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Luciano di Samosata Antichità 1862 Luigi Settembrini Indice:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 2.djvu racconti Letteratura Armonide Intestazione 28 aprile 2023 75% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini


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XXIII.

ARMONIDE.


Armonide il flautista dimandò una volta a Timoteo suo maestro: Dimmi, o Timoteo, per qual modo io potrei divenir glorioso nell’arte? e che dovrei fare per essere conosciuto da tutti i Greci? Tu mi hai insegnate molte cose, ed io te ne so grado: tenere il flauto acconciamente, soffiar nella linguetta con certa dolcezza e modulazione, muover le dita con garbo nello spesso levarle ed abbassarle, andare a battuta, accordarsi coi canti del coro, e serbare la proprietà di ciascun modo, la forza del frigio, il furore del lidio, la gravità del dorico, la gentilezza del gionico. Tutto questo io l’ho imparato da te, ma la cosa maggiore, e per la quale io m’invogliai dell’arte, io non vedo ancora come potrò conseguirla, il divenire illustre fra molti, l’essere celebrato nel popolo, l’essere mostrato a dito, e quando io comparisco tutti volgersi a me, e dire: Questi è quell’Armonide, quel bravo flautista: come intervenne a te, Timoteo, quando venuto fresco di Beozia, tua patria, imitasti il canto del rosignolo nella Pandionide;1 e fosti dichiarato vincitore nell’Aiace furioso, per aver saputo esprimere il furore col suono.2 Oh, allora tutti seppero il [p. 59 modifica]nome di Timoteo di Tebe: ed anche ora, dovunque ti mostri, tutti corrono a te, come gli uccelli alla civetta. Questa è la cosa per la quale io desiderai di divenir flautista, e sostenni tante fatiche: che io non vorrei essere perfettissimo nell’arte, senza gloria e senza fama, neppure se dovessi essere un Marsia o un Olimpo ignoto. Che non è utile a niente musica che non si sente, dice il proverbio. Ora tu insegnami anche questo, che cosa debbo aggiungere all’arte per venire in fama: e così ti sarò doppiamente obbligato, e per l’arte che mi hai data, e più per la gloria che n’avrò.

E Timoteo gli rispose: Armonide, tu sei vago di non piccola cosa, di lode, di gloria, di essere celebrato e conosciuto da moltissimi. Ma se vuoi ottener questo presentandoti così alla moltitudine, e mostrando pruove del tuo valore, tieni una via lunga, e neppure così sarai conosciuto da tutti: che dove si troveria teatro o circo sì grande da potervi sonare innanzi a tutti i Greci? Acciocchè dunque tu venga in fama ed a capo de’ tuoi desiderii, ti darò io un consiglio. Suona pure nei teatri talvolta, ma curati poco degli applausi del volgo. La via più breve e facile alla gloria è questa. Scegli pochi tra i Greci, ma i migliori, i primi, i più specchiati, nel cui giudizio, favorevole o disfavorevole che sia, puoi confidare, ed innanzi ad essi fa’ pruova di sonare: se essi ti loderanno, tieni per fermo che brevemente sarai conosciuto a tutti i Greci. Ed ecco come. Se costoro, che sono conosciuti ed ammirati da tutti, conosceranno che tu sei un valente flautista, che bisogno hai della moltitudine che segue sempre chi ha miglior giudizio? La moltitudine non sa di finezze, son quasi tutti artigiani; e quando vedono uno lodato dai grandi, credono che sia lodato non senza ragione, onde anch’essi lo lodano. Anche nei giuochi molti spettatori sanno quando applaudire o fischiare; ma quelli che giudicano son sette, o otto, o poco più.

Il povero Armonide non potè valersi di questo consiglio, perchè, si dice, sonando la prima volta a gara, e sforzandosi di troppo per non essere sgarato, spirò col flauto in mano, e senza corona si morì su la scena: e quella fu la prima e l’ultima volta che ei sonò nelle Dionisiache. Intanto il consiglio di Timoteo a me pare che fu dato non ai soli flautisti nè al solo [p. 60 modifica]Armonide, ma a quanti desiderano gloria, e dando qualche pubblico saggio dell’arte loro, vogliono la lode popolare. Ed io, quando anch’io ebbi questo pensiero, e cercai come subito acquistar fama, andavo considerando, secondo il consiglio di Timoteo, chi fosse il migliore di questa città, in cui tutti confidassero, e che mi valesse per tutti. E costui dovevi essere tu per tutte le ragioni, che sei specchio di ogni virtù, e regola agli altri in queste cose. Pensavo se io mostrassi a te le cose mie, e tu le lodassi (ed oh! potessero parerti lodabili!) non avrei più che desiderare, otterrei tutti i suffragi in uno solo. E chi altro io poteva preferire a te, e non esser tenuto pazzo? A dire che mi confidavo in un solo uomo pareva come mettermi ad uno sbaraglio: ma in verità poi era come un recitare i miei discorsi innanzi a tutto il mondo, perchè tu solo mi valevi più di ciascuno e più di tutti insieme. I re di Sparta danno ciascuno due suffragi, quando ogni altro ne dà uno: tu dai ancora quello degli efori e degli anziani: insomma tu nella dottrina puoi dare più suffragi di tutti gli altri, specialmente perchè getti nell’urna sempre la palla bianca e salvatrice, il che mi dà animo in questa ardita impresa, che mi fa giustamente temere. E m’inanimisce ancora il pensiero che io sono di tale città che tu, quand’eri privato, beneficasti, ed ora che sei in uffizio, séguiti a beneficare con tutta la nazione. Onde se ora mentre io parlo i voti inclinano al peggio, se le palle bianche sono più poche, tu aggiungivi il voto di Minerva, compi il numero mancante, ed anche in questo sii un verace correttore. A me non basta che già molti mi ammirarono, che ho già qualche fama, che i miei discorsi sono lodati da chi li ascolta: son tutti sogni che vanno col vento, sono ombre di lodi quelle. La verità sarà chiarita adesso: questo sarà il gran punto per me; e non si potrà più dubitare se io, per tuo giudizio, dovrò esser tenuto ottimo in dottrina, o di tutti....... ma non voglio dir parole malagurose, cimentandomi in questa gara. Deh, fate, o Dei, che io paia degno di conto, e confermate la lode che altri m’ha data; acciocchè per l’avvenire io con fiducia mi presenti in pubblico: che nessuno stadio fa più paura a chi ha vinto nei gran giuochi olimpici.


Note

  1. La Pandionide. Credo un dramma nel quale si rappresentava il caso di Filomela e di Progne figliuole di Pandione.
  2. Questo passo ha molte lezioni ed interpetrazioni: io leggo: ὁμώνυμον σοῦ ποιήσαντος τὸ μέλος, avendo tu fatta la melodia omonima, la melodia dello stesso nome, cioè anche furiosa. Propongo questa lezione, perchè la comune mi pare non abbia senso: Avendo il tuo omonimo fatta la melodia, cioè un uomo del tuo nome fece la musica, e tu vincesti. In due codici della Laurenziana ho trovato scritto così: τοῦ ὁμονύμου σοι ποιήσαντος τὸ μέλος. Questa lezione è più oscura; onde io sto saldo alla mia proposta, che spero parrà ragionevole e sarà accettata.