Asolani/Libro secondo/XXIV

Libro secondo - Capitolo XXIV

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Deh perché vo io nelle cose che, o poco o molto che piacciano altrui, pure e piacevoli sono da sé in ogni modo e come che sia piacciono elle sempre a chiunque le mira, il tempo e le parole distendendo, quando ancora di quelle che, vedute, affanno sogliono recare all’altre persone, a gli amanti alcuna volta sono dolcissime oltra misura? O care e belle giovani, quanto sono malagevolissime ad investigarsi pure col pensiero le sante forze d’Amore, non che a raccontarsi! Senza fallo quale più affannosa cosa può essere che il veder piagnere i suoi più cari? e chi e di sì ferigno animo, che nelle cadenti loro lagrime possa tener gli occhi senza dolore? Non per tanto questo atto tale, quale io dico, del piagnere, vede fare alle volte l’amante alla sua donna, la quale egli ha più cara che tutto il mondo, vie maggior diletto e festa sentendone, che d’infiniti risi non sogliono tutti gli altri uomini sentire. - Tosto che così ebbe detto Gismondo, e madonna Berenice così disse: - Cotesto non vorrei già io che a me avenisse, che il mio signore festa e diletto delle mie lagrime si prendesse. Anzi ti dico io bene che io mi credo, Gismondo, se io il risapessi, che io ne gli vorrei male e per aventura, se io potessi, io darei a lui cagione altresì di piagnere e ridere’mi poscia di lui allo ’ncontro -.
Appresso alle cui parole seguirono le due giovani, quello a Gismondo raffermando che ella avea detto, aggiugnendo oltre a ciò che egli cortesia farebbe a spesso piagnere dinanzi alla sua donna, per darle quel piacere; e tutte insieme ne ragionavano scherzevolmente, alla nuova occasione di motteggiarlo appigliatesi con gran festa. Ma egli, che in quest’arte rade volte si lasciava vincere, poscia che alquanto le ebbe lasciate cianciare e ridere, in viso madonna Berenice guardando, le disse: - Molto dovete esser cruda e acerba voi, Madonna, e poco compassionevole, poscia che voi il vostro signore vorreste far piagnere. Ma io non vi veggo già così fiera nel volto, se voi non m’ingannate, anzi mostrate voi d’essere la più dolce cosa e la più piacevole che mai fosse. E certo sono che, se il romitello del Certaldese veduta v’avesse, quando egli primieramente della sua celletta uscì, egli non arebbe al suo padre chiesto altra papera da rimenarne seco e da imbeccare che voi -.
Tacque a tanto madonna Berenice, mirando con un tale atto mezzo di vergogna e di maraviglia ne’ volti delle sue compagne. E Lisa ridendo ver lei, come quella che stava tuttavia aspettando che Gismondo co’ suoi motti alcun’altra ne toccasse, per avere nel suo male compagnia, veggendola in quella guisa soprastare, tutta si fe’ innanzi e sì le disse: - Madonna, e’ mi giova molto che in sul vostro oggimai passi quella gragniuola, la quale pur ora cadde in sul mio. Io non mi debbo più dolere di Gismondo, poscia che ancor voi non ne sete risparmiata. Ben vi dico io, Madonna, che egli ha oggi rotto lo scilinguagniolo. Di che io vi so confortare che non lo tentiate più, ché egli pugne come il tribolo da ogni lato.
- Già m’accorgo io che egli così è come tu mi di’, Lisa - rispose madonna Berenice. - Ma vatti con Dio, Gismondo, che tu ci sai oggi a tua posta fare star chete. Io per me voglio esser mutola per lo innanzi. -