti dovuto pagare, sai. Le statue di cera non sono fatte per esser vedute gratis. No.
— Viceversa, — aggiunse quello segnato "Dì" — se credi che siamo vivi, avresti dovuto parlare.
— Mi dispiace tanto, — fu tutto ciò che Alice potè dire, perchè le parole d’una vecchia canzone continuavano a risonarle nel cervello come il tic-tac d’un pendolo, ed ella non potè fare a meno dal gridare:
Tuidledum e Tuidledì
si sfidarono a duello:
Tuidledum a Tuidledì
avea rotto un campanello.
Proprio allora volò un corvo
nero assai più della pece:
ei guardò gli eroi sì torvo
che ambedue scappar li fece.
— Io so a che pensi, — disse Tuidledum, — ma non e così, no.
— Viceversa, — continuò Tuidledì, — se fosse così, potrebbe essere; e se fosse così, sarebbe; ma siccome non è, non è. È logico.
— Io cercavo, — disse Alice molto cortesemente, — la via per uscire dal bosco: si fa così scuro! Volete farmi il favore d’indicarmela?
Ma i due grassi omini si guardarono l’un l’altro e sogghignarono.
Somigliavano così esattamente a un paio di grossi e grassi scolaretti, che Alice non potè fare a meno dall’indicare col dito Tuidledum e dire:
— Caposquadra!
— No, — esclamò vivacemente Tuidledum, e richiuse la bocca con uno scrocchio.
— Vice-caposquadra! — disse Alice, passando a Tuidledì, sebbene fosse assolutamente certa ch’egli avrebbe risposto "Viceversa!" come infatti rispose.
— Hai cominciato male! — esclamò Tuidledum. — La prima cosa da fare in una visita è di dire: "Come state?" e stringer le mani.
E qui i due fratelli si diedero un abbraccio, e poi sporsero le mani che erano libere per stringer la mano ad Alice.
Alice non voleva stringer prima la mano di uno per tema di offender la suscettibilità dell’altro; così, per cavarsi dalla difficoltà, s’impossessò delle due mani insieme. Il momento dopo essi stavano danzando in circolo. Questo le sembrò una cosa naturalissima (essa dopo se ne ricordò), e neanche fu sorpresa d’udir sonare una musica che veniva dall’albero sotto il quale danzavano, ed era fatta (a quel che si poteva intendere) dai rami che si sfregavan gli uni attraverso gli altri come violini ed archi.
— Ma certo fu buffo, (diceva Alice dopo, narrando la storia di tutto alla sorella) sorprendermi a cantare "Ecco l’ambasciatore". Non so quando cominciassi, ma è certo che avevo cantato per tanto tempo.
Gli altri due ballerini che erano grossi e grassi, rimasero presto senza fiato.
— Fare quattro giri in una danza è già troppo, — balbettò Tuidledum, e improvvisamente essi interruppero il ballo come improvvisamente l’avevano incominciato: nello stesso momento cessò la musica.
Allora essi lasciarono le mani di Alice, e la stettero a guardare per un minuto: vi fu una pausa piuttosto imbarazzante, perchè Alice non sapeva come cominciare una conversazione con persone con le quali aveva poco prima ballato:
— Ora non starebbe bene dire: "Come state?" — essa si diceva — siamo arrivati già più lontano di questo, mi pare.
E poi finalmente disse:
— Spero che non siate stanchi.
— Niente affatto. E grazie molte per averlo domandato, — disse Tuidledum.
— Obbligatissimo, — aggiunse Tuidledì. Ti piace la poesia?
— S...ì, piuttosto... un po’ di poesia — disse Alice dubbiosa. — Mi indichereste la strada che conduce fuori del bosco?
— Che cosa le reciterò? — disse Tuidledì, guardando con uno sguardo solenne Tuidledum, e non raccogliendo l’osservazione di Alice.
— Il Tricheco e il Legnaiuolo è la più lunga, — rispose Tuidledum, dando al fratello un abbraccio affettuoso.
Tuidledì cominciò immediatamente:
Dardeggiava il sol sul mare
Qui Alice s’arrischiò a interromperlo:
— Se è molto lunga, — disse nella sua più cortese maniera, — mi fareste il favore di dirmi prima qual’è la strada... Tuidledì sorrise con affabilità, e cominciò di nuovo:
Dardeggiava il sol sul mare
col suo massimo vigore,
chè volea l’acqua appianare
e prestarle il suo splendore.
Strana idea, ch’era già notte
fonda come in una botte.
Ahi, la luna a viso afflitto
su lucea languidamente,
e dicea: "Con che diritto
a quest’ora è il sol presente ?
È scortese, e dico poco,
a guastarmi così il giuoco."
Era il mar più che bagnato,
più che asciutta era la rena:
senza nubi il ciel stellato,
perchè l’aria era serena;
non volava uccello alcuno...
non ce n’era neppur uno.
Camminavan con piacere
il Tricheco e il Legnaiuolo,
ma che pianto nel vedere
tanta sabbia sparsa al suolo!
Disser tosto, senza asprezza:
"Se si spazza, che bellezza!
Se tre serve con tre panni
stesser notte e dì a spazzare"
fe’ il Tricheco — "in tre o quattr’anni,
la potrebbero levare."
"Chi sa!" — fece il Legnaiuolo,
e piangea da un occhio solo.
"O bell’Ostriche, sul lido
come è dolce passeggiare!"
fe’ il Tricheco: "Il vostro nido
or lasciate in fondo al mare;
ed in nostra compagnia
state un poco in allegria."
Lo guardò l’Ostrica vecchia,
ma una sillaba non disse,
strizzò l’occhio e in un’orecchia
un’unghietta si confisse,
quasi a dir di non volere
di lì togliersi a giacere.
Ma tre Ostriche piccine
accettarono l’invito,
ed uscir con le vestine
bianche e il viso assai pulito,
senza piedi — è naturale —
ma con scarpe di coppale.
Altre tre seguir le prime,
poi tre altre in un istante,
ed infine sulle cime
delle spume, tante e tante,
che saltando d’onda in onda
s’aggrappavano alla sponda.
Il Tricheco e il Legnaiuolo
si diresser lungo il mare,
e sull’argine del molo
stetter quindi a riposare.
Tutte in fila, curiosette
aspettavan le Ostrichette.
"È già l’ora" fe’ il Tricheco,
"di parlar di molte cose,
di corazze... e scarpe... e greco,
di prezzemolo e di rose,
e perchè di marmo è il mare,
e se il bue sta sull’alare."
Disser l’Ostriche: "Aspettate
un momento pel discorso;
siamo grasse e siam sudate,
più d’un miglio abbiamo corso!"
Fece il Legnaiuolo: "Bene,
riposarvi vi conviene."
"Ciò che occorre sopratutto",
fe’ il Tricheco, "è un po’ di pane,
pepe, aceto, burro e tutto,
per il pasto di stamane.
Siete già, Ostriche care,
pronte per il desinare?"
"Non con noi!" gridâro a un tratto
tutte le Ostriche atterrite,
"voi, così gentili, un atto
così fello concepite?"
"Bella notte!" fe’ il Tricheco:
"ammirate il cielo meco?
Con voi tutto io mi consolo,
squisitissime Ostrichette."
Interruppe il Legnaiuolo:
"Son sottili queste fette,
falle grosse; ho un appetito,
formidabile, inaudito!"
"È un infamia questo tiro",
fe’ il Tricheco. "Poverine!
dopo un così lungo giro
macerarle in salsa fine!"
L’altro fe’ con un sussurro:
"Spargi, caro, molto burro."
"Per voi piango," fe’ il Tricheco,
con parole assai commosse.
Ne ripete i pianti l’eco,
mentre ei sceglie le più grosse,
e di lagrime un ruscello
va asciugandosi bel bello!
Disse il Legnaiuolo: "Care
mie, la gita è stata bella!
Se tornar volete al mare,
ce n’andremo in comunella."
Ma — mangiate ad una ad una —
non rispose — ahimè! — nessuna.
— Mi piace più il Tricheco, — disse Alice: — perchè era un po’ rattristato per le povere ostriche!
— Egli mangiò più del Legnaiuolo, però, — disse Tuidledì. — E si teneva il fazzoletto in faccia, in modo che il Legnaiuolo non potè contare quante se ne prendeva... viceversa!
— Questa fu una viltà, — disse Alice indignata. — Allora mi piace più il Legnaiuolo, se ne mangiò meno del Tricheco.
— Ma egli ne mangiò più che ne potè, disse Tuidledum.
Era come un indovinello. Dopo una pausa, Alice cominciò:
— Allora erano due cattivi...
Si frenò subito, in apprensione, all’udir come uno sbuffo di locomotiva nel bosco, accanto a lei, pur temendo invece che più probabilmente fosse una bestia feroce.
— Bazzicano dei leoni e delle tigri qui? chiese timidamente.
— È il Re Rosso che russa, — disse Tuidledum.
Onestamente Alice non poteva dir che cosa fosse. Egli aveva in testa un alto berretto rosso, con un’etichetta, e se ne stava rannicchiato quasi come in un mucchio polveroso, russando sonoramente, "quasi che la testa dovesse esplodergli", come notò Tuidledum.
— Temo che si acchiapperà un raffreddore col dormire sull’erba umida, — disse Alice, che era una bambina assai cauta.
— Ora egli sogna, — disse Tuidledì, — e che credi che sogni?
Alice disse:
— Nessuno lo può indovinare.
— Sogna di te! — esclamò Tuidledì, battendo le mani con aria di trionfo. — E se cessasse di sognare di te, dove credi che tu saresti?
— Dove sono ora, naturalmente, — disse Alice.
— Niente affatto, — ribattè Tuidledì con tono di sprezzo; — non saresti in nessuna parte. Perchè tu sei soltanto una specie d’idea nel suo sogno.
— Se il Re si dovesse svegliare, — aggiunse Tuidledum, — tu ti spegneresti... puf!... proprio come una candela.
— Non è vero! — esclamò Alice indignata. — E poi, se io sono una specie d’idea nel suo sogno, mi piacerebbe di sapere che cosa siete voi.
— Idem, — disse Tuidledum.
— Idem, idem, — gridò Tuidledì.
E strillò tanto che Alice non potè fare a meno di dire:
— Zitto! Lo sveglierai, se fai tanto rumore.
— È inutile di parlare di svegliarlo, —; disse Tuidledum, — quando sei soltanto un’idea nel suo sogno. Sai benissimo che non sei vera.
— Io sono vera! — disse Alice, e cominciò a piangere.
— E inutile piangere, tanto non diverrai più vera col piangere, — osservò Tuidledì. Non v’è ragione di piangere.
— Se io non fossi vera, — disse Alice, sorridendo un poco a traverso le lagrime (tutto le sembrava così ridicolo) — non potrei piangere.
— Non crederai, spero, che le tue siano lagrime vere? — la interruppe Tuidledum con tono di grande disprezzo.
— Io so che essi dicono delle sciocchezze, diceva fra sè Alice, — ed è stupido piangere.
Così si asciugò le lagrime, e continuò più allegramente che potè:
— A ogni modo, sarebbe meglio uscire dal bosco, perchè si fa veramente molto buio. Credete che si metterà a piovere?
Tuidledum spiegò un grosso ombrello sulla sua testa e su quella del fratello, e guardò di fra le stecche.
— No, credo di no, — egli disse, — almeno qui sotto. Niente affatto.
— Ma pioverà al di fuori?
— Se così vuole, — disse Tuidledì: — noi non obiettiamo. Viceversa...
"Egoisti!" — pensò Alice, e stava appunto per dire "Buona sera" e lasciarli, quando Tuidledum fece un salto di sotto l’ombrello, e l’afferrò per il polso.
— Vedi questo? — egli disse, con voce d’ira soffocata, e gli occhi gli si spalancarono e s’ingiallirono in un istante, mentre indicava col dito tremante un piccolo oggetto bianco sotto l’albero.
— Ebbene, è un sonaglio, — disse Alice dopo un attento esame del piccolo oggetto bianco. Sai, non un serpente a sonagli, — aggiunse in fretta per tema di spaventarlo, — ma un sonaglietto vecchio e rotto per giunta.
— Lo sapevo! — gridò Tuidledum, cominciando a pestare i piedi e a strapparsi i capelli con ira selvaggia. — È guasto, naturalmente.
— E si mise a fissare Tuidledì, che immediatamente si sedette in terra e cercò di nascondersi sotto l’ombrello.
Alice gli mise la mano su un braccio, e disse, in tono carezzevole:
Perchè devi disperarti per un sonaglio vecchio?
— Ma non è vecchio! — esclamò Tuidledum più furioso che mai. — È nuovo, ti dico... l’ho comprato ieri,... il mio bel sonaglio nuovo! — e la sua voce si levò in un perfetto urlo.
Durante questo tempo, Tuidledì faceva del suo meglio per chiuder l’ombrello e nascondervisi; ma la cosa era così ardua, che l’attenzione di Alice fu distolta dal fratello in collera. Ma Tuidledì, per quanto facesse, non ci riuscì, e finì con l’arrotolarsi insieme con l’ombrello, lasciando la testa fuori; e così rimase, aprendo e chiudendo la bocca e gli occhi... "da sembrare piuttosto un pesce che altro", pensò Alice.
— Naturalmente è necessario fare un duello, — disse Tuidledum con tono più calmo.
— Credo di sì, — rispose l’altro imbronciato, uscendo fuori dell’ombrello: — soltanto è necessario ch’essa ci vesta.
Così i due fratelli andarono a braccetto nel bosco, e ritornarono dopo un minuto con le braccia piene di oggetti, quali cuscini, coperte, tappeti, coperchi di tegami e secchi da carbone.
— Spero che tu sappi appuntar degli spilli e legar delle corde, — osservò Tuidledum. — In un modo o nell’altro noi dobbiamo indossare tutte queste cose.
Alice dopo narrò di non aver mai assistito a tanto fracasso in vita sua: di tutto il trambusto di quei due, e della gran quantità di cose che si misero addosso, e del fastidio che le diedero nel legarli con le funi e abbottonarli.
— Veramente sembreranno più fasci di vecchi utensili che altro, quando saranno pronti, — essa si disse, mentre accomodava un guanciale intorno al collo di Tuidledì "per impedir che la testa gli fosse troncata," come egli diceva.
— Sai, — egli aggiunse gravemente, — è una delle cose più gravi che possono accadere a uno in duello, aver la testa troncata.
Alice scoppiò in una grande risata, ma tentò di cambiarla in tosse, per tema di offendere la suscettibilità di Tuidledì.
Son diventato pallido? — disse Tuidledum, avanzandosi per farsi legare l’elmo. (Egli lo chiamava elmo, benchè somigliasse molto più a un paiuolo).
— Veramente... sì... un poco, — rispose gentilmente Alice.
— Ordinariamente io son molto coraggioso, — egli continuò sottovoce, — ma oggi ho il mal di testa.
— Ed io ho il mal di denti, — disse Tuidledì che aveva sentito le parole del fratello. — Io sto peggio di te.
— Allora sarebbe meglio di non combattere oggi, — suggerì Alice, pensando che quella fosse l’occasione di rappacificarli.
— Noi dobbiamo battagliare un poco, ma non ci tengo a continuare a lungo, — disse Tuidledum; — che ora è?
Tuidledì guardo l’orologio, e disse:
— Le quattro e mezzo.
— Combattiamo fino alle sei, e poi desineremo, — disse Tuidledum.
— Benissimo, — disse l’altro con malinconia, — ed essa può guardare... Soltanto farà bene a non avvicinarsi troppo. Io ordinariamente, colpisco tutto ciò che veggo... quando sono veramente eccitato.
— E io colpisco tutto ciò che posso raggiungere, — gridò Tuidledum, — lo vegga o no.
Alice rise:
— Voi dovete colpir gli alberi molto spesso, o credo.
Tuidledum si guardò intorno con un sorriso soddisfatto.
— Non credo, egli disse, — che rimarrà un solo albero in piedi qui intorno intorno, finchè non avremo finito.
— E tutto questo per un sonaglio, — disse Alice, sempre sperando di farli vergognare di cominciare un duello per una inezia.
— Non ci avrei badato tanto, — disse Tuidledum — se non fosse stato un sonaglio nuovo.
— "Io vorrei che venisse quel brutto corvo", pensava Alice.
— V’è una sola spada, sai, — disse Tuidledum al fratello; — ma — tu puoi tenere l’ombrello... che è molto aguzzo. Soltanto bisogna sbrigarsi a cominciare. Si sta facendo così buio.
— Molto buio, — disse Tuidledì.
Si faceva buio così rapidamente che Alice penso che s’avvicinasse un temporale.
— Che nuvola nera! — ella disse. — E come viene presto. To’ mi pare che abbia le ali.
È il corvo! — gridò Tuidledum con un acuto strillo di terrore, e i due fratelli levarono le calcagna e si dileguarono in un attimo.
Alice prese a correre per il bosco, e si fermò sotto un grosso albero.
— Qui non può raggiungermi, — essa pensava. — Esso è così grande che non si potrà infilare fra gli alberi. Ah, se non agitasse tanto le ali... nel bosco soffia un uragano... ecco uno scialle che vola.