Attraverso lo specchio/II
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Traduzione dall'inglese di Silvio Spaventa Filippi (1914)
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"Vedrei il giardino molto meglio, — disse Alice fra sè, — se potessi arrivare in cima a quella collina. Ecco un sentiero che ci va dritto dritto... almeno... no, no... non ci va... — (dopo aver fatto pochi passi lungo il sentiero e aver girato parecchi angoli acuti) — ma credo che finalmente ci andrà. Ma che strane voltate che fa! Somiglia più a un cavaturaccioli che a un viottolo. Ecco, di qui si va alla collina, mi pare... No, non ci si va. Si rivà dritto a casa. E allora proverò per l’altra via."
E così fece: vagando su e giù, e girando un angolo dopo l’altro, e alla fine tornando sempre alla casa. In verità, una volta, girando un angolo più velocemente del solito, gli corse incontro prima di potersi fermare.
"È inutile parlarne, — disse Alice, guardando la casa e facendo le viste di discutere con essa, — per ora non voglio rientrare. Dovrei ripassare un’altra volta per lo specchio, e mi ritroverei nella vecchia stanza... e addio a tutte le mie avventure!" Così, risolutamente volgendo le spalle alla casa, ripigliò la via giù per il sentiero, decisa di andar dritta fino alla collina. Andò bene per pochi minuti, e stava dicendo: "Questa volta sul serio ci arriverò..." quando il sentiero fece una brusca voltata e si scosse (come ella disse poi) e l’istante appresso Alice s’avvide di camminare in realtà verso la porta.
— Oh, è troppo cattiva! — ella esclamò. Non ho visto mai una casa venirmisi a cacciare così tra i piedi. Mai! Però la collina era in piena vista, e non c’era da far altro che mettersi di nuovo in viaggio. Questa volta ella arrivò ad una grande aiuola, tutta orlata di margherite, e con un salice piangente nel mezzo.
— Oh Giglio, — disse Alice, rivolgendosi a uno stelo che oscillava graziosamente al vento, vorrei che tu potessi parlare.
— Noi possiamo parlare, — disse il Giglio, — se c’è qualcuno con cui metta conto di parlare.
Alice fu così stupita che rimase senza parola per un minuto. Finalmente, siccome il Giglio non faceva che oscillare, ripigliò a discorrere timidamente... quasi con un bisbiglio.
— E tutti i fiori parlano?
— Come te, — disse il Giglio, — e molto più forte.
— Sai, — disse la Rosa, — cominciar noi non sta bene, e veramente tu parlavi; dicevo a me stessa: "Il suo viso ha qualche significato, sebbene non sia furbo". Pure, tu hai il colore giusto, e col colore giusto si va lontano.
— Non m’importa nulla del colore, — disse il Giglio. — Starebbe meglio se ella avesse i petali un po’ più arricciati.
Ad Alice non piaceva di essere giudicata, e così cominciò a fare delle domande.
— Non avete paura d’esser piantati qui fuori, con nessuno che vi accudisca?
— V’è l’albero nel mezzo, — disse la Rosa, a che altro servirebbe?
— Ma che potrebbe fare innanzi a un pericolo? — chiese Alice.
— Troncarlo, — disse la Rosa.
— È per questo, — disse una Margherita, — che il suo fusto si chiama tronco.
— Non sai questo? — gridò un’altra Margherita, e tutte cominciarono a strillare in coro, finchè l’aria parve tutta assordata da quelle stridule voci.
— Silenzio, tutte! — gridò il Giglio, agitandosi irosamente da un lato all’altro, fremente di rabbia. — Siccome sanno che io non posso raggiungerle, — balbettò, piegando verso Alice la testa tremante, — si mettono a gridare a quel modo.
— Non ci badare, disse Alice con accento carezzevole, e, chinandosi sulle margherite, che stavano ricominciando, bisbigliò: — Se non state zitte, vi colgo.
Vi fu un istante di silenzio e parecchie delle margheritine rosee diventarono bianche.
— Benissimo! — disse il Giglio. — Le margherite hanno un carattere pessimo. Quando una parla, cominciano tutte, e non ci vuol altro per seccare chi le sente.
— Come va che voi potete parlare così bene? — disse Alice, sperando di addolcirlo con un complimento. — Sono stata in tanti giardini, ma non ho mai sentito parlare i fiori.
— Metti giù la mano e tasta il suolo, — disse il Giglio. — Saprai il perchè.
Alice obbedì.
— È molto duro, — ella disse, — ma non capisco che c’entri.
— Nella maggior parte dei giardini. — disse il Giglio, — fanno i letti dei fiori troppo soffici, e così i fiori dormono sempre.
La ragione era ottima, e Alice fu lieta di apprenderla.
— Non ci avevo pensato, — disse.
— Credo che tu non pensi mai! — disse la Rosa con un tono piuttosto severo.
Non ho visto mai una fisionomia più stupida, — disse la Viola così improvvisamente, che Alice diede un balzo.
— Tieni a posto quella lingua! — grido il Giglio. — Come se tu vedessi mai nessuno. Tu nascondi la testa sotto le foglie e vi russi tanto che ne sai del mondo quanto può saperne un germoglio.
— Ci sono soltanto io nel giardino o c’è altra gente? — chiese Alice, non volendo raccogliere l’ultima osservazione della Rosa.
— V’è un altro fiore nel giardino che può muoversi come te, — disse la Rosa. — Vorrei sapere come fai... ("Tu sempre vuoi sapere" disse il Giglio), ma è più affaccendata di te.
— È come me? — chiese Alice sollecita, perchè un pensiero le era lampeggiato: "V’è un’altra bambina in qualche parte del giardino?"
— Sì ha la stessa tua goffa statura, — disse la Rosa, — ma è più rossa, e i suoi petali sono più corti, credo.
— Sono più stretti, come quelli della dalia, disse il Giglio, — e le cadono intorno intorno come i tuoi.
— Non è colpa tua, — aggiunse cortesemente la Rosa, — se cominci a impallidire... e i tuoi petali cominciano a insudiciarsi.
Non piacque ad Alice questa osservazione, e, per cambiar discorso, chiese:
— Viene qui qualche volta?
— Credo che la vedrai presto, — disse la Rosa, — ella è della specie a nove punte, sai?
— Dove le porta? — chiese Alice, curiosa.
— Intorno alla testa, naturalmente, — rispose la Rosa. — Mi domandavo perchè tu non le avessi. Credevo che quello fosse il tipo normale.
— Viene! — gridò lo Spron di Cavaliere. Sento i suoi passi, tump tump, sulla ghiaia del viale.
Alice si volse rapidamente, e vide la Regina Rossa.
— È cresciuta molto, — fu la sua prima osservazione.
Era cresciuta davvero. Quando Alice l’aveva raccolta dalla cenere era alta non più di otto centimetri, ed in quel momento era di mezza testa più alta d’Alice.
— Effetto dell’aria fresca, — disse la Rosa, — qui abbiamo un’aria meravigliosa.
— Vorrei andarle incontro, — disse Alice, perchè sebbene i discorsi dei fiori fossero interessanti, capiva che sarebbe stato molto più importante conversare con una vera Regina.
— Forse non potrai andarci, — disse la Rosa; — ti consiglierei d’andare dall’altra parte.
Questo parve una sciocchezza ad Alice, e non disse nulla, e s’avviò verso la Regina Rossa. Con sua grande sorpresa, immediatamente la perse di vista, e s’avvide di camminare ancora verso la porta.
Si ritrasse un po’ irritata e, cercando per ogni dove la Regina (che scoperse finalmente a grande distanza), pensò finalmente di tentar di camminare nella direzione opposta.
Le riuscì magnificamente. Non aveva fatto neanche un minuto di strada che si trovò a faccia a faccia con la Regina Rossa e in piena vista della collina alla quale aveva mirato per tanto tempo.
— Donde vieni? — disse la Regina Rossa, — e dove vai? Guardami in viso, parla dolcemente, e intanto non agitar le dita.
Alice obbedì a tutte queste ingiunzioni, e rispose, come meglio potè, di aver smarrita la sua via.
— Non so che intendi per la tua via, — disse la Regina; — tutte le vie qui attorno appartengono a me... ma d’altra parte, perchè sei venuta qui fuori? — aggiunse con tono più cortese. — Fa un inchino mentre pensi a ciò che dici. Si guadagna tempo.
Alice si mostrò molto meravigliata, ma aveva troppo timore per la Regina per non crederle. "Proverò quando ritorno a casa, diceva fra sè, la prima volta che sarò un po’ in ritardo pel desinare."
— È ora di rispondere, — fece la Regina, guardando un orologetto, — apri un po’ più la bocca quando parli, e di’ sempre: "Vostra Maestà."
— Volevo soltanto visitare il giardino, Vostra Maestà...
— Ora va bene, — disse la Regina, battendole sulla testa, cosa che ad Alice non piacque affatto, — ma se mi parli di "giardino" ho veduto giardini a petto ai quali questo sarebbe un deserto.
Alice non osò di contrastare questa asserzione, e continuò:
— Cercavo la strada che mena in cima alla collina.
— Se mi parli di "collina", — interruppe la Regina, — io potrei mostrarti colline a petto alle quali questa potresti chiamarla "vallata."
— No, che non potrei, — disse Alice, che si sorprese finalmente a contraddirla; — una collina non può essere una vallata, è un’assurdità...
La Regina Rossa scosse la testa:
— Chiamala assurdità, se ti piace, — disse, — ma io ho sentito delle assurdità a petto alle quali questa sarebbe più piena di significati di un dizionario.
Alice fece di nuovo un inchino, perchè, dal tono con cui la Regina parlava, temeva di averla offesa; e si misero a camminare in silenzio finchè arrivarono alla cima della collinetta.
Per alcuni minuti Alice se ne stette in silenzio, guardando la campagna in tutte le direzioni... Era una campagna stranissima. Un gran numero di ruscelletti l’attraversavan dritti da un lato e l’altro, e il terreno che li separava era diviso in quadrati da un gran numero di piccole siepi verdi che andavan da un ruscello all’altro.
— Mi pare disegnata proprio come una grande scacchiera, — disse Alice finalmente. — Vi dovrebbero essere qua e là degli uomini che si muovono... ed eccoli, ci sono! — aggiunse deliziata, e il cuore le comincio a battere più celere mentre continuava: — Si giuoca un giuoco colossale di scacchi... per tutto il mondo... se questo e un mondo. Oh, che divertimento! Vorrei essere del giuoco. Non m’importerebbe d’essere una Pedina, purchè potessi essere là con loro, ma naturalmente mi piacerebbe di più essere Regina.
Diede un timido sguardo alla vera Regina, mentre diceva così, e la sua compagna accennò un gentile sorriso e disse:
— Se ti piace, si può far subito. Puoi essere la Pedina della Regina Bianca, perchè Lilla è troppo giovane per giocare; e intanto tu sei nella seconda Casella; quando arriverai all’ottava Casella sarai Regina.
Proprio in quel momento, chi sa come, cominciarono a correre.
Alice non potè mai capire, ripensandoci dopo, come avesse cominciato: tutto ciò che ricordava si era che correvano l’una dietro l’altra, tenendosi per mano, e che la Regina andava così veloce che ella stentava a mantenere lo stesso passo; e pure la Regina continuava a strillare: "Più presto, più presto!" ma Alice non poteva andare più presto, e non aveva più un filo di fiato per dirlo.
E il più strano si era che gli alberi e tutti gli altri oggetti d’intorno non cambiavan mai di posto: per quanto veloci esse andassero, non si lasciavan dietro mai niente: "Forse tutte le cose si muovono con noi..." diceva tra sè Alice, non sapendo che pensare. E la Regina pareva indovinasse i suoi pensieri, perchè gridava: "Più presto! Non tentar di parlare!"
Non che Alice avesse l’intenzione di farlo.
Le era rimasto così poco fiato, che non sapeva se avrebbe mai potuto riparlar più: e la Regina gridava: "Più presto! più presto!" e se la trascinava appresso.
— Siamo arrivate? — potè finalmente domandare Alice, con un soffio.
— Arrivate? — rispose la Regina. — Ci siamo passate dieci minuti fa. Più presto!
E corsero per qualche tempo in silenzio, col vento che soffiava nelle orecchie di Alice, dandole la sensazione di strapparle i capelli.
— Su! su! — gridava la Regina. — Più presto! più presto!
E andavano così veloci che finalmente parve traversassero l’aria a volo, sfiorando a pena coi piedi il suolo, finchè improvvisamente, nell’istante che Alice si sentiva assolutamente esausta, si fermarono, ed ella si trovò seduta senza respiro in terra e con la testa che le girava.
La Regina l’adagiò contro un albero, e cortesemente le disse:
— Ora puoi riposarti un poco.
Alice si guardò intorno, sorpresa.
— Ma mi pare che in tutto questo tempo non ci siamo mosse da quest’albero. Non c’è nulla di cambiato in questo luogo.
— È naturale, — disse la Regina; — che cosa avresti voluto?
— Ma nel nostro paese, — disse Alice, che ancora ansava un poco, — generalmente si arriva altrove... dopo che si è corso tanto tempo come abbiamo fatto noi.
— Che razza di paese! — disse la Regina. Qui invece, per quanto si possa correre si rimane sempre allo stesso punto. Se si vuole andare in qualche altra parte, si deve correre almeno con una velocità doppia della nostra.
— Non ci vorrei provare! — disse Alice. Son contenta di starmene qui... soltanto ho caldo e sete.
— So che cosa ti piacerebbe ora, — disse la Regina con affabilità, cavando una scatolina di tasca. — Mangia un biscotto!
Alice pensò che non sarebbe stato cortese dir di no, benchè non fosse quello che desiderava. Prese il biscotto e fece del suo meglio per mangiarlo: era molto secco. In vita sua non s’era mai sentita in tanto pericolo di strozzarsi.
— Mentre tu ti rinfreschi, — disse la Regina, — io prenderò le misure.
E cavò di tasca la fettuccia del metro, e cominciò a misurare il terreno e a ficcare qua e là dei piccoli pioli.
— Alla fine di due metri, — ella disse, mettendo un piolo per segnar la distanza, — ti darò le istruzioni... Vuoi un altro biscotto?
— No, grazie, — disse Alice, — ne ho abbastanza d’uno.
— La sete è spenta, spero? — disse la Regina.
Alice non sapeva che dire, ma fortunatamente la Regina non aspettò la risposta, e continuò:
— Alla fine di tre metri, le ripeterò, per non fartele dimenticare. Alla fine di quattro, ti dirò addio. Alla fine di cinque, me ne andrò.
In quel momento aveva finito di mettere i pioli, e Alice stette a guardare con grande interesse, mentre la Regina ritornava all’albero, e cominciava a camminare pianamente giù per la fila.
Al piolo del secondo metro, ella si volse e disse:
— Una pedina, sai, fa due caselle nella sua prima mossa. Così andrai rapidamente per la terza Casella — per ferrovia, direi, — e ti troverai subito nella quarta. Bene, la quarta Casella appartiene a Tuidledum e Tuidledì... la quinta la maggior parte è acqua... La sesta appartiene a Unto Dunto... Ma non mi dici nulla?
— Io... io non sapevo di dover dir qualche cosa... proprio ora, — balbettò Alice.
— Avresti dovuto dire, — continuò la Regina con tono di grave rimprovero: "Siete molto gentile a dirmi tante cose". Ma facciamo conto che tu l’abbia detto... La settima
Casella è tutta foresta... ma uno dei Cavalieri t’indicherà la via... e nell’ottava Casella noi saremo Regine insieme, e tutto sarà festa e allegria.
Alice si levò e fece un inchino. e si risedè di nuovo.
Al prossimo piolo, la Regina si voltò ancora e disse:
— Parla in francese quando una cosa non sai pensarla nella tua lingua... volgi all’infuori le dita dei piedi camminando... e ricorda chi sei.
Questa volta non aspettò che Alice s’inchinasse, ma si diresse velocemente al prossimo piolo, dove si voltò un momento per dire "addio", e quindi corse in gran fretta all’ultimo.
Come avvenisse, Alice non seppe mai; ma, non appena raggiunto l’ultimo piolo, la Regina non c’era più. Se si fosse dileguata in aria o se fosse corsa velocemente nel bosco ("essa può correre tanto presto", pensava Alice), non vi fu assolutamente mezzo d’indovinare: era sparita, e Alice cominciò a ricordarsi d’essere una Pedina e che il suo dovere era di muoversi.