IV. Corso della vita

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III V


Il neonato presenta alcuni caratteri che lo avvicinano agli animali sottostanti. Le sue braccia e le sue gambe sono di lunghezza quasi eguale, queste ultime essendo appena più lunghe delle prime. Inoltre il braccio e la coscia formano coll’asse del tronco un angolo acuto, convergendo verso l’ombelico. Se noi cerchiamo di dare alla gamba del neonato quella posizione ch’essa occupa nell’adulto, facciamo gridare il bambino dal dolore. Del pari le braccia non si lasciano distendere in modo da allontanarsi orizzontalmente dal tronco, nè si elevano in senso verticale. La colonna vertebrale è curvata come nei quadrupedi, e la pelvi è più ravvicinata allo sterno che non nell’adulto. Finalmente il petto non è piatto, ma leggermente rilevato nel mezzo. Nei primi mesi di vita il bambino non sa muovere le braccia senza muovere le gambe, e noi lo vediamo agitare contemporaneamente le une e le altre. Solo più tardi esso impara a servirsi degli arti inferiori come organi di incesso, e dei superiori come organi prensili e tattili, ed apprende di giovarsi degli uni indipendentemente dagli altri. Nello sviluppo successivo ha una grande importanza la giacitura abituale supina del bambino, congiunta al peso del ventre di solito voluminoso, in seguito a cui la colonna vertebrale assume la forma che ha nell’adulto, le gambe si distendono, le braccia si staccano nettamente, ed il petto si appiattisce. Il bambino deve anche imparare a stare sui piedi, stazione che non gli è dapprima concessa, ad apprendere la quale contribuisce efficacemente la mano. Il bambino, cioè, tenendosi colle mani agli oggetti che lo circondano, prova e riprova a camminare, e questo esercizio lo conduce a grado a grado alla stazione eretta dei suoi genitori.

Il bambino progredisce in seguito coll’imitazione, coll’esercizio e coll’esperienza. All’età di tre mesi stende le mani verso gli oggetti che gli piacciono, e cerca di portarli alla bocca; a quattro o cinque mesi riconosce i suoi genitori e le altre persone che lo circondano, ed in questa stessa età sogna talvolta, ciò che prova che la sua memoria comincia a formarsi. È probabile che il primo oggetto sognato sia il seno della nutrice, perchè vediamo il bambino, durante il sonno, muovere le labbra in attitudine di succhiare. Il primo sorriso spunta sul suo volto in età assai tenera, talvolta già nel secondo o terzo mese, altro volte un po’ più tardi. All’età di sette od otto mesi esso incomincia a trastullarsi con oggetti estranei, ma non ha ancora il desiderio di possederli. Appena nato il bambino grida, più tardi balbetta, e solo all’età di un anno circa pronuncia dei suoni articolati. La vocale che prima e meglio fa sentire è l'a, l’ultima la i; delle consonanti la prima è la m, la ultime sono la s e la r. Coll’acquisto della favella apresi al bambino ed al ragazzo un nuovo mondo: imperocchè egli può far conoscere agli altri i suoi bisogni e desiderii, chiedere e ricevere spiegazioni, per cui si sviluppano la memoria e la ragione.

L’epoca della pubertà incomincia in Europa pel sesso femminile fra gli anni 12 a 15, pel sesso maschile fra gli anni 14 a 16. Nei paesi del mezzodì e dell’oriente può incominciare anche prima; così nel Napoletano e nella Sicilia v’hanno delle ragazze che mestruano fra 9, 10 od 11 anni, e che non possono perciò dirsi ammalate, e nella Persia e nell’Arabia all’età di 10 anni. Le donne dei Boschimani sono talvolta madri all’età di 10 anni. Nel sesso maschile la pubertà si manifesta colla produzione dello sperma, coll’ingrandimento della laringe e coll’apparir della barba; nel femminile colla produzione delle uova e coll’apparire dei tributi mensili; in ambedue i sessi spuntano i peli alla regione del pube, ed avvengono cambiamenti nella voce e nella fisonomia. Nella fanciulla si gonfia il seno.

Si dànno dei casi di pubertà precoce. A Nuova Orleans fu osservata una bambina, la quale, appena nata, aveva il seno sviluppato e peli al pube, ed in cui a tre anni apparvero i mestrui. È stato riferito intorno ad un’altra bambina, nella quale i tributi mensili apparvero all’età di nove mesi ed in cui all’età di 18 mesi le mammelle erano completamente sviluppate. Una ragazza indiana divenne madre all’età di cinque anni. Si conobbero delle donne che in Europa e nell’America meridionale partorirono felicemente all’età di otto e di dieci anni. Nel sesso maschile si videro degli individui puberi all’età di tre, quattro, quattro e mezzo e cinque anni.

I mestrui cessano nelle nostre donne fra gli anni 45 e 50; l’uomo diventa impotente fra i 50 e 60 anni. Si conoscono peraltro delle donne che partorirono felicemente a 60 anni.

La vita fu divisa in varii periodi, i quali però non sono eguali nelle varie razze, nè nei diversi individui di una medesima razza, e non sono nettamente separati l’uno dall’altro. Il primo periodo, quello dell’infanzia o fanciullezza, va fino all’epoca della pubertà, ossia fino agli anni 13 a 16; durante questo periodo il corpo è in continua e rapida crescenza. Segue il periodo della giovinezza che va fino agli anni 20 e 23, durante il quale procede con energia lo sviluppo dell’apparato sessuale. Il corpo raggiunge la massima sua perfezione nell’età virile, che si estendo fino agli anni 60, la forza intellettiva tocca in questo periodo il suo apice. Nella vecchiaia, ossia dopo i 60 anni, l’energia vitale diminuisce; tutte le funzioni si compiono più lentamente, il grasso è riassorbito, i denti cadono, i capelli si rendono rari e bianchi, la colonna vertebrale s’accorcia e spesso si curva, il polso si fa lento, ed alfine segue la morte.

La scuola francese distingue un numero maggiore di periodi, e cioè i seguenti:

Prima infanzia, dalla nascita fino ai 6 anni compiuti,
Seconda infanzia, dai 6 ai 14 anni,
Gioventù, dai 14 ai 25 anni,
Età adulta, dai 23 ai 40 anni,
Età matura, dai 40 ai 60 anni,
Vecchiaia, oltre i 60 anni.

La prima infanzia va fino all’apparsa dei primi molari permanenti, la seconda fino a quella dei secondi molari permanenti, la gioventù fino allo spuntare dei denti della sapienza o terzi grossi molari. L’età adulta perdura fino al cominciamento della ossificazione delle suture del cranio ed è seguita dall’età matura che va fino alla vecchiaia, la quale si riconosce dalla avanzata o completa ossificazione naturale delle suture craniche, dall’atrofia manifesta delle ossa della vôlta del cranio in seguito all’assorbimento del diploe, e dalla usura molto progredita dei denti.

Come si vede da quanto sopra è stato detto, la distinzione delle età riposa in parte sullo sviluppo della dentiera, il quale, in regola generale, si compie nell’ordine indicato della seguente tabella.


Denti caduchi o da latte.
Denti apparsi Età Num. dei denti
4 incisivi mediani anni 1 4
4 incisivi laterali » 1 1/2 8
4 primi molari » 2 12
4 secondi molari » 2 1/2 16
4 canini » 3 20


Denti permanenti.
Denti apparsi Età Num. dei denti
Primi grossi molari anni 6-6 1/2 24
4 incisivi mediani » 7 24
4 incisivi laterali » 8 24
4 primi premolari » 10 24
4 secondi premolari » 12 24
4 canini » 13 24
4 secondi grossi mol. » 14 28
4 terzi grossi molari » 25 32


Se fra gli anni 7 a 13 il numero dei denti non cresce, si è perchè i denti permanenti vanno a sostituire altrettanti denti da latte.

Talvolta in età molto avanzata la vita si rianima; la fiamma, per così dire, che stava per spegnersi, si riaccende. Nel 1841 una monaca di Venezia, la quale all’età di 45 anni aveva perduto tutti i suoi denti, li riebbe in età di 90 anni. Sinclair racconta che un certo Vivan ebbe all’età di 100 anni nuovi capelli e nuovi denti, e riacquistò la vista che aveva quasi per intero perduta, e visse così altri dieci anni. Si conoscono esempi di donne che riebbero i mestrui in tarda età, e nelle quali il seno si gonfiò nuovamente, e apparvero nuovi denti e capelli.

Secondo la Genesi, alcuni uomini avrebbero raggiunto un’età altissima; Adamo, per esempio, di 930 anni, Matusalem di 960 anni, Noè di 950 anni. Essendo ciò impossibile per ragioni fisiologiche, alcuni autori hanno cercato di giustificare queste notizie dicendo che la Bibbia, col nome di anni, volesse esprimere le lune od i mesi; altri non ritengono giusta questa interpretazione e credono che coi nomi di Adamo, Matusalem, ecc., si volessero designare grandi periodi storici, cui quegli individui avrebbero impresso il nome o l’indirizzo delle gesta. Comunque sia, è però certo che molti uomini hanno raggiunto l’età di oltre 100 anni; Haller ne cita più che mille. Dal censimento fatto nel 1877, negli Stati Uniti dell’America del Nord, risulta che nel 1876 morirono 43 persone che avevano oltrepassato i cento anni; di queste, l’uomo più vecchio aveva raggiunto l’età di 127 anni, e la donna più vecchia quella di 119 anni. Darò altri esempi di longevità, osservando peraltro, che alcune di questo cifre non meritano fede.

Auden Evindsen, vescovo di Stavanger, morto nel 1440, visse 210 anni; Tommaso Kaern, morto nel 1588, 207 anni; l’inglese Pietro Torton, morto nel 1724, 185 anni; il pescatore inglese Enrico Jenkins, morto nel 1670, 169 anni; Giuseppe Surrington della Norvegia, 160 anni; il danese Drakenberg, 146 anni; l’irlandese Tommaso Winslosv, 146 anni; la contessa di Desmond dell’Irlanda, 145 anni; G. Lawrence di Scozia, 140 anni; Margarita Patten, inglese, 137 anni; Giorgio Wunder, morto a Salisburgo nel 1761, 136 anni; Anna Champbell, morta nel 1872 nel Canadà, 130 anni.

La durata media della vita oscilla in Europa fra i 28 e i 40 anni. In Prussia questa media è di 28, 18 anni; nello Sleswick, nell’Holstein e nel Lauenburgo di 39, 8 anni; nell’Annover di 36, 8 anni; a Napoli di 31, 65 anni. Questa media è soggetta a variare col tempo in una medesima città: così la carestia e le epidemie la fanno discendere; i provvedimenti igienici e l’abbondanza la fanno salire. Il progresso dell’igiene ha diminuito dappertutto la mortalità, come lo dimostrano i seguenti dati statistici. In Francia negli anni 1770-1783 la mortalità era di 34 persone per mille, e all’anno, oggi è di 22. In Svezia nel 1740 si contavano 28 decessi per mille abitanti all’anno, oggi se ne contano 17. Nell’antico Ducato di Milano morivano nel 1774 41 persone su mille, al presente soltanto 28. A Roma la mortalità al principio di questo secolo era di 30 persone per mille, oggi questa cifra è abbassata al 27.