La Vita
Capitolo 9

../8 ../10 IncludiIntestazione 10 aprile 2008 75% Biografie

La Vita - 8 La Vita - 10

Paolo III, preoccupato ogni giorno più dei progressi e dell’ardire degli infedeli che, guidati dal Barbarossa, avevano fra l’altro osato attaccare Taranto, e attuando il grande progetto del quale presso di lui e presso Carlo V si era fatto banditore Andrea Doria, tentò finalmente di porre termine alle sanguinose lotte fra i due grandi sovrani cattolici, per lanciarli uniti contro gli infedeli. Riuscì infatti a combinare un incontro fra di loro, che avvenne a Nizza, nel 1538, dopo aver ottenuto che fra i due fosse stabilita una tregua di dieci mesi per preparare l’incontro stesso. Il Principe contribuì con sincerità di propositi alla desiderata pacificazione, sia dando all’imperatore i migliori consigli in tal senso, sia inducendo a più ragionevoli propositi le personalità di parte spagnola più contrarie ad ogni accordo, tra le quali il marchese del Vasto che, invitato dal Re a colloquio, e dubitoso di accettare l’invito, vi si decise solo dopo l’onesto consiglio del Doria. Questi, che aveva portato le galee di sua personale proprietà al numero di venti, con una parte di esse si recò a Barcellona per rilevare l’Imperatore, mentre le altre, agli ordini di Giannettino Doria, si recarono a Civitavecchia per imbarcare il Pontefice.

Il 18 giugno del 1538 venne così firmata a Nizza una tregua di dieci anni, nella quale si stabiliva che il re di Francia si sarebbe tenuto il Piemonte, e l’Imperatore la Lombardia. Mentre in quell’occasione il Pontefice era alloggiato nel convento di San Francesco, e il Re col seguito a Villanova, Carlo V continuò ad alloggiare sulla nave ammiraglia, mantenendosi così a contatto col Principe, del quale come sempre tenne in gran conto consigli e suggerimenti.

Pochi giorni dopo la firma dell’accordo, Paolo III partì per Genova, onde poi proseguire per Roma.: e l’Imperatore lo accompagnò, rimanendovi poi ospite del Principe per alcuni giorni. Avendo poi il Pontefice proseguito con le galee di Giannettino Doria, Carlo V, su quelle del Principe iniziò il viaggio di ritorno a Barcellona. Il 14 luglio sostò dinanzi a Aigues-Mortes, per ricevere sulla nave ammiraglia il re di Francia, col quale ebbe un lungo colloquio, il primo, invero, perché le trattative per la tregua erano state condotte dai consiglieri e dai ministri: colloquio cordialissimo, al quale - chiamato dall’Imperatore - assistette anche Andrea Doria, che si trovò così dinanzi al Re per la prima volta, dopo averlo abbandonato. L’accoglienza a lui fatta da Francesco I e da tutti i principi e personaggi francesi, fu quale egli stesso non si attendeva, avendo voluto ognuno di essi esprimere al grande Capitano la sua sincera ammirazione.

Non contento di ciò il Re disse all’Imperatore di tenerlo caro, perché aveva in lui un saggio e valoroso collaboratore: e molto si felicitò col Principe stesso, per la bellezza e la potenza delle sue galee. Indi Francesco I e Carlo V scesero a terra, dando, al popolo curioso ed entusiasta, lo spettacolo di un accordo perfetto, accompagnato ad una reciproca e affettuosa cordialità, in ciò imitati dai loro rispettivi seguiti.

Prima però di questi decisivi avvenimenti, erano successi fatti rilevanti, fra cui, primissimo, l’assassinio di Alessandro de’ Medici, compiuto da Lorenzino de’ Medici. In questa occasione l’intervento di Andrea Doria ebbe una particolare importanza, in quanto egli dimostrò di agire quale fiduciario dell’Imperatore, e negli interessi dell’Imperatore stesso, oltrecché in quelli della città di Firenze. La sua azione appoggiò quella del cardinale Innocenzo Cybo, tendente ad evitare le complicazioni minacciate dai fuorusciti fiorentini appoggiati dal re di Francia. Incoraggiò Livorno a rimaner fedele, spinse il comandante militare di Firenze Alessandro Vitelli a resistere ad ogni tentativo di sovvertimento, diede tempestivi consigli al cardinal Cybo e, infine, quando venne eletto Cosimo de’ Medici a duca della città, si adoprò per fargli giunger rapidamente la sanzione imperiale. Da quest’opera sua il suo prestigio fu di molto aumentato, e vieppiù stimata fu la sua fedeltà, presso la Corte spagnola.

Il già ricordato attacco del Barbarossa a Taranto, aveva messo in allarme anche il Principe il quale, pensando che l’Imperatore non avrebbe potuto intervenire in tempo, decise di recarsi nel vicino Oriente per compiere quelle azioni di disturbo e di informazione che si dimostravano tanto necessarie: dopo aver dato notizia del suo divisamento all’Imperatore scrisse anche a Lope de Soria, di cui già abbiamo fatto cenno, e che si trovava in quel tempo ambasciatore spagnolo a Venezia, perché inducesse quella Repubblica ad unirsi con lui per quella spedizione. Ma i veneziani, che erano in segrete trattative coi turchi, gli fecero rispondere che la offerta non era per loro conveniente.

Il Principe partì allora solo, con ventotto galee, e cominciò a disturbare seriamente i rifornimenti della flotta turca, prendendo tutte le navi che a quella recavano uomini e provvigioni e anni. La sua azione fu così intensa e continua ed efficace, che l’armata turca, privata di ogni aiuto, ridotta in molta difficoltà per la vita dei marinai, con i depositi vuotati, dovette dividersi, e una parte andare alla ricerca di rifornimenti.

Al Barbarossa rimasero soltanto sessanta galee, con le quali non gli fu possibile riprendere, dalla base di Valona, le sue azioni contro le Puglie; per avere viveri e mezzi tentò di prendere alcune colonie veneziane, compresa Corfù. Venezia, che non si attendeva un simile colpo a tradimento, ricorse per aiuto al Doria, che già si trovava a Messina, sulla via del ritorno; ma questi, sia per aver le navi e gli uomini molto provati, sia per la stagione già avanzata, settembre, rispose negativamente aì Veneziani, e anche al Pontefice, ch’essi avevano interessato per mezzo del loro ambasciatore.

Questo rifiuto, pienamente giustificato, gli suscitò molte critiche presso Carlo V da parte dei due ambasciatori veneziano e pontificio, tanto che, giunto a Genova, egli mandò una esatta relazione all’Imperatore, per mezzo di Adam Centurione suo fraterno amico, e molto stimato da Carlo V. Questi, avuto il rapporto, radunò tutti i personaggi interessati, e facendolo loro ripetere dal Centurione, concluse senza esitazione che il comportamento del suo Ammiraglio era stato degnissimo, e che l’Imperatore stesso, se si fosse trovato in tal contingenza, non si sarebbe comportato diversamente.