La Vita
Capitolo 2

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Vi fu discussione fra alcuni biografi. circa la data di nascita di Andrea Doria, ma ormai è accertata la verità di quella indicata dal suo primissimo biografo Lorenzo Capelloni, che fece omaggio di tale opera al principe Giovanni Andrea nel 1562, ossia due anni soltanto dopo la dipartita del Padre della Patria.

Nacque dunque Andrea a Oneglia, nel giorno dedicato a Sant’Andrea, il 30 novembre del 1466. Il padre Ceva, e la madre Caracosa erano entrambi del grande ceppo dei Doria che nell’onegliese vantava grandissimo numero di famiglie, tutte discendenti dai tredici figli di Nicolò e Federico Doria fu Babilano che nel 1295 avevano acquistato per undicimila monete di Genova la Signoria su Oneglia e su tutti i castelli della zona.

Narra la leggenda che l’amore del piccolo Andrea per il mare si manifestò un giorno nel quale, essendo giunte alcune galee genovesi, egli venne condotto a bordo, e tanto vi si trovò bene e a suo agio, che per riportarlo a terra fu necessaria una dolce violenza. Oltre all’amore del mare egli si educò alle lettere e alle armi; e crescendo negli anni e nello studio comprese che la sua vita non poteva rimaner chiusa nel piccolo confine della sua signoria ponentina. Venutigli a mancare prima il padre e poi la madre - che poco dopo la morte del padre aveva ceduto tutti i suoi diritti su Oneglia a Gian Domenico Doria fu Stefano - egli potè finalmente accontentare il suo desiderio di andare per il mondo e a diciotto anni si trasferì a Genova, di dove fece vela per Roma, ospite di Niccolò Doria, capitano delle guardie pontificie. Accolto in questo corpo ch’era molto stimato, vi rimase quasi otto anni, e cioè fino all’autunno dei 1492 quando, venuto a morte papa Innocenzo VIII, gli succedette lo spagnolo Alessandro Borgia, col nome di Alessandro VI, che mutò ordinamenti e direttive dei suoi corpi armati, molti scontentando dei fedeli armati pontifici.

Allontanatosi, il Doria passò alla corte del Duca d’Urbino, Federico da Montefeltro, oasi di pace e di serenità, che richiamava uomini valorosi e saggi. Ma non era la tranquilla vita d’una piccola corte che potesse soddisfare lo spirito inquieto del giovane.

Giungevano intanto notizie di guerra: Carlo VIII re di Francia, sollecitato dall’usurpatore Lodovico Sforza, che non voleva perdere il ducato di Milano non a lui spettante ma a Gian Galeazzo suo nipote, aveva messo con le sue truppe il piede in Italia. Era vasto, il sogno del giovane figlio di Luigi XI: conquistare il regno di Napoli, sul quale vantava diritti qual discendente degli Angioini, e di lì partire alla liberazione di Costantinopoli e di Gerusalemme, riuscendo in tal modo ad uguagliare e forse superare la potenza della Spagna che, per le scoperte di Cristoforo Colombo, era diventata il più grande impero del mondo. Nell’estate del 1494 scese dunque in Italia con 30.000 uomini, e diede inizio alle calate francesi al di qua delle Alpi. Entrò a Firenze, favorito dal timore che aveva colto Piero de’ Medici, e vi dettò leggi e balzelli insostenibili. Caduto il Medici per furor popolare, il Re si trovò di fronte il forte Pier Capponi che, col suo comportamento coraggioso, seppe dominare il furore dello straniero, e portarlo a più miti pretese. Passato da padrone a Roma, si avviò verso Napoli, mentre Ferdinando Il d’Aragona, succeduto al padre Alfonso II - rinunciatario al trono per paura - si schierava sul Garigliano.

Andrea Doria si arruolò con Ferdinando, ma ben poco poté fare, perché l’esercito napoletano invece di combattere abbandonò il suo Re - che si dovette ritirare ad Ischia - mentre il popolo della Capitale osannava al vincitore, e lo copriva di fiori. Per inciso ricorderemo che il sogno orgoglioso di Carlo VIII doveva tramontare malamente, poiché, giunto in breve a scontentare i nuovi sudditi, suscitò la loro reazione e quella dei principi italiani, che lo costrinse a ripassare le Alpi a distanza di men d’un anno da quando le aveva discese.

L’iniziazione del nostro protagonista alla carriera delle armi e del combattimento non era stata propizia. Ritornò a Roma e, senza perdersi d’animo, decise di recarsi a Gerusalemme, pellegrino di fede ai Luoghi Santi. Quivi i frati del Santo Sepolcro, ammirati del suo fervore religioso, lo consacrarono Cavaliere della nostra cattolica fede. Ma non si limitò a visitare la Palestina, poiché nel 1497 si trovava a Safi, porto marocchino sull’Atlantico, all’altezza dell’Isola di Madera, molto frequentato dai genovesi, che vi avevano interessi e commerci: egli aveva dunque attraversato tutto il Mediterraneo, spingendosi molto lontano. La sua presenza nel porto atlantico, risulta al Pandiani, eminente studioso della vita e delle vicende di Andrea Doria, sulla fede del Ciasca, da un atto notarile nel quale il Doria figura quale testimone per il testamento del genovese Lazzaro Vivaldi, morto di peste a Safi nell’anno indicato.

Al suo ritorno in Italia, il Doria ritrovò la guerra. Per gli stessi motivi per i quali era disceso nella penisola Carlo VIII nel 1494, vi era disceso, meno di cinque anni dopo, appena salito al trono, Luigi XII, duca d’Orléans, cugino del suo predecessore. Costui, oltre i diritti che già vantava Carlo VIII, aveva pretese anche sul ducato di Milano, per via della nonna, Valentina Visconti. Dopo alterne vicende, Milano era restata ai Francesi che, con un accordo segreto col Re di Spagna, avevano poi preso fra due fuochi Federico II d’Aragona re di Napoli - succeduto nel 1946 a Ferdinando II - costringendolo ad arrendersi. Sorta poi contesa fra i due vincitori - francesi e spagnoli - per la ripartizione dei territori conquistati, ne era nata un’altra guerra fra di loro.

Comandava le truppe spagnole in Italia Consalvo da Cordova, il Gran Capitano, con molta decisione, con quella superiore e intelligente condotta di guerra, e con quell’ormai comprovato valore, che avevano giustificato il suo glorioso appellativo.

Andrea Doria, capitato a Roma nell’entourage della famiglia savonese Della Rovere, dove imperavano i nipoti di Sisto IV, Giovanni, prefetto di Roma, e Giuliano, cardinale di S. Pietro in Vincoli (che poco dopo sarà Pontefice col nome di Giulio II), armò subito per suo conto un nucleo di cavalieri, che corse ad offrire al Prefetto. Questi che, nella lotta fra i due stranieri, si era schierato col Re di Francia, accolse l’offerta, e affidò al giovane cavaliere della sua terra, la difesa del suo feudo di Roccaguglielma, dove il Doria ebbe subito modo di distinguersi, con frequenti uscite e scorribande.

La sua attività doveva recar molto danno e disturbo agli Spagnoli, se lo stesso Gran Capitano in persona prese un giorno la decisione di stringerlo d’assedio nel paese e nella fortezza che gli erano stati affidati.

Riusciti vani i tentativi di penetrazione, essendo stati rintuzzati tutti gli assalti, fu decisa una onorevole tregua. Il Gran Capitano, desideroso di conoscere un così ammirato difensore, invitò il Doria, e gli rese tutti gli onori, ringraziandolo per la cortesia con la quale aveva trattato tutti i prigionieri, e ponendogli questioni tattiche alle quali egli rispose con tanta saggezza da aumentare l’ammirazione già nel suo animo suscitata dall’eroico e intelligente comportamento del genovese.

Avendo Firenze, che parteggiava per i francesi, nominato Giovanni Dalla Rovere suo Capitano generale, egli diede al Doria - del quale si cominciava a parlare come di espertissimo, oltrecché valoroso - cento cavalieri, e lo mandò a sedare alcune contese tra Comune e Comune, nell’Italia centrale. Compiuto degnamente l’incarico, egli ritornò a Sinigallia, accolto con molte feste dal dalla Rovere e dalla moglie sua Giovanna da Montefeltro. Morto poco dopo il suo amico e protettore, Andrea venne nominato per testamento tutore, insieme alla madre, del figlio, Francesco Maria dalla Rovere. In tale sua qualità, e per la sua astuta saggezza, riuscì a salvare la madre e il figlio dalle mire di Cesare Borgia che, con un esercito, puntava su Sinigallia, allo scopo di conquistare il territorio, e di togliere di mezzo il giovane ereditiero. Né soltanto a questo il Doria limitò la sua opera tutoria, ché seppe abilmente consigliare la madre, negli interessi del figlio, di opporsi alle pretese del cognato, allora ancor Cardinale, che voleva a sé intestati i castelli e le terre già del fratello, situati nel Napoletano, allo scopo evidente di appropriarsene.