Antonio Rosmini/III
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Non esperto per uso delle eleganze latine, le amava però e discerneva finamente; e nella sua patria aveva, oltre all’esempio del Vannetti (scrittore di latino assai più sicuro che d’italiano) aveva cultori felici delle latine eleganze. Perchè Rovereto, paese italianissimo, e che tiene della veneta gentilezza mista al vigore trentino, ha eredità di memorie onorata e nelle lettere e nelle scienze: e all’eredità delle memorie debbono sempre di molto gl’ingegni e gli animi per quanto paiano singolari. Tuttochè ammiratore degli autori cristiani in quella parte di stile che più tengono dell’idea, il Rosmini apprezzava le forme belle de’ grandi scrittori di Roma: e si godeva quand’io dell’età di diciassett’anni, al suo dirmi l’un dopo l’altro versi da sè di scrittori che chiaman dell’oro, misti con que’ dell’argento, gliene dicevo l’autore non per memoria ma per discernimento di stile, come i pittori riconosconsi alla maniera.
Amava in Virgilio la mesta serenità dell’affetto, e la eletta potenza del dire, e il congegno de’ numeri armonioso; e ridiceva que’ versi ove il suono fa quasi vedere i corpi e sentire l’idea. Egli che aveva, se non isbaglio, coltivata in adolescenza la musica, e parlava dell’Haydn con amore, portava certo da natura il sentimento di lei, e l’orecchio meno scosto dal capo gli era segno a discernere chi l’avesse più acuto. Delle pronunzie dei dialetti sentiva la più o men compiuta armonia; e nella cantilena di que’ dell’Isola di Burano nelle lagune notava come il prolungare della vocale di per sè faccia quasi doppia la consonante che segue: ed invero la doppia consonante che segnasi nella scrittura non è che l’effetto e l’indizio della precedente vocale protratta, e potreb’essere scrivendo notato con altro più vero e più semplice segno. Alle leggi dell’Eufonia godeva che fosse posto mente in una grammatica greca a uso delle scuole, e di lì dedotte le commutazioni di certe lettere: studio che, dilatato a tutti i linguaggi, darebbe scoperte e storiche e d’altro. Sentiva nelle leggi della prosodia l’origine delle voci, la storia cioè della lingua: e perch’io al suo invito di fare una prosodia ragionata rispondevo richiedersi a questo la scienza del greco, egli di tale risposta si compiaceva come d’augurio non infelice dell’inesperto mio ingegno. E con la compiacenza significatane in tempo con dimostrazioni di stima più in fatti che in parole, col distinguere le buone dalle men buone cose, col proporre soggetti alti agli studi e temi belli a’ lavori e fine generoso alla vita, eccitava e svolgeva gli animi e gl’ingegni crescenti.
Studi di lingua aveva fatto accurati non solo in que’ del trecento, ma via via fino al Gozzi: e così potette, dopo i primi esercizi, malfermi di necessità specialmente a chi non nacque toscano, raggiungere in parte quella naturalezza che è il raro pregio dell’arte compiuta. Notava i modi belli, e sentiva non solo per istinto di scrittore ma di filosofo, il valore di quelle particelle che da’ pedanti abusate e scambiate e frantese, rendono la loro maniera strana nella stessa affettata semplicità, ma che sono i legamenti vivi delle idee, compongono in bella e salda proporzione il costrutto, degno veramente per esse di questo nome; fanno del congegno de’ suoni e di quel de’ concetti una intiera armonia nella quale la mente insieme e l’orecchio contentati riposano. Venuto un giorno nella mia stanza, trovando un libro di scrittore elegante ma di stampa scorretta, mi raccomandava di scegliere meglio, perchè da una lettera, dicev’egli, omessa o aggiunta o spostata, il bello talvolta ci perde. Stampò con nitidezza splendida e con buone note la Vita di S. Girolamo d’un del trecento; e in una delle note corresse lo sbaglio del Monti che, nel vituperare gli sbagli della Crusca, sbagliò talvolta più gravemente egli stesso, e vietava che l’in accoppiato a aggettivo, potesse ora significare negazione e ora intenzione d’atto o di qualità. Conferma il Rosmini il doppio uso opposto con esempi di grandi Latini; e questa era non pure filologica ma filosofica verità. Nè il Monti, impaziente delle contraddizioni per solito, l’ebbe a male; sì perchè buono nella sua debolezza, sì perchè nel giovane riprensore delle sue riprensioni troppo giovanili vedeva animo non avverso; e sì anche perchè l’Abatino era gentiluomo di razza e ricco e amico di ricchi e di gentiluomini; del Trivulzi fra gli altri, alla cui moglie fu dedicato da ultimo il poema sacro alla dea Feronia, dedicato in prima a Pio VI papa.