Asolani/Libro secondo/XXXIV

Libro secondo - Capitolo XXXIV

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Non si potea rattener Gismondo del dire, già tutto in su le lode d’Amore con le parole e con l’animo riscaldato, e tuttavia diceva, quando le trombe, che nelle feste della Reina le danze temperavano col lor suono, del palagio rimbombando, alla bella brigata dello incominciato festeggiare dieder segno. Per che, parendo a ciascuno di doversi partire, e levatisi, disse loro Gismondo: - Queste e altre cose assai per aventura, o mie donne, v’arebbono ragionato gli amanti uomini, se voi a dirvi di sopra quali sono gli amorosi diletti gli aveste chiesti e dimandati. E a me ora non picciolo spazio convien lasciare del mio aringo, che io correre non posso. Ma Lavinello, al quale tocca domane l’ultimo incarico de gli amorosi ragionamenti, dirà per me quello che io dire oggi compiutamente non ho potuto, come io volea; non voglio dire "dovea", ché io sapea bene non ci essere bastante -.
Allora madonna Berenice, già insieme con gli altri verso il palagio inviatasi, disse: - Come che ora il fatto si stia, Gismondo, del tuo avere a bastanza ragionato o no, noi siam pure molto ben contente che di Lavinello abbia a dovere essere il ragionar di domane; il quale se noi non conoscessimo più temperato nelle sue parole, che tu oggi nelle tue non sei stato, io per me non so quello che io mi facessi di venirci.
- E che ho io detto, Madonna? - rispondea Gismondo. - Ho io detto altro che quello che si fa, e ancor meno? Per che se io cotanto spiaciuto vi sono, ben ti so confortar, Lavinello, che tu di quello ragioni che non si fa, se tu le vuoi piacere -.
Voleasi Lavinello pure ritrarre dal dover dire, recandone sue ragioni, che detto se n’era assai e che egli non era oggimai agevole, appresso due tali e così diverse openioni e così abondevolmente sostentate dall’uno e dall’altro de’ suoi compagni, recarne la sua, e quasi darne sentenza. Ma ciò era niente; perciò che alle donne pure piaceva che ancora egli dicesse, vaghe d’avere uditi una volta tutti e tre que’ giovani partitamente ragionare, che elle sempre tenuti aveano e riputati per da molto. E quando bene le donne lasciate di male se ne avessero, non se ne lasciava Gismondo; anzi diceva: - O Lavinello, o tu ci prometti di dire, o io ti fo citar questa sera dinanzi la Reina; ché io disposto sono di vedere se i patti, che si fanno nelle sue nozze, s’hanno a rompere in questa maniera. E forse averrà quello che tu quando i patti si fecero non istimavi, che ti converrà poi dire in sua presenza.
- Non si tiene ragione ora, - rispondea Lavinello - mentre il festeggiar dura. Le liti ci sono sbandite. - Pure, temendo di quello che avenir gli potea, disse di fare ciò che essi voleano. E con queste parole giugnendo in su le sale, e quivi da altri giovani cortigiani, che le feste inviavano, vedute le belle donne venire, senza lasciarle più oltre passare furono invitate tutte e tre e messe in danza, e li tre giovani si rimasero tra gli altri.