Appunti per servire alla vita del Principe Raimondo Montecuccoli
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Filippo Luigi Polidori
Appunti per servire alla vita del Principe Raimondo Montecuccoli
In Archivio Storico Italiano, appendice 20, Firenze, Vieusseux, 1848
Avvertimento
La scienza militare e le geste di Raimondo Montecuccoli sono sì note all’universale, che non fa qui d’uopo il ricordare le note biografiche né alcuna tra le azioni più segnalate di quell’insigne capitano. Contuttociò, l’istoria della vita di un tant’uomo, a cui l’arte della guerra deve gran parte dei suoi progressi , non fu ancora degnamente né pienamente scritta da penna italiana: e dopo cento e sessantacinque anni dalla morte del gran Modenese, dobbiamo pur contentarci del breve elogio che ne dettò, nel 1775, il Reggiano Paradisi . E sì che una storia o vita di tal fatta assai gioverebbe a ravvivare altri lumi della nostrale milizia, illustrando le imprese e (che più monta) i sentimenti dei Farnesi, degli Spinola, dei Piccolomini, e di più altri non dissimili dal Conte Raimondo, per natura e per sortite condizioni; siccome quelli che comprar dovettero gli allori guerreschi versando il sangue per principi che non erano ad essi i naturali, e combattendo per popoli non temperati a’ loro costumi e non parlanti la loro stessa favella.
E’ ben vero che altri onori d’inferior genere furono, nei primi lustri del corrente secolo, renduti a quel sommo guerriero da due benemeriti; cioè da Ugo Foscolo colla magnifica e da Giuseppe Grassi colla diligentissima edizione delle Opere militari di esso : ma se ciò era pur molto per la scienza dell’arte bellica in rispetto a’ figli d’Italia, poco o nulla varrebbe a farci conoscere il valore e i destini di questa in rispetto agli uomini da lei generati. Pieno la mente di tai concetti, quando mi vennero a mano le carte dalle quali estrassi quei ricordi tutti che trovai riferirsi al mio assunto, feci tostamente pensiero di pubblicarli in questa Appendice dell’Archivio Storico Italiano: sembrandomi che gl’Italiani possano in qualche modo vivere spensierati, come chi nuota nell’abbondanza, delle loro glorie letterarie ed artistiche; ma persuadendomi che delle militari, per ciò che mutile o scarse, o perché divise o contrastate, convenga lor essere in ogni caso tenaci e gelosissimi conservatori.
La prima parte degli escerti od Appunti è frutto di un acquisto novellamente fatto dal Marchese Gino Capponi: dico di un libro a penna miscellaneo, contenente cose relative al Ducato di Modena, alle signorie di Correggio e della Mirandola, e ad altri luoghi od avvenimenti italiani dal 1606 al 1646 . Questo Manoscritto è altresì raccomandabile a chi volesse tessere la genealogia o l’istoria dell’illustre casato de’ Montecuccoli; trovandosi in quello più altre lettere, e sopra casi diversi, da noi né spogliate né accennate nemmeno, di varii e non oscuri soggetti di quella famiglia . Di quanto segue a compimento di questa pubblicazione, mi fu fatto copia dalla Biblioteca che un religioso e benemerito concittadino ebbe già data a pubblico servigio nella mia patria medesima.
Ivi, tra le migliaja de’ libri a stampa sono disseminati, e però quasi nascosti, da trenta e più Manoscritti, la maggior parte del secolo XVII; insieme con molte carte, meglio bensì custodite ma senz’ordine alcuno, le quali appartennero al predetto donatore. Fra queste carte, a un consanguineo e zelatore della fama di quest’ultimo, avvenne di scoprire quel Minutario, che altri poi conobbe essere del veneto ambasciatore in Vienna, Giovanni Sagredo; ed anche un esemplare della Relazione, che un ufficiale anonimo, ma certo italiano e sottoposto al Montecuccoli, scrisse e fece imprimere, intorno alla campagna del 1673 . A me, rovistando tra que’ Codici miscellanei, vennero prima sotto gli occhi le nove lettere originali del generale Raimondo al Residente Cesareo in Venezia; poi tutto un volume di presso a trecento lettere, anch’esse originali, del Milanese Senatore e Conte Bartolommeo Arese , egualmente dirette a Venezia all’abate Domenico Federici.
E’ notabile questa raccolta per le strette e continue corrispondenze che si vedono mantenute tra i due rami della Casa d’Austria, a raffermar più sempre il dominio dell’uno, i diritti e gl’influssi dell’altro sulla nostra penisola. Né qui finisce la suppellettile che la Federiciana potrebbe offrire ai curiosi delle particolarità aneddote, e, per dir così, psicologiche della storia d’Italia: conciossiaché (per tacer d’altre cose) mi parve degno di studio, e forse ancora della pubblica luce, un altro e non breve carteggio, tenuto collo stesso Federici già sacerdote e vicario della patria diocesi, dal Cardinale Angelo Ranuzzi, allora Nunzio in Parigi.
Mi resta a dire alcuna cosa intorno a cotesto fondatore della Biblioteca de’ Padri Filippini in Fano; sebbene a me non s’aspetti , né sarebbe di qua possibile il parlarne in guisa da compensare il lungo silenzio de’ suoi conterranei, e delle Biografie che si dicono italiane. Domenico Federici, nato di civil sangue in picciol luogo del contado fanese, andò per cagione di studii a Roma, dove forse contrasse quelle utili amicizie che il menarono, come vedemmo, in Germania, coll’ufficio di Segretario dell’Ambasciatore Sagredo. Quivi poté rendersi accettissimo all’imperiale famiglia: onde scrivono che servisse lungamente come Segretario l’Arciduchessa Regina di Polonia, poi Duchessa di Lorena: e lo stesso Imperatore Leopoldo I . Sembra che introduzione o fomite di tal grazia fossero non tanto i varii drammi per musica da lui composti a petizione de’ principi di quella casa, quanto i molti scritti politici e (come oggi dicesi) di circostanza, a difesa ed esaltamento della potenza austriaca: quelli nella maggior parte impressi pe’ tipi viennesi; questi vie più facili a trovarsi che a ben distinguersi dalle altrui produzioni tra i Manoscritti della sua propria libreria. Dal 1667 al 1674 il vediamo Residente diplomatico per l’Imperio presso alla Repubblica di Venezia. Sul finire di questa sua missione, avendo sofferto (com’egli la qualifica) un’ingiusta prigionia per comando dell’Arciduca Governatore del Tirolo, si sentì chiamato a vita ecclesiastica, sottoponendosi alla regola umana e benefica di San Filippo Neri.
Restituitosi per tale effetto alla città natia, vi fu accolto tra i preti di quell’Oratorio (1681), in cui divenne sacerdote e Proposto, e continuò a splendervi lungamente per zelo, operosità, fermezza evangelica, ed altre virtù segnalate. I soccorsi prestati a un suo fratello soldato e rotto allo spendere, la compra delle case annesse al Convento, la fabbrica delle sale che dovean ricevere la Biblioteca ceduta alla Congregazione ed al pubblico, non sono le sole larghezze né le sole beneficenze di che i parenti, i confratelli e la patria a lui sieno debitori. Morì di anni 87, mesi 6, giorni 3, il 19 di novembre del 1720.
Firenze, 7 gennajo 1846.
Filippo-Luigi Polidori
Estratti da Copie di Lettere scritte da’ varii della famiglia dei Montecuccoli al cavaliere Ottavio Bolognesi, Residente pel Duca di Modena in Vienna; dallo stesso Bolognesi, dal Duca Francesco I, ec. (dal 4 Maggio 1639, al 3 Aprile 1646).
1. Del Conte Francesco Montecuccoli, a Ottavio Bolognesi (Modena, 4 Maggio 1639)
Qui si è sparsa voce, che il Pa... abbia data una gran rotta al Mar... Sto però con qualche travaglio della persona del Conte Raimondo, sapendo che era marciato con le genti imperiali da quella parte. Si compiaccia adunque Vostra Signoria intendere e avvisarmi ora e frequentemente di quello potrà intendere dello stato e successo di esso Sig. Conte.
2. Del Conte Girolamo Montecuccoli, al medesimo (Inspruch, 14 Giugno 1639)
Nelli avvisi che sono giunti coll’ordinario di Germania viene scritto, che nell’incontro patito il (sic) generale Hoffkirehin, ne sia stato fatto prigioniere il sig. Conte Raimondo mio cugino: cosa che mi dispiace sin all’anima. E perché intorno a questo fatto non tengo da niuna parte avviso particolare, mi sono però risoluto di pregar con questa mia Vostra Signoria Illustrissima, acciò si compiaccia darmi ragguaglio...; e quando l’infortunio fosse successo, la prego di cuore di prestar il suo favore in fare uffizj e diligenze dove conoscerà essere necessario per facilitare la liberazione del detto sig. Conte. Ciò mi promette la cortese sua affezione che sempre s’è piaciuta addimostrare verso di esso sig. Conte Raimondo e tutta la casa nostra; e stimando V. S. Illustrissima che io possa operare qualche cosa in questo conto, me ne darà avviso, che non mancherò di farlo con ogni diligenza e prontezza.
3. Dello stesso, al medesimo (Inspruch, 4 Luglio 1639)
Quando per altro spedii a cotesta Corte il mio Segretario, gl’imposi fra le altre cose di chiedere a V. Signoria Illustrissima qualche notizia circa lo stato del sig. Conte Raimondo Montecuccoli, rimasto prigioniere in poter del nemico. Ora le replico le preghiere affinché me ne favorisca, e particolarmente se si scopre speranza di liberazione, o mezzi per i quali si potesse agevolare; poiché in tal caso, sapendoli precisamente, e occorrendo l’opera mia appresso i medesimi, non lascerei d’interporla con straordinaria efficacia, premendomi sommamente l’infortunio del detto sig. Conte per il parziale affetto che gli porto.
4. Del Conte Francesco Montecuccoli, al medesimo (Modena, 22 Luglio 1639)
L’altra (Lettera di cambio) di 200 Talleri servirà per il sig. Conte Guido Montecuccoli, che ora si trova in Fiandra nel reggimento del sig. Principe Mattias... Il Conte Guido suddetto credo sia nell’armata del Piccolomini, e che in essa anche si ritrovi il Conte Andrea... Desidero che più frequentemente che possa, mi vadi V. Signoria Illustrissima avvisando quello s’intenda della persona del Conte Raimondo, e che speranza vi sia della sua liberazione.
5. Dello stesso, al medesimo (Modena, 24 Luglio 1639)
Di nuovo prego V. Signoria a cooperare alla liberazione del Conte Raimondo in tutto quello che possa, e far anco conoscere il suo costante affetto negli interessi del sig. Conte Girolamo.
6. Del Duca Francesco I, al Bolognesi (Modena, 15 Febbrajo 1641)
Avressimo gusto di poter tirar quanto prima qui il Conte Raimondo Montecuccoli. Vi accenniamo questo nostro senso, non perché abbiate da dichiararlo, ma perché vi serva di motivo per procurare con ogni applicazione il suo riscatto. Non restate di partecipare che speranza se n’abbia.
7. Del Conte Francesco Montecuccoli, al Bolognesi (Roma, 25 Gennajo 1642)
Scrivono da Venezia per certa la liberazione del sig. Conte Raimondo, e da Modena ancora ho avuto il medesimo avviso: ma perché non sento che Lei me lo confermi, non posso stare con l’animo quieto.
8. Dello stesso, al medesimo (Roma, 1° Marzo 1642)
Vedo quello che V. Signoria Illustrissima si compiace avvisarmi circa il sig. Conte Raimondo con la sua delli 8 del passato. Io so quanto si sia Ella adoperata, e quello abbia fatto perché ne succeda la sua liberazione; onde le ne rendo nuove parzialissime grazie, e con ogni maggiore affetto la prego a continuare, acciò quanto prima potiamo vedere questo cavaliere in libertà: assicurandola, che oltre favorire cavaliere che merita, ed oltre l’obbligo che dovremmo averlene tutti noi, V. Signoria Illustrissima incontrerà anche grandissimo il gusto del signor Duca padrone. Scrivo la congiunta al sig. Conte suddetto, e la prego ad inviargliela subito, e sopra tutto premere che vadi sicura, contenendo negozio di servizio e di premura anche di Sua Altezza. Un’altra volta scrissi una lettera al medesimo sig. Conte per ordine e servizio pure di Sua Altezza, e la inviai a V. Signoria Illustrissima; ma non avendone mai ricevuto risposta, dubito che sia andata in sinistro: onde non vorrei che seguisse il medesimo di questa.
9. Dello stesso, al medesimo (Roma, 25 Marzo 1642)
Giacché Ella ha fatto tanto pel sig. Conte Raimondo, continui ajutarlo adesso con maggior affetto, acciocché dunque col cambio di Sclangh possa ottenere la libertà.
10. Memoriale di Ottavio Bolognesi all’Arciduca, per impetrare la liberazione del Conte Montecuccoli
Serena Altezza Reale. Supplicai già riverentemente Vostra Altezza Reale, che per favorire l’interesse del Duca mio signore, restasse servita proteggere con la sua somma autorità la liberazione del Conte Raimondo Montecuccoli, prigione tanto tempo fa in Stettin; la cui ragione, come più antico prigione e più antico nella carica, lo preferisce ad ogni altro: ed animato dalla benignissima risposta di che fui onorato, che in riguardo del Duca e per le buone qualità del Conte, era Vostra Altezza per compiacersi d’incontrare occasion di liberarlo; presentandosi ora quella di poterne far cambio con uno di quei Colonnelli che sono prigioni ad Haistatt; supplico umilmente la Reale Altezza Vostra a gratificarne non meno il Duca che il Conte. E Dio eternamente prosperi la Reale Altezza Vostra.
11. Del Conte Francesco Montecuccoli, al Bolognesi (Roma, 14 Aprile 1642)
Circa la lettera pel sig. Conte Raimondo, è bene di vedere di fargliela avere sicura, perché, come gli ho scritto, contiene servizio di Sua Altezza, di qualche premura.
12. Dello stesso, al medesimo (Roma, 19 Aprile 1642)
Il Sig. Conte Girolamo mi scrive, che spera in breve la liberazione del Sig. Conte Raimondo; e ciò piaccia a Dio succeda subito, come ansiosamente se ne sta attendendo avviso: e la lettera ch’io rimisi a V. Signoria, diretta ad esso Sig. Conte Raimondo, è bene inviargliela solo quando si sia certo che sia per capitargli sicura.
13. Dello stesso, al medesimo (Roma, 26 Aprile 1642)
Quanto al particolare del Sig. Conte Raimondo, intendo in che consista la difficoltà. Voglio nondimeno sperare, che col mezzo del Sig. Marchese Pallavicino, e degli uffizj di V. Signoria Illustrissima, sia per superarsi ogni incontro, come desidero con tutto l’animo.
14. Del Conte Gio. Batista Montecuccoli, al medesimo (Modena, 4 Maggio1642)
Dico aver preso dalla sua molta consolazione, sì per il sentire che il Sig. Conte Raimondo si stia attendendo costì in breve, come anche per la nuova felice che mi accenna dandomi speranza della sua qui pronta venuta; la quale so di certo sarà cara a tutta la Corte, ed in particolare a me, come quello che son tanto affezionato alla di lei persona.
15. Del Conte Francesco Montecuccoli, al medesimo (Modena, 16 Maggio 1642)
Avendo già da Sua Altezza inteso quello ch’Ella mi scrive del Sig. Conte Raimondo, la cui liberazione si spera sia seguita, essendo successa quella di Sclangh con questa intenzione; e voglio sperare che V. Signoria Illustrissima a quest’ora avrà fatto avere ad esso Sig. Conte la lettera che gli inviai da Roma, e che perciò Egli sia per portarsi qua in breve, come ben ricercano i suoi interessi, e molti altri rispetti.
16. Dallo stesso, al medesimo (Modena, 30 Maggio 1642)
Quest’ordinario mi porta la lettera di V. Signoria Illustrissima del 10 corrente, che conferma la speranza della prossima liberazione del Sig. Conte Raimondo; e però si sta con gran desiderio di sentire che ne sia seguito l’effetto... Prego a far avere la congiunta al Sig. Conte Raimondo quando sarà liberato; il che si sta desiderando da me con impazienza; e Sua Altezza pure ne desidera con premura il successo, che piaccia a Dio concederlo.
17. Dello stesso, al medesimo (Modena, 27 Giugno 1642)
E’ inesprimibile l’allegrezza che mi reca l’avviso della tanto bramata liberazione del Sig. Conte Raimondo; e siccome ne riconosciamo in buona parte il successo dai favori e diligenze di V. Signoria Illustrissima, così le ne restiamo tutti noi particolarmente obbligati... Congiunta viene la risposta al Sig. Conte Raimondo; il quale se si fosse inviato, come dubito, verso l’armata, prego V. Signoria Illustrissima a fargliela aver sicura.
18. Dello stesso, al medesimo (Modena, 4 Luglio 1642)
Vedo quello ch’Ella scrive del Sig. Conte Raimondo, al quale piaccia a Dio di concedere ogni prosperità: e giacché Egli si mostra pronto a venir qua ad ogni bisogno, questo basta.
19. Del Conte Girolamo Montecuccoli, al medesimo (Hoheneck, 20 Luglio 1642)
La cortesissima lettera di V. Signoria Illustrissima... m’è stata di grandissima consolazione per gli avvisi che mi dà del principio di buon progresso dell’armata Cesarea, e che il Conte Raimondo abbia avuto fortuna a dimostrare il suo valore e diligenza. Dio Nostro Signore gli assista che proseguisca avanti col suo intento...
Ho inteso la domanda che fa il Serenissimo Sig. Duca padrone del Conte Raimondo. Concorro nell’opinione di V. Signoria Illustrissima, che Sua Maestà lo lasci malvolentieri per il buon concetto che ne ha, e il bisogno che tiene principalmente addesso di persone fedeli e valorose. Temo che questo avviso sarà di qualche disturbo e dispiacere a esso Conte Raimondo, per ritrovarsi nell’impiego che è, avanti l’inimico, con occasione di buona fortuna, e presente il Serenissimo Sig. Arciduca, che tanto ne fa conto e mostra buona volontà d’avanzarlo. Gli sarà anche cosa dura abbandonare ogni suo disegno di qua per il spazio di tanti anni, ed ora avere a incamminarsi così di subito in Italia; dove sebbene le gelosie e i sospetti di guerra sono grandi, non vi è certo rottura, e forse ancora si quieterà.
Egli è Cavaliere prudente, e saprà risolversi a quello che sarà espediente per riputazione sua, e satisfazione dove bisogna. Non posso promettere della mia venuta così di presto a Vienna, perché... mia moglie... sta tuttavia tanto abbattuta e debole, che ogni piccolo accidente che le venga, può levarla da questo mondo ... E perché non so che giovamento io possa portare nell’interesse del Conte Raimondo, starò attendendo quello che egli risponderà a V. Signoria Illustrissima. P. S. Mi faccia V. Signoria Illustrissima grazia di mandare l’annesso piego con prima occasione al Sig. Conte Raimondo.
20. Dello stesso, al medesimo (Hoheneck, 24 Luglio 1642)
Ricevei la cortesissima lettera di V. Signoria Illustrissima, con quella del Sig. Conte Raimondo mio cugino. La sua scritta li 12 di questo, e di esso Sig. Conte li 11 pure del detto, non mi dà altra nuova che solo dell’arrivo del Serenissimo Arciduca all’armata , ricevuto con gran giubilo.
21. Di Ottavio Bolognesi, al Conte Raimondo Montecuccoli (Vienna, 27 Luglio 1642)
Con altra mia ho avvisato a V. Signoria Illustrissima, che Sua Altezza padrone preme d’averla per i bisogni di guerra. Ora le replico, che l’istanza che ne fa Sua Altezza non puole essere maggiore, perché antivede che contro di Lei sono per sgorgare macchine, come quella che è vivamente portata nel servizio Austriaco. Il Conte Carpegna, mandato da Sua Santità a Bologna, era per portarsi a Modena, a dimandare il passo a Sua Altezza per la soldatesca che si vuole spingere contro gli Stati di Parma; ed aveva Sua Santità trattato alle strette per entrare nella Mirandola: come poi per la via di Venezia è venuto avviso, che così sia seguito pregiudizio al nostro Principe della qualità che sa V. Signoria Illustrissima. Sua Altezza mi scrive che non può avere sussidio alcuno da’ Signori Spagnuoli, e che di tanti che ne ha implorati qui, non ne ha potuto conseguire alcuno; e che d’una dimanda che fece fare ultimamente a’ mesi passati di levata per cinquecento fanti, vi si fece tanta riflessione come se avesse dimandato un esercito intiero.
Mi comanda di nuovo di replicare l’istanze più vivamente che mai per sussidio pronto di gente, perché non resti esposto a quei pericoli che ponno pur troppo essere antiveduti. Preme inoltre a S. A., che V. Signoria Illustrissima con la sua industria, col fare ogni sforzo immaginabile, procuri di condurre seco, o lasciar ordine che segua appresso, qualche buon numero di gente e di soldatesca, che potesse essere pronta quando da Sua Maestà li sarà concessa. Tali sono le parole precise della lettera. Jeri l’altro ebbi udienza da Sua Maestà, e presentai Memoriale ristretto a due capi: sussidio pronto di gente, e licenza per V. Signoria Illustrissima.
La Maestà Sua benignamente inclinò a fare tutto quello fosse in suo potere, conoscendo la convenienza, sì per la singolarissima divozione del Sig. Duca, come per l’obbligo del diretto Signore verso il Vassallo, e uso che venisse chiesto un sussidio pel mantenimento degli Stati riconosciuti in feudo. Nell’istessa ora ch’io diedi il Memoriale, Sua Maestà lo mandò al Consiglio di guerra, perché lo esaminasse e lo riferisse senza dilazione. Convennero tutti i Consiglieri essere necessario assistere Sua Altezza, e concederle V. Signoria Illustrissima per essere suo feudatario; e jeri andarono a consiglio di Stato a riferire il tutto a Sua Maestà. Fu proposto quanto al primo, di dare a Sua Altezza quel reggimento di fanteria di Gild o Hass; ma occorse la difficoltà di dove s’abbi da pigliare la soldatesca per rimettere presidio nei luoghi di dove quella si leverà, e che ciò non possa neanche effettuarsi in un mese. Fu di poi proposto di dare alcune centinaja che sono nella Boemia (non ho potuto sapere se sieno fanti o cavalli): ma parmi sia stato detto, che convenga sentire il parere del Serenissimo Arciduca; e dissero alcuni, che potendosi sperare qualche buon successo contro i nemici nell’operazione che pende, in tal caso sarà facile a dare un’assistenza pronta e sostanziale. Quanto alla licenza per V. Signoria Illustrissima, fu concluso di darla per due mesi, e di rimettere a Sua Altezza l’effettuazione, col riguardo che non si pregiudichi alle imminenti operazioni, che... a differirne alcuni giorni, se occorresse, col supplire poi V. Signoria Illustrissima con diligenza di posta. Tanto ebbi per risposta jeri sera alla notte, e mi dissero ch’io scrivessi a V. Signoria Illustrissima, perché oggi spediriasi corriere. Io non posso dire tanto che non sia più (sic) della clementissima disposizione di Sua Maestà, e di altri ministri tutti. Sua Maestà ha detto, che ama tanto il Sig. Duca, che non vi è cosa che non facesse per Lui; e che se Dio gli concederà qualche vittoria, vuole consolarlo con partite grosse di soldatesca. Fui rimesso a prendere la risposta dal Sig. Conte Slüh, di cui restai schiavo. Mi disse che ama tanto Sua Altezza, ed è tanto servitore al suo gran merito e qualità eminenti, che se a lui stasse il deliberare, avria voluto che senza dilazione si facesse venire quella soldatesca che è in Boemia, per mandarla prontamente a Sua Altezza; e che in questo caso ha parlato in Consiglio, col dire che Sua Maestà è più tenuta verso il Duca di Modena, che a quale si sia più stretto parente; e che il non soccorrerlo, saria pur grande errore e gravissimo scandalo.
Tutto mi è parso debito di significare a V. Signoria Illustrissima, perché possa meglio fare la parte di buono e zelante vassallo, non solo col premere per l’effetto della licenza, ma ancora col supplicare umilmente Sua Altezza Reale a degnarsi d’essere benigno protettore di Principe che non ha altro fine che di ben servire all’augustissima casa. Ed a questo proposito, mi scrisse Sua Altezza, che la sua costanza sia esemplare in Italia ed unica; e così mi confessa il Sig. Marchese di Castelrodrigo; e quello di Kuente, che ha avuto il dispaccio per andare a Venezia, ha in istruzione di corrispondere intieramente col Duca, e coll’uso della cifra. Non devo tralasciare di dire a V. Signoria Illustrissima, che ora ho lettera del Serenissimo Sig. Principe Tommaso; quale, tra le altre ragioni, in primo luogo esagera la dilazione ed incertezza di mandare i due reggimenti promessigli.
serva d’avviso.
Spero che l’Eccellenza del Sig. Maresciallo Piccolomini si compiacerà di fare la parte di buon amico a Sua Altezza e di buon Italiano, col facilitare con l’autorità sua i mezzi per l’assistenza; e mentre attendo presta venuta di V. Signoria Illustrissima e con buone nuove, qui resto, e le bacio riverentemente la mano.
22. Del Conte Francesco Montecuccoli, al Bolognesi (Modena, 1° Agosto 1642)
Con mio particolarissimo gusto ho inteso l’avanzamento del Sig. Conte Raimondo in codesta Corte, come Egli nella sua lettera si è compiaciuto ragguagliarmene; e perciò ne ringrazio anche V. Signoria Illustrissima dell’avviso.
23. Del Conte Girolamo Montecuccoli, al medesimo (Hoheneck, 17 Agosto 1642)
In quanto al sig. Conte Raimondo, temo bene che non potrà ancora così presto assentarsi dall’armata, mentre ella si trova così vicina al nemico; e il Serenissimo Arciduca non lo lascerà partire, né egli ci averà inclinazione. Sentiremo in questo mentre che piega piglino gli affari d’Italia; e piacendo a Dio in buona parte, potrò presenzialmente discorrerne a V. Signoria illustrissima d’ogni ricorrenza.
24. Del Conte Francesco Montecuccoli, al medesimo (Modena, 22 Agosto 1642)
Sua Altezza ha gradito molto l’esibizione del sig. Conte Raimondo, qual io tanto bramo di poter godere e servire di presenza... Prego far avere sicure le congiunte al sig. Conte Raimondo.
25. Dello stesso, al medesimo (Modena, 1° Settembre 1642)
In proposito di quello che V. Signoria Illustrissima scrive, colla sua del 16 del passato, circa il far levare costà, non se l’è rimesso il danaro, conoscendosi, che stante il bisogno qui, che è urgentissimo, cotesta gente non saria arrivata in tempo; perché, prima di essere assoldata, marciata e giunta qua, si fa conto che saria quasi primavera. Ed intorno a ciò non le soggiungo altro, volendo credere che all’arrivo delle presenti costà, il sig. Conte Raimondo sarà inviato a questa volta.
26. Del Marchese Massimiliano (?) Montecuccoli, al medesimo (Modena, 19 Settembre 1642)
Prego V. Signoria Illustrissima a scusarmi del fastidio che le do. Il Padre Massimiliano, fratello del sig. Conte Raimondo, mi raccomanda strettissimamente il recapito della congiunta sua lettera; ed io non sapendo come meglio servirlo, mi piglio confidenza d’indirizzarla a Lei, acciò la faccia avere al medesimo sig. Conte Raimondo .
27. Del Conte Francesco Montecuccoli, al medesimo (Modena, 19 Settembre 1642)
Il sig. Conte Raimondo si sta attendendo qui con ansietà da tutti, massime da me; e dico anco da Sua Altezza. Non scrivo a detto sig. Conte, perché, secondo le di lui lettere e di V. Signoria Illustrissima, lo faccio di già incamminato a questa volta, e vicinissimo all’Italia. 28. Di Ottavio Bolognesi, al Maggiordomo del Duca di Modena (Vienna, 23 Settembre 1642)
Pur finalmente se ne viene lo desiderato sig. Conte Raimondo; gioia che deve essere trattenuta per la sola necessaria occorrenza, perché in queste parti si farà sempre di maggiore valuta, potendosi dire con verità che ne sia il centro; ed a Sua Altezza Serenissima potrà essere di gran servizio.
29. Dello stesso, al Duca di Modena Francesco I (Vienna, 23 Settembre 1642)
E’ restata Sua Maestà edificata della conclusione della Lega, e molto gustata di Vostra Altezza. Ha riso assai, per essersi mutato la scena con l’entrata di Sua Altezza di Parma nello Stato Ecclesiastico, e che la soldatesca Pontificia fosse confusa. Ho dato a Sua Maestà la lettera in originale, con la scrittura della capitolazione... Prima del venire Sua Maestà, lessi tutto al sig. Conte Martines...; e detto Conte m’ha comunicato d’avere inteso dal Cardinale Kleselio, che quando era in Roma, un santo religioso gli disse, che questo pontificato saria lungo, col terminare poi rabbiosamente. Venne ancora il sig. Conte Raimondo a licenziarsi; ed a tavola, con i signori Consiglieri e Ministri, si bevette in onore dell’opere ed in derisione di chi n’ha dato causa; e tutti augurano e desiderano buoni successi per Vostra Altezza. Col dilatare i discorsi, si è espressa a buon proposito Sua Maestà, che se verificherà che la mossa (sic) sia stato soccorsa dal sig. Duca di Lorena, farà ogni possibile per mandare a Vostra Altezza qualche parte di quella soldatesca di Geld. Stap (?).
Quanto alle levate, mi riporto al Conte Raimondo, che domani partirà per venire in diligenza a sagrificarsi nei servigj di Vostra Altezza; la quale avrà un campione che si farà conoscere nelle occasioni; ed è stato conceduto con altrettanta renitenza, quanto è grande il desiderio d’incontrare la soddisfazione dell’Altezza Vostra. Sarà poi gran servigio di Vostra Altezza rimandarlo, cessato il bisogno; perché ha abilità di ascendenza tale, che potrà col tempo giovare per mille versi; e tutti qui inclinano a portarlo avanti. Piccolomini è screditato, e in effetto manca nell’antivedenza. Le cose poi qui sono assai al basso, come appieno potrà Vostra Altezza intendere dal Conte. Piccolomini dice, non sapere conoscere altro rimedio che azzardare una battaglia; ma il suo è un parlare da disperato.
30. Del Conte Francesco Montecuccoli, al Bolognesi (Modena, 2 Ottobre 1642)
Sua Altezza, occupatissima in questa giornata che parte il corriere ordinario a codesta volta, m’ha comandato di scriverle anche, che sta attendendo le di lei Patenti, nella forma concertata col sig. Conte Raimondo, per la levata d’infanteria; e che però vegga mandarle subito, caso non l’avesse fatto. Si crede però, che ne avrà mandato almeno parte al Capitano Merigi, per dar principio a far levata nel Cra... (sic), ed altri fuochi circonvicini; come avrà, per mezzo del medesimo Capitano, ricevuto V. Signoria Illustrissima lettera di Sua Altezza.
31. Dello stesso, al medesimo (Modena, 3 Ottobre 1642)
E’ arrivato il sig. Conte Raimondo, con molto gusto di Sua Altezza, e mio infinito; ed attendo di servirlo e goderlo .
32. Dello stesso, al medesimo (Modena, 20 e 21 Ottobre 1642)
Con sommo gusto ha Sua Altezza ricevuto l’avviso della grazia che Sua Maestà gli fa in concedergli un mille fanti, che sono stati fatti prigionieri all’inimico. Preme però a Sua Altezza, che siano subitissimo messi in sicuro, ed incamminati quanto prima a questa volta. Che però, quanto alla forma di farlo, intenderà V. Signoria Illustrissima il parere del Signor Conte Raimondo; e per il medesimo avrà con questa, polizza di dodicimille talleri, che, ai calcoli del medesimo sig. Conte, sopravanzano al bisogno, ec.... Al sig. Conte Raimondo ho mostrato le due lettere del Marchese Pallavicino ec.
33. Di Ottavio Bolognesi, al Conte Raimondo Montecuccoli (Vienna, 21 Ottobre 1642)
Ho sentito con estrema consolazione il salvo arrivo di V. Signoria Illustrissima alla patria, e che con singolarissimo applauso sia stata veduta... Degli uffizj fatti a mio favore, come ho veduto dalla lettera scritta dal sig. Conte Girolamo, e come mi ha scritto ancora l’Illustrissimo sig. Marchese di Guilia, resto a V. Signoria Illustrissima con le dovute eterne obbligazioni... Le lettere inviate per il campo, anderanno a sicuro recapito... Le cose da quella parte stanno con poca speranza di miglioramento: vero è che il nemico nel posto di Seita (?) patisce di viveri... Il sig. Conte Magno arrivò qui jeri l’altro, chiamato; e riverisce profondamente V. Signoria Illustrissima. Col suo bell’ingegno ha proposto modo di fare danaro a misura del bisogno: vedremo dove parerà... Jeri l’altro pure in una conversazione nobilissima bevessimo alla salute di V. Signoria Illustrissima, sotto l’invito del sig. Colonnello Gallo, impazzito d’amore verso la di lei persona; e se le raccorda parzialissimo servitore, come Monsieur di Bassampier ... Si sospese poi la liberazione delle patenti sino all’arrivo del sig. Conte di Trautmanstorff , né si sono potute dare che per levate dell’Impero, come si è fatto per servizio di Spagna; ed in effetto la gente di Stiria, mi dicono tutti che vale poco... Un tal Colonnello Lodovico, che senza dubbio da V. Signoria Illustrissima sarà conosciuto, intendo si esibisca di fare buone levate pure nell’Imperio, e dalla parte di Prussia. Serva l’avviso. Si trova qui alla Corte.
34. Del Duca Francesco I, al Bolognesi (Modena, 10 Marzo 1643)
Ci ha chiesto licenza il Conte Raimondo di trasferirsi per alcuni giorni a cotesta Corte, e Noi non abbiamo saputo negargliela. Viene dunque, e porta lettere per Sua Maestà, con le quali la supplichiamo anche a farci grazia di prorogare il tempo della sua dimora presso di noi. Al medesimo abbiamo detto quanto ci occorrerebbe ora di scrivervi ec.
35. Dello stesso, al medesimo (Modena, 24 Aprile 1643)
In questo punto giunge il corriere di Firenze, e abbiamo sentito grandissimo gusto della venuta del Conte Raimondo.
36. Del Conte Francesco Montecuccoli, al medesimo (Modena, 24 Luglio 1643)
Gli ecclesiastici non hanno finora fatta cosa alcuna di considerazione, da qualche scorreria in poi, e non hanno presi alcuni luoghi forti; o se n’hanno occupato qualcheduno, non gli hanno però tenuti: laddove i progressi della Lega sono molto ben noti a tutti; ed ultimamente anche a Nonantola è seguita una fazione fra l’armata sola di Sua Altezza e quella dei signori Barberini (essendo allora tutta la Veneta verso il Finale ritirata), con gran profitto e vantaggio dell’Altezza Sua, che vi si trovò in persona...
P. S. Nella fazione di Nonantola e rotta data all’inimico, il sig. Conte Raimondo nostro ha fatti propriamente, coll’ajuto divino, miracoli; poiché non poteva qualsisia capitano antico o moderno mostrar più prudenza e militare esperienza, né più bravura, coraggio e valore in attaccare e combattere l’inimico con risoluta generosità.
37. Del Duca Francesco I, al medesimo (Venezia, 13 Dicembre 1643)
Dal Conte Raimondo Montecuccoli, nostro Mastro di Campo Generale, che spediamo alla Maestà dell’Imperatore nostro Signore, intenderete tutto che passa qui, così negli affari della guerra, come in qualsivoglia nostro negozio che abbia relazione ai nostri interessi. Sarà vostra parte intendervi seco, e il cooperare colla solita accurata puntualità a tutto quello che può essere di nostro servigio: come anche coadiuvare alle proprie cose il medesimo Conte, avendoci egli obbligati coll’ottimo servigio che ci ha prestato, e presterò nelle sue nientemeno che nelle nostre medesime soddisfazioni. A lui ci rimettiamo ec.
38. Dello stesso, al medesimo (Venezia, 15 Dicembre 1643)
Il solo affetto che portiamo al Conte Raimondo ci ha fatto permettere l’assentarsi da noi per questo poco tempo del suo viaggio costì, non volendo che per la sua lontananza restasse con pregiudizio, particolarmente in quello che riguarda l’eredità della Contessa, che fu moglie del Conte Girolamo Montecuccoli Sebbene la sua esattezza ci assicuri che solleciterà il ritorno, non vogliamo restare di ordinarvi di ricordargliele, aspettandolo a Modena prima che passi Gennajo. Ne’ suoi interessi coll’Imperatore e Ministri tratterete con quel medesimo ardore che fareste nei medesimi per me, promettendomi che riceverà tutte le soddisfazioni costà, né che voi lascerete intentati quei mezzi per assisterlo, e per corrispondere alle premure di avvantaggiare le cose sue come merita.
39. Del Conte Francesco Montecuccoli, al medesimo (Modena, 20 Gennajo 1644)
Mi rallegro particolarmente, che il sig. Conte Raimondo sia stimato ed amato costì, secondo che V. Signoria Illustrissima s’è compiaciuta di scrivermi; e voglio sperare ch’Egli presterà buon servigio a Sua Maestà, sempre che avrà occasione d’impiegarsi e di travagliare nell’imperiale servigio.
40. Decreto Cesareo pel Conte Raimondo Montecuccoli (Modena, 4 Febbrajo 1644)
Ex mandato Sacrae Caesareae, nec non in Hungaria et Bohemia Regiae Maiestatis, Domini nostri Clementissimi, hisce litteris eiusdem supremo Vigiliarum Praefecto ac Colonnello, Domino Raimondo Comiti de Montecuccoli gratiose indicatur. Quod Suae Maiestati in memoriam venerint non solum illa Sibi, Sacro Romano Imperio, et Serenissimae Arciducali Domui Austriacae, ab antecessoribus suis, Domino Patre, Cognatis et Fratribus, imprimis vero Dominis Comitibus Ernesto et Hieronimo , qui fidelitatem suam profusione sanguinis et morte sua obsignaverunt, sed etiam ista ab ipsomet Domino Comite Raimondo septemdecim annis continuis fidelissime praestita servitia bellica, quibus diversa officia tam pedestria quam equestria obivit. In duodecim assaltibus et expugnationibus ... fortilitiorum, civitatum et ..., nimirum Amerfurti in Velavia, Novo-Brandeburgii, Kalbis et Kauferlauterii, ipsemet in persona muros ascendit; in ultima obsidione civitatis Magdeburgensis, antequam Dominus Comes de Harfelt illam occupaverat, tria diversa regimina Suecica, et posthaec per diversas vices quatuor equitum turmas ex exercitu campi Marescalli Wrangelii vicit; ex acie iuxta Wittstock quatuor integra regimina dexterrime in salvum conduxit in Silesia; non ita pridem quasdam sub conducta Slangii missas cohortes ad internecionem delevit; arcem Troppaviensem traditam sibi milium manu occupavit; diversa vulnera in corpore suo recepit; duas acerbas apud hostem captivitates sustinuit; denique in diversis commissis preliis, pugnis, et aliis occasionibus ubique locorum, ita se strenue exhibuit, ut respectu actuum suorum heroicorum anno 1625 Sacrae Caesareae Maiestatis Colonnellus, et anno 1642 eiusdem supremus Vigiliarum Praefectus constitutus fuerit, et nullo non tempore valorosissime ac laudabilissime se gesserit.
Quemadmodum nunc Sua Maiestas supradicta Domini Comitis Raimondi de Montecuccolis constantissime ac fidelissime praestita servitia bellica in gratia Caesarea approbat et recognoscit, ita ut in firma fiducia illum post pacem in Italia restabilitam, denuo pro Sua Maiestate in his terris arma suscepturum, gratiosissime se se resolverit mandaturam, ut ipsi pro praedictis fidelissimis servitiis in recompensa triginta millia florenorum numerentur. Nec non benemoratus Dominus Comes, post factam in Italia pacem, ut dictum, denuo in servitiis suis Caesareis secundum merita ipsius eum in modum tractetur et accomodetur, ut benignam voluntatem et inclinationem Suae Maiestatis erga ipsum sufficienter cognoscere possit. Ita etiam et e contra confidit Sua Maiestas gratiosissime supradictum Comitem in proposito suo itinere Italiam, omnem diligentiam adhibiturum, et pro virili laboraturum, ut pace ibidem conclusa, tot quot ipsi possibile erit ex militibus dimittendis, praecipue peditibus, ad Suae Maiestatis servitia trahantur, et in has partes adducantur. Quando etiam equites ad novum regimen construendum pro se ibidem colligere, et deinde S... M... data occasione, et apud vetera eiusdem regimini equestria occurrentibus vacantiis, istis plures adiungere potuerint, non intermitt... illa novo aliquo et bono regimine ipsum accomodare. Et haec ipsi Domino Comiti de Montecuccolis ex parte Clementissimi Domini nostri indicari debuerunt, cui Sua Maiestas gratia sua Caesarea constanter fu... (Loco Sigilli)
41. Del Conte Francesco Montecuccoli, al Bolognesi (Modena, 24 Febbrajo 1644)
Ho intesa la morte della Signora Contessa , e la disposizione che ella ha fatta nel suo testamento: ma perché so che il sig. Conte Raimondo non è troppo economo , vorrei pregare V. Signoria Illustrissima a compiacersi d’esercitare anche in questa occasione la solita sua cortesia, coll’invigilare che sia tenuta buona e fedel cura della robba del sig. Conte, e col proteggere cotesti interessi del medesimo in tutto quello che la prudenza ed affetto di V. Signoria Illustrissima conoscono possa occorrere, massime se le convenisse ritornare in Italia; assicurandola che le ne resteremo singolarmente obbligati tutti: e voglio anche sperare, che col suo ajuto e consiglio ella procurerà di rimediare alle molestie che intendo abbia pensiero di dare il figlio della già Contessa, con eccitare liti e pretensioni.
42. Dello stesso, al medesimo (Modena, 8 Marzo 1644)
Dalla lettera di V. Signoria Illustrissima del 13 del passato, sento il timore che si ha costì per la mossa del Ragozzi. Si vuol però sperare che la Divina Bontà sarà per provvedere al pericolo di cui si dubita...; e perciò stimo che non debba restarsi di stabilire nella persona del sig. Conte Raimondo cotesto bene che gli spetta, conforme scrivo a lui medesimo.
43. Dello stesso, al medesimo (Modena, 24 Marzo 1644)
Sento con gusto che il sig. Conte Raimondo sia andato a prendere il possesso del suo bene, secondo che V. Signoria Illustrissima si è compiaciuta d’avvisarmi; ed attenderò il buon incamminamento di cotesti suoi affari, a’ quali voglio credere che potrà maggiormente applicare, stando che qui s’ha per istabilita la pace...; onde stimo che non importerà tanto, se bene tardasse un poco di più a partirsi. Prego poi V. Signoria Illustrissima a prestargli il suo ajuto, consiglio ed opera, in tutto quello che gli possa occorrere, come ne promette la di lei cortesia, affinché restino bene stabilite le cose di esso sig. Conte; il quale stimo bene che, per i timori e contrarietà già avvisate, non resolva precipitosamente alcuna cosa in suo pregiudizio, ma che maturatamente e con buon cuore deliberi e procuri di superare ogni difficoltà: cosa che non istimo difficile per niun capo.
44. Dello stesso, al medesimo (Modena, 2 Aprile 1644)
Mi rallegro che il sig. Conte Raimondo abbia preso possesso della eredità, e che questa riesca molto comoda, secondo che V. Signoria Illustrissima si compiace d’avvisarmi. E’ però bene vedere di nettarla dai debiti, e di stabilirla fermamente nella persona del sig. Conte, acciò ei possa lungamente goderla, ed i suoi figli; come si deve desiderargli.
45. Dello stesso, al medesimo (Modena, 7 Aprile 1644)
Sento il discorso che V. Signoria Illustrissima fa prudentemente colla sua del 19 del passato, circa cotesti interessi del sig. Conte Raimondo. Quanto al ritornar Egli in qua per starci permanentemente, secondo Ella accenna, sono ottime le di lei considerazioni sopra di ciò; ma mentre costì vogliono impiegarlo, come V. Signoria Illustrissima dà quasi per sicuro presentemente, non so come possa praticarsi il suddetto suo ritorno, parendo che il negozio muteria faccia. Ben stimerei a proposito ch’Egli dasse almeno una scorsa qua per aggiustare le sue cose, com’anche perché potria essere che il Serenissimo Padrone lo onorasse di qualche mercede; come pare che potesse essere, e che convenisse al merito del sig. Conte. Io resto obbligato all’affetto di V. Signoria Illustrissima del motivo che le piace di farmi che mandassi costà un mio figlio, riconoscendo ciò come frutto della solita sua cortese ed ottima volontà verso di me: ma di questo non occorre parlarne, poiché il mio desiderio e la mia premura sono, che il sig. Conte Raimondo stabilisca la sua casa, amandolo io e bramandogli ogni bene e fortuna, come se egli mi fosse propriamente figlio; ed a questo vorrei che il sig. Conte applicasse daddovero.
46. Dello stesso, al medesimo (Modena, 18 Aprile 1644)
Sento con gusto che il negozio dell’eredità del sig. Conte Raimondo cammini bene, come intendo dalle ultime sue. Bisogna però vedere di persuaderlo a prender moglie, per istabilire così la sua casa, e per assicurare la sua successione. Quanto a quello che V. Signoria Illustrissima mi accenna circa la persona di esso sig. Conte, replico che stimo bene ch’Egli in ogni caso dia una scorsa qua per dar sesto a questi interessi suoi, e perché potria essere che Sua Altezza l’onorasse di qualche mercede per il buon servigio resole. Lodo anch’io, ch’egli faccia testamento per tutto quello che potesse succedere, o andando in campagna o facendo viaggio; poiché ciò non pregiudica alla salute, ma serve ad assicurarsi che della robba siegua conforme alla volontà del testatore. Però lodo che V. Signoria Illustrissima, secondo la prudente sua proposta, vegga di operare che il sig. Conte con modo così facile assicuri come sopra.
47. Dello stesso, al medesimo (Modena, 29 Aprile 1644)
Ho dispiacere che non si sia effettuato l’accomodo tra il sig. Conte Raimondo e il figlio della Contessa, che il medesimo sig. Conte m’aveva scritto coll’antecedente. E quanto a me, loderei che Sua Eccellenza s’aggiustasse in tutte le maniere, non guardandola in qualche mille talleri; poiché mi pare che l’espedisca il vedere di stabilire in questa forma cotesto bene nella sua persona, e di sfuggire le liti.
48. Dello stesso, al medesimo (Modena, 8 Maggio 1644)
Io stimava bene che il sig. Conte Raimondo dasse ora almeno una scorsa qua per le cause che ho già accennate; ma giacché gli conviene restare costì nell’imperiale servigio, non si può far altro che pregargli buona fortuna, conforme richiede la qualità del suo merito, e secondoché io gli bramo con tutto lo spirito. Lodo il consiglio che gli ha dato di fare testamento..., poiché ciò serve ad assicurare... che il bene resti nella Casa conforme piaccia al sig. Conte; parendo a proposito il porre in sicuro, che questo bene acquistato con tante fatiche dalli sig. Conte Ernesto e sig. Conte Girolamo buona memoria, e più dal sig. Conte Raimondo, rimanga come dico, nella Casa. Nel resto, quanto al tocco che V. Signoria Illustrissima mi dà di mandare costà un mio figlio, non occorre discorrerla..., perché io non ho né devo avere simili fini; ma desidero particolarmente che il sig. Conte stabilisca tutto fermo e permanentemente nel suo sangue e nella sua successione, e ch’Egli applichi a questo daddovvero. Veramente, prima che il sig. Conte vadi in campagna, sarà bene ch’Egli disponga dell’eredità come sopra, per assicurare ec.
49. Dello stesso, al medesimo (Modena, 27 Maggio 1644)
Veramente resto infinitamente tenuto al sig. Conte Raimondo delle dimostrazioni e vivi segni che Egli si è piaciuto darmi nuovamente del suo affetto con la donazione che V. Signoria Illustrissima mi avvisa aver fatto; ma certo il mio desiderio e premura, ed insieme quello di tutta la Casa è ch’Egli stabilisca costà la sua successione, e che perciò senza maggiore lunghezza Egli pigli moglie. Prego però V. Signoria Illustrissima vivamente ad insinuarglielo, e cooperare in questo successo per quanto mai essa possa; sicura che io e tutta la nostra Casa gliene terremo grandissima obbligazione. Sentirò volentieri se la Maestà dell’Imperatore abbia poi confirmata la scrittura fatta dal signor Conte, secondo mi avvisa V. Signoria Illustrissima che Sua Maestà aveva promesso; perché questo per varj capi lo stimo servizio di tutti: onde prego V. Signoria Illustrissima a premere di cavare tutto che possi essere in alcun tempo necessario, tanto dalla Maestà dell’Imperatore, come dai suoi Consigli, o da altri. 50. Dello stesso, al medesimo (Modena, 3 Giugno 1644)
Lo scrissi l’ordinario passato in risposta di quanto ella mi avvisò aver fatto a mio favore il sig. Conte Raimondo: replico però di nuovo che desidero sommamente vedere costì stabilita la successione del medesimo sig. Conte; e però nuovamente anche la prego ad operare per quanto Ella possi, che il sig. Conte pigli moglie quanto prima.
51. Dello stesso, al medesimo (Modena, 10 Giugno 1644)
Sento la partenza del sig. Conte Raimondo per l’armata, e vivo con desiderio d’intendere che impiego gli sia stato conferito, ed in qual parte dovrà esercitarlo... Quanto all’istanza ch’Ella mi scrive esserle stata fatta costì per parte del sig. Francesco Castiglioni, io non sono informato della qualità né dei fondamenti delle sue pretensioni. Ben mi pare che si possa considerare, che il sig. Conte Raimondo è erede della Signora Contessa, e che del sig. Conte Girolamo non è restata costì robba, si può dire, di alcuna considerazione.
52. Dello stesso, al medesimo (Modena, 8 Luglio 1644)
Mi rallegro sommamente delle buone speranze che V. Signoria Illustrissima mi avvisa, colla sua del 25 del passato, aversi degli avanzamenti del sig. Conte Raimondo, poiché stimo come mio proprio ogni suo bene e vantaggio, in riguardo dello svisceratissimo amore che gli porto, non meno che s’egli mi fosse fratello, o figlio, od altra cosa più cara. Quello che si deve desiderare nel sig. Conte primieramente, è che Egli abbi lunga vita, e che sia preservato dalle disgrazie; poiché vivendo Egli sano, si può avere sicurezza probabile che sia per fare più che ordinaria riuscita, ed accrescere riputazione alla nostra Casa: secondo (e questo è quello in che io anderò continuamente battendo), che Egli si risolva d’accasarsi, per istabilire così la sua casa e successione; ciò che desidero con tutto l’animo di vedere, e che bisogna sempre tenerlo persuaso, come ho scritto tante volte.
In quest’ultimo piego di V. Signoria Illustrissima erano alcune lettere del sig. Conte Raimondo dirette ad altri, e nessuna per me; cosa che mi reca qualche ammirazione: onde la prego ad avvisarmi se per sorte ve ne fosse stata qualcheduna per me, e che fosse mal capitata; o se pure il sig. Conte abbia tralasciato di scrivermi.
53. Dello stesso, al medesimo (Guiglia, 20 Luglio 1644)
La venuta in qua del sig. Conte Raimondo avrebbe potuto servire a poco nel particolare accennato da V. Signoria Illustrissima coll’ultima sua del 2 corrente; poiché la mia mala sanità mi rendeva inabile ad ogni cosa, sì per quello avesse riguardato il gusto o bisogno dei padroni, come quello che concerneva il mio interesse o bisogno. Ben per altro avrei avuto caro ch’Egli fosse venuto.
54. Dello stesso, al medesimo (Guiglia, 11 Agosto 1644)
Sono alcuni ordinarj che non ho lettere di V. Signoria Illustrissima, né del sig. Conte Raimondo, e ne sto in martello e considerazione, e con desiderio di sentire avviso dello stato di loro signori.
55. Dello stesso, al medesimo (Guiglia, 25 Agosto 1644)
La prego ad avvisarmi come le sia riescito quel bene, e a mandarmi un poco di relazione dell’essere e della qualità del medesimo, non per altro fine che per sapere da persona prudente, com’è V. Signoria Illustrissima, se per la condizione e rendita di quel luogo il signor Conte Raimondo abbi fatto buon acquisto, e resti ben impiegato il danaro che gli conviene sborsare.
56. Dello stesso, al medesimo (Guiglia, 15 Novembre 1644)
Intorno a quello che V. Signoria Illustrissima mi accenna colla sua del 28 del passato del sig. Conte Raimondo, io confesso che mi trema sempre il cuore, che non gli avvenga qualche disgrazia per i pericoli ai quali si sottomette continuamente, e sto con impazienza attendendo nuove della sua salute. Avendoli (sic) poi Sua Altezza chiamato, come d’inteso, potria essere che questa occasione servisse una volta a fargli godere la quiete, ed a vivere libero da cotesti pericoli; e piaccia a Dio di preservarlo. Circa la donazione che il sig. Conte si compiacque di fare, parmi pure che già m’avvisasse che s’era fatta firmare dall’Imperatore, e (se ben mi ricordo) registrare costà: nel qual caso si dovrebbe sempre poter avere da cotesti Registri, ancorché se ne smarrisse una copia autentica; e saria pure a proposito che ella s’avesse, per far conoscere l’affetto che il sig. Conte si compiace portarmi, con un testimonio tale... P. S. Per riputazione ed interesse di tutta la nostra Casa, stimo opportunissimo e necessario il fermare nella Casa onninamente codesto bene Hohenech. Che però vivissimamente prego V. Signoria Illustrissima ad antivedere e provvedere a tutto quello che stimerà poter bisognare per simile intento. E se il sig. Conte Raimondo non potesse per qualche accidente metter assieme il denaro tutto necessario , io procurerò fare qui l’impossibile per provvederlo, se così fosse di gusto di esso signor Conte.
57. Dello stesso, al medesimo (Guiglia, 16 Febbraio 1645)
Il sig. Carlo Prini rappresenta d’aver fatto pagare costì in mano di V. Signoria Illustrissima per servigio del sig. Conte Raimondo le infrascritte partite di danari. la prego però ad avvisarmi se realmente si siano avuti tutti; perché, essendosi per aggiustare ora certi conti coi Prina, si desidera di saperlo. Qui corre una voce sinistra: che le genti dell’Imperatore, nel volere soccorrere Galasso, abbi (sic) ricevuta nuova percossa, e che il signor Conte Raimondo sia stato ferito; cosa, l’una e l’altra, che mi apporta grandissima pena, e ne sto con gran tormento sino s’abbi certezza che la voce sia falsa, e che l’uno e l’altro male sia poco... (Nell’inserto): Al sig. Cav. Ottavio Bolognesi, per il sig. Conte Raimondo, Ongari centosei, cioè Talleri 212 Item, in un’altra volta, Ongari cento, cioè Talleri 200 Item, in altra partita, Talleri 389½ Item, in un’altra, Talleri 213 Item, ultimamente, Talleri 1000 Somma tutto Talleri 2014½
58. Del Marchese Massimiliano Montecuccoli, al medesimo (Modena, 31 Marzo 1645)
Il Conte Raimondo, uno de’ miei nipoti, che per tre anni continui si è trattenuto in Fiandra nell’esercito Cattolico, pensa e mi scrive di voler portarsi in Alemagna sotto il patrocinio del sig. Conte Raimondo, a cui è indirizzata la congiunta a tal effetto.
59. Del Conte Raimondo Montecuccoli, al Cavaliere Ottavio Bolognesi, Consigliere del Duca di Modena, a Correggio
Illustrissimo Sig. mio Osservandissimo. Il latore della presente è il dottor Pietro Ricci di Montecucolo, mio Agente, al quale ho dato ordine di mettere insieme tutte le mie argenterie, gioje ed altri mobili; serrargli e sigillargli; e di metterli ben custoditi qui nel monastero delle Monache di S. Geminiano, in consegna di Suor Anna Beatrice mia sorella. Prego V. Signoria Illustrissima a farmi favore di consegnargli quelli che sono appresso di lei: ché siccome resto con infinita obbligazione alla sua benignità, che ha avuto tanto a cuore e tanta cura delle mie cose, così sono e sarò sempre prontissimo a riservirla in tutto quello che le piacerà di comandarmi. E con tal fine, a V. Signoria Illustrissima e ai suoi Figli bacio con ogni affetto le mani. Di Modena, li 17 Marzo 1646. Di V. Signoria Illustrissima Affezionatissimo ed Obbligatissimo Servo vero Raimondo Conte Montecuccoli
60. Del Marchese Massimiliano, o Alfonso, Montecuccoli, al Bolognesi (Modena, 20 Marzo 1646)
Dalle due congiunte lettere, una del sig. Conte Raimondo, e l’altra del sig. Dott. Ricci, V. Signoria Illustrissima vedrà il desiderio di ambedue circa cotesti argenti, ed altro ch’ella ha presso di sé, di Sua Eccellenza; ed i quali, con eccesso di cortesia, si compiacque di salvargli dagl’imminenti pericoli della guerra, e di portargli in qua. Scrivo al sig. Conte Niccolò supplicandolo che, unitamente con lei, voglia farmi grazia di mandare in qua sicuramente e quanto prima potranno le medesime robbe.
61. Dello stesso, al medesimo (Modena, 3 Aprile 1646)
Ricevo le due cassette, ma senza l’inventario delle robbe che vi son dentro, non me lo avendo inviato V. Signoria Illustrissima, né tampoco il sig. Conte Niccolò; ed io per questo non aprirò le medesime cassette, finché o dall’uno o dall’altro di loro signori non mi sia trasmesso. E frattanto, rendendole ogni maggior grazia in nome del signor Conte Raimondo e mio, del favore fattoci ec.
Estratti da un Minutario di dispacci diretti al Doge di Venezia, di mano dell’Abate Domenico Federici, quand’era Segretario di Giovanni Sagredo, Ambasciatore in Vienna per la Repubblica di Venezia (dal 19 Agosto 1662 al 21 Settembre 1664).
1. Passavia, 19 Agosto 1662
E’ giunto sulle poste qui il Duca Carlo di Lorena; veduto da’ più sensati non di buon occhio; come... che può infastidire la buona corrispondenza della Francia per questi bisogni dell’Imperatore. E’ uscita una scrittura conosciuta per farina del Montecuccoli; nella quale si risponde alle calunnie disseminate, che l’armata Cesarea abbia poco o nulla operato nel 1661.
2. Vienna, 1° Aprile 1663
Si è ordinata consulta col Montecuccoli in Possonia, acciocché si provvegga col concorso degli Ungheri a acquartierare i vecchi reggimenti verso le piazze di frontiera; volendo ogni ragione che non si viva trascuratamente col vicino armato, benché sia certa la pace.
3. Vienna, 8 Luglio 1663
Per quanta diligenza io mi abbia usato, non trovo che oltre quello rappresentai a Vostra Serenità nel precedente riverentissimo dispaccio, si sia fatto passo di vantaggio, per quelle comunicazioni almeno che sono state fatte al Consiglio. L’anno passato fu stabilito col Consiglio che Montecuccoli passasse all’armata, come fece, in Transilvania: ma il Porcia, con un suo ordine segreto, lo fece ritornar dietro così all’improvviso, che ognuno restò sorpreso. Questo accenno per dimostrare, che Porcia, godendo per convenienza del padrone, somma autorità, potrebbe essere che avesse segretamente con sua cifra particolare ordinato qualche importanza al Gois, senza partecipazione del Consiglio.
4. Vienna, 8 Luglio 1663
Giunge in questo punto relazione da Giavarino, portata da spia di ritorno dal campo Turchesco, dove fu inviata dal Montecuccoli a penetrar gli andamenti dell’armata Ottomanna. Riferisce che il Visir, colla diligenza superando le difficoltà della marchia , passati i fiumi Sava e Drava, si sia con trenta mila uomini delli più spediti avanzato a Buda, che vuol dire a cinque giornate lontano da questi confini, seguitato a buon passo dal resto delle sue truppe... Il Montecuccoli, dubitando di Giavarino suo governo, che gli rende sopra ventimila fiorini l’anno, lo va sollecitamente munizionando; ed avendolo già munito con doppie fortificazioni esteriori, promette valida resistenza. Inoltre fa porre molte batterie a pelo d’acque, acciocché le barche apprestate dal Bassà di Buda, non gettino un ponte sul fiume in quelle vicinanze, guarnite di spessi moschettieri, che facilmente possano impedire le barche che vengono contra acqua a forza d’uomini e di animali che le tirano: benché s’intenda che il Visir farà di notte simile tentativo, per far errati i colpi de’ difensori. Se dunque Giavarino o l’Isola fossero destinate all’attacco, fra quindici giorni se ne vedrà l’effetto... Scrive Montecuccoli, che anderia distribuendo le cose per rendere resistente la piazza ad ogni sforzo turchesco, avendo fatto passar l’acqua del Danubio per tutte le fortificazioni: il che rende più difficile l’espugnazione.
5. Vienna, 9 Luglio 1663
Incontratomi in questo punto nel Principe di Porcia alla Favorita, nell’anticamera dell’Imperatrice, mi afferma che il Montecuccoli con più fresca spedizione abbia dato parte dell’equivoco preso nella prenarrata relazione del Visir giunto a Buda. Perché la spia non ha inteso di parlare del Gran Visir, ma del Visir di Buda, ritornato da Belgrado al suo governo per eseguire gli ordini del Gran Visir, di preparar barche ed altri apprestamenti. Ché le voci comuni erano, che il Gran Visir fosse partito da Belgrado; ma che i ministri di Sua Maestà nulla ne scrivevano. Nuovo consiglio chiarirà gli abbagli delle spie, che non sempre confrontano col vero.
6. Vienna, 22 Luglio 1663
Il Montecuccoli, arrivato qui da Giavarino, ormai ridotto in ottimo stato, riferisce che il Visir sia lontano quattro leghe da Buda; e che il suo arrivo sarà solennizzato con grosse scorrerie per le vicine campagne...
Hanno chiamato qui Montecuccoli, per divisar seco le diffese per munirsi, e premunire gli attacchi che ponno sospettarsi: mentre il Consiglio turchesco passando per tre teste, del Visir e d’Alì e dell’Agà de’ Giannizzeri, si rende impenetrabile: ed interdetto da un mese in qua lo scrivere a’ loro ministri, si trovano qui affatto all’oscuro dei disegni del Visir; altro lume non avendo che quello vien portato dalle spie, incerto in ogni modo e variabile.
7. Vienna, 29 Luglio 1663
Non vedendo gli Ungheri il ritorno dello scritto canone inviato alla Corte per ottener licenza di scorrere il paese nemico, ed appianare diverse altre difficoltà, hanno inviato susseguentemente l’Arcivescovo di Strigonia, primate del Regno; che, benché indisposto, si è abboccato con Porcia, negoziando in primo luogo, che essendo inchiodato dalla podagra il Palatino o Viceré d’Ungheria, e reso perciò inabile al comando, si dovesse destinare la sua carica al Conte Serino; ricusando gli Ungheri di ubbidire al Montecuccoli, che come Maresciallo non portava titolo maggiore dei loro Generali, e che era guardato con antipatia in quel Regno: ma perché il Palatino infermo di corpo, è vigoroso d’animo, e forse non amava udirsi spogliato, corse l’Arcivescovo a persuaderlo...
8. Vienna, 13 Agosto 1663
Montecuccoli, percosso dall’avviso del sciagurato avvenimento il quale ha decimato gran parte del presidio di Naiasel, vi ha subito velocemente spinto un rinforzo di 500 fanti e 600 dragoni: mentre il Visir, perfezionato il ponte, avrà libero il passaggio, e l’adito aperto a maggior progressi.
9. Vienna, 2 Settembre 1663
Giungono in questo punto lettere del Forgaz e del Pio in data del 27 scaduto, avvisando che i Turchi ormai alloggiati col cannone sulla contrascarpa, non avevano fatto ancora breccia, né levato le difese ai fianchi della piazza: che tentavano divertir l’acqua del fosso per passarlo con galleria, ed avanzarsi forse alla mina: che il presidio volea difendersi fino all’ultimo spirito. Il Pio esorta il Montecuccoli a valersi della trascuraggine del nemico, promettendo l’ingresso, quando voglia tentare il soccorso. Infatti, può vedere la Serenità Vostra, che nella piazza stian chiusi i più bravi uffiziali dell’Imperadore; i quali nondimeno s’arrenderanno per mancanza di soccorso.
10. Vienna, 23 Settembre 1663
E’ tornato d’Ungheria il Gonzaga, avendo col Montecuccoli, Sporch, e il Presidente della camera di quel Regno, prima lungamente trattato del modo di soccorrere Naiazel; al cui fine il Palatino ha chiamato, sotto pena di perdere i beni, ogni Unghero benestante a comparire a cavallo armato in giorno prefisso, per metterli alla mano del generale Serino. I primati del Regno, Rodiani, Nadasti, Strigonia e Starati, fanno dal canto loro ogni sforzo perché il soccorso abbia effetto. Intanto l’assedio è famoso, mentre un Gran Visir, con centotrentamila persone, in più di un mese, non ha potuto espugnare una piazza priva di fortificazioni esteriori. Tutta l’industria degli assedianti consiste nell’empiere la fossa con sacchi, legnami e terra: ma quanto i Turchi ne gettano di giorno, gli assediati asportano di notte.
11. Vienna, 30 Settembre 1663
Giungono in questo tempo il Palatino d’Ungheria e ‘l Montecuccoli, per divisare il modo di dar qualche calore e coraggio agli assediati, giacché soccorrerli era impossibile. Per questo spedirono corriero al Serino, già passato in Croazia per ammassare le sue truppe, ed unire cinquemila soldati, tra Croati ed Alemanni, che guardavano la Stiria e Carintia. Rispose il Conte, che sino al primo d’Ottobre non potrebbe giuntarsi col Montecuccoli. Con questa unione erasi accordato di piantare il campo sotto il cannone di Conorra, con alzamento di trinciera, per non essere costretti alla pugna; e in quella vicinanza animare gli assediati, e mettere in apprensione i Turchi di non essere assaltati, quando dassero gli assalti generali alla piazza.
12. Vienna, 13 Ottobre 1663
Trasmetto a Vostra Serenità la capitolazione formale di Naiaizel, tratta dall’originale... Procurano i Turchi impadronirsi dell’Isola del Sehyelt, luogo importantissimo, per rompere la comunicazione dell’Ungheria e Stiria con Vienna: ma il Montecuccoli ne studia la difesa, avendo spinto la fanteria tutta nell’Isola.
13. Vienna, 4 Novembre 1663
Sono qui giunti il Montecuccoli, lo Strozzi, li Conti Serini, il Susa, il Conte Hohabò, chiamato dagli Italiani Holach, comandante delle truppe della Lega Renana, ed altri capi principali; avendo coll’assistenza del principe di Locoviz tenuto un consiglio di guerra per intraprendere qualche impresa nel fondo della campagna.
14. Vienna, 11 Novembre 1663
Non ha dubbio che dal Consiglio di Stato di Sua Maestà non sia stato stabilito, che a Monsignor Nunzio ed a me sia fatta positiva istanza di passare uffizio con i Principi che rappresentiamo, per stringere gli interessi, e con lega ed unione procurare di frenare la vastità degli ottomanni disegni: ma come l’esecuzione appartiene al Principe di Porcia, in arbitrio del quale sta l’effettuarla, differirla ed anco il lasciarla cadere, non ha sinora passato alcuna espressione né con Monsignore né con me. Non inclinando egli ad alcuno impegno, ma abborrendo la guerra, vive con speranza che affacciar si possa qualche congiuntura, capace ad uscire dal laberinto nel quale si trova, con grande avversione, illaqueato.
15. Lintz, 4 Gennaro 1664
Scrive Montecuccoli, che i Turchi non attendevano che l’agghiacciamento de’ fiumi per invadere l’isola del Sehyelt, dove non si trovano truppe bastevoli alla difesa. Da questi disegni, e dal meditare nuove intraprese nel più rigido del verno, ben si comprende la loro applicazione più infervorata che mai a procurare avvantaggiosi profitti.
16. Lintz, 27 Febbraro 1664
Il Conte Serino si è ritirato con tutta la sua gente in paese, per darle riposo e compartire il bottino. Fece istanza al Consiglio di Vienna per conseguire i rinforzi; ma si oppose il Montecuccoli, sotto pretesto che affaticate le milizie d’inverno, sarebbono inutili di estate. In somma, alla virtù non mancano ostacoli né emulazioni.
17. Lintz, 21 Marzo 1664
Sulle poste il Montecuccoli jeri passò di qua, alla Corte chiamato. Prima di partire da Vienna, ha ordinato ai reggimenti destinati a passare in Ungheria col Susa, di essere per i 29 corrente colà, a fine di giuntarsi col grosso: mentre anche il Palatino ammassava Ungheri; che uniti agli Alemanni, farebbono un corpo di circa quindicimila uomini.
18. Lintz, 28 Marzo 1664
Il Montecuccoli disse all’Imperatore, che il Visir non negava l’orecchie a trattati mentre allestiva validamente l’armata, non ad altro oggetto che far dormire: che sarebbe in stato di mettersi alla testa di centocinquantamila uomini; tra’ quali ottantamila cavalli, che aveva comandati; seimila guastatori, e altrettanti minatori: che fuori di Belgrado tenesse montato gran quantità di cannoni: che a Buda e Strigonia giungessero ogni giorno barconi d’apprestamento, venuti contro il fiume.
19. Lintz, 28 Marzo 1664
Per vari riscontri che ha il Montecuccoli, pare che il Visir, non a Vienna, ma prima aspiri all’assedio di Giavarino; piazza che, espugnata, taglierebbe fuori Coma, ed assicurerebbe l’intiero dominio dell’Ungheria al Turco. Sono molti anni che si travaglia incessantemente dai suoi ingegneri in questa piazza, con ogni industria, per renderla perfetta e capace d’ogni maggior resistenza.
20. Lintz, 15 Aprile 1664
Il Montecuccoli è ripassato per le poste a Vienna, per disporre la ventura campagna.
21. Lintz, 30 Maggio 1664
Susa va ogni giorno crescendo di riputazione, con applauso degli Ungheri al suo valore, e con discredito del Montecuccoli: il quale se con qualche cospicua azione non dà spirito al suo coraggio, si trova con gran discapito di riputazione.
22. Lintz, 6 Giugno 1664
Questi Ministri, dopo varie discussioni, comandarono al Generale Spoar (?) di avanzarsi a Canissa con seimila combattenti; e poco dopo ordinarono al Montecuccoli di accostarvisi con tutta la sua gente, lasciando in Ungheria solamente le truppe del Susa. I predetti rinforzi montando a quindicimila uomini, congiunti a venticinquemila che erano sotto Canissa, formavano un corpo di quarantamila, che supponevasi bastevole a continuare l’assedio, e resistere al soccorso del Visir sintantoché non veniva con tutto il grosso: il che voleva tempo, e col tempo la piazza dovrebbe cedere.
23. Lintz, 13 Giugno 1644
Il Marescial Montecuccoli, d’ordine di Sua Maestà, è passato sulle poste in Croazia, a dirigere quell’armata e comandare a tutti; ripiego che preso a buon’ora, avrebbe espugnato Canissa: dove si è camminato con lentezza per la moltiplicità de’ capi generali Olach, Strozzi e Serino, nessuno de’ quali voleva essere il secondo, ma ognuno il primo; e tutti tre senza sperienza d’assedii. Ma qui non si costuma di dare i buoni rimedii all’infermo, se con quando è passato all’altra vita .
24. Senza data; ma tra il 20 e 28 Giugno 1664
Il Montecuccoli giunse all’armata bene accolto ed acclamato da’ reggimenti dell’Imperadore, avvezzi ad essere diretti dalla sua consumata sperienza; e toglierà facilmente i disordini tra’ capi inferiori .
25. Senza data; ma tra gli ultimi di Giugno e i primi di Luglio 1664
Tra il Conte Serino e il generale Montecuccoli sono insorti pure dispareri e contese, calde e mordaci. Si è dichiarato il Serino, non essere i Turchi in quel numero che vanno decantando quelli che temono battersi con loro: non convenire riguardargli coll’occhiale del timore, perché alterando la vista, gli fa moltiplicare. Tenere l’Imperatore sotto le sue insegne la più brava milizia d’Alemagna: essere ormai tempo di porre da un canto la cautela, abbandonare il soverchio desiderio di vivere; e dando di mano a un eccellente coraggio, attaccare vigorosamente l’armata turchesca, prima che maggiormente s’ingrossi. Che egli in più d’un incontro avea fatto conoscere, che i Turchi attaccati con coraggio, non sono invincibili, ma che si sgomentano o disordinano al pari di ogni altra nazione. Che protestava però, quando non si volesse intraprendere alcuna cosa di generoso: non potendo egli fermarsi con riputazione all’armata, si sarebbe ritirato alla propria casa, spettatore delle disgrazie che fossero andate succedendo. Rispose Montecuccoli, che Sua Eccellenza non potea dolersi che l’armata imperiale trascurasse la difesa de’ suoi stati, essendo omai venti giorni che resta sostenuto il di lui forte contro tutti gli sforzi dell’armata turchesca, non ostante che per l’angustia del circuito ed altri difetti sia poco sostentabile. Che le forze turchesche erano vigorose e fresche, e le imperiali deboli e stanche per i discapiti riportati sotto Canissa: che il venire ad un generale combattimento era risoluzione da farsi con gran pensamento: che perduta quell’armata, si ponevano in contingenza gl’interessi dell’imperatore non solo, ma della Cristianità tutta. Queste risposte non incontrando il gusto del Conte Serino, che sospetta gli Alemanni godino di vedere rovinato il suo Forte, risolvette insalutato hospite ritirarsi al suo castello di Cincheturno: emergente che obbligò il Montecuccoli di spedire alla Corte il figlio di Carlo Miglio, col riporto del fatto, che riuscì dispiacevole alla Corte; la disunione sempre partorendo mille dannosissimi effetti. Si chiamò la consulta, e dopo vario dibattimento, fu conchiuso che l’imperatore scrivesse...
26. Vienna, 20 Luglio 1664
Montecuccoli va costeggiando alla larga l’inimico, per osservare gli andamenti e impedirne i progressi. Si sono lasciati tre reggimenti di cinquemila uomini nell’Isola per far fronte al grosso presidio di Canissa.
27. Vienna, 27 Luglio 1664
Quanto s’applaude il Susa, tanto si bestemmia il Montecuccoli, che con cinquanta mila persone niente opera in Croazia: onde gode pasquinate continue, con odio del popolo. Chi lo dice più uomo da penna che da spada, più poeta che soldato. La verità però è, che non è così facile combattere l’armata del Visir, come quella de’ Valacchi e Moldavi, che stanno saldi perché servono (?) il Turco per forza. Intanto Montecuccoli, morso da tanti, non saria gran cosa che per disperazione si gettasse al rischio azzardoso di una battaglia. Nel qual caso, se perdono i Turchi, non perdono che gente, della quale ne hanno abbondanza; ma se gli Alemanni restano soverchiati, il Visir s’impadronisce di tutto il paese. Onde i più prudenti pregan Dio, che non si venga a questo cimento; essendo la cavalleria del Visir superiore al doppio della cristiana, e i Giannizeri bravi al possibile.
28. Vienna, 27 Luglio 1664
Il ragguaglio ricevuto da Vostra Serenità, che i Turchi si fossero avvanzati a Gratz, è un falso allarma; mentre per questo bisognava passare l’Isola, e sforzare l’armata alemanna: cosa che non ha fatto il Visir. Egli s’inviò in Ungheria, dove si trova per ristorarsi, col Montecuccoli appresso; ché quasi morì di fame nell’Isola.
29. Vienna, 28 Luglio 1664
Marcia il Visir verso Papa, con gelosia di serrar il castello del Conte Nadasti, dove Montecuccoli ha gettati quattrocento moschettieri; avanzatosi in fretta colla sola cavalleria sul fiume Rab, per impedire che il Visir nol passi, e perciò gli resti libero l’adito sino a Vienna.
30. Vienna, 5 Agosto 1664
Porto a Vostra Serenità l’avviso di nuovo considerabile vantaggio avuto da Montecuccoli sopra il Turco, contro quello che s’era disseminato da Gratz. Mando però questa in diligenza a Palma. I Turchi, dunque, non ostante molti esperimenti, sino al primo del corrente non avendo potuto passare il fiume Rab, rigettati sempre dagli Alemanni, vollero tentarlo con loro malanno. Stavano l’armate in faccia di San Cotardo divise dal Rab, battagliandosi con reciprochi tiri. Il Visir spiccò dal suo grosso quattro mila Tartari, ordinando loro che guadassero il fiume. Accorse il Montecuccoli a rintuzzar questo disegno col mezzo del generale Sporck; il quale postosi con alcuni reggimenti in aguato, dopo che i Tartari ebbero guazzato l’acqua, gli investì generosamente, tagliandone seicento a pezzi, e rinversando gli altri nel fiume: che, per coprire la loro codardia, riferirono al Visir, che colà fosse il grosso dell’armata nemica; onde egli ordinò che quattro mila e cinquecento Albanesi, con due mila Giannizzeri, dovessero senza dilazione tentare il guado più a basso una lega, lontano dal luogo toccato a Tartari; con obbligo di alzar terreno, e fortificarsi in modo sulla ripa nemica, che egli sotto il calore delle loro fortificazioni avesse potuto guadare con tutta l’armata.
Passarono i Giannizzeri, battendo trecento soldati che trovarono di guardia, e tosto alzarono terreno per coprirsi. Avvertitone il Montecuccoli da’ fuggitivi, balzò a spron battuto con tutta la cavalleria, consistente con gli Ungheri a diciotto mila cavalli; e questa volta ordinando alla fanteria che li seguitasse. Trovato il nemico che principiava a trincierarsi, lo investì gagliardamente; e dopo un combattimento di sette ore, combattendo nulla impauriti gli Albanesi e i Giannizzeri d’essere circondati da tutta l’armata, come disperati ressero; finché soprafatti da ogni parte, e tagliati a pezzi tre mila di loro, saltarono nel fiume per salvarsi. Da diversi cavalli si fa conto che vi sia morto più di un Bassà. Due squadroni di Francesi, bravamente avventatisi nel nemico, contribuirono non poco al conseguimento di questo vantaggio: nel furor del quale gli Alemanni, preso coraggio, varcarono il fiume, inchiodando il cannone abbandonato dall’inimico.
Degli Alemanni sono morti mille e duecento; tra’ più cospicui, il general dell’infanteria dell’Impero, il Conte di Nassau, e il conte Temesdorf, capitano della guardia del Montecuccoli, e il colonnello Chineschi. Ciò che sia per intraprendere il Visir, non turbato, è incerto. Pare che la guerra così vada inasprendosi.
31. Vienna, 10 Agosto 1664
Oltre la scritta a Vostra Serenità per via di Palma, le invio la lettera medesima che scrive il Montecuccoli circa il successo del Rab.
“La notte 31 Luglio, l’inimico con frequenti cannonate molestò il campo cristiano. Spedito il Maresciallo di campo Baron Sporck, con un grosso di cavalleria, al rumore, egli trovò che erano Tartari foraggeri, e gli disfece con levargli camelli, muli e schiavi. La mattina 1° Agosto, alle 9 ore d’Allemagna, l’inimico con tutte le sue forze disaccampato, si pose più abbasso, dove il fiume non era più largo di dieci passi; e ricevendo gran giovamento da un angolo incurvato, fece passar il miglior nervo della sua cavalleria e fanteria, quale si squadronò dalla nostra parte in battaglia, sbattuta la nostra guardia. Questo posto era come il mezzo dell’armata Allemanna, e custodivanlo l’armi dell’Imperio; dovendo l’armata Cesarea offendere la destra; i collegati e i Francesi la sinistra; e il luogo di mezzo, l’armata dell’Imperio. Essendo dunque attaccato il posto di mezzo, accorsero i reggimenti del Smit, e l’infanteria del Nassau e Kilmansech; ma le genti di leva, tosto presero la fuga. Ferito il Smit, e morto Nassau, anche i reggimenti fuggirono, in parte tagliati a pezzi. Ciò veduto dai comandanti, si fece avanzare gente fresca e veterana; i colonnelli Cran, Spaar e Iassis, e la cavalleria di Lorena e Snaidau; che bravamente respinsero l’inimico sino all’acqua; dato tempo al reggimento Smit e soldati d’imperio, di raccogliersi ed azzuffarsi. Ma spinti di qua dal fiume più numerosi rinforzi dal Visir, cominciarono i nostri a cedere alquanto, e i Turchi ad alzar terreno e trincierarsi, per sostenersi sino al passaggio della restante armata: onde risolvé il general Montecuccoli d’attaccar l’inimico con tutto lo sforzo. E datone il segno, pose alla destra i reggimenti Spich, Pio e Iassis, la fanteria francese e quella di Svevia; alla sinistra poi la cavalleria di Lorena, Snaidau, Rubac, e la cavalleria francese e de’ collegati: sì che fu cinto il nemico in forma di mezza luna, con tanto coraggio, che non solo cedé il posto con sua gran strage, ma fu respinto di là dal fiume, ma in modo che s’annegarono tutti. E abbandonatisi i Turchi di là dal fiume, i Cristiani passarono a nuoto ad inchiodargli il cannone, e parte a profondarne nell’acqua. Fu aspro il combattimento, durato dalle 3 ore innanzi mezzo giorno, sino alle 4 dopo il mezzo giorno. Sono morti degli Allemanni più di mille, in buona parte uffiziali; de’ nemici circa cinque mila, i migliori Albanesi, Giannizzeri e Spahi, co’ loro capi. Si sono acquistate molte insegne, molti cavalli, molta preda. I generali stessi Allemanni hanno condotta la gente alla zuffa, non avendo mancato né di valore né di sapere né di prontezza.
I generali Francesi, Monsignor di Coligni e Monsignor La Fuliada, si sono portati egregiamente. Il secondo, dopo condotta la sua cavalleria all’attacco, parendogli che l’infanteria francese non incalzasse il nemico, balzò da cavallo, ponendosi alla testa, e spingendola animosamente a dentro. Infatti, i Francesi han contribuito molto a questa vittoria; né so come gli Allemanni potranno più dubitare della loro sincerità. Hanno raccolto in loro specialità cinquanta bandiere, e vogliono trasmetterle al Re in testimonio del loro valore”. Furono le truppe dell’imperio che prima poste in fuga, portarono la nuova della perdita a Gratz. Sua Maestà, per l’ultimo servigio prestato dal Montecuccoli, l’ha dichiarato suo Tenente Generale; carica appena conseguita dal Piccolomini dopo molte battaglie e lunghi anni di impiego.
32. Vienna, 17 Agosto 1664
A forza d’importune sollecitazioni, ho spremuti dal Porcia diecimila fiorini, mandati a risarcire Carlistatt; né mi pare poco: mentre per mancanza di danaro non provedutosi il campo, son morti di fame al Montecuccoli più di due mila soldati.
33. Vienna, 24 Agosto 1664
Il Montecuccoli sta quartierato sul Danubio per ricevere i soccorsi e riposo. Ha conseguito il rinfresco di dugento mila fiorini, da dividersi tra le milizie, visitate da Durlach e Munster. Sono stati condotti qui sette cannoni tolti al nemico sul Rab. Il Montecuccoli ha mandato qui il Suttz Bach, perché vorrebbe attaccar Strigonia, promettendo di fortificarvisi in tre giorni in modo, che resti chiuso l’adito ad ogni soccorso. Porcia vorrebbe racquistar Naiazel, per poter poi subito far pace, per guarire le sue indisposizioni.
34. Vienna, 24 Agosto 1664
Il Susa esibisce espugnar Naiazel con quindicimila uomini in quindici giorni, purché il Montecuccoli impedisse a’ Turchi il soccorso. La Corte consente al partito, ma lo vuole eseguito dal Montecuccoli collo sforzo maggiore, sperando che vi concorrano tutti gli Ungheri.
35. Vienna, 31 Agosto 1664
Passando il Visir sotto Vesprino, quel comandante s’allestì alla difesa: ma Sua Eccellenza mandò un araldo a dirgli, che non scaricasse cannone né facesse oltraggio alla sua armata; mentre nemmen egli avrebbe esercitata ostilità alcuna: anzi lo pregava di qualche rinfresco, ma in pagamento. Il comandante gli mandò quanto aveva di provigione fresca, che fu abbondantemente pagata: poi s’accampò l’armata nelle campagne d’Alba Regale. Stimò più sano consiglio il Montecuccoli il venire a battaglia coll’inimico già privo di capi e avvilito, prima che tentare Strigonia. Qui stanno perplessi nel rimandare il corriere, per non abbracciare risoluzione che riuscisse di rovina.
36. Vienna, 7 Settembre 1664
Fu un falso allarme l’avviso portato alla Serenità Vostra, che il Montecuccoli, passato il Rab, avesse disfatto il nemico... Scrive il Montecuccoli, che il Visir sia indisposto di corpo e d’animo, e che tra’ Giannizzeri covi del torbido, dolendosi di essere stati condotti al macello da un uomo che non è soldato.
37. Simarin, 18 Settembre 1664
Il Visir ha fatto risarcire Baccan, brugiato dal Susa, con maggior recinto e fortificazione; poi è passato verso le città montane: mentre il Montecuccoli sta invigilando in Freistad, e il Susa in Gutta. 38. Simarin, 21 Settembre 1664
E’ partito di Corte quel tal capitano Dal Gallo, che asserisce esser stato colonnello della Serenità Vostra; e che preso dagli Ottomanni sotto Vesprin, si fece turco; poi fuggì dall’armata del Visir a capo quindici mesi, ed avvisò il Montecuccoli de’ di lui disegni. Malamente ricompensato, se ne viene costà. Voleva che io lo accompagnassi con lettere alla Serenità Vostra; ma conoscendolo cattivo turco e poco buon cristiano, non gli ho concesso che un passaporto.
Estratti da un Codice di Lettere originali del Conte Bartolommeo Arese, Presidente del Senato di Milano, scritte all’Abate Domenico Federici, quando era Residente per la Corte Cesarea in Venezia.
(dal 31 Agosto 1672 al 14 Marzo 1674)
1. Milano, 31 Agosto 1672
Se al sig. Conte Montecuccoli verrà bel giuoco alla mano, si ha ben da credere ch’egli non perderà; ma quando si ode che Baviera si avanzò a segno di voler cercar conto delle azioni di Cesare, deviando e dal bene universale dell’Imperio e dagli obblighi particolari che deve all’augustissima Casa, non si può già dir altro se non ch’egli ha per privato uno de’ Fustemberghi d’Argentina.
2. Milano, 7 Settembre 1672
La santa intenzione di Cesare dovrà essere accolta da fortunato evento, e mortificati li nemici palesi ed occulti. La lentezza però con cui procedea il sig. Conte Montecuccoli, li maneggi che ha in piedi Brandeburgh, e la stagione già cotanto avanzata, facevano dubitar molto che le forze de’ collegati non fossero per cagionare il desiderato effetto...
3. Milano, 12 Ottobre 1672
Quando considero li gravi impegni ne’ quali Sua Maestà Cesarea nello stesso tempo si trova involta, ammiro quella gran prudenza e fortezza di animo che sa resistere a sì duri contrasti, e provvedere miracolosamente a questa bisogna. Piaccia pure a Dio, che la misurata circospezione del sig. Conte Montecuccoli non sia tirata per li capegli al cimento della battaglia, che pure dovrebbe scansare quanto si possa, mentre le truppe di Turena sono superiori nel numero nell’attual speranza (sic) della guerra.
4. Milano, 19 Ottobre 1672
Ha ben di bisogno il signor Conte Montecuccoli di esercitare, nel frangente in cui si trova riposto, quella gran perizia militare e circospetta antivedenza di cui egli rimane dotato, per svilupparsi dal Turena, e raddolcire l’agitazione riscaldata di Brandemburgo. Il punto sta ch’esso sig. Conte gira in un paese nemico ed infedele, e che s’intende col Turena per amplificare anche colle proprie ruine la soverchia grandezza della Francia.
5. Milano, 26 Ottobre 1672
Son io favorito da preziose riche del sig. Marchese di Grana... Il sig. Conte Montecuccoli s’intende che dalla Corte richiedea gente e danari, e quelle pressanti congiunture debbono ben renderlo avvertito a non arrischiare per ajuto d’altri ciò che potrebbe sospirarsi un giorno per la propria difesa.
6. Milano, 19 Novembre 1672
Il cimento dell’esercito imperiale con quello di Turena, non è brugna da inghiottirsi con gran facilità; e chi s’imbarca nel credere che il caso possa succedere, facilmente discorre alla leggiera, e non penetra la sostanza dell’affare e delle gravissime conseguenze che ne possono risultare; e se il Reno non si passò, odino li curiosi le prudentissime riflessioni che Vostra Signoria a me motiva, e rimarranno ben appagati. Oltrediché, dove si avrebbe mai da prendere la subrogazione d’altro capitale per la difesa della Germania, quando rimanesse avventurato quello che or rimane confidato al medesimo sig. Montecuccoli? Piaccia pure a Dio che si persista nell’intrapresa moderazione di operare, e che col credito si negozi ciò che adoperandosi la forza potrebbe esporsi a rischi irreparabili.
7. Milano, 7 Decembre 1672
Si ode che li ribelli Ongari si andavano ognora dileguando, e con infelice ritirata ricovrando fuori del Regno. Potrà Sua Maestà Cesarea riforzar Montecuccoli anche col soccorso del denaro che viene assicurato da Spagna.
8. Milano, 15 Marzo 1673
Turena, Duras e Lucemburgt inquietavano in ogni parte, e se colli nuovi rinforzi che sono giunti a Brandeburgo, non ha questo sciolto l’assedio di Hamm, rimarrebbe quell’Elettore molto al disotto. La partenza poi del Conte Montecuccoli dall’esercito Cesareo, non la può essere che di molto pregiudizio; e nella Corte di Vienna la fu appresa con qualche sentimento.
9. Milano, 1° Ottobre 1673
Di gran prezzo sono le notizie che mi reca l’umanissima di Vostra Signoria, de’ 28 spirato; e maggiore egli è il giubilo che se ne ritrae, quando da Torino avvisano che l’Ambasciatore di Francia che risiede in quella corte, avea divulgata rotta e quasi strage fatta da Turena sull’armi Cesaree: follia però non creduta, e quasi riputata per impossibile. Ora il sig. Montecuccoli va coronando l’esito della campagna e sé stesso con un fregio glorioso, insegnando che la perizia militare vera consiste più nella prudenza e nella finezza del giudizio per cogliere li avvantaggi sul nemico, che nel precipitare a genio di chi non intende la professione, e pure vorrebbe colle ciarle dette ne’ Gabinetti far credere di essere un grande eroe.
10. Milano, 4 Ottobre 1673
Il Duca di Lucemburg... copre anch’egli il suo mancamento con titolo di non aver voluto rischiare in un colpo solo la conservazione di tutte le Piazze di frontiera; ma in sostanza si vede che la braura (sic) francese là infierisce con chi prostrato a terra si lascia calpestare. Ma che direbbe Vostra Signoria, s’ella sapesse che in Torino disseminano li Ministri di Francia, che 300 soldati francesi ne disfecero 800 di quelli di Montecuccoli, e le stesse voci van disseminando per tutte le corti d’Italia; non avvedendosi che le menzogne svaniscono all’istante, e che maggiore è lo scorno di chi le andò divulgando? Feliciti pure il cielo le giuste e gloriose operazioni di Cesare, e le prudenti e risolute maniere co’ quali si va maneggiando il sig. Generale Montecuccoli, che sa rinnovare l’antica fama di Giulio Cesare, delli Silla, Marii e Scipioni.
11. Milano, 18 Ottobre 1673
Pur anche vi è molto che desiderare ne’ successi ed operazioni dell’esercito Cesareo, abbenché l’aver già il sig. Montecuccoli angustiato Turena de’ viveri, obbligandolo a rinculare, abbia al primo cagionato un gran credito; ed al secondo, tracollo al concetto che di lui e dell’armi francesi si avea.
12. Milano, 25 Ottobre 1673
Sono caratteri d’oro quelli che Vostra Signoria accenna di aver tenuti dal Generale Montecuccoli , la cui gloriosa fama si erge ognora più nel concetto universale, avendo egli saputo imbrigliare quell’orgogliosa baldanza che giganteggiava con temerarie e quasi non più udite massime sino alle stelle. 13. Milano, 15 Novembre 1673
La facilità con cui il Generale Montecuccoli eresse il Ponte sul Reno, dà a dividere che le tanto millantate macchine di Giulio Cesare non erano poi sì grande miracolo come in que’ tempi fur stimate.
14. Milano, 29 Novembre 1673
Prima d’impegnarsi il sig. Conte Montecuccoli nella ricupera di Treveri, si può ben credere ch’egli avrà voluto vedere assicurata l’impresa di Bona, né lasciar Oranges e le truppe Spagnole esposte alla rabbia vindicativa de’ Francesi.
15. Milano, 6 Decembre 1673
Rivolgendo il discorso alla conquista di Bona, convien pur dire che la conquista è stata di gran rilievo: però l’agguzza l’appetito pell’altra di Nuis, dove vien divulgato che l’armi collegate si siano rivolte, e con dichiarato attacco. Altri tengono per certo che il sig. Montecuccoli fosse per volgersi a Treveri, procurando di cavarsi quella spina dall’occhio della Germania, e con liberare quell’Elettore della tirannide francese, animare gli altri buoni Principi, ed atterrire quelli che tuttavia non sanno staccarsi d’attorno e dal cuore li gigli indorati, da’ quali patirono il fascino.
16. Milano, 13 Decembre 1673
Vogliono che il Cristianissimo abbia redarguito esso Turena perché non si sia cimentato in battaglia aperta con Montecuccoli; ma ch’egli rispondesse, che trovò li soldati Alemanni con braccia, mani, gambe, buoni cavalli, coraggio e valorosi capi.
17. Milano, 10 Gennajo 1674
Per quiete e buona regola dell’esercito Cesareo, e per soddisfazione universale, sarebbe di gran vaglia il ritorno del Conte Montecuccoli all’esercito.
18. Milano, 24 Gennajo 1674
Il sig. Montecuccoli giunto alla Corte di Vienna, si è con molta sodezza giustificato, e le ragioni che Vostra Signoria mi accenna in sua difesa, non hanno risposta. Ben è vero che negli umani successi sempre nel giudicare si riguarda il fine dell’opera; e molto più nelle azioni militari, le quali ciascheduno del volgo sa e vuole esser giudice, cooperando alla fama o rea o buona come più gli pare.
19. Milano, 14 Febbrajo 1674
Se Montecuccoli non assisterà all’esercito, questo caderà in languidezza; ed il far mercedi ad un signore di tanto merito, egli è un atto di tutta giustizia.
20. Milano, 14 Marzo 1674 Postcriptum . Sua Maestà ha dichiarato un Principato con tremila scudi di entrata al sig. Conte Montecuccoli.
Relazione degli andamenti e successi dell’armata spedita nell’Imperio dalla Maestà dell’Imperatore Leopoldo, la Campagna dell’anno MDCLXXIII, comandata da Sua Eccellenza il signor Raimondo Conte di Montecuccoli, Cavaliere del Tosone, Consiglier di Stato, Gran Mastro dell’Artiglieria, General di Giaverino e Confini, Tenente Generale, Presidente di Guerra, ec., scritta da un Officiale dell’Armata ad un suo amico.
Carissimo Amico.
Frequenti erano le lettere, colle quali favorendomi di ricercare lo stato di mia salute, anco assai curioso vi dimostravi, per sapere i successi e andamenti dell’esercito della Maestà dell’Imperatore, mio clementissimo patrone, nel quale io lo servo.
Suppliva io col darvi qualche notizia, secondo me lo permettevano l’occupazioni delle laboriosa carica ch’esercito, e la convenienza; non tutto dovendosi allora notificare, particolarmente circa i motivi ch’inducono più in una guisa che nell’altra ad operare.
Or ch’è terminata la campagna, ancorché non abbi tropp’ozio ne’ quartieri, ho soldatamente abbozzata la presente Relazione, sì per appagarne la vostra curiosità, come anco acciò conosciate quanto io ho pregiati i vostri ricordi; che sempre tendevano che l’uomo deve tutto indagare ed osservare per sua istruzione, e deve profittare dalla saggia condotta d’altri, come poteva far io da quella del nostro Generale.
Se vi compiacete però di leggerla, rimarcate due Capitani, cadauno d’un esercito poteroso; de’ soldati dei più veterani; di molti prodi Generali, come anch’essi riputati dei più vecchi e esperimentati dell’Europa.
Uno è il Conte Raimondo Montecuccoli, di nazione Italiano, Tenente Generale dell’Imperatore; carica la più sublime in guerra doppo il Generalissimo, solito conferirsi a soli Principi della Casa. E’ egli inoltre Generale di Giaverino e confini, Gran Maestro dell’Artiglieria, Presidente del Consiglio Aulico di guerra, Consigliere di Stato e delle Conferenze: ognuna sola di esse cariche sofficiente d’essere addossata ad un qualificato soggetto; ma in lui tutte conferite per la grandezza de’ suoi talenti, e per i relevanti servizj resi all’Augustissima Casa: per lo che anco la Spagna l’ha fregiato del Tosone.
L’altro è Enrico della Torre, Prencipe Visconte di Turenna, Marescial Generale del Re di Francia; carica ritrovata per distinguerlo dagli altri Marescialli, che difficoltavano essere sotto il suo comando.
Questi sino dalla più tenera gioventù applicando al mestier della guerra, dalle minori sagliendo alle maggiori cariche, nel corso di tanti anni, e subalterni e poi capi si sono ritrovati; ed essi stessi eseguite imprese varie, cospicue e degne, de’ combattimenti, battaglie ed assedi; nelle quali quant’abbondavano d’ingegno, d’industria e di valore, si è spesso verificato.
Il commando di questi due gran Capitani è affabile, istruiscono pazientemente, appagano di ragioni, distinguono i benemeriti, rimunerano l’azioni valorose, castigano con compatimento i delinquenti, sono accurati, diligenti, infaticabili a quanto loro incombe.
Applicano il tempo che loro avanza dopo la distribuzione degli ordini, nello studio e lettura d’istorie, esercizj di guerra e politica: parendo però in quest’ultimo più dall’Imperatore adoperato il Montecuccoli, ch’è in oltre studiosissimo e versato in ogni scienza; che dal Re di Francia il Turenna, prevalendosi egli più d’altri Ministri nelli affari di stato.
Chi di loro abbi ottenuto i suoi intenti per propria gloria e per il servizio maggiore de’ loro patroni, ne potrete stabilire il parere doppo la lettura di essa.
Vero è, che le vere cagioni degli andamenti del Turenna, che si deve credere non essere seguiti senza anticipate considerazioni e valevoli riflessi, a me essendo ignoti, non ne adduco che circa ciò brevemente qualche cosa.
Per dirvene però il mio senso, a me pare che di gran lunga abbi il Montecuccoli superato il Turenna; mentre questo inoltrato in alcune provincie dell’Imperio, ne disponeva a suo piacimento; facilitava i progressi al suo Re; teneva in alte speranze i collegati e aderenti; timidi e depressi i ben affetti a Cesare e all’Imperio; incerti e vacillanti i neutrali; i Spagnoli sospesi nel dichiararsi; gli Olandesi fluttuanti, e l’Europa tutta in aspettativa: = Che se soccombeva l’armata dell’Imperatore, esso, l’Imperio e detta Europa stava in rischio di soggiacere alla potenza Francese =.
Ma appena ebbe il Turenna a Uffenheim osservato, e (come fu riferito) passeggiato il loco, ove campò e pernottò in battaglia l’armata dell’Imperatore; e che, il giorno seguente, marchiato al Meno, ritrovò schierato l’esercito; da qualche piccola partita, e dal combattimento di Marckbreyt, conobbe la coraggiosa risoluzione delle truppe, la prudente condotta e valorosa applicazione del Montecuccoli; restò in guisa, non so come debba scrivere, ma so bene che in vece di procurare com’era voce venisse non solo per impedirli l’andata al Reno che di respingerlo in Boemia, egli stesso si ritirò in sito forte a Wenckheim, anco fortificandosi. Il che osservato dal Montecuccoli, ben sapendosi valere de’ suoi vantaggi, con la solita virtù, senza più mettersi in perigliosi cimenti, artatamente marchiando al Reno, costrinse anco il Turenna ad abbandonare quel paese dell’Imperio e ripassare il Reno: con che si sono fermati i progressi francesi, particolarmente nelle parti di Treveri; anzi hanno anco lasciato molte piazze già prese agli Olandesi, e ritirarsi a’ quartieri d’inverno nella Francia, in vece che l’antecedente l’ebbero in gran parte nelli altrui paesi.
Gionto, e passato poi del Montecuccoli il Reno, alcuni di quei Prencipi che per apprensione o inclinazione si mostravano troppo aderenti a’ Francesi, si sono ravveduti; ed altro, che contro i sentimenti e ordini dell’Imperatore suo sovrano si manteneva con loro confederato, ha ripresso: sì che presoli a forza la città ben munita di propria residenza, senza che alcuno ancorché vicino esercito abbi ardito soccorrerla, ha poi in quel paese a spese loro stabilito, a gran sollevo dell’erario cesareo, il quartier d’inverno alla maggior parte dell’esercito. Spagnoli hanno dichiarato la guerra; Olandesi incorragiti, preso per attacco importante piazza, hanno campeggiato; si sono seco uniti; facilitata la communicazione; e si può dire aver anco ciò dato tutto l’impulso alla pace d’Inghilterra.
E finalmente, rendendo l’Imperatore suo patrone pieno di gloria e sicurezza, alcuni Prencipi e provincie dell’Imperio sono perciò restate sciolte dalla dura impression de’ Francesi. Per le quali tutte rilevanti operazioni e servizj, concludo nella grandezza della virtù e merito di questo grand’uomo: ed essendo io sempre stato presente e accurato osservatore di tanta saggia condotta, se voi leggerete, non dubito che, anco riflettendo alle conseguenze, non concorriate nel mio senso. Iddio vi feliciti.
Relazione degli andamenti e successi dell’Armata spedita nell’Imperio dalla Maestà dell’Imperatore, la Campagna dell’anno 1673.
Risoluta Sua Maestà di respingere i Francesi, che col Re d’Inghilterra, Elettore di Colonia e Vescovo di Münster, sebbene guerregiavano contr’Olandesi, anco con poderoso esercito sempre più si avvanzavano nelle provinzie dell’Imperio, col pretesto di opponersi all’armata ch’era l’Imperatore per spedire ad assistere gli Olandesi con quali si era collegato, ed alli Spagnoli che molte ragioni avevano per rompere la pace con la Francia; benché dissuaso da molti Prencipi, che da tal risoluzione temevano ne sortisse l’incendio di una guerra universale. Fece però egli unire la sua armata nei contorni d’Egra; dove si trasferì a vederla disposta in battaglia, secondo gli ordini del suo Tenente Generale Conte di Montecuccoli, alla cui virtù e perienza n’appoggiò il comando.
Fu schierata... in due linee: nel mezzo di esse il corpo dell’infanteria, composto dai reggimenti di Pio, mezzo di Knige, Porzia, Lesle, Starenberg, Grana; mezzo di Strein e Sereni. Con essi dimorava il Duca di Bernevilla, Marescial di Campo generale dell’Armata; i Tenenti Marescialli di Campo Prenicpe Pio e Vertimiller; con li Sargenti Generali, Conte di Porzia e Lesle.
Avanti l’infanteria fu collocata l’artiglieria, consistente in trentasei pezzi e quattro mortari, comandata dal Generale di essa, il Marchese Prencipe di Baden, ed il Colonnello Kigler. L’ala dritta della cavalleria era composta dal reggimento dei Dragoni del Colonnello Gerzki, dai reggimenti di cavalleria grossa di Montecuccoli, Sporck, Lorena, Zeys, Rabbatta, Denevald; col Generale della cavalleria Conte Spork, e Sargente Generale Conte di Schavagnac. Nella sinistra, i reggimenti di Heister, mezzo del vecchio Holstain, Capraia, Harant, giovine Holstain, e Galas; col Generale della cavalleria Prencipe di Lorena, e Tenente Maresciallo Conte Caprara.
Essendo poi nell’armata General Commissario il Conte Joannelli, Quartier Mastro Generale il Baron de Wymes, Direttore della cancelleria e Secretario di guerra il Patovillet, e gli Ingenieri Taddei e Nodera.
Ascendeva il numero di tal esercito a circa dieci mille soldati di cavalleria grossa, mille dragoni, e sedeci mille fanti; mancando i reggimenti d’infanteria Souches, e di cavalleria il Schnaidau, che ancora non erano arrivati.
Doppo che Sua Maestà a cavallo, accompagnata dall’Elettore di Sassonia, da molti altri Prencipi dell’Imperio, Ministri e Cavalieri, ebbe ben osservato l’esercito, ne fu riverito collo sbaro triplicato di tutto il cannone, ed armi a fuoco.
Partì il 26 d’agosto l’armata d’Egra, prendendo la marchia divisa in tre corpi verso Norimberga, costeggiando e toccando con gli alloggiamenti i confini della Baviera: la mente del quale Elettore essendo a Sua Maestà ignota, benché gli avesse prima mandato per farlo dichiarare, spedì però anche il Tenente Generale conte Montecuccoli, il Conte Colonnello Braffa, al Generale bavarese, che si tratteneva all’intorno di Naimarch con circa otto mille uomini, per complimentarlo e indagarne i sensi; e ne raportò attestati di buona amicizia, dicendo, là trattenersi per sola guardia di loro confini. Furono in diverse parti mandate avocatorie, fatte dall’Imperatore stampare, acciò dovesse ogni suddito dell’Imperio abbandonare il servizio de’ prencipi stranieri e nemici, ché se li averebbe dato trattenimento uguale al posto lasciato: al che molti si resero obedienti.
Da Norimberg s’avanzò verso Winsheim, città imperiale, l’armata cesarea, ricevendo nel cammino aviso, che il Marescial di Turenna avanzava con grosso esercito de’ Francesi ed Alemanni; tra’ quali anco alcune truppe dell’Elettor di Colonia: spargendo voce venir all’incontro degli Imperiali per impedirgli l’andata al Reno, e respingerli in Boemia. One si accelerò la marchia, facendosi unire et accampare vicino detto Winsheim l’esercito.
Il Montecuccoli chiamò poi a consiglio tutti i Generali, loro proponendo: Che l’esercito francese, già passato il Meno, fatto un ponte a Aschaffenberg, alloggiatosi al fiume Jauber, non era più lontano di sei ore; richiedendo se si doveva andare ad incontrarlo e combatterlo, l’armate essendo quasi pare; anzi egli più tosto inferiore, mancando ancora il reggimento di Souches d’infanteria, la cavalleria del Duca di Lorena, ed il reggimento di Schnaidau; ma a ciò supplire il valore e perizia de’ capi, essendo questo corpo composto della più parte delle vecchie truppe di Sua Maestà, e de’ più prodi Generali: come pure la giustizia della causa gli faceva sperare una felice vittoria; con la quale si sosteneva il decoro dell’Imperio, la dignità cesarea; si liberavano le provincie oppresse da stranieri; si potevano metter al dovere quei Prencipi che, più riguardevoli de’ proprj interessi che del ben pubblico, gli li avevano introdotti; si averebbe assistito, portandosi poi al Reno, agli Olandesi, già con Sua Maestà confederati; ed a’ Spagnuoli, che per molte giuste ragioni erano in procinto di far la guerra a’ Francesi.
Si doveva però riflettere, che in caso di contraria fortuna, nel circonvicino non avevano piazze di sicuro ricovero; che poteva l’inimico portarsi nei stati di Sua Maestà senza ostacolo; obbligare molti Prencipi ad essere seco, e contribuirli : che li ben affetti timorosi si ritirerebbero, ed i mal affetti prenderebbero animo a dichiararsi; che di lungo tempo non averebbe potuto Sua Maestà Cesarea rimettere insieme un corpo veterano di sì qualificati soggetti: che però, essendo mandati per operare, doversi ciò fare con maturo consiglio, valendosi opportunamente sì della forza che dell’ingegno, secondo le congionture.
Ricercando anco, che se non si trovasse bene di combattere, o non si potesse per essere il nemico più forte di gente, o posto in sito avvantaggioso, o sfuggisse il cimento; se si aveva a marchiare al fiume Meno verso Ochsenfurt, dove dovevano calare molte barche, e provisioni fatte fare nelle provincie superiori; e con ciò accostarsi alla Franconia, che si dichiarava parziale di Cesare; e si aspettava il Prencipe di Parayt, con un reggimento di cavalleria: che di là poi si poteva passare al Reno, per congiongersi agli Olandesi e Spagnoli, che bramavano tal avvicinamento, per intraprendere uniti qualche segnalata impresa; ovvero pigliare la strada di Rotemburg, città imperiale, al Tauber, contigua alla Baviera, abbondante quel paese di viveri; dove parea prendesse verso quel luogo il Turenna la marchia. Udito il parere di ciascheduno Generale, che furono unanimi alla battaglia, e riflesso a quanto adducevano, concluse col dichiararsi, risolvere combattere, se Turenna voleva, e venisse ad opporsi al cammino che rettamente prendeva, per guadagnare il Meno, e di là al Reno. Schierò però l’armata in battaglia, marchiando a Uffenhaim, stimandosi incontrar il nemico: accampò la notte nell’istessa forma, ricongiongendosi il Colonnello Harant, già prima andato con partita grossa fuori, conducendo molti prigioni.
Gionse anco il reggimento di dragoni spedito avanti; come pure il Prencipe di Parayt col suo reggimento di cavalleria, essendo il primo Prencipe che con truppe abbi mostrato il suo zelo all’Imperio ed a Cesare: onde ne fu poi dichiarato Sargente Generale di battaglia. Da’ prigioni s’intese, che il Marescial di Turenna s’era fermato di là del Tauber: che se avesse marchiato quel giorno, s’incontravano le armate, quali facilmente potevano combattere, per la disposizione che v’era d’ambe le parti. Ma il Montecuccoli, incerto dei pensieri de’ Francesi, risolse proseguire il viaggio per arrivare al Meno, lontano solo due leghe, a Marckbrayt, pur marchiando in battaglia: avendo intanto le partite spedite a prendere lingua, condotti molti prigioni; sì come le partite Francesi presero alcuni vivandieri dell’armata imperiale, che trascurati erano restati addietro.
Marchiò quell’istesso giorno l’armata Francese, e riferirono l’istessi villani che la guidorono, che il Turenna, già essendo in battaglia, interrogò le guide delle strade a Rotemburg ed a Uffenhaim: de’ quali raguagliato, fatto solo longa meditazione, ordinò poi la marchia a questo loco, accampando dove erano stati gli Imperiali. Proseguì il giorno seguente la sua marchia verso Marckbrayt, dove erano gli Imperiali: quali avvisati già comparire l’avanguardia Francese, fattosi dar l’alarma, e richiamati col cannone quelli a gran numero andati al foraggio, stimandosi venisse per attaccarla, fece il Montecuccoli sortire dal campamento, ch’era posto lungo del fiume Meno, avanti il villaggio Siefft... , ed in sito alla diritta d’esso più vicino a Marckbrayt, mise tutta l’armata in battaglia, distribuendosi i reggimenti e l’artiglieria in lochi proprj.
Trasferendosi poi egli stesso a cadauno squadrone e battaglione, instruendoli di quanto intendeva operassero; rinnovando particolarmente a’ raiteri il comando, già qualche giorno avanti fattoli, d’assuefarsi come effetto di uso loro non ordinario, per subito investire l’inimico, valendosi della spada, prima che del carabino e pistola: poiché la virtù singolare del Generale ben li faceva prevedere, che di gran giovamento ciò poteva essere a’ suoi combattenti armati, contro nemici senza corazze; e trovarsi in tal maniera investiti i primi, mentre sono soliti per la loro abilità attaccar gli altri. Come che pure, per particolar riflesso di sua gran perizia, aveva fatto disponere i squadroni e battaglioni misti. Con efficace poi e adequato discorso incoraggiò tutti, e dispose, come già si dimostravano essere, a dar prove del loro zelo e valore.
Ma, osservata da’ Francesi tal postura, piegarono alla sinistra verso Ochsenfurt, restando le armate divise da una valle, nel fine della quale, sulla sponda del fiume, è Marckbrayt edificato. Francesi mandarono qualche infanteria ad occupare un posto dominante esso Marckbrayt, sopra l’alto della sopradetta valle, da quest’altra parte essendo alloggiata (come si disse) l’armata Imperiale: onde ne seguì qualche tiro di moschettate alla sera; ché alla punta del giorno, accresciutosi il numero dei Francesi, il reggimento de’ dragoni, che accampava vicino, calò abbasso col suo Colonnello Gerzki, e posti alcuni soldati in Marckbrayt, si pose ad ascendere la costa per scacciarli. Fu grande la scaramuccia di moschettate, una delle quali colpì il Colonnello, che l’uccise. Avanzò altra infanteria Francese, inviata dal Conte de Guische, facendola sostenere da qualche squadrone di cavalleria: per lo che si mandò un rinforzo d’infanteria del reggimento di Souches e Knige; facendo anco condurre il Marchese di Baden alcuni pezzetti di cannone a quella parte, che sbarrati, fecero ritirare la cavalleria nemica; e nello stesso tempo l’infanteria e dragoni con la spada alla mano salirono, ammazzandone molti, altri facendo prigioni, tra quali il Tili, Capitano del reggimento di Champagne, sforzando i rimanenti a ritirarsi, si resero padroni di quel posto: al quale gionto il Colonnello Conte di Starenberg, con altra infanteria, fortificossi dietro di esso, avendosi anco fatto accampare col suo reggimento il Prencipe Pio, e si diede ordine di far qualche fortificazione per sicurezza del campo.
Il Francese scacciato da quel posto, levossi il Turenna coll’esercito dal luogo dove aveva pernottato, ritirandosi di là della città di Ochsenfurt, lontano circa due leghe da’ Cesarei, alloggiandosi a Tucklhausn (?), sito forte, prendendo il quartiere generale nel monasterio de’ Certosini, giongengoli un rinforzo di due mille cavalli; come agli Imperiali era gionto il rimanente del reggimento di Souches, condotto dal Tenente Colonnello Conte dell’istesso nome, che col fratello Sargente Maggiore, emulando la gran virtù e valore del Marescial loro padre, ambivano dar saggi del proprio coraggio, come hanno fatto in tutte le occasioni. E perché si temeva che Turenna fosse per attaccare Ochsenfurt, per prevalersi, oltre il commodo della città, del ponte di pietra sopra il Meno, ancorché dentro vi fosse qualche soldatesca della Franconia; se vi spedì il Colonnello Conte Brazza, e Colonnello Cavan, con rinforzo di genti: che dovevano anco impedire, se avesse voluto tentare il passaggio a sguazzo, che in quel sito poteva, quando l’acque sono mediocremente basse.
Fu pure mandato il Colonnello Strein, col suo mezzo reggimento, per rinforzo a Wurtburg, e lochi adiacenti.
Costrussero intanto gli Imperiali un ponte di barche sopra il Meno, vicino a Marckbryat; e di notte, comandata una partita di mille cavalli dal Colonnello Denevalt, portatosi celeremente a Vurtburg, e di nuovo sopra quel ponte ripassato il fiume, col consenso del Vescovo, che con molta sua lode dichiarava con tutta la Franconia per l’Imperatore; gionto improvviso vicino al campo francese, trovatone alcuni, parte n’uccise, altri fugò, da quaranta facendone prigioni, con preda di molti cavalli. Ed avuto avviso che a Werthaim era un magazzino, investì quel loco, e sorprese da nove barche cariche di monizioni di vitto e guerra, le affondò e distrusse; come anco da settanta carrettoni che portavano pane, disfacendo alcuni soldati che li convogliavano: il che molto danno apportò a’ Francesi; che nulla tentando sopra Ochsenfurt, e mancando forsi di foraggio, lontani dalle provvisioni de’ viveri, non potendosi valere del fiume, sopra il quale pareva volessero construere un ponte con le loro barche di rame; ma sia che o per l’acqua, allora molto ingrossata, o non trovassero sito proprio, o non vi potessero (come dissero) per le strade anguste e precipitose dal campo alla ripa, condur le barche, o per altro motivo, poco dopo sloggiorno, ritirandosi di nuovo al Tauber, e presero posto a Wenchaim in sito avvantaggioso; ben fortificandosi.
Sloggiorno in seguito gl’Imperiali, disfacendo il ponte fatto sopra il Meno, ad oggetto di aver libera la communicazione dell’una e l’altra parte di esso; poterlo, occorrendo, passare; impedir ciò all’inimico; guadagnarli il davanti: al qual fine già avevano dal Quartier Mastro, General Baron de Wymes, fatto riconoscere il paese per le marchie e campamenti. Ma ritirato il Francese, per non perdere essi il tempo, ché lungo lo ricerca il passaggio di grosso esercito sopra tali ponti, per anco non incommodare il paese, e per non slontanarsi dall’inimico; risolsero marchiare un giorno ed una notte in larghe campagne, per giongere a Wurzburg. Dove, vicino alla città, posto il campo, chiamò il Montecuccoli tutti i Generali dell’esercito a consiglio, proponendo: Che dagli andamenti di Turenna ben si comprendeva non essere egli per venire al cimento di una battaglia, col guadagno della quale (piacendo a Iddio) averebbe sperato scacciarlo fuori dell’Imperio; e se si voleva astringerlo a combattere, conveniva andare ad investirlo nel sito avvantaggioso e fortificato, dove stava accampato, avendo egli là buone ed abbondanti provvisioni di lunga mano fatte, che venivanli, per il Palatinato del Reno, da Filisburg: Che per andare a lui con l’armata, si aveva a passare per paese privo di foraggio ed abitanti, per molti giorni; essendovisi trattenuto l’inimico, tutto distruggendo: Che non essendo ancora gionta la cavalleria del Duca di Lorena col reggimento di Schnaidau, non si era così forte come il Turenna, doppo il rinforzo venutoli: Che si averebbe ben potuto procurare di rimoverlo, per farlo abbandonare il posto ed il paese, coll’andarli alle spalle, ed impedirli le assistenze che gli venivano; ma ciò riusciva lungo e difficile, dovendosi passare il Meno sopra Wertheim, e poi sotto di esso ripassarlo, o andare ad attaccare questo loco, che sebbene non forte, era doppo la sorpresa del Denevalt stato munito; e di là poco lontano campava l’armata nemica, con il paese tutto all’intorno senza foraggio; e dovendosi ripassar il Meno per andarli alle spalle, si slontanava dalla Franconia, che in occorrenza d’impressione nemica, non si averebbe così presto potuto assistere: Che con difficoltà si doveva passare per il bosco Spessard, tra montagne, con l’armata colma di bagaglio, e senza il quale non si aveva di che sussistere; poiché dovendosi portare le provvisioni, particolarmente del pane, non si poteva che sopra carri, dilungandosi dal fiume: Che dovevasi ripassar il Meno vicino a Aschaffenburg, dove il nemico aveva ponte (sic), ben presidiata e fortificata la città; o andar a passare tra Flanau e Francfort, o sotto di questa città, dove intanto si poteva, come più vicino, trasferire il nemico, e facilmente opponersi al passaggio, dovendosi in sua presenza fare il ponte di barche; o che si poteva marchiar verso il Reno, conforme il primo dissegno, passando il Meno a Rottenfels, Lohr, o Gemond, e andar ad unirsi con Spagnoli e Olandesi, per attaccare le piazze dell’Elettore di Colonia, o recuperar quelle dell’Elettor di Treviri; essendo apparenza e ragione, che le armate francesi trovandosi lontane da quelle parti, anzi le truppe di Colonia unite a Turenna, si poteva, avanti venissero, far qualche acquisto notabile; e che il Turenna, per assisterli, avrebbe abbandonato la Franconia, ritornandosene di là dal Reno. Vi era però a considerare, che se si slontanava l’armata della Franconia, poteva detto Turenna non seguirla, rimettendo la difesa di là del Reno alle truppe che potevano venir dalla Lorena, d’Olanda e di Fiandra; e lui attaccare detta Franconia, obligandola alla neutralità ed alla contribuzione: che poteva anco marchiare in Boemia, per mettere tutto sottosopra, assicurato della ritirata, in ogni caso, nella Baviera; l’intenzioni di quel Duca essendo sempre incerte, e che con tal occasione si sarebbe forsi dichiarato per la Francia.
Fatto da’ Generali assistenti maturo riflesso a tali espressioni, e dettone i loro pareri, fu dal Tenente Generale concluso: Che per sicurezza della Franconia, se vi lasciasse il reggimento di Strein: Che si prendesse la marchia, per schivare il paese distrutto, verso Fellingen, appresso il Meno; e qui si abbandonasse tal fiume per traversare un tratto di paese, e poi ricongiongersi di nuovo al Meno dirimpetto a Lohr, dove si procurerebbe introdurvi soldatesche: Che qui si facesse un ponte, per passarvi l’armata, qual traverserebbe le montagne e il bosco Spessard, per guadagnare il fiume Kintz, e rendersi verso Flanau e Francfort: Che se il nemico (com’era ragione di guerra) si fosse venuto ad opporre al passaggio del Meno, dello Spessard o del Kintz, giacché più presto poteva passare il fiume a Aschaffenburg, si dovesse pur tirar avanti, procurando farsi passaggio colle armi: Che le marchie fossero curte, per dar tempo di giungere alle truppe di Lorena e Schnaidau, poco distanti; per osservare dappresso e di loco in loco gli andamenti dell’inimico; e per essere in ogni caso a tempo o di girli alle spalle o di prevenirlo, mentre ch’egli avesse preso una marchia impensata verso il Palatinato superiore: né essendo il nemico che a tre ore lontano, si cercasse l’avvantaggio di siti per campare unita l’armata, con sicurtà di non essere sorpresa; dandone di ciò l’incombenza al Quartier Mastro Generale, il Baron de Wymes, che con buona scorta dovesse precedere col Sargente Generale, Conte di Schavagnac.
Fu anco in questo consiglio seriamente dal Tenente Generale rappresentato, ed ammonito i Generali, che, col pretesto d’andare a foraggio, uscivano dal campo molti e molti, che senza niun riguardo o disciplina si slontanavano con pericolo, saccheggiando i villaggi e maltrattando i paesani, che in quelle provincie non erano nemici, dando loro occasione di fuggirsene; e già sentirsene gravi lamenti: il che essendo contrario all’intenzioni di Sua Maestà, era anco di pregiudizio non solo alla reputazione dell’armi, che all’esercito istesso, qual più non era per trovare che villaggi svaligiati e distrutti: toccare però alla loro cura e diligenza, acciocché più non seguissero tali disordini. Al che tutti i Generali accertorono, non avrebbero mancato alle loro parti per rimediarvi.
Alcuni soldati Imperiali, mentre soggiornava l’armata, andati a foraggiare, trovorono in un villaggio già per tal effetto arrivati molti Francesi, con le loro guardie poste; e stimandosi gl’Imperiali, per il loro poco numero, persi, quindeci raiteri risolsero arditamente attaccare: il che eseguendo, ammazzando alcuni, il resto sorpresi si diedero alla fuga, lasciando settantadue prigioni, che furono condotti al campo; dove molto si lodorono quei raiteri del loro valore e pronta risoluzione.
Se n’andò il Principe di Baden con cinquecento fanti, e il Sargente Maggior Conte Nigretti, per barche a Lobau, nel quale senza rumore con destrezza se v’introdusse. Marchiò l’armata a detto Fellingen; e come quel paese è abbondantissimo di vini, e v’erano piene le cantine de’ villaggi, non fu possibile ritenere i soldati, che volsero gustarlo, con maggiore dissipamento di quello ne fu bevuto. E qui arrivorono all’esercito la cavalleria del Duca di Lorena, ed il reggimento di Schnaidau. Gionta poi l’armata a Lohr; ove fattosi un ponte di barche, ed uno di pontoni, traverso il Meno, si passò all’altra ripa.
Né intendendosi che il nemico si movesse, anzi per una lettera intercetta, scritta dal Conte de Guische al General Kinismarch, apprendevasi non essere per opporsi, contentandosi di aver ben presidiato Aschaffenburg, che stimava si attaccasse.
E perché il traversare il bosco e montagne dello Spessard, essendo cattivissime le strade ed anguste, si doveva sfilare, ed anco continuava la pioggia, con gran fanghi, averebbe ciò causato lungo tedioso e pericoloso il passaggio dell’armata unita, fu risoluto il dividersi. Che il Duca di Bornevilla, con l’ala diritta della cavalleria e parte dell’infanteria, col grosso cannone, prendesse il cammino a Gemond; da dove poi, con strada più commoda, benché di maggior giro, si trasferisse a Gelausen, cittadella imperiale di là dal fiume Kintz; per rendersi padrone della quale, ed assicurarsi di quel ponte di pietra, si aveva spedito il Colonnello Conte di Strausmendorff, con cinque compagnie di dragoni, e poi mille cavalli, commandati dal Sargente Generale de’ Lorenesi, Delemont; quali anco dovessero dare continue notizie degli andamenti de’ nemici: ed il Tenente Generale, con il rimanente dell’armata e qualche picciolo pezzo di cannone, s’incamminerebbe verso a quella volta, per la più breve strada e più vicina all’inimico, e ad Aschaffenburg traverso il bosco.
Avviatosi però ciascheduno per la parte stabilita, il Montecuccoli in Flamesbach ebbe reiterati corrieri dal Vescovo di Wurtzburg, che teneva sicuri avvisi, che il Turenna si accingeva all’attacco di Ochsenfurt, per impadronirsi di quella città e ponte, con che averebbe commodità di passare, e signoreggiare tutta la Franconia; ricercando però pronto soccorso.
Fatto venire a sé i Generali che seco erano, cioè il Principe di Lorena, Parayt, Baden, Caprara, Wertmiller, Schnaidau, Lesle, Tonnelli e Wymes, significò loro i suddetti avvisi; soggiongendo, non essere credibili, poiché s’aveva nel tempo stesso lingua sicura, che il Turenna rinforzava di continuo e di più in più il presidio di Aschaffenburg, e faceva passar gente di qua dal Meno: in ogni modo, non essere ragionevole di abbandonare la Franconia, paese amico, ed esempio agli altri di fedeltà e divozione; e doversi perciò consultare, come rinforzar la difesa di quella provinzia; come porsi coll’armata in sito d’accudire a tutte l’emergenze; e non perciò interromper il filo del disegno che si aveva di arrivare al Reno, e qui venire alla congionzione già concertata con gli Spagnoli ed Olandesi.
Ventilate queste proposizioni, colli pareri de’ detti Generali, risolse mandare in rinforzo di Wurtzburg ed Ochsenfurt il Sargente Generale Schnaidau, col suo reggimento di cavalleria, ed il Colonnello Conte Sereni, col suo d’infanteria, già là essendo restato quello di Strein; ed egli coll’armata andarsi postare e Gemond: ordinando anco il Bornevilla di venirvi con il rimanente delle truppe; essendo quello un sito dal quale si poteva prontamente trasferire dove avesse ricercato il bisogno, senza intanto aggravare il paese; né si avesse a fare altro ponte di barche sopra il Meno, o senza essersi molto dilungato, proseguire la stabilita marchia. Intanto sopraggiunte nuove lettere del Vescovo, con avviso non essersi il Turenna mosso dal suo posto, risolse il Tenente Generale proseguire il suo viaggio verso Francfort; spedendone perciò anco la notizia al Bornevilla, e richiamando il Quartier Mastro Generale, Baron de Wymes, ch’era stato inviato a Gemond per formare il campo in sito proprio, ordinando tuttavia ai reggimenti di Schnaidau e Sereni di andare nella Franconia; alla qual volta aveva anco già spedito il Colonnello Haran, con una partita di mille cavalli comandati, acciocché si trasferisse ne’ contorni del campo nemico, l’infestasse, e ne indagasse gli andamenti. Il che eseguendo, ebbe incontro di battere cinquecento cavalli, di far buone prede, ed alcuni prigioni.
Traversò poi con l’armata, con non lieve incomodità, lo Spessard, non solo per la qualità del bosco e monti, ma involti in gran fanghi ed acque continue, che ritardavan più dello stimato la marchia, fermata anco (per quanto di sopra si è detto) dagli avvisi della Franconia; onde, come pure allontanati dal fiume, si soffriva penuria di pane. Sopra il che adduceva il Commissario Generale, Conte Ioannelli, fare quanto poteva per supplire, senza risparmio di fatiche e spese; ma difficile riuscire lo somministrare tutto il bisogno a così numerosa armata: uscita dalla Boemia, e presa la marchia per paesi non premeditati, non si aveva anco potuto fare anticipate provisioni, né formar magazzini: e tuttavia se si aveva provata qualche penuria, non n’era però mai stata tal carestia, che avesse portato notabile pregiudizio; non essendo mancato l’abbondanza de’ carnaggi, rape, cauli ed altri frutti: oltre che l’armata tutta veniva puntualmente pagata.
Mentre si faceva tal passaggio, essendo stato spedito un Tenente de’ Lorenesi con venticinque cavalli verso Aschaffenburg, inconsideratamente cadé in altra partita più gagliarda de’ Francesi; che astrinse alla fuga gl’Imperiali, dopo alcuni restati morti, ed il Tenente prigione; essendo stato questo il solo partito di qualche considerazione, sopra il quale abbino avuto vantaggio.
Attaccorono essi Francesi anco alcuni carri di bagaglio restato addietro: per il quale non volendo fare la debita difesa un Tenente del reggimento di Knige, che con pochi soldati vi era alla guardia, un foriere incoraggiando gli altri, e sopravenendo alcuni raiteri, respinsero in guisa l’inimico, che fu astretto a ritirarsi con poca preda: onde ne fu questo remunerato, ed il Tenente punito.
Non mandavano i Francesi molte partite fuori, forse per non cadere in qualche mal incontro; non avendo essi la pratica intiera del paese, né potendosi fidare de’ villani, con quali la maggior parte non potevano, per la diversità o sia differenza de’ linguaggi, intendersi. Passò colle soldatesche che aveva seco il Montecuccoli il fiume Kintz, sopra il ponte di Gelauzen, ove si ridusse tutto l’esercito insieme.
Quindi si avanzò verso il Meno a Francforte, spargendo voce, ed anco con qualche disegno, di volersi poi trasferire verso il Necher, per mettersi alle spalle, e con ciò percluderli le provisioni che li venivano dal Palatinato e Filisburg, obligandolo a disloggiare, combattere o ritirarsi: nel che però scopriva, se lo eseguisse, molte difficoltà, poiché conveniva passare un altro bosco dietro Francfort; che in quelle parti era penuria di foraggio; che slontanandosi dal fiume, si avrebbe molto patito di pane; che non v’erano piazze di ricovero, e s’intrava in paese poco affetto. Spedì il Marchese di Grana ai signori di Francfort, richiedendoli passaggio del Meno sopra il loro ponte: che dovessero permettere, col danaro, far provvisioni per l’armata, e negarle a’ Francesi. Concessero che si facesse un ponte di barche, somministrando anco il bisogno, vicino alla città; qual, come franca, non aveva negato provisioni a chi dava danari a’ suoi particolari, prima non avendo saputo che fosse Sua Maestà per far guerra a’ Francesi, ma che ora vi provvederebbero. Si diede però subito opra alla facitura del ponte, un tiro di cannone sotto essa città: per sicurezza del quale si fece passare, col Tenente Colonnello di Knige, Hauguitz, da mille fanti e trecento cavalli, per occupare le avenute, che dall’ingegnere Tadei furono fortificate. Concessero anco quei signori, che entrassero soldati in una torre dove tengono le ordinarie guardie, levandone i loro. Nel mentre andò il Principe di Baden, Generale dell’artiglieria, con qualche infanteria, comandata dal Colonnello Marchese di Grana, e suo Sargente Maggiore Marchese degli Obizzi, cavalleria e cannone, seco anche conducendo il Colonnello Vecchia, ingegner Nodara, e molti volontarj all’attacco di Fridburg, cittadella imperiale, il di cui castello è circondato di forti muraglie all’antica, già qualche tempo prima, scacciandone alcuni pochi soldati cesarei, fu preso da’ Francesi e presidiatolo con cento uomini. Questi, sbarrate molte cannonate e moschettate con poco frutto, dopo essere stati alcuni di loro uccisi, e da una balla di fuoco accesoli alcune case, ai primi tiri di cannone si resero a discrezione; e postovi dal Principe presidio, lasciò andar libero il comandante, ritenendo i soldati prigioni.
Levossi a tali avvisi il Turenna dal suo avvantaggioso posto di Wenkhaim; e accampato a Seligenstatt, vicino a Francfort, con tal postura pareva che fosse per venire ad opporsi al passaggio degli Imperiali: quali, ottenuti l’intento di snidarlo e scostarlo dalla Franconia, fecero disfare prontamente il ponte; e con l’armata tutta s’incamminorono nei contorni di Magonza, dove era stato spedito a quell’Elettore il Conte d’Holche, per ricercarli il passaggio del Reno sopra il suo ponte: che si andò scusando, con averlo già molti giorni prima disfatto. Onde risolsero farne uno di barche sotto essa città: al che non s’oppose l’Elettore, come né anco al prendere barche ed assi, che in buon numero mancavano, molto largo essendo il fiume, benché si valessero d’un’isola in mezzo di esso. Era intenzione de’ Cesarei, se il Turenna non veniva per ripassare il Reno, di non scostarseli mai molto; anzi, per maggiormente obbligarlo a ciò, di passarlo essi in detto loco, vicino a Magonza, e di là marchiar verso Treveri, per tentare di ricuperarlo; o verso la Lorena, per mettere tutto sottosopra; e se sopragiunti dal rigore della stagione, acquartierarsi nel circonvicino, in quel tratto di paese.
Alla marchia degli imperiali al Reno, seguì quella de’ Francesi, levando la guarnigione e monizioni da Aschaffenburg; prima al Necher, dove era già giunto il Marchese di Vaubrun, con quattro mille fanti di rinforzo; e poi a Filisburg, per passare il Reno sopra a quel ponte, in altro loco non ne avendo, né commodità di farne. Procuravano essi di passare celeremente, con lentezza andandosi avanzando il ponte degli Imperiali, che mancavano di molte cose necessarie per la di lui pronta construzione: e nel mentre che all’intorno di essa si andava lavorando colla direzione del Principe di Baden, fecero passare, sopra un ponte volante ed altre barche, due mille fanti, comandati dal Colonnello Conte di Staremberg, e mille cavalli dal Colonnello Rabatta; fortificare il campo con molte ridotte e trinciere dall’ingegnere Tadei; e disponere l’accampamento dal Quartier Marstro Generale, Baron de Wymes.
Ma il Montecuccoli, che già con tanta desterità, senza mettersi in perigliosi compromessi, aveva ottenuto l’intento, coll’aver obbligato Turenna a ripassare il Reno, radunati i Generali in Visbaden, dove aveva il quartiere, espose loro: Tener avviso, che i Francesi passavano celeremente il Reno: già essere delle loro truppe verso Frankendal: stimare essere loro pensiere avanzarsi verso Treveri, o di là mettersi tra i Spagnoli e il Prencipe d’Oranges, quali avevano passato la Mosa, per unirsi seco; il che se succedesse, temeva si sarebbero ritirati, e perciò impedito la congiunzione degli eserciti, ed esecuzione de’ disegni: poter anco essere intenzione di Turenna di venire al Reno, per opporsi al passaggio del fiume mentre era l’armata divisa, e stavasi perciò in pericolo per quelli già passati, poiché il ponte non si poteva finire in tre giorni.
Sopra il che discorsosi da’ Generali, risolse che s’imbarcasse l’infanteria sulle barche, e il cannone grosso; che la cavalleria, in due parti divisa, andasse a passare la Lona ai ponti di Nassau e Dies; ed esso, con due reggimenti di cavalleria ed uno de’ dragoni coll’artiglieria piccola, per la più breve strada aderente al Reno s’incaminasse: che si lasciasse addietro tutto il bagaglio: che il Colonnello Conte di Rabatta, ch’era di là del fiume con i mille accennati cavalli comandati, marchiasse da quella parte; e tutti, quanto più speditamente si potesse, si avanzassero a Coblenz, dove l’Elettore di Treveri concedeva il passo del Reno e della Mosella per la città, e prometteva ogni assistenza: che il Marchese di Grana, con cinquecento fanti, precedesse, e andasse all’attacco di Andrenach; due compagnie di dragoni a Lintz, e cinquecento cavalli a Silburg; con intenzione poi d’attaccare Bonna, residenza dell’Elettore di Colonia, e con la presa di essa rendersi padrone di quel tratto di paese, per aver piazze di ricovero, che potessero giovare a stabilire il quartier d’inverno e dominare il Reno, chiudendo il transito delle provvisioni che per esso erano trasmesse alle città nemiche, ed averlo aperte per le proprie; e con ciò potersi avere corrispondenza con Spagnuoli ed Olandesi: e che le truppe del Duca di Lorena, il quale in persona si era portato e seguiva l’armata, resterebbero verso la Mosella, per osservare gli andamenti di Turenna; ordinando anco a’ reggimenti che s’attrovavano lasciati nella Franconia, di prontamente ricongiungersi all’esercito.
Incamminatasi l’armata, il Marchese di Grana ebbe Andrenach; come anco due compagnie de’ dragoni entrarono in Lintz, abbandonata da’ Francesi; e con i cinquecento cavalli, il Tenente Colonnello Ildebrand, in Silburg; l’infanteria e cannon grosso per barche giunse a Plitesdorff vicino a Bonna; e passato il Tenente Generale a Coblentz colle truppe suddette, si condusse a Zinzid: ove s’intese che l’armata Spagnuola ed Olandese era a due ore lontana, composta in circa da cinque mille cavalli, tre mille fanti e sei piccoli cannoni. Marchiò il Montecuccoli la mattina seguente con la cavalleria che seco aveva, sguazzando il fiumicello Ahr, non senza pericolo, sormontando l’acqua le selle de’ cavalli, dalle pioggie essendo straordinariamente cresciuto quella notte.
Nel cammino incontrò il Marchese di Assentar, Mastro di Campo Generale de’ Spagnuoli, col quale si era aggiustato l’abboccamento; e discorsosi dello stato presente degli affari, si stabilì, per le ragioni antedette, l’attacco di Bonna: verso la quale unitamente avviatisi, fu investita con la cavalleria Imperiale, che qui era; come anco dalla cavalleria Spagnuola ed Olandese, che nell’istesso giorno si era quivi condotta col Prencipe d’Oranges, e l’infanteria Imperiale già avanti arrivata. Riconobbero detti Generali la città; e lasciato a’ Spagnuoli ed Olandesi la scelta de’ posti, come anco degli attacchi, presero essi quello verso Colonia, ed il rimanente verso Coblentz gli Imperiali; risolvendosi che Spagnuoli ed Olandesi farebbero dal loro canto un attacco, e gli Imperiali duoi, con un altro falso, vicino al fiume; e senza far circonvallazione, con gli eserciti solo si circondasse; e far buona guardia, per impedire i soccorsi. Bonna è Città posta sopra la sponda del fiume Reno, quattro ore lontana da Colonia; assai grande, cinta di mure antiche con torri; ed all’intorno di essa, per renderla più gagliarda, hanno cominciato a munirla di moderne fortificazioni, con bastioni; de’ quali ve ne sono già sette, finiti di buone muraglie, ma non già con il fosso iscavato del tutto, e senza fortificazioni esterne. Mancavi ancora tre bastioni a fare, invece de’ quali vi avevano fuori delle mura, oltre il fosso della città, una doppia controscarpa ben palissadata; ed avanti la porta detta di Colonia, in quella parte, un rivellino.
Comandava dentro il Sargente Maggiore, Generale Lamsberg, per parte dell’Elettore, ed il Conte Rovillon quei Francesi che vi erano di presidio; ascendendo il numero de’ soldati, tra Colonesi e Francesi, a circa mille cinquecento fanti e cento cavalli, ben provvisti d’artiglieria, monizioni da guerra e viveri. La notte avanzò quella poca infanteria Spagnuola ed Olandese che era in campo, tutta non essendo ancora arrivata, a prender posto ad un monasterio, al quale quelli della città avevano già dato il fuoco, per di là incominciare i loro approcchi verso il rivellino posto avanti la porta.
L’infanteria Imperiale si ridusse anche essa ai posti prescrittigli, facendone poi avanzare della comandata, per essere nell’istesso loco dove s’intendeva cominciar gli approcchi; assignandosi l’attacco d’un bastione al Prencipe Pio, Tenente Marescial; seco dovendo essere il Sargente Generale Conte di Porzia, i reggimenti di Souches, Pio e Porzia, e l’ingeniere Tadei. L’altro attacco al vicino bastione fu dato al Tenente Marescial Wertmuller, col Sargente Generale, Conte Lesle, i reggimenti di Lesle, Staremberg e Grana: a questi duoi essendo presenti i loro Colonnelli, e l’ingeniere Nodara.
L’attacco falso, vicino al Reno, fu assignato al mezzo reggimento di Knige. Doveva il Marescial di Campo, Duca di Bornevilla, accudire a tutti gli approcchi. I Generali della cavalleria star vigilanti, per ostare a’ soccorsi, mandando partite, ed essere in vivat tutta la notte a cavallo.
Il Prencipe di Baden dirigere le batterie, facendo condurre i cannoni e mortari, e far fare un ponte di barche: il Commissario Generale, all’abbondanza delle provvisioni, e il Quartier Mastro Generale a ben disponere l’accampamento. Si aveva intanto sopra un ponte volante fatto passare il Tenente Colonnello di Lesle, Conte di Mansfeld, con quattrocento fanti, di là del Reno, per occupare e fortificarsi in un monasterio dirimpetto la città; e da questa parte essendovi già il Tenente Colonnello Conte Ildebrand, entrato in Visburg (come si disse), castello due ore distante; qual mandato in partita il Sargente Maggiore Conte Coustain, incontrata una compagnia de’ Colonesi di ottanta cavalli, la disfece, col prenderli lo stendardo.
In questi primi giorni dell’assedio, il Tenente Generale fece dal Segretario di guerra Portotvillet scrivere al Comandante della città, Lamsberg, che volesse ricevere presidio, e mettendosi sotto la protezione di Sua Maestà Cesarea far uscire i Francesi; unita mandando anco un’avocatoria stampata, sottoscritta dalla propria mano di Sua Maestà. Non gradì egli tal proposta, benché cortesemente rispondesse al Portovillet: non stimare avesse l’Elettore suo patrone alcuna nemistà con Sua Maestà, né egli tener ordine di rimettere la città che a chi l’aveva consignata.
Andava giornalmente arrivando al campo Cesareo la cavalleria, l’attiraglio dell’artiglieria, e bagaglio; come anco giunse il rimanente dell’infanteria Spagnuola e Olandese: onde maggiormente si andavano avanzando tutti gli approcchi e formando batterie, una da’ Spagnuoli di tre, ed altra dagl’Imperiali di quattro pezzi di cannone; non più di due grossi di batteria avendone, e che gli erano stati somministrati dall’Elettore di Treveri, con quali s’abbattevano le difese, e con bombe e balle a fuoco incomodandosi la città, tormentata pure da una batteria fatta di là dal fiume di piccioli pezzetti.
Fu preso un uomo, che venendo da Colonia, cercava d’introdursi nella città con certo bastone in mano; dentro il quale si trovò una lettera, che confortava gli assediati a ben difendersi, presto dovendo essere soccorsi: ma altro non comparve che, una mattina alla punta del giorno, San Silvestro capitano, con cento soldati a cavallo, parte Alemanni e parte Francesi, guidati da un villano; quali passarono traverso le guardie e quartieri del campo, dicendosi Lorenesi che venivano a mutar la guardia. Sì che gionti vicino alla città, si trovarono nel mezzo degli duoi approcchi Imperiali; dalla trinciera di comunicazione de’ quali impediti di passare oltre, furono riconosciuti; e datosi l’alarma, presero essi al lungo l’approcchio di Pio, per dietro del quale passando per certe vigne, s’introdussero nella città, avendo preso tra morti e prigioni da dieci di loro: e quelli della città istessa gli sbarrarono sopra alcune cannonate, una delle quali squarciò il villano che li conduceva.
Si erano questi, unitamente con cento altri, spiccati dalle truppe del Marescial d’Humières; che con circa cinque mille cavalli si trovava verso Kerpen, e si ritirò poi a Nuis, per aspettarvi rinforzo d’infanteria, che, abbandonate alcune piazze d’Olanda, doveva esservi condotta dal Duca di Luxemburg. Gli altri cento cavalli Francesi, mentre giravano per introdursi anco essi nella città assediata, incontrati da un partito Olandese, furono disfatti; da quaranta conducendosene prigioni: e da questi avutosi notizia degli andamenti e forze dell’Humières, era intenzione del Tenente Generale, e voleva andare lui istesso con cinque o sei mille cavalli a cercarlo e combatterlo: ma poi consideratosi, che marchiando esso d’Humières continuamente, non si sapeva il preciso loco ove si potesse trovare; che averebbe egli intanto potuto, coll’accostarsi alla città, trovare il campo indebolito: e per crederlo di maggior numero, si tralasciò l’impresa. Fu il Montecuccoli anco avvertito, che andavano i Francesi meditando di spingere grosso soccorso furtivo nella città, specificatamente per il loco di Kessenig, ov’egli appunto si tratteneva, potendovi essi venire assai coperti tra monti e boschi. E ciò era bene stato preveduto e provvisto; ma, ad abondante cautella, vi mandò il Quartier Mestro Generale Baron de Wymes, che vi alloggiò in due ridotte, che si fecero sopra l’alto della collina dominante detto loco, parte del reggimento di Strain; e vicino ad esse accampò il reggimento di cavalleria Rabatta.
Comandò pure il Montecuccoli al Quartier Mastro Generale di ritirare la cavalleria alloggiata ne’ circonvicini villaggi, e con loro bagaglio accamparla in siti propri attorno, e meno lontano della città: il che fu eseguito . Gran quantità di cannonate sbararono gli assediati, in tempo di giorno particolarmente; non risparmiando la notte le moschettate, le granate, pioggie di sassi, ed illuminare il fosso, con far qualche picciola sortita di poco effetto: non perciò restando ritardato il travaglio, né contandosi, tra morti e feriti in tutto l’assedio, che circa quattrocento persone. E de’ principali solo morse, da colpi di pietra gettatili da una cannonata, il Conte di Kinismarch, Sargente Generale degli Olandesi; come all’attacco di Wertmiller, di moschettate, l’ingeniere Nodara, e ferito il Tenente Colonnello di Grana Cirgat: e la maggior parte degli altri, in occasione che già Spagnuoli ed Olandesi, avendo condotti i loro approcchi fino al rivellino, attaccato di notte, presente nella trinciera il Principe d’Oranges, l’Assentare, ed altri Generali, avendo la guardia col suo reggimento il Conte di Schulard, con straordinaria bravura l’assaltarono, e nell’istesso tempo la controscarpa ne’ suoi lati, tagliando la palissade ed abbattendo ogni intoppo, se ne resero padroni, non ostante la vigorosa difesa, e del gran numero di granate che dalla torre della porta gli venivano gettate; sì che alloggiati in essa, fecero cominciare una galleria per introdursi sotto le mura e farvi la mina: morendo in tal conflitto duoi Capitani, altri tanti Tenenti ed Alfieri, con quaranta soldati, e da cento feriti.
Gli Imperiali anco essi spingendo avanti con gli approcchi, ne’ quali con indefessa fatica e periglio assistevano ogni notte i Generali, Colonnelli deputati, altri Officiali riformati, e Cavalieri volontarj: il Tenente Generale pure giornalmente li visitava, con gli altri Capi dell’armata, non senza rischio; spesso ritornandosene aspersi dalla terra mossa dalle cannonate, che colpivano nelle trinciere degli approcchi: con quali già pervenuti al bordo esteriore del fosso, che a quei bastioni attaccati era assai angusto, né ancora del tutto iscavato, sì che potevano la notte seguente mettere il minatore nelle loro fronti, e lavorarvi alla mina, per far breccia. Stimò però bene il Montecuccoli inviare un trombetta al Comandante, per sommarlo di rendersi, senza aspettare l’ultimo sforzo, e non peggiorarsi le condizioni, né arrecare maggiore danno e pregiudizio a’ cittadini, assai tormentati dalle bombe e fuochi; non vi essendo apparenza di soccorso, il d’Humières già ritirato, ed il Turenna lontano verso Creütznac. Ricercò egli tempo per poter rappresentare lo stato della città all’Elettore suo padrone, che si trovava in Colonia, e riceverne gli ordini; ma fattogli rispondere, ciò non essere il consueto, si risolse con molti tamburri far sopra le mura la chiamata. Per la quale cessate tutte le ostilità, fu mandato nella piazza il Tenente Colonnello Haugnitz, del reggimento di Knige; al quale dal Comandante esebite le condizioni che ricercava: cioè, che uscirebbe la mattina seguente, dando intanto ostaggi, ed una porta la sera: che potesse con la guarnigione, armi, bagaglio, due pezzi di cannone, barche per gli ammalati, andare a Nuitz; che si conservarebbero i privilegi a’ cittadini; che non si toccarebbe alla famiglia e robbe dell’Elettore; il quale non essendo inimico dell’Imperatore, restarebbe, con suoi paesi, ne’ suoi diritti ed appartenenze, col riscuotere le gabelle ed imposizioni; dovendo questa capitolazione valere per Spagnuoli ed Olandesi ancora. Trasmessasi tal richiesta dal Tenente Colonnello al Montecuccoli, gli fu concesso quanto ricercava; all’eccettuazione che le gabelle e contribuzioni dovevano essere per sussidio de’ soldati; e quello s’aspettava all’Elettore e stati, come affare non militare ma politico, restasse rimesso alla Maestà dell’Imperatore. Dal che appagato il Comandante, fu stabilito la resa. L’istessa sera, avendo il Duca di Bornevilla ordinati quattrocento soldati del reggimento di Knige, presero il possesso della porta e di tre vicini bastioni; benché ne facesse difficoltà il Comandante, non tenendo ancora nelle mani le capitolazioni ratificate dal Montecuccoli. Ma essendo la notte già avvanzata, essendosi consumato il tempo ne’ negoziati, per schivare i disordini e le confusioni che alle volte nascono in tali casi, il Duca gli impegnò la parola che sarebbero ratificate: sotto la quale confidato, n’acconsentì alle soldatesche l’ingresso.
Stimava il Prencipe d’Oranges e il Marchese d’Assentar, come quelli ch’avendo affaticato e stati nei pericoli per l’acquisto della piazza, che anco dovessero avere parte particolare nella capitolazione; e se non farlo, almeno, volendo, poter mettere qualche presidio nella città: sopra il che loro fu dal Montecuccoli rappresentato, non essere conveniente né secondo i trattati della lega, ch’essi nell’Imperio dovessero ciò avere. Sortì poi il Comandante di Bonna la mattina, decimo giorno dell’assedio, con la sua gente; alcuni de’ quali di nazione Alemanna, presero con gli Cesarei partito. Riverì tutti i Generali, che uniti insieme avevano fatto mettere in battaglia la maggior parte dell’armata: tra’ quali passando, scortato da trecento cavalli, comandanti dal Tenente Colonnello del Prencipe di Parayt, andò a pernottare a Brule; da dove partì la mattina per Nuitz, seco conducendo da quaranta cavalli di Colonia, che là erano: del che se ne dolse il Tenente Colonnello, essendo contro le convenzioni.
Destinato il Marchese di Grana per Comandante di detta città, ed il suo reggimento per presidio, con qualche cavalleria del reggimento vecchio Holstain, ne prese possesso, applicandosi immediate alla continuazione delle fortificazioni; e trovato alle ripe del Reno il ponte di barche che i Francesi già avevano ad Andrenach, lo fece mettere traverso il fiume, e con un forte assicurarlo dall’altra parte.
Consideratosi poi da’ Generali la stagione avanzata, l’armata Imperiale affaticata da sì lunga marchia, nel mentre che si andava facendo il ponte suddetto, risolsero l’acquisto d’alcuni castelli in quei contorni, che potevano non solo giovare allo stabilimento e sicurezza del quartier d’inverno, ma a tener libera la comunicazione di queste armate, dovendo anco essi pensare di ritirarsi ai quartieri. Si trasferì però il Principe di Baden, con mille e ducento fanti, cannoni e mortari; e tre reggimenti di cavalleria comandati dal Tenente Maresciallo Conte Caprara, per l’attacco di Brule: che subito si rese, a condizione che fosse permesso a quaranta soldati Colonesi che vi erano d’andare a Nuitz, salva la città e robe dell’Elettore. E postovi presidio, gionte in quel contorno tutte le armate partite da Bonna, dove per indisposizione sopragionta al Tenente Generale Conte Montecuccoli, era stato astretto a fermarsi; come che anco restorono per curarsi molti infermi dell’infanteria.
Marchiorono per diverse ma continue strade, a Lechevich e Kerpen, castelli di forti muraglie e torri, circondati da doppie fosse, piene d’acqua. Per l’acquisto di Lechenich, avevano, già tempo, i Svedesi affaticato per averlo più di tre settimane, e vi erano ora entrati da ducento Francesi, come in Kerpen da sessanta; quali alcuni giorni prima spediti da Nuitz per procurare d’introdursi in Bonna, non avendo potuto, si erano divisi per quei castelli. Fu investito Lechevich dal Prencipe di Baden, dal Tenente Maresciallo Wertmiller, e Colonnello Conte di Staremberg, con mille e due cento fanti e qualche cavalleria comandata; ed inviatoli un trombetta per sommarli di rendersi, rispose il Tenente Colonnello che vi era dentro comandante per l’Elettore: tener ordine di non introdurre soldati stranieri nel castello; di non offendere alcuno, se non era forzato: che perciò anco non aveva voluto dar ricetto a’ Francesi che nella sola bassa corte, quale era tra il primo e secondo fosso del castello. Significatoli adunque che restasse neutrale, poiché i Francesi si dichiaravano voler difendersi nella città, circondata d’antiche mura, in parte ruinate, ma con fossa d’acqua; e nella bassa corte del castello si giudicò non poterli sforzare, che col cannone e bombe: quali condotti il giorno seguente, e la notte fatto fare qualche approcchio dall’ingegnere Taddei, e batteria, incominciarono ad essere bersagliati, come anco da balle di fuoco dopo il sbatto di molte vicendevoli moschettate, con poco danno delle parti; mancando essi di cannone e di monizioni, il terzo giorno si resero al Duca di Bornevilla, andato a visitare l’attacco, a patti di buona guerra, ed essere convogliati a Nuitz. Del che dato incombenza al Prencipe di Baden, dopo essere i Francesi usciti, entrato egli dentro, con desterità indusse anche il Comandante di Colonia, che aveva da sessanta soldati Alemanni, a riceverlo nel castello, facendoli le condizioni come a Brule: ma quasi tutti i Colonesi presero partito con gli Imperiali; e quel Comandante fu poi chiamato per render conto di tal resa all’Elettore.
Aveva intanto il General Spork fatto alloggiare nel villaggio di Kerpen, al capo del quale sta il castello, il reggimento de’ dragoni del Conte di Trausmondorff, e sommarlo di rendersi. Risposero, non poterlo fare senza il consenso dell’Elettore: al quale spedirono. Ma di notte, facendo fare qualche trinciera dalli dragoni, ve ne restarono alcuni morti e feriti: del che avvisato il Bornevilla, vi spedì il Marchese di Baden, il sargente Generale Conte Lesle e Colonnello Strain, con due mille fanti e qualche cannone; quali visti comparire da lontano, avanti giungessero, si erano già resi, sortendone li suddetti Francesi, e da cento soldati Colonesi, che quasi tutti s’arrolarono con Cesarei: a’ quali non potette essere impedito lo spoglio della maggior parte del poco bagaglio de’ Francesi.
Fu esebito a’ Spagnuoli detto Kerpen per presidiarlo, come loco a loro appartenente, ma impegnato all’Elettore: l’Assentar rispose, non poter ciò fare senza ordine del Monterei, Governatore per il Re Cattolico ne’ Paesi Bassi.
Non restituendosi in intiera salute il Conte Montecuccoli, anzi più tosto in pericolo maggiore di crescerli il cominciato male, che già molti anni nel principio del freddo lo assalisce, e lo rende agli ultimi periodi della vita; risolse ritornare a Vienna, come era restato in concerto, finita la campagna, di poter fare, rimettendo con le debite istruzioni il comando dell’armata al Marescial Generale di Campo Duca di Bornevilla: il quale avendo significato al Principe d’Oranges ed al Marchese d’Assentar, che se con le armate volevano ritornare nelle loro provincie a quartiere d’inverno, gli avrebbe fatti dalla cavalleria imperiale scortare sino alla Mosa.
Non piacque loro simile proposta, parendoli essere contraria al deliberato col Tenente Generale: cioè aversi procurato di prendere i suddetti castelli, per avere sicurtà e comodo di acquartierare, se non tutte, almeno la maggior parte delle truppe imperiali in quelle parti; che se detti castelli non bastavano, si doveva attaccarne degli altri; che essi anco pigliando quartieri ne’ paesi confinanti, ad ogni occorrenza si potevano prontamente congiungere le armate, per operare insieme nelle occasioni, che ogni momento erano per presentarsi, essendo questo il punto principale per il quale essi erano venuti, in aderenza all’appuntato col Conte Montecuccoli; sì come egli anco per fine di tal unione era venuto al Reno e fattosi l’assedio di Bonna; che veramente avendosi nemici tutti all’intorno, conveniva star, come si può dire, sempre con l’armi alla mano. Loro fu risposto, che non si vedeva forma in così stretto paese come quello di Colonia, si potesse acquartierare, bensì qualche, ma non tanta gente; oltre l’essere del tutto distrutto il foraggio, e li abitanti la maggior parte fuggiti per le continue marchie delle armate; che non potevasi allargare i quartieri che nel paese di Juliers; nel quale non avendosi alcuna piazza forte, si stava sempre in gran pericolo, come circondati d’armate e piazze nemiche; che volontariamente il Duca di Naiburg, a cui appartiene, non concederebbe né i quartieri né le piazze; ed il prenderle per forza essendo Principe neutrale e potente nell’Imperio, non esservi ragione, né tenerne ordine; e che la stagione già avanzata e le nevi in terra, con l’infanteria affaticata e molto inferma, non ammetteva si potesse far alcun tentativo d’assedio sopra piazze tanto sia poco forti; e che avendo l’armata bisogno di riposo e ristoro, si doveva quanto prima ridursi a’ quartieri, e procurare di rinforzarsi, per a primo tempo i primi essere in campagna; mentre che ancora l’armate de’ nemici lontane si potevano di nuovo ricongiongere, non tanta essendo la distanza de’ paesi; che in simili quartieri l’armata non si poteva recluttare, ma sempre più diminuirsi; ed essere tutto l’essenziale la conservazione dell’esercito. Spedirono i Spagnuoli ed Olandesi dietro a Montecuccoli per questa difficoltà, stando fissi nella loro posizione; alla quale pure aderivano alcuni Generali imperiali. Rispose egli, stimare che si dovesse trattenire al possibile la comunicazione, ma anco doversi conservare l’armata.
Si mandò a ricercare al Duca di Naiburg, col quale il Baron dell’Isola, Plenipotenziario Cesareo al congresso di Colonia, aveva tenuto trattato, acciò concedesse quartiere ne’ suoi paesi, particolarmente di Juliers, e per loro sicurezza alcun loco serrato: ma nulla si ottenne; poiché concedendosi alli Imperiali, anco i Francesi l’averebbero preteso: oltre che per il paese di Juliers pagava contribuzione a’ Spagnuoli, e pur troppo i sudditi suoi erano maltrattati da’ foraggieri e partite; una delle quali gli aveva, come stimava, inavvertentemente, credutoli Francesi, battuto circa quaranta cavalli de’ suoi soldati che dal paese di Juliers se ne passavano in quello di Berg.
Risolsero però i Spagnuoli ed Olandesi fare ritorno nelle loro parti, con la scorta delli Generali Spork, Prencipe di Lorena, Caprara, Chavagnac, e circa sei mille cavalli, sino a Ruremond, dove ripasserebbero la Mosa; verso il qual loco dall’altra parte del fiume s’avvicinava con molte truppe il Conte di Valdec, Generale degli Olandesi, temendosi che per impedirli il ritorno, potesse a loro venire il Duca di Luxenburg, che abbandonate molte piazze nell’Olanda, insieme vinti tutti quei presidj, si era congionto con il Marescial d’Humières, qual sempre si era trattenuto, con la cavalleria che aveva, sopra Nuitz. Non fecero però questi mossa alcuna; sì che senza ostacolo se ne passarono quelli la Mosa, e la cavalleria imperiale ritornò a’ suoi posti.
Il Turenna, doppo aver passato colla sua armata il Reno, assai sminuita dalla fuga de’ soldati e con molti infermi, giudicando non poter essere a tempo per soccorrer Bonna, andò alloggiando per il Palatinato, dando le milizie sue molte occasioni di dolersi a quell’Elettore; ed accostatosi poi a Treveri, spedì soldatesche ad impadronirsi d’una torre sulle ripe del Reno, per impedire agli Imperiali il transito delle loro barche e provvisioni: ma come tal torre appartiene all’Elettore di Magonza, rappresentò egli al Turenna, ciò poter essere di gran pregiudizio ai suoi stati ed al commercio; onde ne levò le soldatesche mandatevi. Spedì anco il Turenna, per impadronirsi di Perenkasel, loco di Treveri, presidiato da pochi soldati di quell’Elettore: il che inteso da alcune truppe imperiali, che s’attrovavano in quelle parti avviatevisi, lasciarono i Francesi l’impresa. Erano quelli cinquecento cavalli comandati dal Conte della Torre, Tenente Colonnello di Rabatta, mandati alla Mosella a richiesta dell’Elettore, ad oggetto appunto d’ostare quanto potevano a’ tentativi dei Francesi: quali poi si ritirorno verso la Lorena, per prendere quartieri d’inverno, e Turenna andarsene a Parigi.
Ritornata (come si disse) la cavalleria imperiale a’ suoi posti, si andava già distribuendo a’ quartieri d’inverno alcuni reggimenti di essa e d’infanteria, a proporzione della grandezza, e della ruina ch’aveva patito il paese, dalla parte di Colonia, stendendosi da questa città sino alla Mosella, toccando anco in qualche loco lo stato di Juliers; ed il rimanente de’ reggimenti doveva acquartierarsi dall’altra parte del Reno, distribuiti nella Wesfalia, alcuni in Paderborn, nel contado di Nassau, Vestroval, e qualche parte del Ducato di Berg ed altri; lasciandosi la Veteravia libera alle truppe che l’Elettore di Sassonia, commandate dal proprio figlio Elettorale, mandava ad unirsi con Cesarei: il che cagionava che i quartieri ad alcuni reggimenti sarebbero riusciti incomodi. Questi reggimenti, avanti d’incamminarsi, dovevano aspettare ancora qualche giorno, che fosse finito di rifarsi a Bonna il ponte di barche sopra il Reno, rotto da giacci che scorrevano per il fiume: che se il tempo non si fosse addolcito con le pioggie, che liquefecero le nevi e i giacci, in non picciol imbarazzo si sarebbe trovata l’armata imperiale, essendo in paese angusto e consumato; sì che non potendo passare il Reno, ben le conveniva, con le armi sempre alla mano e con non lievi dissagi, andarsi per quei paesi circonvicini, amici o nemici, procacciando il vitto. Ebbero intanto avviso, e da varj prigioni condotti da partite s’intese, che il Duca di Luxemburg, con l’armata, cannone e bagaglio, marchiava in numero di dodeci mille fanti e cinque mille cavalli; che riferiva, per andare a’ quartieri in Francia per la via di Mastrich, e chi per attaccare l’esercito Cesareo, assai sminuito sì dalle guarniggioni messe in diversi luoghi, che per alcuni reggimenti già inviati a’ quartieri.
Consultato però il Duca di Bornevilla con gli altri Generali, ciò che in tal occasione si poteva fare, risolse andar egli con tutta la cavalleria che era all’esercito, e con quella del Duca di Lorena (che di persona se vi trovava), a Kerpen, per osservarvi gli andamenti de’ nemici: che se a lui si avanzavano, averebbe procurato ritardarli, e se incalzati, ritirarsi a Lechenich, tre ore lontano; dove intanto dal Marchese di Baden, Generale dell’artiglieria, in un sito a proposito, scelto con i maggiori avvantaggi possibili per campo di battaglia (lasciando però a tal cura seco il Quartier Mastro Generale, Barone de Wymes), sarebbe tenuta pronta l’infanteria che vi si trovava, con suoi Generali; e che spedisse ordini per tutte le parti per farvi anco celeremente ritornare quel maggior numero di truppe che si trovava nei castelli a’ quartieri vicini; e poi qui tutti uniti combattere, benché sarebbe stato inferiore d’infanteria, al nemico: e che intanto, per essere sciolti da ogni impedimento, si facesse passare il bosco verso Bonna al cannon grosso e bagaglio dell’armata. Se n’andò il Bernevilla al loco disegnato la mattina seguente, arrivando su il mezzo giorno; ove ebbe avvisi, essersi l’avanguardia de’ nemici avanzata a Caste, tre ore lontano, ed il rimanente poco distante. Onde egli con tutta la cavalleria postosi in battaglia, attendendo sino alla sera, senza che l’inimico facesse movimento, si ritirò ne’ circonvicini villaggi, alla meglio che puoté.
Il giorno doppo, postosi di nuovo nell’istessa postura, osservando l’inimico star fisso ne’ suoi posti, mancando di foraggio e di pane, intendendo che il ponte a Bonna era per essere perfezionato; benché alcuni Generali fossero di parere, che come si stimava essere superiori di cavalleria bramosa di combattere, ancora si restasse ad infestar l’inimico, potendosi sempre ritirare all’infanteria: ma si risolse col parere d’altri Generali, lasciare mille cavalli comandati, ed egli prevalersi della congiuntura per distribuire le truppe a’ quartieri; acciò sopravenendo nuovo freddo e giacci (al che pareva disponersi il tempo), non si trovasse nel labirinto di prima, quando si ruppe il ponte. Onde ritirossi a’ primi quartieri verso Frisen, mandando il Commissario e Quartier Mastro Generale a Bonna, per farvi la distribuzione de’ quartieri; e che facessero passare celeremente intanto il Reno al bagaglio, acciocché, venendo egli colle truppe, potessero anco queste subito passare, né restare divise dal fiume, che l’inimico, seguendo, non potesse offendere le ultime. Il che tutto seguì, andando ciascheduno reggimento con i loro Generali, per tener buon ordine, nelle provincie assignateli di sopra nominate, restando la persona del Duca in Bonna, scelto per loco il più opportuno a tenervi il quartier generale.
Decampò anco il Duca di Luxenburg, prendendo la marchia verso Mastrich, per di là passare in Francia ad acquartierarvi le truppe: quali essendo la maggior parte tolte da’ presidii delle città che aveva demolite e abbandonate in Olanda, non avendo stimato la Francia di suo profitto tenere in esse tante milizie, che sì come in siti lontani, non poteva che con gran difficoltà somministrarli l’occorrenze, né prevalersene in campagna; della quale essendo padrone, se ne prometteva facilmente il reacquisto; e non ostante, per la vicinanza d’altri presidj, teneva il paese in contribuzione: oltre che essendo composte di buona parte de’ più vecchi reggimenti, che constituiscono il miglior corpo delle sue armate, e le potesse con le nuove levate mischiare, tenevano bisogno d’essere in qualche buon quartiere con comodità e riposo ricrutate. Nella marchia fu alquanto incomodato dalli mille cavalli lasciati, che fecero qualche prigione; che con altri già fatti da’ Francesi, furono cambiati. Spagnuoli ed Olandesi intanto, avuto avviso della marchia de’ nemici, unirono insieme le loro genti; e trasferitosi nell’armata l’istesso Principe d’Oranges, e Conte di Monterei, Governatore dei Paesi Bassi, a Namur, vi passorono la Mosa, per precluderli la strada di portarsi oltre senza combattere.
Di ciò anco avvertito il Duca di Bornevilla, per maggiormente arrecare incomodo agli inimici, spedì il Conte di Schavagnac, Sargente Maggiore Generale, con circa due mille cavalli, parte Lorenesi e parte del reggimento del Colonnello Rabatta; che passorono a congiongersi a’ Spagnoli ed Olandesi. Fece anco unire qualche numero d’infanteria verso Müster-Aifel, sotto il commando del Tenente Marescial Prencipe Pio.
Ma il Luxenburg, non stimandosi assai forte per procurarsi il passaggio con le armi, se ne ritirò a Mastrich; ed i Spagnuoli ed Olandesi, che anco poche provvisioni avevano, stimando che fosse per passar la Mosa in quella città, e di là prendere il cammino per Francia; sapendo anco, che il Marescial di Bellefont, ed altri Generali delle piazze confinanti, mettevano insieme quello potevano per essere in assistenza de’ suoi, ripassorono la Mosa, postandosi in sito proprio ad osservare gli andamenti de’ nemici. Tardando a capitare in Bonna il danaro che Sua Maestà dai proprj stati mandava, per fare il saldo de’ pagamenti all’esercito sino a tempo dei quartieri d’inverno, il General Commissario Conte Joannelli si risolse andare egli stesso a Francfort, e sollecitarne la venuta. Gionto in Limburg, fu assalito da febbre maligna sì violenta, che in pochi giorni passò a miglior vita, con universale cordoglio, essendo ornato d’affabilità e bontà, con somma integrità nel maneggio del suo officio; avendo anco con molto utile e sua lode per lunghi anni avuta la direzione delle miniere d’Ongaria; dal giusto guadagno delle quali, dal negozio e corrispondenza che per tutto aveva, con molte ricchezze, ha lasciato i figliuoli con molte Signorie, e fregiati della nobiltà Veneziana.
Il che è quanto di remarcabile sia venuto a mia cognizione, de’ successi e andamenti dell’armata Cesarea nell’Imperio, da che è sortita in campagna, sino l’ultimo giorno dell’anno 1673.
Alcune lettere del Tenente Generale, Conte Raimondo Monteccuoli, scritte dal campo all’Abate Domenico Federici, Residente Cesareo presso la Repubblica di Venezia, dal 15 Settembre al 12 Novembre 1673.
Illustrissimo e Reverendissimo Sig. mio Osservandissimo Avant’ieri mattina l’inimico venne a presentarsi in battaglia dinanzi al nostro campo, dove noi pure in battaglia ci ritrovassimo. Passarono quivi varie scaramuccie, e scorsero qua e là varie partite, nelle quali tutte riportarono sempre i nostri, per la Dio grazia, vantaggio, col far diversi prigionieri, ed ucciderne parecchi dell’inimico. Tra gli altri riscontri, notabile fu quello d’un posto che aveano occupato li Francesi sopra un rialto con quattrocento e più fanti; che fu assaltato ed espugnato con gran valore de’ nostri, e cacciatine via li Francesi, con morte di più di cinquanta di loro, e più di cento prigionieri. Preludio felice a maggiori progressi, il quale ha incredibilmente acuito l’animo della nostra soldatesca, allettata anco dal bottino del danaro, ch’ella ritrova sopra la persona de’ morti e prigionieri. Dal Campo tra Oxenfurth e Rizingen al Meno, 15 Settembre 1673
Di Vostra Signoria Illustrissima Affezionatissimo Obbligatissimo Serv. R. Montecuccoli
Una partita spedita col Colonnello Dunewald ha rovinato, alli 18 del corrente, il Magazzino de’ Francesi a Verthaim, e la provianda che veniva condotta loro al campo in nove navi e cinquantadue carra, coll’averne battuto i convoi. Il che avendo inteso l’inimico, doppo essere stati li esserciti otto giorni accampati in faccia l’uno dell’altro, levò ieri avanti giorno il primo il suo campo; e marciò una lega di qua da Gescheim. Si osserva la strada che pigliarà, per pigliare ancora noi le nostre misure: ch’è il fine col quale mi rassegno Dal Campo Cesareo, presso di Ochsenfurt, 21 Settembre 1673
Di V. S. Ill. Aff. Servo vero R. Montecuccoli
Ill. mio Sig. Oss. Il Turena, doppo essere stato ricevuto dal nostro essercito molto vigorosamente, quando si presentò in battaglia presso Ochsenfurt, non è più tanto avido di combattere; anzi campa del continuo in posti avvantaggiosi e sicuri, né ci presta l’occasione che desideraressimo, e che abbraccieremo, di battagliare, quando ella venga. Cerchiamo intanto di guadagnar terreno, e di avanzarci verso il Reno: ma siccome l’inimico tiene il dinanzi, ed ha distrutto i luoghi de’ foraggi, e preoccupati i passaggi al Tauber, al meno ed alla Lona e per tutto, ed egli è provvisto di ponti portatili, restano molte difficoltà a superare. Ci travaglieremo però al possibile, con speranza d’arrivare al nostro intento; mentre in tutti li riscontri passati abbiamo, per la Dio grazia, riportato vantaggio; che è il fine col quale mi rassegno Nel campo Cesareo; presso di Mariemberg rimpetto Wirtsburg, 26 Settembre 1673
Di V. S. Ill. Aff. Serv. vero R. Montecuccoli
Ill. mio Sig. Oss. L’armata Cesarea è giunta qua rimpetto a Lohr, dove si fa il ponte per cominciar oggi ancora a passar il Meno, con intenzione di tirar la guerra fuori del Circolo di Franconia nostro collegato, e d’avvicinarci maggiormente del Reno; poiché anco l’inimico par ritorni a Miltemburg ed Aschaffenburg, dove egli ha il ponte di barche e di pietra per opporsi avanti di noi. Frattanto i nostri, per la Dio grazia, riportano sempre in tutti li riscontri vantaggio: che è il fine col quale mi confermo Nel Campo Cesareo al Meno, rimpetto a Lohr, 1 Ottobre 1673
Di V. S. Ill. Aff. Serv. R. Montecuccoli
Ill. Sig. mio Oss.
Essendo arrivata l’armata in questi contorni, si travaglia a far ponte sul Meno per assalir l’inimico a tergo. Intanto sono ricoperte le operazioni de’ Collegati al Reno, e s’è messo in sicuro il potersi dar la mano gli uni agli altri in ogni caso di bisogno.
Il Colonnello Harans ha battuto li foraggieri del nemico ed il convoj (sic) che vi era appresso; dove sono restati ducento Francesi morti, settanta prigionieri, e molti cavalli e muli presi: che è il fine col quale mi rassegno
Dal Campo Cesareo presso di Hanau, 13 Ottobre 1673
Di V. S. Ill. Aff. Serv. vero R. Montecuccoli
Ill. mio Sig. Oss. Ci siamo avvicinati al Reno; onde l’inimico ha abbandonato Aschaffenburg, e trattosi ancora egli abbasso. Il sig. Elettore di Mogunta (sic) non concede il passaggio pel ponte suo proprio, ma reca favorevole comodità di farlo tra Mogunta e Bingen, dove ci tornerà più commodo: che è il fine col quale resto Hercheim, 21 Ottobre 1673
Di V. S. Ill. Aff. Serv. vero R. Montecuccoli
Ill. mio Sig. Oss. Marciamo con l’armata Cesarea a Coblens (perché il ponte nostro qui va troppo lentamente, e l’inimico ch’è passato a Filisburgo, potria cercare di prevenirci nel passaggio della Mosella), per assicurare la linea della comunicazione, ricoprire l’operazioni de’ Collegati, e tentare tutto verrà più in acconcio. Intanto si è tratta la guerra fuora dell’Imperio Cisrenano, e sempre ottenutosi vantaggio in qualunque riscontro s’è avuto coll’inimico: ch’è il fine col quale mi rassegno Wisbaden, 28 Ottobre 1673
Di V. S. Ill. Aff. Serv. vero R. Montecuccoli
Ill. mio Sig. Oss. L’inimico ha abbandonato Lintz, Siburg, Andenach, occupati da’ nostri; li quali hanno ancora sorpreso Noremberg. Il Sergente Maggiore Receffstein ha disfatto una compagnia di Colonia, e guadagnato uno stendardo: siamo ora sotto Bonna, a cui si è aperta trinciera. Il Principe di Oranges è congiunto con noi. Li Francesi usciti da’ Paesi Bassi e dall’Olanda coll’Humières e col Luxemburg per unirsi col Turena, stanno giornalmente per tentare il soccorso. Il tempo corre pessimo per campare e travagliare alle linee: che è il fine col quale mi riconfermo Dal Campo Cesareo sotto Bonna, 3 Novembre 1673
Di V. S. Ill. Aff. Serv. vero R. Montecuccoli
Ill. mio Sig. Oss. Finalmente, dopo un assedio di sette giorni, si è resa per accordo la città di Bonna alle armi di Sua Maestà Cesarea; le quali si sono impadronite questa sera d’una porta della città e di tre baloardi, dovendo la guarnigione Tedesca e Francese uscire dimani di mattina: ch’è il fine col quale mi rassegno Dal Campo Cesareo sotto Bonna, li 12 Novembre 1673
Di V. S. Ill. Obb. Serv. vero R. Montecuccoli
Note