Asolani/Libro primo/XXXIII
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Tacquesi, finiti quei versi, Perottino e, poco taciutosi, appresso alcun doloroso sospiro, che parea che di mezzo il cuore gli uscisse, verissimo dimostratore delle sue interne pene, a questi altri passando seguitò e disse:
Lasso ch’i’ fuggo e per fuggir non scampo
Né ’n parte levo la mia stanca vita
Del giogo, che la preme ovunque i’ vada.
E la memoria, di ch’io tutto avampo,
A raddoppiar i miei dolor m’invita
E testimon lassarne ogni contrada.
Amor, se ciò t’aggrada,
Almen fa con Madonna ch’ella il senta,
E là ne porta queste voci estreme,
Dove l’alta mia speme
Fu viva un tempo e or caduta e spenta
Tanto fa questo exilio acerbo e grave,
Quanto lo stato fu dolce e soave.
Se in alpe odo passar l’aura fra ’l verde,
Sospiro e piango e per pietà le cheggio
Che faccia fede al ciel del mio dolore;
Se fonte in valle o rio per camin verde
Sento cader, con gli occhi miei patteggio
A farne un del mio pianto via maggiore;
S’io miro in fronda o ’n fiore,
Veggio un che dice: O tristo pellegrino,
Lo tuo viver fiorito è secco e morto.
E pur nel penser porto
Lei, che mi diè lo mio acerbo destino;
Ma quanto più pensando io ne vo seco,
Tanto più tormentando Amor ven meco.
Ove raggio di sol l’erba non tocchi,
Spesso m’assido, e più mi sono amici
D’ombrosa selva i più riposti orrori;
Ch’io fermo ’l penser vago in que’ begli occhi,
Ch’i miei dì solean far lieti e felici,
Or gli empion di miserie e di dolori.
E perché più m’accori
L’ingordo error, a dir de’ miei martiri
Vengo lor, com’io gli ho di giorno in giorno.
Poi, quando a me ritorno,
Trovomi sì lontan da’ miei desiri,
Ch’io resto, ahi lasso, quasi ombra sott’ombra;
Di sì vera pietate Amor m’ingombra.
Qualor due fiere in solitaria piaggia
Girsen pascendo simplicette e snelle
Per l’erba verde scorgo di lontano,
Piangendo a lor comincio: O lieta e saggia
Vita d’amanti, a voi nemiche stelle
Non fan vostro sperar fallace e vano:
Un bosco, un monte, un piano,
Un piacer, un desio sempre vi tene;
Io da la donna mia quanto son lunge?
Deh, se pietà vi punge,
Date udienzia inseme a le mie pene.
E ’n tanto mi riscuoto e veggio expresso
Che per cercar altrui perdo me stesso.
D’erma rivera i più deserti lidi
M’insegna Amor, lo mio aversario antico,
Che più s’allegra, dov’io più mi doglio.
Ivi ’l cor pregno in dolorosi stridi
Sfogo con l’onde, e or d’un ombilico
E de l’arena li fo penna e foglio;
Indi per più cordoglio
Torno al bel viso, come pesce ad esca,
E con la mente in esso rimirando,
Temendo e desiando,
Prego sovente che di me gl’incresca;
Poi mi risento e dico: O penser casso,
Dov’è Madonna?, e ’n questa piango e passo
Canzon, tu viverai con questo faggio
Appresso a l’altra, e rimarrai con lei;
E meco ne verranno i dolor miei.