Aridosia/Atto terzo/Scena sesta
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Lorenzino de' Medici - Aridosia (1536)
Atto terzo
Scena sesta
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Lucido, Ruffo e Aridosio
- Lucido
- Guarda se gli è cascato appunto il presente sull’uscio.
- Ruffo
- Io vi prego che non mi lasciate far torto.
- Lucido
- Adesso ch’io ho i danari in mano, bisogna far buon cuore.
- Aridosio
- Non dubitare.
- Lucido
- E acconciarmi il viso bene; io vi so dire, Aridosio, che voi siete capitato a buone mani.
- Aridosio
- Hai tu sentito quel che dice costui?
- Lucido
- Mille volte l’ho sentito; non sapete voi ch’egli è pazzo?
- Ruffo
- Pazzo mi vorreste far voi, ma non vi riuscirà, che siamo in luogo che si tien giustizia.
- Lucido
- Taci, che ti darò i tuoi denari come ti levi di qui.
- Ruffo
- Non vo’ tacer se prima non me gli dai. Vedi in che modo mi vorrebbe levar da Aridosio!
- Aridosio
- Ben, che cosa è questa, Lucido?
- Lucido
- Non v’ho io detto ch’egli è pazzo?
- Aridosio
- Che dice egli di Tiberio, di venticinque ducati e di un rubin falso? Io non l’intendo.
- Lucido
- Una disgrazia, che gli è intervenuto, l’ha fatto impazzare, e non fa mai altro che parlar di queste cose.
- Ruffo
- Guarda che sciocca astuzia è questa: con dir ch’io son pazzo, volermi torre il mio.
- Aridosio
- E’ parla pur da savio e non da matto.
- Lucido
- Non v’ho io detto che fa sempre così? Buon uomo, adesso non è tempo d’ascoltar le tue disgrazie. Torna un’altra volta, che Aridosio ti udirà, e ti farà far ragione; io non te li vo’ dare in sua presenza.
- Ruffo
- Tu non mi sei per levare di qui, se prima tu non mi dai, o i miei denari, o Livia.
- Lucido
- Oh che importuno pazzo è questo! quando s’appicca ad uno è come la mignatta.
- Aridosio
- E ne debbe pur essere qualcosa.
- Lucido
- Volete pur credere a parole di matti; tien qui sotto la cappa, ch’ei non veda.
- Aridosio
- Ma dite ben certe cose che sono impossibili.
- Ruffo
- Gli voglio annoverare.
- Lucido
- Di grazia, che non veda.
- Ruffo
- Che me ne curo? Mi basta che vi sian tutti.
- Aridosio
- Che bisbigliate voi costà?
- Ruffo
- Or ch’io son pagato, non dico altro.
- Lucido
- Gli ho dato certi quattrini che stia cheto; in tutto dì non arebbe mai fatto altro verso.
- Ruffo
- Io vo adesso al bando, e quelli che non saranno buoni me li cambierete.
- Lucido
- Gli è onesto, vattene in malora.
- Aridosio
- Ei dice pure che Tiberio è stato a diletto stamane con quella fanciulla in casa mia.
- Lucido
- Ah, ah, non vi diceva io ch’egli è fuor di sè?
- Aridosio
- Ma dell’altre cose non so io che mi dire.
- Lucido
- Oh sarebbe bella, che voi gli aveste a creder queste cosacce! Ma usciamo di questi ragionamenti; la cosa degli spiriti è ita bene, come m’ha ragguagliato ser Iacomo.
- Aridosio
- Sì bene, ma hanno avuto il mio rubino migliore; ma in ogni modo lo riaverò, so ben io perchè.
- Lucido
- E io, padrone, non ho aver qualche mancia?
- Aridosio
- Zucche! io me ne vo in mance.
- Lucido
- E al povero Lucido?
- Aridosio
- Orsù, io son contento.
- Lucido
- Che mi darete?
- Aridosio
- Ci vo’ pensar più ad agio; ma perch’io son solo in casa, e sono ancor digiuno, vorrei un po’ mangiare in casa Marcantonio; va innanzi, Lucido, e ordina da bere; un poco, di pane e una cipolla mi basta, ch’io non sono avvezzo con molte cirimonie.
- Lucido
- In casa Marcantonio non si mangia cipolle.
- Aridosio
- Va, ordina di quello che vi è.
- Lucido
- Io vo ad ubbidirvi.
- Aridosio
- Mi pareva mill’anni di tormelo dinanzi, per poter pigliar la mia borsa, e vo’ risparmiare questo pane, che avea portato meco, e poi vo’ ritrovare questa matassa, ch’io sto confuso quello ch’io m’abbia a credere. Orsù, non si vede persona; non voglio perder tempo, chè questo importa troppo; Fogna, tu ti sei portata bene; ohimè! l’è sì leggieri, ohimè! che vi è dentro? ohimè ch’io son morto! al ladro, al ladro, tenete ognun che fugge, serrate le porte, gli usci, le finestre; meschino a me! dov’è il mio cuore? misero me, dove ved’io, dove sono, a chi dico? mi raccomando, mi raccomando ch’io son morto; insegnatemi chi m’ha rubato la vita mia, l’anima mia; avess’io almanco un capestro da impiccarmi; ell’è pur vota; o Dio! chi è stato quel crudele che m’ha tolto ad un tempo la vita, l’onore e la roba; oh sciagurato a me, che ho perduto tutti i miei denari, quelli che sì diligentemente aveva adunati, e ch’io amava più che gli occhi propri, quelli che io aveva accumulati fin col cavarmi il pan di bocca.
- Lucido
- Che lamenti son questi sì crudeli?
- Aridosio
- Avessi qui una ripa, che mi ci getterei.
- Lucido
- Io so quel che tu hai.
- Aridosio
- Avessi un coltello, che mi ammazzerei.
- Lucido
- Io vo’ vedere se dice il vero; che volete voi far del coltello, Aridosio? Eccolo.
- Aridosio
- Chi sei tu?
- Lucido
- Son Lucido; non mi vedete?
- Aridosio
- Tu m’hai rubati i miei denari, ladroncello; rendimeli qua.
- Lucido
- Io non so quello che vi vogliate dire.
- Aridosio
- Io so ben che mi sono stati tolti.
- Lucido
- Chi ve gli ha tolti?
- Aridosio
- S’io non gli trovo son deliberato d’ammazzarmi.
- Lucido
- Eh, non tanto male, Aridosio.
- Aridosio
- Non tanto male? Due mila ducati ho perduti.
- Lucido
- Venite adesso a mangiare; poi li farete bandire o in pergamo o all’altare; gli troverete in ogni modo.
- Aridosio
- Ho voglia appunto di mangiare! bisogna ch’io gli trovi o ch’io muoia.
- Lucido
- Leviamci di qui.
- Aridosio
- Dove vuoi ch’io vada? Agli Otto?
- Lucido
- Buono.
- Aridosio
- A far pigliare ognuno.
- Lucido
- Meglio: qualche modo troverem noi; non dubitate.
- Aridosio
- Ahimè, ch’io non posso spiccare l’un piede dall’altro, ohimè la mia borsa!
- Lucido
- Eh voi l’avete, e volete la baia del fatto mio.
- Aridosio
- Sì, vota, sì vota; oh borsa mia, tu eri pur piena! Lucido, aiutami, ch’io non mi reggo ritto.
- Lucido
- Oh voi siete a questo modo digiuno!
- Aridosio
- Io dico che è la borsa; oh borsa mia, oh borsa mia, ohimè!